metafore

Metafore che brillano, illuminano, accendono, svelano

Le metafore sono potenti. Sono universali. E tutti le usiamo, magari senza accorgercene. O senza nemmeno sapere che lo stiamo facendo.
Ma vediamo di che si tratta: propriamente, la metafora è una delle figure retoriche. In parole povere, uno dei tanti modi di usare (e di forzare) creativamente il linguaggio per renderlo più efficace.
Una metafora scaturisce da un processo linguistico con il quale, dopo aver mentalmente associato due realtà differenti che hanno una caratteristica analoga, parliamo dell’una come se fosse l’altra, o nei termini che sono propri dell’altra. È – dice l’Enciclopedia Treccani un procedimento di trasposizione simbolica di immagini.
TRASPOSIZIONI SIMBOLICHE. Così, per metafora, il gelo diventa una belva feroce, e morde. O la Borsa diventa un edificio fragile, e crolla. O la passione diventa fuoco e brucia (ma anche una sconfitta può essere bruciante). Così, possiamo ragionevolmente affermare che Tizio è un leone, e Caio un coniglio, e Sempronio una vera vipera. O un brutto porco. Possiamo, con Paolo Conte, cantare che il mare è una tavola blu. E io posso, per questo post, divertirmi a fare un titolo metaforico sulle metafore.

DAR CORPO A CONCETTI ASTRATTI. Della potenza delle metafore scrive Alfabeta, parlando di metafore sportive e politica, e segnalando che le rappresentazioni metaforiche, specie se inesatte, sono utili a comunicare certe cose e a nasconderne altre. E Il Sole 24Ore, sempre a quel proposito, ricorda che le scienze cognitive hanno evidenziato come la metafora, assai più che un semplice “abbellimento” di un’idea, sia uno strumento cognitivo imprescindibile per la mente, che consente di “dar corpo” a concetti altrimenti del tutto astratti.
Di sinestesia concettuale  parla James Geary in una divertente Ted Conference nel corso della quale, tra Shakespeare, Elvis Presley e il Kiki-Bouba effect, spiega perché le metafore possono orientare le nostre decisioni.

NON È SOLO UNA QUESTIONE DI LINGUAGGIO. Ma una metafora non è solo un suggestivo trucco linguistico per ravvivare il discorso e orientare (e magari distorcere) la percezione tanto da influenzare il pensiero. E non è nemmeno solo un meraviglioso strumento poetico: il tuo ombelico è una coppa rotonda | che non manca mai di vino drogato. | Il tuo ventre è un mucchio di grano, circondato da gigli.
(Nel caso vi foste domandati di che si tratta: è il Cantico dei cantici).

IL NOTO E L’IGNOTO. Le metafore sono anche uno straordinario strumento di conoscenza e di ricerca. Mentre le metafore poetiche proiettano il “noto” verso l’ignoto, quelle scientifiche (ma in realtà sarebbe meglio chiamarle “analogie”)  si sforzano di riportare l’”ignoto” al “noto”: davanti a un oggetto o a un fenomeno ancora largamente sconosciuto, ne tentano la spiegazione ricorrendo all’analogia con un oggetto o un fenomeno conosciuto, scrive il fisico Alessandro Pascolini. E ricorda, fra l’altro, l’ipotesi di Richard Dawkins, secondo il quale la capacità di immaginare attraverso la chiave della similitudine, che chiede un consistente sforzo del pensiero, è stata una spinta evoluzionistica per l’intelligenza e lo sviluppo del cervello umano.

STRUMENTI AFFILATI. Proprio perché sono (metaforicamente) strumenti così affilati e potenti, le metafore vanno usate con cautela: una metafora fuorviante, o tale da rendere troppo semplice una realtà complessa, fa – lo ricorda Marcello Sala su Pikaia prendendosela con la divulgazione televisiva spettacolarizzata – un cattivo servizio sia alla scienza, sia alla divulgazione. A questo ammonimento severo ne aggiungo un altro, più lieve: scrivendo, meglio evitare i collassi di metafore. Una, giusta, basta e avanza, e leggere che il gelo della recessione strangola le imprese azzoppate dallo tsunami dello spead non è bello, e fa venire il mal di mare.

16 risposte

  1. L’universo è un libro. Splendida questa metafora che Galileo usa nel Saggiatore. L’universo è «scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi e altre figure geometriche».

  2. L’importanza del metter “la cosa sotto gli occhi” per rafforzare la comunicazione in senso lato la descrive bene Calvino in Lezioni americane, parlando del processo di creazione/immaginazione e confrontando quello dello scrittore e del regista,che gli paiono semplicemente invertiti. Tira in ballo anche gli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, nei quali l’immaginazione è intesa proprio come metodo per dar forza d’immagine mentale, visiva, emotiva alla riflessione. Cita anche un bellissimo passaggio di Dante. La metafora in un certo senso facilita questa eleborazione immaginativa, ritengo sia una forma di mediazione tra astrazione della parola e immanenza dell’immagine. Il rapporto tra sensi coinvolti nella percezione è descritto bene anche in 6 passeggiate nei boschi narrativi, di Eco. Platone non si è spinto verso l’analisi di altri linguaggi, pobabilmente, proprio per la sua concezione delle immagini come maggiormente aleatorie/ingannatorie. Riflessi. Del resto la cultura filosofica greca non è che tenesse in gran considerazione le arti dell’immagine, forse anche perchè la vita civile dell’epoca era assai più caratterizzta dall’uso della parola, almeno negli ambiti che contavano.

