interstizi creativi

Interstizi creativi – Idee 107

Tra una parola e l’altra. Tra una nota e l’altra (ed è in quel tempo infinitesimo che un’accelerazione o un’esitazione possono essere indizio del talento dell’interprete. Music exists in the space between the notes, dice Miles Davis).
E poi: tra un pensiero e l’altro. Tra discipline scientifiche. Tra ecosistemi contigui. Tra stati. Tra sonno e veglia. Tra coraggio e temerarietà. Tra città e campagna. Tra granelli di sabbia. Tra cellule. Tra neuroni.
Le cose che confinano le une con le altre non sempre coincidono alla perfezione. E non sempre i confini sono netti. Se c’è un vuoto in mezzo, quel vuoto è spesso ricco di sorprese. Magari, di potenzialità.
Negli interstizi si verificano attriti, slittamenti, frizioni, scarti. Si annidano scorie, avanzi, permanenze, indizi. Negli interstizi possono aprirsi varchi, e i varchi si possono squarciare in aperture verso nuove prospettive.
Spesso, anche nella configurazione di un problema potete scoprire – a patto che lo osserviate nella prospettiva del cercare interstizi creativi – che esistono fratture fra gli elementi. Ed è lì che si può far leva.

Muovendosi negli interstizi tra fantascienza, fantasy, horror, cinema Stephen King libera frammenti autobiografici e tutti i suoi fantasmi personali, inventa Roland di Gilead e un intero universo e scrive gli otto libri della Saga della Torre Nera, il suo (interstiziale, anche per pubblico) magnum opus.
Scavando scavando negli interstizi tra grafica, design, illustrazione, pittura con il solo aiuto di uno humour di straordinaria sottigliezza e del proprio magnifico eclettismo, quel genio di Piero Fornasetti produce, invece, un universo di vassoi e portaombrelli, piatti, piastrelle, vasi e zuccheriere, e lo anima di amichevoli presenze surreali.

Interstizi creativi

Contaminandosi negli interstizi tra graffiti, fotografia, video, corpo umano (sangue, nudità, merda d’artista), prodotti e cultura di massa, gesto, scandalo, morte e altro ancora, un bel pezzo di arte contemporanea si dipana disorientando il pubblico e, con ciò, raggiungendo infallibilmente il proprio obiettivo principale.

Negli interstizi più marginali nascono nuove forme di espressione. Fenomeni di assoluta nicchia possono, per vie misteriose, diventare mainstream: all’inizio degli anni Novanta le scarpe senza lacci e i calzoni larghi senza cintura dei detenuti americani neri (in carcere lacci e cinture sono vietati) diventano l’uniforme mondiale dell’hip hop. E via, ecco tutti gli adolescenti, non ultimi i bravi ragazzi di buona famiglia, con le mutande di fuori.

A metà degli anni Novanta le ciabatte infradito usate nelle favelas delle megalopoli brasiliane si trasformano in un batter di ciglia in un must occidentale, e schiere di mannequin ciabattano sulle passerelle dell’alta moda con ciabatte non troppo dissimili da quelle dei diseredati, ma cento volte più costose.

Negli interstizi della memoria si annidano esplosivi frammenti di ricordi: tutta la Recherche può stare in una madeleine. Ma anche: tutti i Natali della nostra infanzia possono stare in un profumo di mandarino.
Negli interstizi della percezione turbinano dettagli intercettati con la coda dell’occhio, retrogusti, suggestioni subliminali che forse riemergeranno in una delle prossime notti, nel bel mezzo di un sogno ispiratore.
Negli interstizi tra matematica, informatica, nanotecnologie, neuroscienze e scienze comportamentali, linguistica robotica, scienze dell’informazione crescono gli studi sull’Intelligenza artificiale. Ne riparliamo tra vent’anni, e, magari, invitiamo il nostro amico del cuore Roby Robot a dirci che ne pensa.

Interstizi creativi

Nei vuoti, nelle rotture, nelle lacune, infine, si nascondono opportunità creative: e se qualche volta la colpa è di Titivillus, il diavoletto degli strafalcioni immaginato dai copisti medievali (poi patrono degli scribi e degli errori), qualche altra volta nel vuoto si esprime intenzionalmente la maestria dell’autore: La lacuna espande il senso, portando la significazione oltre i limiti fisici delle parole scritte, scrive Nicola Gardini.

