Nuovo e utile

Novantacinque tesi sulla scuola (ma non le appenderò alla porta del ministero)

  1. I ragazzi non devono annoiarsi a scuola: chi si annoia non impara.
  2. Il contrario di “annoiarsi a scuola” non è “divertirsi”. È “essere interessati”.
  3. L’interesse nasce di fronte a qualcosa di nuovo e complesso ma comprensibile: una sfida difficile ma non tanto da non poter essere affrontata.
  4. Qualsiasi argomento può essere reso interessante. Però bisogna lavorarci.
  5. Dammi un motivo convincente per interessarmi a un argomento e proverò interesse.
  6. Il motivo non può essere altrimenti prendo un brutto voto. I brutti voti non sono la versione incruenta delle frustate.
  7. I voti (forse) misurano, ma non motivano a imparare.
  8. Cioè: i voti sono una discutibile motivazione esterna. La motivazione interna è più potente.
  9. I finlandesi fanno a meno dei voti fino ai 13 anni e sono bravissimi a scuola.
  10. Andare a scuola per prendere bei voti è come andare a un concerto per avere un biglietto da incorniciare.
  11. I test Invalsi non c’entrano coi voti individuali ma misurano l’apprendimento complessivo: sono il maxitermometro della scuola.
  12. Il maxitermometro non è perfetto? Non è una ragione per buttarlo via e far finta di niente.
  13. L’apprendimento è un processo complicato, fatto di percezioni, ragione, emozioni, memoria, strategie, esperienza, ambiente, autostima…
  14. … per questo insegnare è molto più che “dire” o “spiegare”.
  15. Il come si insegna è importante quanto il che cosa si insegna. Il come fa la differenza.
  16. “Insegnare” è anche insegnare a imparare: metacognizione è la parola magica.
  17.  “State attenti” è un’ingiunzione paradossale. Proprio come “sii spontaneo”.
  18. Se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco.
  19. Una materia è come una città. Dammi buone mappe e aiutami a esplorarla.
  20. In aula sarebbe bello sentire di più le voci dei ragazzi.
  21. Esistono modi per far parlare i ragazzi senza che l’aula si trasformi nel mercato del pesce.
  22. I ragazzi capiscono prima e meglio quando possono fare domande o discutere un tema.
  23. Leggere a voce alta non è una roba da bambinetti. Serve a percepire bene gli andamenti del testo.
  24. Leggere a voce alta i propri scritti è anche il modo migliore per imparare a rileggerli cercando il senso, e a correggerli. E non è roba da bambinetti.
  25. Mandare a memoria un testo che piace non è roba da bambinetti.
  26. Ehi… alcune cose – dalle tabelline all’aoristo – vanno per forza mandate a memoria. Per il resto, se uno prima non capisce, non sta studiando: appiccica.
  27. Se studio solo per l’interrogazione, è ovvio che dopo dimenticherò tutto, e amen.
  28. Le competenze di base sono: leggere, scrivere, far di conto. Leggere vuol dire capire quel che si legge. Oggi, due italiani su tre non ce la fanno.
  29. Vogliamo che i ragazzini si appassionino alla matematica? Facciamoli giocare coi numeri.
  30. … quando sono più grandi: esempi, domande, discussione, sfide.
  31. Invitiamo i ragazzi a leggere per loro piacere ogni giorno (qualsiasi cosa, fumetti compresi).
  32. No, I Malavoglia non sono una buona esca per catturare un lettore debole.
  33. Chiedere all’analisi testuale di dar conto della magia di una narrazione è come chiedere a un anatomopatologo di dar conto del sex appeal di Marilyn Monroe.
  34. Apri la mente a quel ch’io ti paleso / e fermalvi entro; ché non fa scïenza, / sanza lo ritenere, avere inteso. Questo lo dice papà Dante.
  35. Scrivere o adottare libri di testo pedanti, minuziosi e astrusi è sadico.
  36. Studiare su libri di testo pedanti, minuziosi e astrusi è una tortura.
  37. “Non dire né troppo poco né troppo. Di’ il vero. Sii pertinente. Sii chiaro, non ambiguo, breve, ordinato.” Sono le massime di Grice. Valgono anche per i libri di testo.
  38. Prima di chiederci quanto costa un libro di testo domandiamoci quanto vale, quanto serve, quanto verrà usato, capito e ricordato.
  39. La Lim è un mezzo, non un fine e non sostituisce un bravo insegnante. Però aiuta.
  40. I compiti a casa non valgono per recuperare quel che non ho fatto a scuola.
  41. Non darmi compiti a casa se poi non controlli che io li abbia fatti.
  42. Non darmi compiti a casa se prima non mi spieghi come organizzarmi.
  43. …e poi me lo rispieghi. Se imparo come studiare, varrà per tutta la vita.
  44. Comunque, fammi lavorare più a scuola che a casa.
