forma o contenuto

Forma o contenuto? Attenzione al “nientino d’oro” – Metodo 34

Prima di parlarvi del rapporto che lega forma e contenuto devo parlarvi di mia nonna. Abbiate pazienza: c’entra, e assai.
Mia nonna Alfonsina era nata negli ultimissimi anni dell’Ottocento. Era alta poco più di un metro e cinquanta e quando, a otto anni e appena finita la seconda elementare, lavorava incollando scatole di fiammiferi alla Saffa di Magenta, avevano dovuto metterle uno sgabello sotto i piedi perché era così bassa di statura da non riuscire a raggiungere il bancone.
Come vi dicevo, non sarebbe cresciuta poi tanto.
Parlava solo il dialetto milanese bastardo dei contadini. Quando facevo la brava, e le chiedevo di premiarmi per questo, rispondeva che mi avrebbe dato un bel niguttin d’or: un bel nientino d’oro. Una promessa che è un concentrato di attese e fatale delusione.

DAI TEMPI DI PLATONE. Del rapporto che lega forma e contenuto si discute dai tempi di Platone, e non ho alcuna intenzione di mettermi a filosofarci sopra. A chi fa un lavoro creativo, e negozia quotidianamente con contenuti in cerca di forma, basta ricordare che noi percepiamo e comprendiamo ed entriamo in contatto con qualcosa solo nella forma in cui quel qualcosa si esprime per noi.
Senza una “forma”, qualsiasi “contenuto” rimane potenziale. La forma, dunque, non è un accessorio, ma la condizione necessaria perché il contenuto si manifesti a noi.

PERCEPIAMO CONTENUTI NELLA LORO FORMA. Così, percepiamo il pensiero e il sentimento attraverso parole che lo formalizzano (segni fatti di significanti che veicolano significati, ed esprimono – o meno – un senso). O attraverso tratti e colori che ce lo illustrano, formule che lo evocano, documenti e grafici che lo spiegano. Percepiamo il tempo ordinandolo in sequenze di eventi, e strutturandolo per catene di cause ed effetti: le storie e la Storia. Percepiamo lo spazio nelle strutture formali che ricostruiamo a partire dal nostro punto di vista. Percepiamo una faccia attraverso le sue proporzioni. E così via (e se vi è piaciuto il video che ho linkato, guardatevi anche questo).

IL LAVORO CREATIVO COME MESSA IN FORMA. Torniamo alla creatività, e al nientino d’oro della nonna: il lavoro creativo, per molti versi, non è altro che una infinita messa in forma di infiniti contenuti possibili. E sì, la messa in forma – e nella forma migliore – è fondamentale. C’è da sbattersi ben bene e da investire abilità e pazienza per metterla a punto.
Ma andare alla ricerca della forma senza avere avuto prima l’intuizione forte di un contenuto (l’idea che può diventare un racconto. La visione che può diventare un quadro, o un film. O un progetto politico. Il problema che può trasformarsi in una soluzione. Il quesito che contiene in sé il germe di una scoperta. Il concept che può diventare un prodotto…) è un lavoro a vuoto.

FUMO SENZA ARROSTO. Eppure spesso si fa l’errore di partire in quarta con le preoccupazioni formali senza controllare che ci sia qualcosa di consistente, da mettere in forma. Succede perché lavorare sui contenuti è più difficile. Più incerto. E, soprattutto, perché aggiustare la forma è in fin dei conti più rassicurante che scornarsi coi contenuti: i quali, ancora privi di forma, scappano da tutte le parti, in tutti gli universi del possibile.
Eppure, un lavoro solo formale non sta in piedi, e bisogna ricordarsene. Produce solo apparenze fragili. Fumo senza arrosto. E la delusione del niguttin d’or.

13 risposte

  1. Ciao e grazie per aver aggiunto un altro tassello interessante al puzzle personale che sto componendo per comprendere meglio il rapporto fra forma e contenuti.
    Sono d’accordo: creare qualcosa curando solo la forma porta a realizzare entità molto fragili.

