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La letteratura sommersa, la paranoia, la fortuna e il cigno nero

Non esiste solo un’economia, ma anche una letteratura sommersa. C’è un’Italia che scrive a ritmo serrato (…). La differenza tra un testo rifiutato e uno pubblicato, anche con successo, non è sempre evidente e talora anzi sembrerebbe più logico che ai due testi accadesse il contrario. Così scrive Claudio Magris qualche tempo fa sul Corriere. Aggiunge che riceve quattro o cinque manoscritti al giorno, che non riesce a leggerli, e che forse il digitale può aiutare il continente sommerso dell’inedito ad emergere.

Ovvio: l’Italia che scrive a ritmo serrato lo fa perché spera di essere letta. E spesso, pur di riuscirci, è pronta a tutto: dal pubblicare al pagamento (qui ne parla Michela Murgia. E qui Silvia Ognibene) al tampinare chicchessia con pressanti richieste di lettura e aiuto. Sul web trovate sia una pletora di consigli per pubblicare – alcuni furbetti, alcuni scombinati –, sia una quantità di lamenti, spesso paranoici, sull’ottusità e la corruzione del mondo editoriale. Una cara amica è stata infastidita da più di un esordiente perfino in occasione, e con il pretesto, di un lutto.

A parte le scorciatoie (editoria a pagamento) e i comportamenti molesti, val la pena di chiedersi quanto la speranza di pubblicare sia fondata, per un esordiente. La situazione italiana è oggettivamente sfavorevole: troppi aspiranti autori per un mercato troppo piccolo e in pesante flessione. Neppure molti degli aspiranti scrittori leggono, e questo: a) è paradossale, b) si vede da quel che scrivono.

Ma, dice Magris, c’è il web. Beh, più che il web, c’è la bolla del self publishing con il suo corredo di frenetica autopromozione. Loredana Lipperini cita lo scrittore inglese Ewan Morrison: anche se le vendite degli e-book crescono del 366%, nel 2011 solo settanta autori self-published hanno venduto più di 800 copie al mese. La metà degli scrittori autopubblicati guadagna meno di 500 dollari l’anno, 320 sterline, 87 pence al giorno. «Se scendi in strada tutti i giorni con il tuo libro in mano e provi a venderlo a 88 pence, guadagni di più». D’altra parte, dobbiamo tener conto del fatto che il mondo del self publishing è, come tutti i mondi nuovi, turbolento e in rapida evoluzione, perfino in Italia. Come sostiene un recente articolo pubblicato su Wired, le sue implicazioni possono essere dirompenti, specie nel momento in cui le opere pubblicate cominciano a essere impeccabili sotto il profilo grafico ed editoriale. E, insomma, qualcuno c’è riuscito, a conquistarsi lettori in rete. Per esempio, questo giovane esordiente. E anche questo, che sembra avere idee molto chiare sulla promozione e ve le dice.

Comunque Magris afferma il vero: non tutti i libri pubblicati  meritano (ho in mente un paio di recenti bestseller che… ehm ehm). E non tutti i libri rifiutati demeritano. Difficile farsene una ragione.

Ma si può capire qualcosa di importante rileggendo ciò che dell’editoria scrive Nassim Nicholas Taleb ne Il cigno nero. Il quale spiega che il mestiere della scrittura (come la finanza e tutte le professioni creative, dalla musica al cinema alla ricerca scientifica) è scalabile: significa che non c’è corrispondenza tra impegno profuso e risultato numerico o, per dirla in altri termini, che dato uno sforzo X per scrivere un libro, quello sforzo resta il medesimo sia che il libro venda 2 copie o 100 o 100.000, proprio come l’energia investita da un trader per comprere 100 azioni o 100.000 è la medesima. Ma questo tipo di professione è buono solo se si ha successo: è molto più competitivo, genera ineguaglianze mostruose, è molto più casuale ed è caratterizzato da enormi disparità tra sforzi e ricompense: pochi si dividono la torta lasciando altri, del tutto incolpevoli, a mani vuote (pag 50). Val la pena di ricordarsene: quanto accade non è “colpa” dei singoli autori, ma è una conseguenza sia della struttura del mercato, sia delle caratteristiche intrinseche del mestiere di scrivere.