  45. Se lavoro poco a scuola, a casa non lavorerò per niente.
  46. … e non lasciarmi tutto solo a casa con le cose più noiose da fare.
  47. Permettimi, ogni tanto, di dirti che non ho studiato. Ma impegnami a recuperare.
  48. Stabiliamo a ogni inizio d’anno un patto coi ragazzi, anche i più piccoli: poche regole di comportamento chiare. E scritte. E facciamole rispettare.
  49. Incoraggiamo i ragazzi a essere leali e a non barare.
  50. Copiare è barare.
  51. …e il copia e incolla dal web non è tanto meglio.
  52. Guidiamo i ragazzi a esercitare il pensiero critico sulle fonti.
  53. Fare l’insegnante è uno dei mestieri più frustranti, più appaganti, più complicati.
  54. Un paese civile deve fare il tifo per i suoi insegnanti.
  55. “Un investimento in conoscenza paga i migliori interessi”. Lo dicono Benjamin Franklin e Bankitalia.
  56. Come attirare i talenti migliori verso l’insegnamento? C’è la ricetta finlandese: riconoscimento sociale ed economico.
  57. Un paese civile deve pagare i suoi insegnanti.
  58. …ma In Italia sono bassi gli stipendi, e non c’è progresso tra inizio e fine carriera.
  59. …eppure la spesa nazionale per studente è alta: dov’è l’inghippo?
  60. Il Programma non è il Vangelo. Ogni classe, ogni scuola è una storia a sé e l’autonomia è necessaria.
  61. …ma  funziona solo se gli obiettivi sono chiari e misurabili e se i risultati vengono valutati: è la differenza tra autonomia e anarchia.
  62. L’autonomia ha bisogno di controlli reali, efficaci, frequenti, diffusi su tutto il territorio.
  63. Per migliorare un intero sistema scolastico bastano dieci anni. L’ha fatto la Germania.
  64. … per migliorare le performance degli studenti basta anche meno. Ci è riuscito il Giappone.
  65. Se niente cambia, niente può migliorare.
  66. I problemi non si risolvono applicando vecchie procedure, ma trovando nuove opzioni.
  67. La scuola non è un’azienda: questo non l’autorizza a essere dispersiva e inefficace.
  68. Vogliamo promuovere il merito? Cominciamo da presidi e insegnanti.
  69. Molti insegnanti stanno già cambiando tutto. Valorizzarli, magari.
  70. Il pedagoghese “vacuo e inconcludente” fa rivoltare il maestro Manzi nella tomba. Che lui venga a tirare i piedi a chi lo usa.
  71. Il burocratese sgangherato fa piangere Santa Grammatica e imbufalire San Buonsenso.
  72. Tutti gli studenti di tutte le discipline (scientifiche, umanistiche, artistiche, tecnologiche…) hanno pari dignità e meritano insegnanti competenti.
  73. Formare vuol dire scovare ed esaltare le capacità di ogni singolo studente.
  74. Formare è diverso da uniformare.
  75. Lasciami essere curioso. Non obbligarmi a essere compiacente.
  76. La scuola chiede di imparare senza errori. La creatività chiede di imparare dagli errori.
  77. La scuola insegna risposte standard. La creatività fa domande diverse per trovare nuove risposte.
  78. In un futuro prossimo faremo mestieri che ancora non esistono.
  79. Qualsiasi cosa io faccia in futuro, dovrò continuare a imparare per tutta la vita. Non darmi nozioni che diventeranno obsolete: dammi un metodo.
  80. …cioè: “non regalarmi pesci: insegnami a pescare”.
  81. La scuola non può cambiare senza il supporto delle famiglie.
  82. Un buon modo per avere figli lettori è leggergli storie quando sono piccoli.
  83. Un buon modo per avere figli bravi a scuola è avere molti libri in casa.
  84. Sopperire alla mancanza di carta igienica a scuola non basta.
  85. …e non basta chiedere la (urgentissima!) manutenzione delle scuole.
  86. (Coda di paglia ministeriale: girare uno spot per l’istruzione pubblica in una scuola privata).
  87. L’abbandono scolastico è un dramma: chi lascia la scuola cresce come cittadino dimezzato.
  88. Noia e routine schiantano sia gli studenti migliori, sia quelli che fanno più fatica.
  89. “Premiare il merito” ed “educare tutti” sono obiettivi complementari, non contrapposti.
  90. Per l’interesse dei figli dobbiamo pretendere insegnanti preparati e tosti.
  91. Sbagliato chiedere indulgenza. Giusto chiedere equità, rigore, competenza, passione.
  92. Sì, esistono anche studenti maleducati. E sì, la responsabilità è delle famiglie.
  93. La scuola è un diritto che pretende doveri: non c’è crescita senza responsabilità.
  94. La scuola è una faccenda che interessa tutti noi. Ma tanto, ma tanto, ma tanto.
  95. Non vado a scuola per un pezzo di carta, ma un pezzo di futuro.