Non solo gli spazi, ma anche i tempi vuoti possono possono essere fertili e pieni di senso: chiusa in casa per anni mentre per le strade di Parigi infuria la Rivoluzione Francese, la piccola Sophie Germain si rifugia nella biblioteca paterna e si innamora della matematica. Seguirà, con lo pseudonimo di Antoine-August Le Blanc, le lezioni dell’École Polytechnique, a quei tempi preclusa alle donne. Darà importanti contributi teorici e diventerà un’icona del femminismo contemporaneo. Costretto per lunghi anni a letto per una malattia alle ossa, il ragazzino Alberto Pincherle, che noi conosciamo come Alberto Moravia, legge appassionatamente. A meno di vent’anni comincia la stesura del suo romanzo d’esordio, Gli indifferenti.

Gli interstizi sono sempre interessanti. Perfino nell’interstizio tra cuscini e schienale del sofà di casa, tentando con la mano, si rischia di trovare qualche monetina. Basta farsi prendere da quel minimo di curiosità, e tastare.

Questo articolo esce anche su internazionale.it. Se vi è piaciuto, potreste leggere:
Idee 65: mappe, limiti e confini 
Idee 20: sinestesia, una passeggiata ai confini tra colori e suoni

6 risposte

  1. Grande articolo, riflessione madre su tutti i cambiamenti storici e sulla dimensione e lo spazio rivoluzionario. Come non ricordare per esempio il silenzio delle donne o gli squilibri fecondi dei marginali? La fabbrica dell’innovazione socio-culturale ha le sue miniere in territori subalterni. Produttori inconsapevoli e loro malgrado. (Come sempre, of course!!! grazie Annamaria, a presto Victor

  2. Verissimo: sono anni che, con Alessandro Guerriero, sosteniamo queste cose. Da qui ha preso il via Alchimia, che abbiamo fondato negli anni ’70, il uogo da cui la post-avanguardia italiana ha preso faccia e idee. E sempre da qui ha preso il via TAM-TAM la “non scuola” dedicata alle arti visive a cui mi piacerebbe che tu, AM, dedicassi un po’ del tuo tempo con un workshop per i “non-studenti” che la frequentano. http://www.tam-tam-tam.org

  3. Avevo già letto questa nota e ora -nella ritrovata frescura romana- mi è piaciuto rileggerla.

    Non dirò nulla nel merito, perché è esaustiva. Desidero invece parlare della scrittura: bella, ricca, limpida.
    Guadate.

    “Negli interstizi della memoria si annidano esplosivi frammenti di ricordi: tutta la Recherche può stare in una madeleine. Ma anche: tutti i Natali della nostra infanzia possono stare in un profumo di mandarino.
    Negli interstizi della percezione turbinano dettagli intercettati con la coda dell’occhio, retrogusti, suggestioni subliminali che forse riemergeranno in una delle prossime notti, nel bel mezzo di un sogno ispiratore.”

    Che dire? C’è un mondo sensoriale, una piacevolezza grande. Grazie, amica di matita *_))

  4. Concentrato nella lotta contro il Titivillus sempre in agguato fra gli interstizi delle mie diottrie calanti e delle mie falangi poco dattilografiche medito ancora sulla ricchezza stimolante del concetto di interstizio. L’interstizio sembra il rimedio più efficace al più disarmante dei paradossi. Il progredire della conoscenza rende sempre più indispensabile la specializzazione, e spesso una vita intera non basta per dominare seriamente una sola branca di una scienza, tanto da fare apparire folle qualsiasi velleità di costruirsi una personale summa del sapere, una parvenza di una umile cultura enciclopedica. Eppure sappiamo che nella realtà tutto si tiene, e forse sarebbe dovere imperativo il cogliere il senso meno ovvio di parole come “connesso” e “connessione” per comprendere come qualsiasi “scoperta” si dipani inesorabilmente in un territorio di confine che non è solo il frutto di un ormai quasi vecchio approccio “interdisciplinare”, ma di una ben delineata e nuova visione di insieme. E lo scrutare con attenzione gli interstizi più promettenti non può che essere la via giusta. Insomma, a costo di rischiare un barocchismo caricaturale arriverei a dire che la nostra cultura o è interstiziale o non è. Per carità, non aspiro a farmi promotore di un “interstizialismo” che sublimi e superi il già propugnato connettivismo, magari proiettando nella realtà oggettiva i più affascinanti risultati delle neuroscienze, intente ad indagare i trilioni di sinapsi che si inseguono nella nostra scatola cranica. Non si tratta di generare inutili “ismi”, ma di cercare ogni giorno lo spiraglio giusto, magari senza spiare dal buco della serratura

  5. Per un attimo ho creduto di averlo scritto io. Pregevoli anche le riflessioni sui confini margini eccetera e soprattutto le sinestesie.

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