Tutto ciò significa che, per affrontare la scrittura, così come ogni altra impresa creativa, bisogna avere una certa propensione al rischio, mettere in conto una serie di fallimenti, sapere che il successo è anche un fatto di fortuna (pag 230/231) e che comunque chi è, o appare, leggermente migliore, per vantaggio cumulativo vince tutto. E certo, il web può permettere di trovare nicchie di lettori (pag 237), restando in attesa di un colpo di fortuna, il “cigno nero positivo”. Che è però sempre incerto e raro: nel mondo dell’editoria statunitense il 97% delle vendite di libri è realizzato dal 20% degli autori, e la situazione peggiora se prendiamo in considerazione la saggistica (20 libri su circa 8000 rappresentano la metà delle vendite (pag 248).

Aggiungo solo un paio di note: la fortuna può premiare un testo mediocre (e punirne uno meritevole), ma raramente premia un testo proprio pessimo. Quindi scrivere bene una storia interessante è il buon modo per cominciare. E poi: inutile prendersela con la fortuna degli altri. Meglio andare a cercarsi la propria, sapendo che a volte lei, la fortuna, si presenta travestita in forme improbabili, e bisogna essere pronti a riconoscerla e a lasciarsi baciare. Infine: se proprio si vuole esagerare, tanto vale seguire i consigli del Gulliver russo. Anche se quel dettaglio del water potrebbe essere scomodo da gestire.

9 risposte

  1. Grande verità, Annamaria!

    Opere pubblicate indegne, altre sconosciute. Giustamente scrivi accade in molti ambiti.
    Penso al povero Puccini (non si é affermato facilmente) e di contro al fortunatissimo Verdi…

    Credo comunque che scrivere sia prima di tutto un piacere, se questo non c’é si generano frustrazioni e inutili aspettative (*_))

  2. Gran bel post! E soprattutto veritiero. Anche a me (come un sacco di altri italiani) piace scrivere (ma anche leggere) e mi piacerebbe pubblicare (sempre che quello che scrivo sia degno di essere letto!). Per ora scrivo per me, perché mi piace e scrivendo mi diverto. Ogni tanto invio i mie frutti a qualche editore ma – almeno per ora – senza proposte editoriali. Ma siamo inguaribilmente ottimisti!

  3. “Aggiungo solo un paio di note: la fortuna può premiare un testo mediocre (e punirne uno meritevole), ma raramente premia un testo proprio pessimo”

    Magari, Annamaria fosse così. Provi a leggere 50 sfumature di grigio , al cui confronto la Tamaro è Manzoni e la Rosamunde Pilcher una Charlotte Brontë.

  4. il respiro dell’arte è molto più lungo di quello del “prodotto”
    (non sono saggio me lo ha detto mio figlio)
    nel breve periodo sembra che ci sia sempre poca “arte” e un sacco di mediocrità.
    Basta fermarsi e guardare indietro
    Visto così capiamo le 50 sfumature , Moccia ecc…

  5. L’affermazione e i dati citati da Ewan Morrison sono sicuramente veri (“La metà degli scrittori autopubblicati guadagna meno di 500 dollari l’anno, 320 sterline, 87 pence al giorno.”) ma sono anche *fuorvianti*, perché non viene fatto un confronto con analoghi dati dell’editoria cartacea.

    Anche nell’editoria *cartacea* la metà degli scrittori guadagna meno di 500 dollari l’anno dai libri che scrive 🙂

    A me risulta che – ben lungi dall’arricchire tutti gli autori – anche in mercati ultradinamici come negli Stati Uniti circa il 50% di tutti i titoli pubblicati _su carta_ vendono pochissime copie (meno di qualche decina). Ovvero nell’editoria cartacea la maggior parte dei titoli servono per fare massa nel catalogo dell’editore, e sono degli spari nel buio nella speranza di fare centro con quella quota di “best seller” e “long seller” che sono i titoli che mantengono prima di tutto l’Editore (e poi l’autore).

  6. Credo che il 90% degli scrittori oggi sulla piazza non meriti di essere pubblicato e che il 90% di quelli che vogliono pubblicare non debbano essere pubblicati.
    Credo che il 90% delle odierne case editrici non meritino di vendere i libri che pubblicano.
    Amo quel 10% di scrittori e editori che sanno fare il proprio mestiere e mi aiutano a vivere meglio.