Questo post esce anche su internazionale.it. Se vi è piaciuto, potreste leggere gli altri post di NeU su scuola e istruzione.

80 risposte

  1. Molto interessante, anche nella forma delle 95 tesi. Brevi, chiare, concise.
    Diffondo su fb

  2. Per esperienza personale posso dire che le persone con cui è più difficile affrontare questi argomenti sono le insegnanti. Ho un figlio in 5° elementare: l’insegnamento è noioso, libresco, mnemonico.

  3. arrivo tardi, perchè è da un bel po’ che seguo questo blog (e ho anche commentato in altre occasioni), ma ci tengo a farle i complimenti per l’intelligenza, per l’equilibrio, per la precisione, lo stile e i temi, sempre interessantissimi.

    in particolare il link del punto 71 mi ha strappato applausi a scena aperta: impareggiabile!

    1. Felice di incontrarla su questa pagina. Ancora complimenti e… beati i ragazzi che sono in aula con lei.

  4. Bisognerebbe trasformarlo in una specie di Clutrain Manifesto diretto agli insegnanti e poi darlo a bambini e ragazzi il primo giorno di scuola, così che lo consegnino ai loro insegnanti. Anche se non sanno leggere (i bambini…)

  5. Tutto condivisibile, ci mancherebbe. Fa bene anche ripeterlo di quando in quando.
    Però, gentile Annamaria Testa, ho alcuni dubbi. E se queste fossero proprio quelle ingiunzioni paradossali watzlawickiane di cui lei giustamente dichiara l’inutilità? Insomma, mi pare che ci si fermi al “insegnanti, siate bravi insegnanti!”.
    Come si fa a formare, selezionare, pagare, riconoscere e motivare bravi insegnanti, solo mezzo per realizzare quello che lei auspica? Quanti soldi si devono investire? Li investiamo oggi in Italia? Ci interessa farlo? Non la annoio con le storture che ho visto, cose come concorsi proclamati in pompa magna col corteggio di paroloni come “meritocrazia” e “selezione rigorosa”, in cui poi, però, i selezionatori erano pagati 50 cents a compito corretto e si concedeva loro di lavorare solo negli scampoli di tempo, visto che non erano stati esonerati dal lavoro. “Selezionate con severità e cura!”. In condizioni materiali come quelle, si tratta, appunto, di ingiunzione paradossale. Questo è il punto, e si tratta di un punto eminentemente POLITICO.
    Un’altra cosa: lo dicevano già i classici che la scuola deve appassionare, motivare, ecc… (Seneca, poco meno di 2000 anni fa: in scuole malfatte come le nostre, ahimé impariamo per la scuola, non per la vita).
    La mia domanda è: quando ci chiederemo PERCHE’ è così difficile insegnare (anche per un insegnante bravo)? Quando ci domanderemo perché insegnare LA PASSIONE è così difficile? Quando ci domanderemo per quale ragione le cose belle come l’arte, la scienza, la letteratura dentro un’ISTITUZIONE diventano grigie? Quando ci renderemo conto che la passione è imprendibile e se non riusciamo a intercettarla non è per mancanza di capacità o interesse a farlo ma perché è COSTITUTIVAMENTE impossibile? Quando capiremo che dentro la scuola succede quello che succede dentro la vita di tutti noi: che ci annoiamo per la metà del tempo in attesa di qualcosa di bello, ma quel qualcosa di bello arriva solo ogni tanto? Quando capiremo che pretendiamo dalla scuola uno stato di perenne sovreccitazione, quale non è dato ottenere neanche nella vita? Per queste ragioni, trovo che le motivazioni esterne, il senso del dovere, il grigiore, siano – ahi tutti noi – insuperabili e che non faccia bene metterli alla porta. Ciò senza negare che lo sforzo di tutti noi debba essere di perseguire ben altre motivazioni.
    Infine, la prego, basta con la Finlandia. E’ un altro paese, ha un’altra storia, altri valori, altra mentalità. Restiamo ancorati al nostro orizzonte e domandiamoci cosa fare qui e come, soprattutto.

    1. Gentile Daniele Lo Vetere,
      il suo commento – grazie! – mi invita a riprendere alcuni punti che mi stanno a cuore. Ci provo:

      1) Mi pare che ci si fermi al “insegnanti, siate bravi insegnanti!”.
      In realtà qui sopra si parla anche d’altro (per esempio: Invalsi, autonomia, libri scolastici, comportamento, manutenzione, famiglie…). Di fatto, però, credo che tutto cominci dagli insegnanti. Non sono la sola a crederlo: lo dice Ken Robinson, tra gli altri. Lo dice, soprattutto, Ocse: “nessun sistema scolastico può essere migliore dei suoi insegnanti”.

