implicazioni del successo

Le mille strane implicazioni del successo – Metodo 38

Interrogarsi sulle implicazioni del successo mi pare necessario, in una società in cui avere successo sembra un imperativo indiscutibile.

Quando ho cominciato a scarabocchiare l’elenchino di punti e quesiti che adesso vi sottopongo mi son resa conto che il tema è molto più complicato di quanto sembra: le implicazioni del successo sono connesse con l’etica calvinista e l’aggressività competitiva, il mito dell’eroe, il fenomeno delle mamme-tigre, la parabola dei talenti, il super-io…
Per cominciare, ricordo due cose: non è è così scontato che aver successo appaia desiderabile sempre, dovunque e a tutti. Né che, una volta che lo si è raggiunto, gestirlo sia una passeggiata. Le implicazioni del successo non sono tutte così gradevoli.

SIMPATIA PER CHI PERDE. Ci sono gruppi e culture in cui battersi per avere successo sembra giusto e doveroso, mentre in altri proprio non è previsto e non sta bene (estremizzando: multinazionale americana versus monastero buddista). E mi torna in mente la hoganbiiki, la simpatia giapponese per il perdente, raccontata da Ivan Morris ne La nobiltà della sconfitta.

MASCHILE E FEMMINILE, DESTRA E SINISTRA. Ma, per esempio: è fondata la mia sensazione che, specie tra gli studenti maschi, sia socialmente desiderabile cavarsela decentemente studiando poco, ma sia ritenuto inappropriato essere “troppo” bravi (a meno di non essere anche molto bravi nello sport e/o di aver modesti voti in condotta)? Chiedo lumi ai prof  che leggono NeU.
Ed è fondata la sensazione che ancora oggi, e perfino se il senso delle categorie si sta rapidamente svuotando, aver successo appaia più di destra, e trascurare questa dimensione appaia più di sinistra? E a voi sono più simpatici i perdenti o i vincenti? E c’è stata, ed eventualmente c’è ancora, una differenza tra successo maschile e femminile? Chiedo lumi a tutti.

TIMORE DELLA VITTORIA. Oltre alla possibile condanna sociale, esiste un fattore individuale che impedisce il successo, ed ha un nome: si chiama nikefobia. È frequente tra le persone che fanno sport. È ciò che blocca per una frazione di secondo di troppo lo schermidore mentre tira la stoccata che può consacrarlo campione, o che fa compiere allo sciatore in gara un elementare errore di traiettoria.
È come essere timorosi di innamorarsi per paura di essere feriti, scrive Psychology Today, sottolineando che la stessa cosa capita anche nel mondo degli affari o nella vita di tutti i giorni, e che il timore non riguarda tanto il successo in sé quanto le possibili conseguenze del successo: per esempio, l’imperativo di replicare il successo in futuro. Vi è mai capitato di esitare, o rinunciare, proprio nel momento cruciale, e magari di perdere con un sospirone di sollievo?

LA VERA SFIDA NON È OTTENERE SUCCESSO, MA GESTIRLO. In Bambini infiniti, storie di campioni che hanno giocato con la vita, Emanuela Audisio scrive: Lo sport consente quello che famiglia, scuola, società non permettono. Ti fa essere. Tu lo adoperi per uscire dalla fame, da una vita misera, da un ambiente che non ti piace, dalla timidezza, da un disagio fisico, psicologico, sociale. Perché vuoi di più, perché vuoi altro. Lo sport ti risponde, ti asseconda, ti aiuta. Ma tu cambi, cresci, pretendi. Il tuo infinito ora è pieno di cose. Lo puoi cavalcare con leggerezza, con qualche trucco, con divertita saggezza. O ci puoi naufragare, perché nulla ti basta più. Diventi rancoroso, famelico, bulimico. Esigi che lo sport nutra il tuo buco nero, quel senso di inadeguatezza che non se ne va, quella patina di noia che rende tutto senza senso. Vuoi tutto, mangi troppo. La tua digestione diventa difficile, il tuo talento obeso. Se ti va bene, vomiti. Se ti va male, scoppi.
Già. Anche gestire il successo in maniera equilibrata non è così semplice.

TRA LE IMPLICAZIONI DEL SUCCESSO, LA DEPRESSIONE. Le possibili conseguenze nefaste – lo racconta bene questo articolo – sono diverse. Per esempio, depressione: ce la farò di nuovo? Se lo chiede il campione che ha vinto una gara, ma anche il cantante che inaspettatamente si trova i fra i top of the pops o l’esordiente il cui romanzo viene catapultato tra i bestseller. Sulla depressione da successo si trova in rete anche un bel po’ di gossip, da Brad Pitt a Vasco Rossi.