  7. Un dato che forse manca, tra quelli forniti, è quello della quantità percentuale di successi attribuibili alla semplice metodica di mercato, che comprende tutto il ciclo dalla produzione al consumo.
    Credo che tutti si accorgano di quanti passaggi a stampa o televisivi a questo o quel personaggio (che scrive per mestiere o per mestiere fa altro ma in più scrive) non siano, per così dire, casuali, ma frutto del lavoro degli uffici stampa e relazioni delle case editrici o cinematografiche.
    Le notizie, si sa, si costruiscono se non ci sono, e più hanno ingredienti perché le si possa costruire più facilitano il compito.
    Nel caso di molti personaggi politici, questi ingredienti, ad esempio, non son certo relativi soltanto alla qualità della scrittura, ma quantomeno alla visibilità loro e, quantopeggio, ad altro tipo di intercessioni.
    Il che nn vuol dire che siano sempre giustificate le lamentazioni sulla difficoltà di pubblicare, perché evidentemente le precondizioni per farlo vanno assicurate, anche se non è detto che una qualità assoluta e in astratto ne faccia parte imprescindibile. Ci son generi, iperstore, nicchie ecc.
    Quel che si deve capire è che, come per ogni forma di lavoro o prestazione professionale, le competenze van di pari passo con la coltivazione (in senso buono o cattivo) delle relazioni che le legittimano. E che i modi per legittimarle son tanti, a loro volta buoni e cattivi: anche se, dal punto di vista puramente produttivo, diventa difficile definir cattivo un prodotto letterario che aveva lo scopo prevalente dki vendersi e lo raggiunge.
    Si scrive per tanti motivi, quindi, e ciascuno dovrebbe esser consapevole del perché lo fa e di quale destino desidera per se e per la sua opera.
    Persino tra i volumi autopubblicati, potreste scovare al proposito curiosità interessanti: io, ad esempio, ho empiricamente notato che guide turistiche, manuali specifici ecc. vendono quasi sempre più dei romanzi, e spesso raggiungono tirature notevoli.
    Per il resto, cioè per la produzione industriale di variabile tiratura, mi rammento che un mio giovane amico che opera nel campo della discografia tuttora, anche a livello internazionale, al tempo in cui ancora non si parlava di euro ma di lire mi diceva: “Guarda, se vuoi lanciare un cd con QUALCHE probabilità di successo, dimmi prima quanti milioni puoi investirci. Perchè tra promozioni, passaggi radiofonici e televisivi, sollecitazioni ai gangli dell’intero sistema , ci voglion soldi, e il tutto va pianificato. Poi se hai pure qualità e fortuna, vendi”.
    Chiaro che con Youtube, l’editoria online, l’e-reading alcuni processi son cambiati, ma non so se più all’apparenza che nella realtà.
    Per un Gangnam che spopola, quanti van al macero o o in conserva fino alla putrefazione.
    E non è che il Web sia sottratto alle regole commerciali più di quel che c’era prima, semplicemente ha agevolato un poco il passaparola, ma se si tratti di marketing o di passaparola reale non sempre è dato vedere.
    Soprattutto non so quanto sia cambiato il modo realistico di veder la situazione sul campo da parte di chi vorrebbe entrarvi a vario titolo. come scrittore, come poeta, come musicista ecc..
    Ci vuol consapevolezza di quel che ci si aspetta e di quel che ti aspetta.
    E non è detto neppure che questa consapevolezza basti, come per qualsiasi imprenditore. Ergo: se qualcuno ha qualcosa che ritiene così interessante da proporre agli altri e ai posteri, rifletta bene se la sua percezione corrisponda al vero.
    Raramente un buon lavoro costa solo divertimento e passione e non fatica, intendendo come fatica non solo il tempo dedicato a farlo, ma proprio la fatica di farlo, con concentrazione e rigore quotidiano.
    Se questo è quel che cerca, lo faccia comunque, indipendentemente dall’esito che avrà.
    Poi che pubblichi con un editore o autopubblichi, a mio parere è indifferente, la parola sarà fissata, se interessante qualcuno la scoverà e promuoverà. O forse no.
    Se, invece, vuol campare di questa attività facendone una professione in tempi relativamente brevi, sappia che le strade son tante, cerchi quella più adatta al suo prodotto e si aiuti ad esser un prodotto lui stesso.
    Saviano, per dire, non è più tanto uno scrittore, ma il personaggio di scrittore che interpreta.
    E’ una constatazione, non una critica.

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