      2) “Selezionate con severità e cura è un’ingiunzione paradossale”
      Questa non è, neanche tecnicamente, un’ingiunzione paradossale. Nell’atto stesso del selezionare sono idealmente comprese la severità e la cura. Lei dirà che le cose nella realtà oggi vanno in un altro modo, ma il fatto che vadano così non significa che non possano andare altrimenti che così.

      Pensare che niente possa essere cambiato è il modo migliore per garantirsi che niente cambi: la classica profezia che si autoavvera.
      https://nuovoeutile.it/profezia-si-autoavvera/
      Per quanto mi riguarda, se pensassi che niente-niente possa essere cambiato mai-mai, chiuderei NeU e me ne andrei al cinema. Invece penso che, se ciascuno dà una mano, qualcosina comincia a cambiare. Per fortuna, lo pensano anche tanti insegnanti bravissimi, come la prof del punto 69. Ma, e per accorgersene basta fare un giro online, ce ne sono proprio tanti.

      3) Perché è così difficile insegnare.
      Per esempio (punto 13) perché l’apprendimento è un processo complicato, che procede su molti livelli: ragione ed emozione, cognizione e memoria… e perché l’insegnamento chiede molte competenze, non solo disciplinari, ma anche relazionali, psicologiche, linguistiche. Perché con ogni classe si ricomincia da capo. E perché ci vogliono resistenza, un carattere stabile ed entusiasta. E per molto altro ancora.
      Difficile, però, non vuole dire impossibile.

      Nei tre anni di liceo ho avuto un insegnante straordinario: Augusto Camera (ciao, Augusto!). Mi ricordo per filo e per segno la sua lezione su Galileo ancora adesso, a oltre quarant’anni di distanza, e ancora, a pensarci, mi viene la pelle d’oca. Auguro a tutti i ragazzi che vanno a scuola di avere almeno un insegnante così. Se sono fortunati, più di uno. Ripeto: “difficile” non significa “impossibile”.

      4) Insegnare la passione.
      … non credo che si possa insegnare la passione, e non credo che questo sia il tema. Ma la passione (veda il punto sopra) si può trasmettere. E, quando c’è, è più contagiosa, oltre che più vantaggiosa, del raffreddore.

      5) “Pretendiamo dalla scuola uno stato di perenne sovreccitazione”
      Credo che l’interesse sia concentrato, non sovreccitato: ha mai visto un bambino che guarda con interesse un formicaio? Sta lì fermo, immobile. Perfino il tempo intorno a lui sembra fermo.

      6) “Basta con la Finlandia!”.
      La Finlandia in pochi anni è riuscita, partendo da condizioni disastrate, a dotarsi di un sistema scolastico eccellente. Ci è riuscita la Corea (paese del tutto diverso) che con strategia del tutto diversa ha ottenuto risultati paragonabili. Si chiamano “best practices”: osservarle e studiarle può insegnarci qualcosa. E, visto che stiamo parlando di imparare…

      7) Infine.
      Sì, il problema è “anche” politico: ma, in quanto tale, o per dir meglio proprio in quanto tale, non è che non riguardi nessuno. Riguarda esattamente ciascuno di noi. E una forte attenzione dei cittadini al tema della scuola può essere di incentivo perfino per la nostra sgangherata classe politica.

  6. Bello! Ritrovo molti concetti che metto nei miei post 🙂 Alcuni dei punti elencati sarebbero a costo zero, è una questione di mentalità, di aggiornamento rispetto ai bisogni degli studenti del nostro tempo e ad avere insegnanti che vivono il proprio tempo. Ma mi rendo conto che questi, a differenza degli investimenti specifici per la scuola, sono comunque i più difficili da realizzare. C’è aria stantia nella scuola italiana ed una tendenza serpeggiante alla restaurazione. Buona fortuna. La auguro anche a me 😉

  7. Penso che sì, gli insegnanti debbano e possano fare di più riflettendo sulle “tesi” elencate, ma penso anche che sia una un tantino masochistico e temerario fare carico soltanto alla scuola (una scuola burocraticamente e verticisticamente amministrata, lacerata dal conflitto della corsa al “gettone” che ha distrutto solidarietà e collaborazione, una scuola sempre meno finanziata, una scuola che recluta insegnanti e dirigenti in modo assai discutibile, una scuola che non attira, con le retribuzioni riservate agli insegnanti, le migliori intelligenze, una scuola di precari …)della necessità di motivare i ragazzi, prescindendo dal ruolo che possono e devono svolgere le famiglie, la Tv e la società nel suo complesso. Certo che è assai difficile motivare i ragazzi allo studio in una realtà nella quale coloro che studiano e che magari si laureano e che magari si masterizzano sono derisi e svalorizzati e destinati al precariato o a stipendi da fame (un bravo ingegnere viene assunto con 1200 euro ..). Su questo, e su quanto detto sopra da Daniele Lo Vetere, penso che gli insegnanti dovrebbero riflettere, ché non possono non guardare al loro lavoro e al loro impegno senza cercare di comprenderne il senso nell’orizzonte più vasto della realtà politica, economica e sociale dentro la quale operano e sulla quale bisogna incidere non meno di quanto non si faccia sui propri modi di operare professionalmente.

