controllare i cervelli

Il neuromarketing serve a controllare i cervelli?

controllare i cervelli

Le aziende vogliono controllare i cervelli dei consumatori?Mi chiama una giornalista di Radio Rai, tutta allarmata a proposito di neuromarketing, e mi fa proprio questa domanda a effetto.
Rispondo che le aziende cercano di fare meglio quello che hanno sempre fatto: sviluppare offerte più mirate. E cominciano a usare tecniche di neuroimaging come del resto fanno i partiti politici, per leggere i processi decisionali. C’è da preoccuparsi? Qualcuno dice di sì, qualcuno dice di no.
Io dico che, prima di tutto e senza paura, conviene sapere e capire. E poi farsi un’opinione. Ma, tutto sommato, il neuromarketing non è altro che un modo per interrogare direttamente (ma non per controllare, almeno per ora) il cervello delle persone: un po’ come un medico che batte un martelletto sul ginocchio di un paziente per controllare la presenza e l’intensità di una reazione.
E, d’altra parte, le attuali tecniche di neuroimaging ci dicono quali parti del cervello sono attive e quanto, ma non sono certo in grado (almeno per ora) di leggere nel pensiero. Né, appunto, di controllare i cervelli.
Del resto, viviamo in tempi sorprendenti. Ecco qualche altro tema su cui ragionare, con buonsenso, creatività e curiosità.
GREEN ECONOMY: ci si butta perfino la Ferrari. INTUITIVO: nascono le icone per spiegare l’uso degli schermi multi-touch. IBRIDO: arte e tecnologia si contaminano. RINNOVATO: reinventare le fabbriche. IPERREALE: la nuova realtà con cui fare i conti è alle porte.

17 risposte

  1. ULISSE PENELOPE LA TUTTOLOGIA E L’INCOERENZA Tempo fa parlavamo dei mille ruoli che ognuno di noi ricopre quando naviga in rete. Ora possiamo parlare dei mille ruoli che dobbiamo affrontare camminando nella vita quotidiana e della cultura onnivora e sfaccettata che ci è richiesto avere per operare scelte minime e soprattutto per operare le nostre reali scelte. Dobbiamo conoscere e dobbiamo saper ragionare in base alle informazioni. Fino a non molto tempo fa mi sarei sentita presa in giro se mi avessero definito tuttologa. Oggi tutti abbiamo il dovere di essere tuttologi. Una spolveratina di chimica, una di filosofia del diritto, una di sociologia, una di arte e un’occhiata alla sostenibilità ambientale sempre, da quando si fa la spesa alimentare a quando si sceglie un film. Qualunque sia il nostro campo di lavoro o di interesse. E nonostante tutto a volte non si sceglie. Non amo le insalate in busta, so tutto sulla carica batterica, sugli elementi nutritivi, sul costo ambientale che implica la loro preparazione, le ritengo un’innovazione a valore zero, eppure qualche volta le compro, mi odio, ma le compro. elisabetta

  2. Mia moglie senza le insalate in busta non esce nemmeno dal supermercato. Ma non mi ero accorto di vivere, in pratica, con un’”assassina”! Viviamo proprio in tempi sorprendenti, come dice Annamaria…

  3. quando sentite parlare di come le aziende vogliano “fare offerte piu’ mirate” non desiderate smettere di comprare qualsiasi cosa? Non vi sentite dei burattini gestiti da qualcuno più forte di voi? Per poi tornare a comprare le insalata in busta, naturalmente! Irene

