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Che scemenza, la retorica del vincente a prescindere

Apro il giornale. L’annuncio pubblicitario di uno studio odontoiatrico promette di restituire ai clienti non il sorriso, ma “un sorriso vincente”. Anche trascurando l’indimostrabilità del risultato – ma, si sa, certe promesse pubblicitarie van prese con le pinze. O con le tenaglie – non saprei dire se in sé il concetto di “sorriso vincente”, e di “vincente” tout court, sia più irritante o più scemo.

FIGHI E SFIGATI. Qualche anno fa i ragazzini dividevano il mondo tra fighi e sfigati, ed essere scaraventati tra gli sfigati era il peggiore dei destini possibili. Qui la definizione che il vocabolario Treccani dà di “figo”. Qui la simmetrica definizione di “sfigato”: si noti il riferimento non a circostanze occasionali, ma a una condizione esistenziale permanente e a uno stigma irrimediabile.
Il frivolo diminutivo “fighetto” sembrava porre almeno un interrogativo sulla vacuità della categoria dei fighi. Ma ora che l’universo degli esseri e dei destini umani appare diviso tra “vincenti” e “perdenti” ogni residua ombra di dubbio appare azzerata. Essere vincenti così, a prescindere, sembra essere cosa buona, giusta e sommamente desiderabile.
Ma perché mai?

VINCENTI, NON IMPORTA PERCHÉ. Certo: nella nostra cultura vincere è glorioso. Ma provate a pensarci: nell’idea di riportare una vittoria, e quindi di risultare vittoriosi, sono impliciti il rischio, la lotta, la sfida, il coraggio e la possibilità della sconfitta, la fatica, la tenacia e la passione, magari l’eroismo e una dose di ingegno e di creatività.
Invece questo plastificato, cafonissimo imperativo categorico del risultare vincenti non importa  per che cosa, su chi, in quali ambiti e per quali talenti e dopo aver affrontato quali prove, in quali modi eventualmente obliqui o truffaldini, non evoca alcun merito intrinseco.
Il vincente a prescindere è un finto vittorioso, una bufala palestrata che si pavoneggia vacuamente circonfusa di  luci da discoteca, mostrando il torace pompato e depilato. Nessun segno di lotta. Niente polvere o ferite o cicatrici, niente eco delle battaglie nelle orecchie. E, siccome il vincente col suo sorriso stolto se ne sta lì, tronfio, finisce che qualche sprovveduto magari ci casca e fa perfino il tifo per lui, nonostante l’antipatia e l’inaffidabilità.

SBAVARE SUI VINCENTI. Per inciso, ho il fondato sospetto che sbavare sui vincenti sia un comportamento perdente: implica un’idea così deviata della lotta e della vittoria da far pensare che chi la coltiva non abbia il minimo senso di che cosa significa per davvero lottare e, se va bene, vincere.
D’altra parte, nell’idea stessa di “vincente” è contenuta una drammatica debolezza. Il vincente definisce la propria esistenza solo nella misura in cui “vince”, perfino se la vittoria è tarocca o irrilevante. Ma quando gli capita di perdere, come a tutti prima o poi succede, perde anche se stesso e puff!, non esiste più.

LA VITA COME GIOCO. Ci sarebbe da rileggere Giochi finiti e infiniti un bel libro di James Carse uscito molti anni fa. Sottotitolo: la vita come gioco e come possibilità. Idea di fondo: noi possiamo giocare giochi “finiti”, nei quali l’obiettivo è vincere, e giochi infiniti, nei quali l’obiettivo è continuare a giocare. Nei giochi finiti (sport competitivi, dibattiti, Monopoli, guerra, briscola…) esistono perdenti e vincenti (vincenti veri, se non altro). Ma nei giochi infiniti (imparare, avere relazioni sane, allevare i figli, essere vivi) la vittoria dei giocatori consiste nel continuare il gioco, e il loro talento sta nel trovare sempre nuovi modi per giocare, abbattendo ogni confine. Sembra molto più affascinante.

VINCERE ANCHE PERDENDO. Ci sarebbe anche da riguardarsi Quarto potere di Orson Welles: la storia di Charles Foster Kane, “un uomo che ottiene tutto quanto vuole, per poi perderlo”. Ci sarebbe da ricordare che esistono logiche win-win basate sulla cooperazione: è la strategia che i cinesi  dichiarano di voler applicare in Africa, in opposizione al precedente colonialismo occidentale. E chissà se lo dicono sul serio.
Ci sarebbe da ricordare la vicenda di Derek Redmond, che vince forse la più lunga standing ovation della storia olimpica perdendo sui 400 metri piani: è primo, ma durante la gara gli si strappa un muscolo. Taglia il traguardo zoppicando, sorretto dal padre. Qui il video.
Ma forse basterebbe aggiornare la favola I vestiti nuovi dell’imperatore di Andersen. Immaginare un bambino che guarda il vincente di turno nelle palle degli occhi e gli dice: tu, sotto sotto, sei il più sfigato di tutti.

Una versione più breve di questo post è uscita su Internazionale.it

25 risposte

  1. Due esempi storici. 1. L’ammiraglio inglese Oratio Nelson, che risultò vincente (allora si diceva vittorioso) quando perse un occhio (Corsica), quando perse un braccio (Canarie) e quando perse la vita (Trafalgar). 2. Il carabiniere Salvo D’Acquisto, che a 23 anni offrì la sua vita per salvare gli ostaggi che i tedeschi intendevano fucilare (1943).