    1. Gentile Santo Messina,
      mi sembra di aver scritto ben chiaro (81: e ovviamente non sto difendendo questa lista in sé, ma sostenendo alcune idee che le stanno dietro) che la scuola non può cambiare niente senza il supporto delle famiglie.
      Credo che sia almeno altrettanto vero il fatto che le famiglie non possono cambiare niente senza il supporto della scuola.
      Dico la prima cosa da persona che insegna, anche se a ragazzi più grandi. La seconda da genitore.

  8. Santo Messina: Il problem,a di fondo è che “motivare i ragazzi” è un paradosso. E’ come se un cuoco dovesse far venire fame a chi arriva al suo ristorante. Se è un bravo cuoco, soddisfa come si deve l’appetito dei suoi clienti; ma non può avere il compito di far venire loro la fame. Se vai al ristorante, è perché hai fame e vuoi mangiare. Non è che puoi andare al ristorante e dire al cameriere: “Non vorrei nulla perché ho fame; se proprio ci tenete, provate a farmi venir fame”.
    Restando nella metafora, è facile constatare le assurdità che derivano dalla centralità del voto. I miei studenti mi chiedono ordinariamente di studiare il meno possibile. Se lo scopo è il voto, e l’apprendimento diventa solo un mezzo, allora è ragionevole chiedere al docente di apprendere il meno possibile. E’ un po’ come se uno andasse al ristorante e, a parità di costo, chiedesse di avere le porzioni più piccole possibili.
    Per questo ritengo necessario eliminare il voto anche alle superiori. In questo modo conterebbe solo quello che impari realmente.

    1. Gentile Antonio Vigilante,
      esce questa mattina sul Corriere della Sera la notizia che 11 studenti del Liceo Fermi di Padova hanno superato tutti i concorrenti europei in una gara di robotica spaziale:
      http://www.corriereuniv.it/cms/2014/01/gli-11-geni-del-liceo-padovano-che-guidano-robot-nello-spazio/

      Potrebbe magari chiedere al loro docente Renato Macchietto, anni 52, se motivare i ragazzi è un paradosso.

      Non vorrei sembrarle polemica – le assicuro che non è questo lo spirito che mi muove.
      Ma o pensiamo che il prof Macchietto abbia qualche potere magico o spirituale che trasforma i ragazzi in “geni”, o pensiamo che abbia corrotto la giuria, o pensiamo (paradosso!) che sia semplicemente (beh, niente di semplice in tutto ciò) che sia un insegnante molto, molto bravo. Al quale sarebbe interessante chiedere come fa.

      Nella lista c’è un cenno alla questione dei voti al punto 7). Il documento linkato è interessante e, mi sembra, esauriente.

      Infine: confesso di non essere riuscita a districarmi bene nel suo esempio: i suoi studenti non hanno voglia di studiare? Di imparare? Di studiare per il voto? Di imparare con il voto (e vorrebbero imparare senza)? Di venire a scuola?

      1. Ma io non escludo che un docente possa motivare gli studenti, anche se escludo che lo possa fare sempre, in ogni condizione e con ogni studente. Dico semplicemente che se si presenta questo problema, vuol dire che c’è qualcosa che non va nel sistema. Il problema della motivazione dovrebbe essere risolto a monte; se insegno qualcosa, dovrei poter dare per scontato di avere di fronte persone interessate. D’altra parte, questa è la situazione normale al di fuori della scuola. Nessun professore di violino, o di inglese, o di pilates si trova di fronte al problema di motivare i suoi studenti, perché è scontato che se vai a un corso di violino è perché vuoi imparare. Non così a scuola.
        Ad aggravare la situazione c’è anche la rigidità del nostro sistema scolastico, che non prevede nessuna flessibilità e nessuna possibilità di scelta. In altri paesi gli studenti hanno margini più o meno ampi di scelta delle discipline da studiare. Per non parlare delle scuole libertarie.
        Per quanto riguarda il voto, riporto quello che ha scritto un alunno in un bigliettino anonimo sul tema “La scuola che vorrei”:
        “…non avere voti affinché tutti studiano per capire le cose e non per avere voti alti.Questo nella mia scuola non c’è, si studia solo per avere appunto voti alti e non per una questione di cultura” (http://antoniovigilante.blogspot.it/2014/04/student-voice.html).