  4. OBBLIGARE E PERSUADERE Quando ho sbattuto per la prima volta nella mia vita il naso nelle logiche di marketing – erano i primi anni Settanta – mi sono indignata e spaventata. Mi sembrava mostruoso che le aziende cercassero in tutti i modi di capire che cosa le persone desiderano, per poi riuscire a offrirglielo, facendo sofisticati piani di promozione e usando tutta la seduttività di cui le retoriche pubblicitarie sono, a volte, capaci. Mi sono in seguito, prima intuitivamente e poi razionalmente, resa conto di due cose: – le aziende (ma non solo loro) cercano di interpretare bisogni e desideri del pubblico e sì, anche di orientarli, proprio perché non possono “obbligarlo” a comprare. Paradossalmente, la presenza di comunicazione persuasiva è un segno di democrazia: là dove si può imporre e obbligare, non c’è bisogno di sforzarsi di persuadere. Su questo tema ha scritto pagine bellissime Piattelli Palmarini (L’Arte di persuadere, Mondadori). – questo fatto restituisce però, al pubblico, la responsabilità delle proprie scelte, e anche dei propri sogni e dei propri desideri. A buoni sogni corrispondono buone offerte (si veda, per esempio, lo sviluppo del settore etico, equo e solidale registrato anche dall’ultima indagine Eurispes, appena pubblicata). E a sogni così-così corrispondono offerte così-così. Questo vuol dire però che essere consumatori consapevoli, come essere cittadini consapevoli, è un lavoraccio. Bisogna informarsi e pensare. Cosa che non tutti fanno, preferendo dare la colpa dei propri comportamenti, per esempio, alla pubblicità. O a qualsiasi altro cattivo babau. Con questo condannandosi da una parte ad avere sempre paura (perfino della pubblicità che, se non piace o non risulta condivisibile, può essere serenamente eliminata con un clic di telecomando o di mouse, con un rapido giramento di pagina… e qualche volta di scatole). E vuol dire anche rassegnarsi a considerare se stessi come burattini nelle mani di oscuri burattinai. E’ un discorso lungo, e sono trent’anni che ne scrivo tutte le volte che mi capita e che posso. Per quanto riguarda l’insalata: un po’ mi faccio consegnare a casa dei meravigliosi pacchi eco-bio. E un po’, siccome la perfezione non è di questo mondo, compro le buste al supermercato, sciacquo bene, e buonanotte 😉

  5. Su Wikipedia ho letto che Bernanos nel 1947, all’alba della pubblicità, affermava che i motori di scelta della pubblicità sono i 7 peccati capitali, per la ragione che è più semplice appoggiarsi sui vizi dell’uomo che sui suoi bisogni, facendo appello alle pulsioni elementari piuttosto che alla riflessione ragionata. Certo che avidità, lussuria e invidia sono parecchio sfruculiate… Però la pubblicità può anche essere bellissima, soprattutto quando è autoironica ( penso a Fellini e a Woody Allen): i rigatoni sono sempre buoni, ma se te li offre Fellini c’è un valore aggiunto. ( A proposito di insalate, alla Coop c’è un casotto di vetro entro cui si possono osservare tutte le fasi della lavorazione- pubblicità indiretta !). Piuttosto mi ha colpito il discorso di Dan Barry circa Singularity University, centro di reale tuttologia, Elisabetta. Il progetto è entusiasmante e facilmente imitabile. Mi è venuto subito in mente che è così che io penso alla Rete; prendendo a prestito ciò che dice Barry, la rete ” dovrebbe favorire la comprensione, la collaborazione e l’innovazione per arrivare ad una accelerazione esponenziale” della qualità della comunicazione. Ma perché non è così, da subito!!! Ci divertiremmo molto di più e sarebbe anche tanto utile.

  6. MARKETING E POLLI RUSPANTI Alle lezioni di design di Jonathan De Pas o Enzo Mari, il marketing veniva semplicemente liquidato come elemento essenziale per la produzione della merce, ma assolutamente incapace di generare creativamente qualcosa di nuovo, essendo basato su proiezioni di desideri o aspettative già presenti nell’immaginario collettivo. Le insalate in busta, o prodotti in genere impacchettati in atmosfera modificata, sono innovazioni tecnologiche che trasformano un alimento in prodotto pronto per il consumo, con un servizio che viene ripagato profumatamente dall’aumento esponenziale del costo del prodotto rispetto al suo analogo grezzo (provate a comparare i diversi costi al kg). A volte l’innovazione tecnologica deriva dalla ricerca militare, come la carne fresca confezionata sottovuoto con pellicola plastica ad altissima barriera, che nasce negli anni 60′ dai laboratori americani per risolvere il problema logistico del rientro in patria delle salme dei militari morti in Vietnam. Anche le tradizioni culturali fanno la loro parte, le donne africane, per esempio, nei mercati di Torino, quando possono cercano di compare polli vivi, così possono valutare ed essere certe dello stato di salute della cara bestiola prima del sacrificio rituale. walter