SOVRASTATI DALLE ASPETTATIVE. E c’è anche da fare i conti col senso di isolamento derivante dalla pressione di fan, tifosi e aspettative esagerate, e col risentimento (ehi, non ne avete mai abbastanza!) che tutto questo provoca. Reazione classica: rimandare la prossima prova (la prossima gara, il prossimo libro, la prossima canzone…) alle calende greche. Chissà come mai, mi viene in mente il messaggio di George RR Martin a proposito della mancata consegna del sesto, attesissimo volume delle Cronache del ghiaccio e del fuoco.
(articolo aggiornato a luglio 2016)

9 risposte

  1. Penso che la paura del successo, la simpatia per l’insucesso, come la determinazione nell’ottenerlo, e la fatica nel gestirlo siano frutto della stessa grande importanza datto allo stesso, ed del carico emotivo che ne consegue. Se lo si considera come un accidente che capita talvolta quando l’impegno che si mette naturalmente in qualcosa in cui si ha interesse incontra il consenso di più persone, ci si accorge che non è nulla di speciale. In teoria, in termini puramente evolutivi, potrebbe aumentare le probabilità di incontrare un partner adatto alla riproduzione, il successo non si ottiene da soli, ma è una proclamazione data dagli altri, quindi il riconoscimento che quello che si è e si fa è gradito agli altri. Ma la cosa è molto più complicata di così nella società umana dove l’affezione, la volontà di cura, e la compassione giocano comunque un ruolo, e spesso le religioni deprecano la volontà di vittoria assoluta, si veda la superbia di satana, o la necessità di arrendersi alla morte, e di liberarsi dai propri attaccamenti per buona parte del pensiero indiano. In tutti questi casi, però viene a costruirsi poi nella cultura un enfasi eroica su chi vince attraverso queste sconfitte, perchè chi non è libero da questa pulsione la cerca in ogni caso, e così si rende più difficile una simile strada, costruendo su questo il senso di se.

    Ma ripeto, non c’è differenza tra la vittoria e la sconfitta se non in termini di gestione pratica della situazione, quando questa consegue il perseguimento di qualcosa a cui a prescindere dal risultato si tende naturalmente. Aver paura di non riuscire a raggiungere gli stessi risultati di nuovo può essere normale, ma in realtà non bisogna preoccuparsene, altrimenti si costruisce una tensione che toglie flessibilità. Il rifiuto dall possibilità d’errore rende impossibile un apprendimento ulteriore che può derivare dalla necessità di distruggere ciò che dagli altri è stato accettato e certificato. In questo caso la paura di vincere è forse paura di essere definiti dalla società in maniera precisa, ma se esiste questa paura probabilmente il timore che c’è di fondo è quello di dimostrarsi poi incoerenti o improduttivi, e quindi di perdere autorevolezza e stima. Oppure di avere sulle spalle la responsabilità di un risultato che si ritiene parziale. Ma non penso bisogna farci così tanto caso, le variabili in gioco sono sempre talmente tante, e il futuro va lasciato aperto tenendo conto del passato solo come spunto.

    Un Saluto Affettuoso a tutti 🙂

  2. Buongiorno,
    parlo della mia personale esperienza. Io del successo non ho paura, perchè non lo identifico a priori.
    I miei 3 valori FONDAMENTALI, che mi hanno permesso di crescere e maturare, sono:
    -Sport (e lavoro)
    -Semplicità
    -Fede religiosa

    Da questi tre punti, si esplica facilmente il mio pensiero, riguardo l’ articolo di oggi.

    -Ogni giorno conduco la mia vita, con i doveri ed i piaceri, senza nessun traguardo da raggiungere. Ogni giorno cerco di far bene quello che faccio.

    -Non voglio mettere mai troppa carne al fuoco, per raggiungere chissà quali “performances”; io punto a cose semplici, quasi spontanee ma, che nella loro naturalezza, siano curate nel minimo dettaglio.

    -Qualora qualcosa non dovesse andare come preventivato, pochi minuti di preghiera, auto-analisi e distacco materiale dalla situazione e, ricomincio; coltivando le mie passioni.

    Chi coltiva bene le proprie passioni, farà sicuramente successo.

    Un saluto a tutti/e
    PauL

  3. Mi viene in mente un’intervista fatta a Panatta da Fabio Fazio qualche anno fa. Parlando del periodo d’oro del tennis italiano di cui Panatta faceva parte, disse che in quel momento mancava una cultura a vincere. Mi trovai immediatamente d’accordo. Nei giorni successivi all’intervista ci pensai parecchio e pensai che per imparare a vincere ci vogliono dei maestri di vita che ti insegnino che cos’è il rischio e che cosa significhi correrlo. Ci vogliono persone nella propria vita che ci aiutino a pensare e ad immaginare ciò che andrai a fare e a visualizzare ciò che potrebbe accadere. Perchè quando si è davvero preparati non è la paura che senti, ma l’emozione di esserci e sai che il rischio di perdere esiste, se esiste uno più bravo di te. Saper vincere come saper perdere per me hanno molto a che fare con la preparazione personale, con la capacità di progettare qualcosa. Se si è preparati e capaci di progettare, vincere o perdere sono solo il responso finale; la capacità di gestione dell’una o dell’altra possibilità invece fanno parte del progetto stesso, perché in ogni progetto che si rispetti è sempre previsto un “dopo”.
    Nike qualche anno fa fece una campagna pubblicitaria nei suoi negozi, secondo me molto intelligente: sulle vetrine c’era scritto “não ha limites ao linha final”- non c’è limite alla linea di fondo campo. Infatti, non c’è limite al dopo.