    2. Gentile Antonio
      non penso che sia così assurdo tentare di motivare gli studenti. Io ci provo e in alcuni casi ci riesco. Cerco di far capire loro qual è lo scopo di ciò che fanno, quale dovrebbe essere il loro obiettivo ultimo. http://www.didatticarte.it/Blog/?p=760
      Ogni tanto giochiamo, loro si divertono e, a loro insaputa (!) imparano http://www.didatticarte.it/Blog/?p=1332
      Ma poi vengono anche i momenti seri, quelli di metadidattica. Lascio perdere la storia dell’arte e spiego loro come studiare, come trovare un metodo per affrontare l’apprendimento
      http://www.didatticarte.it/Blog/?p=129
      Scusa l’autoreferenzialità della mia risposta ma non conosco altri insegnanti meglio di come conosca me stessa 😉

      1. Grazie per la lezione di didattica. Anche io un po’ me la cavo. Ma la questione era un’altra.

  9. Post molto interessante, con un sacco di spunti. Alza il livello del discorso ma soprattutto coniuga scuola a futuro, quello che i ragazzi meritano di vere migliore proprio grazie alla scuola…

  10. Scusate il ritardo con cui commento questa bellissima nota, ma sono impegnata, appunto, in un Laboratorio di Scrittura che mi appassiona e mi intriga molto.

    Annamaria è indirettamente la madrina del lavoro che impegna ragazze e ragazzi della II D in una media scuola romana.

    Ma comincio da capo.

    Da quattro anni con l’associazione Altramente conduco laboratori e quest’anno la scuola con cui collaboriamo ha scelto di lavorare sul tema “Prove per campagne pubblicitarie sociali”.
    Una giovane pubblicitaria che mi affianca in classe e i preziosi consigli di Annamaria stanno dando buoni frutti.

    Bene, ma questa è solo una premessa che però sottintende un mondo: imparare e insegnare con passione per realizzare un prodotto comunicativo.

    E allora che dire?

    – gli studenti si interessano
    – dedicano i loro pensieri al progetto
    – lavorano anche a casa, ma non sono compiti
    – non avranno voti, ma la pubblicazione del loro lavoro
    – imparano a imparare
    – leggono e si consultano, discutono e intervengono
    – affrontano le difficoltà

    Aggiungo: questa esperienza è frutto di anni di insegnamento controcorrente, di una sfida per cui mi prendevo la libertà di compensare uno stipendio ingiusto divertendomi e facendo divertire che lavorava con me (*_))

  11. E’ la prima volta che accedo a questo blog. L’articolo è stato postato da un’amica su FB, e devo dire che mi ha fatto emozionare. Molto. Mi riguarda da ogni lato.
    Salvato giovanissimo da un’apparentemente inarrestabile deriva delinquenziale da due straordinari insegnanti, mi ritengo l’esempio vivente di un insegnamento che centrava tutto sul rispetto, oserei dire religioso, del proprio mestiere e dei soggetti ai quali si rivolgeva. Una passione ed un rispetto capaci di evocare il fascino del sapere, risvegliare l’innata curiosità dei ragazzi, il loro piacere di sentirsi ‘parte fondante’ del progetto.
    Da decenni mi dedico, come autore ed essere umano, con i miei poveri mezzi, al recupero scolastico e sociale, e il lavoro fin’ora svolto mi ha dato l’enorme opportunità di ricambiare e di manifestare la mia gratitudine.
    Il mezzo che ho privilegiato è il teatro e le sue possibili conversioni scolastiche a favore dello studio e degli insegnanti, per cui leggendo questo articolo mi sono sentito ancora una volta ‘integrato’, in buona compagnia, emozionato, speranzoso, sia come uomo e genitore che come eterno alunno.

    Grazie

  12. Annamaria la ringrazio per queste sue riflessioni che condivido quasi del tutto. Sono appassionato di pedagogia steineriana e molte di queste tesi sono concretamente messe in atto negli istituti che conosco. Avrei piacere di conoscere la sua opinione sulla pedagogia Waldorf. Grazie

  13. Interessante tutto, molto meglio se fosse applicato nel nostro sistema statale. Nella scuola che frequentano i miei figli moltissimi dei suoi punti sono realtà. Mi mandi una sua mail, se le va, potrebbe venire a trovarci e a conoscere la nostra realtà. Io credo che tutti i bambini prima e i ragazzi poi dovrebbero avere accesso a una scuola come la nostra, si stupirà? Si la sento la mia scuola, i voti non esistono, c’è rispetto per i tempi di ogni individuo, si sperimenta per imparare, i libri di testo li costruiscono i ragazzi …. E molto altro ancora. Probabilmente avrà anche capito di cosa parlo . Buon lavoro

  14. Perdonatemi, se potete … 
    Non sono un docente, mi occupo di altro, pertanto non vivo in modo diretto sulla mia pelle i problemi che stanno dietro all’attività dell’insegnamento scolastico, anche se ne osservo e comprendo le difficoltà ogni giorno.