  7. Tempi sorprendenti davvero. E mi dispiace non essere un riferimento di neuromarketing perché forse risparmierei tempo prezioso tra gli scaffali dei supermercati invece di non scegliere tutta quella roba che non mi serve o piace o disdegno e non compro mai. Un pollo vivo non sarei in grado di valutarlo nè tanto meno di ucciderlo ma capisco l’esperienza raccontata da Walter, aggiungo pure che non si tratta solo di tradizione culturale ma di stile di vita. Ogni tanto si commette peccato, una busta di insalata, il trancio di tonno; certo, l’espiazione costa (molto in termini ambientali). E se si scoprisse che sotto-sotto il nostro cervello è talmente incline alla sopravvivenza e all’autoconservazione fino ad essere disposto a rinunciare ad una fila di oltre 5 metri di maionese (in america esistono) infischiarsene dell’ultimo modello di stivali, della versione più aggiornata del telefonino pur di sentirsi partecipe e protagonista di un cambiamento planetario? Succederebbe qualcosa? Nel frattempo io provo ad orientarmi, a confrontarmi e continuo a sognare…

  8. La mia incriminata busta di insalata era uno strumento per mettere a confronto opinioni razionali come possono apparire per esempio dalle risposte che io potrei dare ad una ipotetica intervista: “signora lei apprezza e consuma le insalate in busta” “no, grazie non mi interessano perché…” e i risultati che potrebbero scaturire da un’indagine di neuromarketing fatta sul mio cervello. Cervello che potrebbe invece mostrarsi felice e goduriosissimo di fronte alla possibilità di non perdere il poco tempo necessario alla pulizia dell’insalata. La mia immagine del futuro contempla una estenuante fatica per manifestare la propria personalità nelle minime azioni quotidiane attraverso piccoli atti di volontà. Presumo che la mia incoerenza, già notevole in alcuni campi, si moltiplicherà in modo esponenziale. elisabetta

  9. Ciao Elisabetta, sono con te e con le demonizzate buste di plastica divenute qui in un lampo popolari, e simbolo di incoerenza… 🙂

  10. DESIDERIO E FRUSTRAZIONE Nessuno può regolare o obbligare i consumi, n’è tanto meno costringere i desideri, diciamo che la pubblicità ti persuade a certi acquisti, ma appena sei uscito dal negozio, e torni a casa a consolarti con il nuovo oggetto del desiderio, puoi essere frustrato dal nuovo modello, più desiderabile e performante di quello appena comprato, in un gioco leggermente strabico. La casa di mia nonna quando lei era bambina nei primi anni del 900′ poteva contenere non più di un centinaio di oggetti (di cui la gran parte utensili per la cucina e il cucito), la mia casa di oggi penso che ne contenga qualche decina di migliaia, lei aveva una scatolina di latta con su scritto “spago troppo corto per essere utilizzato”, ma che conservava perchè non si sa mai, noi abbiamo una scatola con su scritto “cose da buttare perchè non sappiamo più dove mettere”. walter

  11. Quando mi telefonano per vendere qualcosa, lo ammetto, mi incavolo. Eppure anch’io faccio un lavoro simile. Non in un call center, per fortuna, ma in un gradevole ufficio commerciale. Il mio lavoro consiste nel contattare telefonicamente le persone e proporre un appuntamento con il consulente-agente per la presentazione delle novità editoriali (leggasi: fisso appuntamento per la vendita di libri e abbonamenti a riviste, anche se non c’è obbligo d’acquisto.) Naturalmente per raggiungere l’obiettivo di un appuntamento all’ora devo fare un gran numero di telefonate e vi assicuro che non è facile. La creatività deve essere immediata, cercare una soluzione veloce alle obiezioni senza risultare insistenti… insomma una gran fatica soprattutto per chi. come me, per indole un po’ timida e anche riservata, preferisce non rompere le scatole a nessuno. Ma questo è il lavoro che ho trovato e credo e spero che possa comunque insegnarmi qualcosa. Naturalmente ho già messo nella wish-list il libro di Piattelli Palmarini! Bettibluastra

  12. Semplicità Dal tono generale dei nostri commenti ne dovranno fare parecchi di esperimenti di neuromarketing per presentarci “offerte più mirate”. Sono d’accordo con Walter: la nausea da consumo sta salendo. Forse non si tratta di un rifiuto ideologico dettato da riflessioni sull’ecocompatibilità, è che in realtà ci sentiamo infastiditi. Da un po’ osservo che la mia vita si sta semplificando. Ormai le sole cose che compro sono le cose belle, anche se di valore modesto: la linea di una tazza, il colore rosso delle puntine da disegno. Del resto abbiamo già tutto.