  2. grazie per la riflessione…penso ancora una volta che le cattive prassi si combattono solo rafforzando quelle buone. Nel tuo articolo c’è chiaramente un concetto di vittoria buono, quello che implica lo sforzo, il rischio, imparare dalle sconfitte, migliorare continuamente. molti confondono, invece, anche la sostanza buona con la vana retorica e ci ritroviamo così con due obbrobri: l’imperversare del vincente vuoto di cui parli, e l’italico perenne disfattismo verso il concetto vero di successo, che al contrario andrebbe sostenuto!

  3. Grazie, bellissimo pezzo. Ricordo una lezione di antropologia culturale con Remotti in cui si parlava di una tribù australiana le cui competizioni sportive dovevano finire in parità, una culturanon esistevano vincitori e vinti (scusate la vaghezza, non ricordo i dettagli).
    Comunque, mi interessa il libro di Carse, ma pare sia introvabile on line: qualcuno sa se è fuori stampa?

    1. Ciao Daniela. Il libro di Carse è purtroppo fuori catalogo. C’è in giro qualche copia di seconda mano. Lo si può trovare in biblioteca. Alla pagina di Amazon c’è un tasto (in basso a sinistra) per chiedere di poter leggere il libro su Kindle. Forse, se diverse persone cliccassero…
      http://www.amazon.it/Giochi-finiti-infiniti-gioco-possibilità/dp/8804292385/ref=sr_1_1?s=books&ie=UTF8&qid=1379543577&sr=1-1&keywords=carse+giochi+finiti+e+infiniti

      1. Ho cliccato!
        Ho letto l’articolo del Guardian su Redmond e da ex, piccolo, sportivo non posso non sottolineare l’importanza (e anche il fascino, secondo me…) che potrebbero suscitare le storie di “sconfitti” che hanno dovuto “vincere” gli effetti della sconfitta e, così facendo, riuscire a vivere nuovi giochi.

        1. Se ti piace questo argomento ti segnalo il documentario “Zero a zero” di Paolo Geremei. Racconta la storia di tre calciatori che da grandi promesse del calcio vedono i loro sogni spezzarsi all’improvviso. Nonostante questo riescono a vincere nella vita. Non amo il calcio, né lo sport, ma l’ho apprezzato molto.

          1. @Riccardo
            Grazie per l’interessante segnalazione.

  4. “Ci sarebbe da ricordare che esistono logiche win-win basate sulla cooperazione: è la strategia che i cinesi dichiarano di voler applicare in Africa, in opposizione al precedente colonialismo occidentale….” se di promesse false ne ho sentite, questa in bocca ai cinesi dell’inquinamento totale è particolarmente memorabile!

  5. Cara Annamaria,

    bella riflessione che mi consente di scollegarmi da FB con un sapore gradevole.
    Ti volevo ringraziare perche’, di questi tempi, la mediocrità’, la banalità’ e la stupidita’ regnano sovrane. Sei una consolazione per lo spirito. E mi aiuti ad avere fiducia nell’intelligenza umana.
    Mi permetto di usare il “cara” anche se non ti ho mai
    conosciuta personalmente perché’ così’ e’.
    Un abbraccio da Austin Tx.
    Silvana

    1. Annamaria e Silvana carissime,
      Dal “basso” dei miei 79 anni posso permettermelo?
      Condivido al 100% le osservazioni di Silvana.
      Ugo

  6. A questo riguardo il film My Life è emblematico: il manager americano “vincente” a prescindere, ma malato di cancro(perdente nella vita), che fa un video dedicato a suo figlio, che deve nascere, per insegnargli i suoi trucchetti per essere sempre “vincente”(stupenda la scena dove gli insegna a scendere le scale!); tronfio di sicurezze da quattro soldi, senza un briciolo di umiltà, tratta male la sola persona che ha capito il suo problema (il medico cinese) e che potrebbe aiutarlo…

  7. Ho appena visto il video di Derek Redmond. Bisognerebbe trasmetterlo a reti unificate, al posto di quello del pregiudicato Berlusconi Silvio!

  8. SUCCESSO

    Ridere spesso e di gusto;
    ottenere il rispetto di persone intelligenti e l’affetto dei bambini;
    prestare orecchio alle lodi di critici sinceri e sopportare i tradimenti di falsi amici;
    apprezzare la bellezza;
    scorgere negli altri gli aspetti positivi;
    lasciare il mondo un pochino migliore, si tratti di un bambino guarito, di un’aiuola o del riscatto da una condizione sociale;
    sapere che anche una sola esistenza è stata più lieta per il fatto che tu sei esistito.
    Ecco, questo è avere successo.

    RALPH VALDO EMERSON

  9. chissà come mai questo articolo mi era sfuggito!
    Eppure è molto, molto vicino alla mia sensibilità (“mi ammalia, credo, una necessità perdente”) – e mi pare faccia trapelare una certa acredine anche dell’autrice (che non mi aspettavo) per i fighissimi vincenti.

    E che mi fa aggiungere un sacco di simpatia umana alla mia stima smisurata per lei 🙂

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