    Però ora sono nuovamente uno studente, come tanti, ma solo un po’ più … “grande”.

    Come (ex)allenatore ho sempre:
    – cercato di coinvolgere tutti,
    – cercato di avere regole uguali per tutti (variando i “dosaggi” al bisogno),
    – cercato di essere il primo responsabile sempre (specialmente nelle scelte non vincenti),
    – fatto leva su poche regole, ma imprescindibili (rispetto reciproco in primis),
    – cercato di comprendere gli errori (senza però giustificarli),
    – spiegato e motivato ogni scelta,
    – ascoltato pareri (cambiando i miei non di rado),
    – cercato di imparare dagli errori,
    – cercato di dare tutto,
    – imparato molto dai ragazzi.

    Come papà:
    – ogni giorno vorrei fare meglio del giorno precedente,
    – ogni giorno mi accorgo che avrei potuto fare meglio e di più.

    Come studente:
    – sono motivato e determinato, ma:
    – facciamo finta che io sia più giovane, molto più giovane,
    – facciamo finta che io sia uno studente/studente e non un papà/lavoratore/studente,
    – facciamo finta che io sia un vostro studente,
    – facciamo finta che le mie motivazioni siano molto, ma moooolto annacquate.

    – Vi propongo un semplice ma non banale gioco:

    1) scrivete TRE BUONI MOTIVI (quelli su cui fondate il vostro lavoro) per convincere questo ipotetico studente ed i suoi compagni ad impegnarsi nello studio,

    2) per ogni BUON MOTIVO, scrivete come VOI lo sosterrete e porterete avanti.

    Ovviamente siamo tutti consapevoli che NON esistono classi uniformi e che i “dosaggi” vanno spesso calibrati “ad personam”, magari tenete conto anche di questo.

    E’ un semplice gioco che può offrire spunti interessanti … sicuramente al sottoscritto.

    Grazie in anticipo !

  15. Gentile Annamaria, grazie della cortese e articolata risposta. Io ho scelto solo alcuni dei suoi spunti e non ho ignorato gli altri per capziosità, ma perché volevo indagarne solo alcuni. Anche ora allargherò il discorso, non prenda le mie osservazioni come una critica stricto sensu a questa o quella tesi, altrimenti penserà che la accusi di ogni sventura umana, e non è quello che intendo. Vorrei rilanciare la questione politica, che non significa solo di scarsi finanziamenti alla scuola.

    Anche io vorrei cambiare le cose (no, il mio intervento non era disfattista: di un pessimista della ragione e ottimista della volontà, questo sì).
    Ma ho poca fiducia nelle rilevazioni internazionali su base statistica e nelle conseguenze che se ne traggono: il miracolo coreano e finlandese. Io sono un umanista, sono abituato a vedere interpretazioni, racconti, a volte anche favole e deformazioni dietro ogni dato apparentemente neutrale. Non sto mica dicendo che lei menta: dico che ci piace vedere ciò che risponde ai nostri desideri nei fatti del mondo. Voglio dire che non si può inferire direttamente dall’alta posizione della Finlandia in una graduatoria (logica quantitativa) che il suo sistema sia il migliore (logica qualitativa), soprattutto che sia il migliore per tutti, e che basterebbe importarlo per vivere in un mondo dove nessuno è bocciato e tutti sono creativi. Ma questo argomento è complesso e non è il caso di aprire il fascicolo. Mi limito a dire che da noi l’abolizione tout court delle bocciature avrebbe effetti di ulteriore avvitamento su di sé del sistema, perché la bocciatura è appena la punta dell’iceberg. Bisognerebbe cambiare quel che c’è sotto, ma ciò richiede sforzi colossali che al momento non siamo in grado di fare, anche perché di fatto significherebbe cambiare la società italiana nel giro di pochi anni. Ma mi fermo, anche se capisco di essere apodittico, perché il discorso è complesso.

    reciso: non sono contro ogni forma di misurazione. L’Invalsi, se serve a fornire feedback agli insegnanti e al sistema in generale (in questo è corretta la sua distinzione) è utile.
    Però so anche questo: che in quasi tutti gli altri paesi europei ormai le rilevazioni degli apprendimenti servono a valutare DIRETTAMENTE gli insegnanti e le scuole (http://www.orizzontescuola.it/news/valutazione-scuole-ed-insegnanti-chi-usa-europa-performance-degli-alunni-non-italia-grecia-e-fi). Ora, stabilire un nesso di causa-effetto diretto tra insegnamento e apprendimento (e da ciò dedurre meriti e magari contributi finanziari) è un’aberrazione docimologica, didattica e politica. Domani probabilmente si dirà che dobbiamo farlo anche noi, perché questo “chiede l’Europa”. Frase passepartout, oggi.
    Il motivo di questa tendenza è semplice: siamo in un sistema capitalistico ad alta competitività, i sistemi scolastici costano e devono essere efficienti (in ordine agli scopi del mercato del lavoro, per lo più), dunque non si possono investire soldi a vanvera. La logica della valutazione non è solo quella neutra rilevazione ad incremento della razionalità dei sistemi e della felicità di tutti in cui ci hanno indotto a credere; spesso invece sottende una logica di controllo subdolo, ma questo tema è molto complesso e non posso che segnalare questo bel pezzo: http://www.leparoleelecose.it/?p=13284.