  3. A mio parere rimangono fondamentali inoltre i due famosi articoli di Max Black al riguardo (raccolti qui: http://www.anobii.com/books/Modelli,_archetipi,_metafore/9788873800323/01b46b7d7003b389b0/ ). Scritti in un modo lineare e pulito, estremamente leggibili e godibili ma straordinariamente intelligenti e pieni di domande e questioni fondamentali – sia per quanto riguarda un punto di vista “cognitivista” sia per un punto di vista più linguistico, che però mette in gioco problemi centrali e interessantissimi come la “normatività” semantica, la creatività, il “seguire regole”, lo spezzarle (per usare una metafora), il crearne di nuove. Insomma un punto di vista alla Wittgenstein, perfettamente attuale tra lingua, uso, cultura e cognizione. Molto integrabile con la teoria metaforica di Eco e le sue elaborazioni del concetto di “enciclopedia”.
    All’interno del dibattito scismatico della linguistica generativa negli anni ’70 (da dove è uscito Lakoff), soprattutto in Italia sono emerse teorie raffinate anche sulle “violazioni” linguistiche metaforiche, soprattutto in lavori di Cristiano Castelfranchi, Franca Orletti, Guglielmo Cinque. Anch’essi in parte integrabili con la teoria (meno formale) di Eco, ovvero tra semiotica, scienze cognitive e linguistica. Comunque la raccolta di saggi (un po’ vecchia mi sa) a cura di C.Cacciari, “Teoria della metafora” (Cortina) secondo me resta una bella sintesi panoramica del fenomeno e degli studi che lo discutono. Purtroppo non sono aggiornatissimo e mi fermo a 6-7 anni fa.
    Sulla metafora scientifica, oltre a testi celebri, c’è anche un ottimo testo (un capitolo) che ne discute in questo libro dell’epistemologa Cristina Bicchieri: “Ragioni per credere, ragioni per fare. Convenzioni e vincoli nel metodo scientifico” (Feltrinelli).
    (scusate la forse inutile digressione bibliografica, senza dire nulla di ciò che personalmente penso al riguardo, è che scrissi la mia tesi su queste cose e restano una mia antica e vera passione).

  4. Complimenti per l’articolo e i commenti! Vi consiglio di leggere un libro molto bello: Marcel Jousse, La sapienza analfabeta del bambino – Introduzione alla mmimopedagogia, ed. LEF 2011. Sentite cosa dice Jousse alla fine di un capitolo dedicato proprio alla metafora/analogia: “Concluderò dandovi la grande frase di uno di coloro che più hanno pensato il Reale, Archimede, quando diceva: . Davanti a questa straordinaria meccanica dei de Broglie, davanti a tutta questa straordinaria meccanica dell’invisibile palestinese che ci ha dato Rabbi Yeshua (Gesù), dico soltanto: Incominciate col capire bene il meccanismo della Metafora e capirete il Mondo…

  5. Le metafore possono esser uno strumento molto efficace, talvolta prodigioso. E mi sembra potremmo aggiungere che sono in stretta correlazione con i processi di categorizzazione e di inferenza che usiamo per semplificare la complessità della realtà e poter agire efficacemente nel mondo.
    Per George Lakoff e Mark Johnson viviamo immersi in un mondo di metafore. I due studiosi in “Metaphors We Live By” (1980) osservano proprio come le metafore non riguardino solo l’ambito linguistico ma le potenzialità di pensiero perché attivano ambiti di significati importanti per gli individui. Fanno allora parte della nostra vita quotidiana perché influenzano il nostro modo di pensare, di ragionare e, di conseguenza, di agire.
    Ed ecco che ancora le nostre lingue storico-naturali si confermano un sistema di segni molto potente che con Tullio De Mauro possiamo riconoscere come “la tecnica più importante che la specie umana ha saputo conquistarsi nel suo cammino biologico e storico”.
    L’auspicio è allora che le metafore vengano utilizzate con buonsenso e intelligenza. Che davvero possano diventare una delle tante risorse, per citare Kierkegaard, “che le lingue ci offrono per lottare contro l’inesprimibile per arrivare ad esprimerlo”…

  6. Desidero aggiungere una breve nota per contribuire a questo dibattito a distanza che ritengo di notevole spessore.

    Intanto rendo omaggio al grande Aristotele e alla sua terra umiliata dall’Europa cui a dato il nome.
    Lo faccio con il contributo del professor Fran O’Rourke .

    http://www.ucd.ie/philosophy/staff/franorourke/2008%20Aristotele%20e%20la%20metafisica%20della%20metafora.pdf

    Aggiungo la splendida metafora di Hungh Kenner
    “Il linguaggio è un cavallo di Troia attraverso cui l’universo entra nella mente”

    Concludo con tre riferimenti.
    – Bruno Munari
    Nella sua opera “Fantasia” la metafora è il fondamento del suo lavoro e del suo argomentare

    – Gareth Morgan
    “Images. Le metafore dell’organizzazione“ non solo nel titolo, ma in tutto il saggio la metafora è il filo conduttore

    – R. Parlato., S. Smiraglia “La foresta industriale: percezione del rischio e cultura della sicurezza”
    utilizzano la metafora della foresta per “mettere la cosa sotto gli occhi”: la complessità del rischio.

    Personalmente ho utilizzato nella formazione sul rischio stradale la stessa metafora, adeguatamente rivisitata, per analogo scopo (*_))

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