  13. L’argomento proposto questa settimana mi sembra diviso in due parti, la prima si muove su un terreno più aspro, la seconda su un terreno apparentemente più tranquillo, ma non meno ricco di possibili riflessioni. Mi domando: perché ci siamo fermati tutti alla prima parte? Perché non abbiamo neppure cercato una relazione tra le due parti, comportandoci come se la seconda proprio non esistesse? elisabetta

  14. @Elisabetta. Ho già parlato di Barry e Kurzweil e della Singolarity University. L’altro argomento che mi interessa è quello delle nuove realtà, dell’Augmented Reality , la Mixed Reality e Second life. Non posso negare di considerarli dei simpatici spasserelli, anche sapendo che la vita virtuale non è vita. Ma in fondo quando uscirono i primi romanzi, le critiche non furono le stesse? E l’effetto catartico del teatro, di cui parlavano i Greci? Io poi mi sprofondo nella lettura, vivo la stessa vita dei protagonisti, mi vado a cercare i luoghi, l’epoca, il contesto, per immergermi completamente. Quando usci la T.V., venne fuori una canzone: ” Son vicino a te e tu sei con me, ma non mi puoi toccare. Non voler di più e finché vuoi tu, io ti farò sognare” Erano dunque coscienti dell’illusorietà degli spettacoli, delle presenze, delle storie. Si chiama finction, infatti. E poi, per i lettori della buona fantascienza, era tutto previsto: in ” The city and the stars”, del 1953, di Arthur C. Clarke, i giovani protagonisti vivono avventure in augmented reality.

  15. … le mie scatole (eh sì, plurale) si chiamano VARIE, come le mie cartelle che si susseguono sul desktop; contengono un bel po’ di roba inutile e da buttare ma penso sempre vi sia del potenziale anche in quella e così la tengo. In fondo mi comporto con le cose materiali come faccio, o cerco di fare, quotidianamente più o meno con i miei percorsi di pensiero. A me piace crederla una manifestazione creativa che cerca, trova, unisce, associa, ricicla… insomma, crea qualcosa di diverso. Eccomi arrivata ad arte e tecnologia. Su MtMG (www.meetthemediaguru.org/index.php/02/live-streaming-roger-malina-26-02-2010/) c’è un bel manifesto e un intervento di Malina davvero interessante sulla cultura, la tecnologia e l’arte. Prossimamente vi sarà Liang e un focus sulle politiche dei diritti d’autore, qui tanto trattati. Penso di essermi soffermata sulla prima parte perché seguire Annamaria e la vastità delle sue proposte e provocazioni è complicato e sorprendente come giustamente appunta Graziano. È come un lungo viaggio bellissimo, qualche volta riesco ad arrivare ad una meta, a volte mi soffermo a godermi il momento e il paesaggio. Spesso mi perdo…

  16. Io credo che ciò che è stato chiamato neuromarketing può essere quasi completamente assimilabile al concetto di “Nudging” che da alcuni anni sta manifestando un qualcosa che già tutti sapevano, ma che non ha mai trovato una trattazione pratica come materia.
    L’architettura delle scelte che accompagna un prodotto o un servizio è ormai una cosa da includere senza timore nella attività di marketing e comunicazione: il consumo è accompagnato sempre da nemmeno tanto invisibile attività di persuasione e i brand conoscono perfettamente i pensieri dei consumatori o potenziali tali.
    Abbiamo scritto un articolo circa questa attività invisibile nei confronti del consumo di sigarette, se può far piacere linko l’articolo di seguito:

    Agenzia di Marketing

    Saluti!

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