  2. Che bell’articolo, ne avevo proprio bisogno grazie.
    Effettivamente è vero spesso e volentieri nelle piccole realtà si parte da una forma per poi appiccicarci (a volte a forza) un contenuto…
    Nel mio piccolo cerco di mantenere sempre il corretto ordine del processo creativo (là dove mi è concesso).
    Nello.

  3. Grazie, molto bello. Sono completamente d’accordo.
    Mi confronto quotidianamente con chi mi chiede “belle forme” semplicemente perché non ha da indicarmi contenuti. E per chi fa comunicazione pubblica è un grande problema …etico.

  4. Spesso, nel teatro amatoriale, vedo sprecare energie in scenografie, cambi d’abito ed ogni altro accessorio possibile trascurando ciò che è il messaggio, il narrare, la storia.

  5. A volte, in auto, mi capita di imprecare. Non è perché un tir sta cercando di stritolarmi, è perché ho visto una head-line su un poster con la crenatura fra le lettere che mi fa prudere le mani. Quando questo accadeva, diversi anni fa, mia moglie al mio fianco mi chiedeva: “Ma sei scemo?” Col tempo la frase da interrogativa è diventata affermativa: “Ma sei proprio scemo!” Probabilmente è vero, ma non posso farci niente. Forse perché la forma è anche significato, e ciò che comunica una spaziatura senza equilibrio è trascuratezza, incapacità, mancanza di armonia, ignoranza delle regole elementari della percezione, lavoro tanto per fare…
    Ho riletto almeno quattro volte, fra ieri e oggi il Metodo 34, ed è magnifico, come sempre. Per questo ho tardato a commentarlo, perché lo condivido totalmente.
    Quant’è vero ciò che dici se lo riferisco al design, agli artefatti quotidiani, ormai sempre più banalissimi gadget selezionati da uomini di marketing e da redazioni di periodici in cerca di facili stupori rapidamente da sostituire. Forse l’attenzione al contenuto è da mò che è finita. Vi ricordate quando si parlava di progresso? Ora ci accontentiamo di evocare la crescita Godot: proprio un bel niguttin d’or.

  6. Ciao Rodolfo.
    Anche se ho una storia professionale da copywriter ti capisco assai bene. Credo che il post che pubblico domani ti piacerà.

  7. Ho memoria del “bel niguttin d’or” perché la mia pro-zia Virginia ne faceva uso. Ciò accadeva per mandarmi, in una spola infinita, da lei alla sorella, per intrattenermi con la promessa di un possibile dono.

    Aggiungo variazioni geografiche al capolavoro creativo “bel niguttin d’or”.
    I miei amici pugliesi mi raccontano del meccanismo analogo che va sotto il nome di “nturtid”.
    -Vai dalla nonna e chiedi nturtid- questa la richiesta di un genitore al bambino perché fosse intrattenuto, appunto, dalla nonna cui il bimbo faceva richiesta (*_))

  8. Cara annamaria, forse non c’entra niente, ma guarda caso, io che conduco laboratorio autobiografici, proprio qualche giorno fa ho stimolato le mie donne -guarda caso sempre donne- a costruirsi il loro imballaggio, ciò che secondo loro doveva dare una forma e una presentazione a loro stesse.
    Ne sono usciti degli involucri delle più svariate forme, che però davano sempre conto di del contenuto diverso per ognuna.
    La loro personalità, il loro esistere, la loro vita erano perfettamente identificate in ciò che avevano pensato per contenerla. Le foto degli imballaggi sono sul sito s-memorando.tumbir.com.

  9. E’ da giorni che leggo e rileggo il post e lo trovo sempre più illuminante, soprattutto il passaggio dove si dice che “il lavoro creativo non è altro che una infinita messa in forma di contenuti possibili.” E sì, perché la forma diventa il veicolo necessario, fondamentale per dare visibilità a “qualcosa” che esiste ma che ancora non si palesa agli altri. Avere contenuti e non dargli forma è mantenere quel “qualcosa” in potenzialità togliendogli la meritata concretezza. Grazie davvero.

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