Questo sembrerebbe essere il momento giusto per mettere a confronto prospettive diverse sul futuro del paese. E soluzioni per costruirlo, quel futuro. Per uscire dalla crisi non basta il (necessario) buon senso, ma servono come l’ossigeno la creatività, la fantasia, la combattività di tanti ragazzi e ragazze, scrivono Rizzo e Stella sul Corriere della Sera. In realtà, credo, servirebbe un gigantesco sforzo collettivo (dai, non carichiamo questo peso solo sulle spalle dei giovani) volto a tirar fuori un po’ di coraggio, di pragmatismo e di visione.
Che cosa vogliamo diventare? Con quali paesi vogliamo competere domani? Quali sono, oggi, i nostri punti di forza? Come possiamo sviluppare la creatività? Su quali elementi possiamo costruire il successo e la reputazione internazionale dell’Italia dei prossimi trent’anni? Qualcuno lo sta dicendo? Ci sta, almeno, pensando? O siamo tutti travolti dall’emergenza, e ridotti a un pensiero che non sa andare oltre il breve o il brevissimo termine?
E, soprattutto, qualcuno si ricorda che oggi non c’è sviluppo possibile, in alcuna direzione, per nessun paese, che non passi attraverso una sostanziale valorizzazione dell’istruzione e della scuola?
Se vogliamo crescere, e qualsiasi sia la direzione della crescita, non possiamo fare a meno della scuola, ricorda Tullio De Mauro. A decidere le sorti delle nazioni, oggi e a maggior ragione domani, sarà lo spread del sapere, scrive Marc Augè.
C’è un collegamento evidente tra le conoscenze e le competenze con cui i giovani entrano nel mondo del lavoro e la competitività economica di un paese nel lungo termine, segnala una recente ricerca dell’Economist Intelligence Unit. È fatta benissimo, e offre una quantità di dati che mettono a confronto 50 paesi: date un’occhiata, se vi va.
Ma la cosa più interessante è questa: i due paesi al vertice, Finlandia e Corea, hanno sistemi educativi per molti versi opposti, e un punto fondamentale in comune: entrambi assegnano importanza strategica all’apprendimento, riconoscono il fondamentale ruolo sociale degli insegnanti, promuovono l’istruzione come necessaria base per il benessere e lo sviluppo. E, per entrambi i paesi, il valore del sapere è fuori discussione.
Per inciso, un paese più istruito ha maggior consapevolezza di sé come corpo sociale, e vota anche con miglior cognizione. Un buon modo laico per capire chi votare stavolta potrebbe essere proprio andare a vedere che cosa ciascuno dice della scuola e dell’educazione. Se non ne parla per niente, o ne parla in modo rituale giusto perché bisogna, o se ci crede sul serio. E se, credendoci, ha idee forti e competenti per migliorare il sistema. Cosa, peraltro, per niente facile.
Guardate questa magnifica presentazione di Ken Robinson intitolata Changing Education Paradigms: vi dà un’idea della complessità del problema, e del fatto che, per affrontarlo, non bastano certo qualche slogan e qualche benintenzionata dichiarazione su un programma elettorale.
Segnalo l’articolo di Benedetto Vertecchi uscito su l’Unità: “ristabilire un rapporto di fiducia e la società” si può. Basterebbe, per esempio, seguire l’esempio francese. Leggete:
http://www.edscuola.eu/wordpress/?p=14979