  4. Wow, quanti quesiti!
    – Il successo: non è una parola che mi piace, preferisco autorelazzazione (anche se il suono della parola non si aggrada) o apprezzamento. So che sono sfumature diverse, ma per me è così e cerco di spiegare perché.
    Sono cresciuta molto apprezzata e coccolata in famiglia e a scuola, poi nel ’68 la svolta del vivere collaborando. É per questo che continuo a pensare al SUCCESSO come a un fatto individuale che poco si addice al mio modo di lavorare. Naturalmente sto andando di accetta, i riferimenti di Annamaria al calvinismo, al buddismo comporterebbero fiumi di riflessioni, approfondimenti e conoscenze di cui onestamente non dispongo.
    – La differenza di genere a scuola: nell’universo di ragazze e ragazzi con cui lavoro c’è ancora lo spaccone e la ragazza impegnata. Ne sono consapevoli, ma le ragazze snobbano gli spacconi.
    – Il successo è di destra o di sinistra? Bella domanda.! La mia risposta è al primo punto.
    – Per ultimo: preferisco i perdenti, ma non conigli, ho simpatia per i vicenti se sono appassionati come Francesco TOTTI (*_))

  5. AM chiede esempi. Ma allora cominciamo dall’origine. Dalla nascita. E dalla depressione post partum. Potrebbe insegnare molto.

  6. SUCCESSO OBBLIGATORIO?

    Nella crisi economica che ci avvolge mi pare che il successo o l’apparente tale sia quasi un passaggio obbligato per mantenersi a galla.
    Senza di esso non hai visibilità, non sei riconosciuto, nessuno parla di te, non esisti, non sei “visto in TV” come a volte capita di trovare scritto sui blister di piccoli utensili domestici negli espositori dei centri commerciali.

    Personalmente ho rielaborato una frase che mi aveva colpito, di cui non ricordo più l’autore, forse Carlo Scarpa, che diceva che “il successo (di un manufatto) è una questione di millimetri” aggiungendo come mia nota personale ” ed io l’ho mancato di qualche decina di metri”

  7. Sport: occasione succolenta avere studenti che lo praticano per trasporre comportamenti e reazioni di quell’ambito nella vita scolastica, la vittoria, la perdita, mi hanno detto no, sto in panchina, il mister è ,nella squadra succede, mi devo ritirare , devo farcela , superar-mi, limite , non limite .Ci sono tante storie, magari ospitate a NeU (?) vi saprò dire se dalle mie aule può nascere qualcosa del genere o rimangono frammenti svolazzanti detti con timidezza o con altisonanza , comunque con coraggio e umanità.
    Per la faccenda sulla riuscita (di genere)sto intravedendo che l’impegno associato alla riuscita non è più maschilmente disdicevole e valorizzato nel lavoro di gruppo (un piccolo gruppo autentico) non una bella frase didattica,viceversa le femmine secchione e basta sono un po’ in disuso,anche qui apprezzate se studiose ma in gamba ,e che quando è ora si sappiano divertire e avere almeno un’altra passione oltre lo studio ( ma io sono anche un po’ miope) .

  8. Ciao,
    questo post è terribilmente attraente e allo stesso tempo talmente vorticoso da far paura.
    Per me il successo esteriore è direttamente proporzionale alla solitudine. Più si ha successo, più si lasciano per strada gli altri. Si parte dal plauso, si attraversa l’ ammirazione e si finisce nell’ invidia. Se si riesce a pagare questo prezzo, e a farsi amica la solitudine credo sia più facile gestirlo. Capita a volte che ci si debba limitare o non dare il massimo di sé, proprio per evitare di compromettere un delicato equilibrio nel rapporto con gli altri. In questo caso si sacrifica l’”io” in nome del “noi”. E non solo a livello sociale, ma anche in un rapporto per esempio di coppia. Sono scelte, delle volte terribilmente autodistruttive. Esiste però la ricerca e il raggiungimento intimo personale non visibile di quello che solo per noi è un successo, cioè il prendere atto che non possiamo negare a noi stessi il nostro valore. E qui c’ è l’ autostima che vuole entrare prepotentemente nel discorso, ma la lascio fuori perchè sarebbe appunto un vortice..

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