    Io sono d’accordo con lei: la passione si può trasmettere, tutto comincia con gli insegnanti, e anche su altro sono d’accordo.
    Ma il problema che pongo io è questo: ci sono una quantità di cause STRUTTURALI che rendono difficile la trasmissione della passione. Per strutturali non intendo capziose volontà di non cambiare le cose, ma altri aspetti complessi.
    Faccio un esempio concreto che dovrebbe essere chiaro. Io leggo moltissimo. Quando incontro un verso, una poesia, una pagina di prosa che mi accendono provo qualcosa per cui dico: ecco, valeva la pena leggere. Ma quell’epifania è inconsulta, casuale, difficile da propiziare, uno stato di grazia. Per goderne devo passare attraverso molti versi, poesie, pagine di prosa che non mi dicono granché, o per le quali provo solo un vago interesse intellettuale. Si potrebbe dire: be’, se una cosa non ti parla, esercita il famoso diritto di non leggere, butta via il libro e passa a un altro. Così dovremmo fare tutti anche a scuola!

    No.

    Perché nel darmi una disciplina nella lettura, nell’accettare le molte pagine grigie (le molte giornate grigie, o in andate in bianco, se preferisce), io imparo a strutturare me stesso nella lettura e nella vita. Perché solo nelle molte pagine grigie, senza capire e sapere perché e come, si prepara invisibilmente la rivelazione. E’ questione di ostinazione.
    In altre parole, il piacere (quello che lei chiama interesse concentrato: ma io qui sto citando Barthes e gli devo il riconoscimento della citazione letterale: le plaisir du texte) non può essere protratto, procede per apici e depressioni. E’ una regola anche fisiologica, se vuole.
    Anche io ho avuto alcuni insegnanti straordinari. Ma insegnando ho scoperto che anche in questa nostra memoria di studenti c’è molta proiezione personale. Una frase, una lezione di quegli insegnanti, che in me si è incisa profondamente e che mi ha cambiato la vita, il mio vicino di banco neanche la ricorda. Era un’alchimia: in lui non si è prodotta.
    Dunque non mi illudo che le mie lezioni piacciano a tutti. Temo di essere insopportabile per alcuni, spero non per troppi, nonostante ami profondamente questo mestiere e faccia di tutto per trasmettere passione.

    Per tutte queste ragioni le belle pratiche sono impossibili da istituzionalizzare, esportare, diffondere su vasta scala.
    E qui potrei collegarmi a un paio di post di colleghi qui sopra (Roberta e Antonio): la prima invita le scuole statali a fare come la sua, il secondo nota che motivare i ragazzi è un paradosso (ma credo che intenda quello che intende anche lei: non mi pare che la criticasse).
    Parto dalle considerazioni di Antonio. So anch’io che il voto non è la via migliore per motivare, ma tutti questi discorsi sulla creatività e sulle motivazioni interne e la gratificazione personale come motore di tutto mi pare che dimentichino alcuni dati storici e sociologici di rilievo: la scuola di massa, in cui l’obbligo (parola significativa) si allunga sempre di più, è nata e vissuta come istituzione in cui si DOVEVA andare – tutti, senza distinzioni – perché lo Stato aveva deciso per te che ne avevi bisogno. Per nobili motivi, per carità (alfabetizzare, rendere cittadini e uomini migliori ecc…), ma ciò non toglie che l’obbligo ci fosse. Dunque il paradosso della motivazione è intrinseco al sistema scolastico, non è una sua patologia. Si va a scuola perché si deve. Pardon, ANCHE perché si deve. Poi per fortuna ogni tanto incontri il grande amore (un bravo insegnante) e la vita diventa meno grigia.
    Per eliminare voti, motivazioni estrinseche allo studio ecc… bisognerebbe buttare giù l’istituzione scolastica e fare altro: atelier di creatività, laboratori di artigianato del sapere, ecc…
    Che la scuola fosse irriformabile perché è QUELLA COSA LI’ e non altro l’aveva capito bene Ivan Illich, che infatti voleva buttarla giù, mica riformarla. Non condivido le tesi di Illich, ma sinceramente mi pare assai più spregiudicato e sincero nelle enunciazioni, più analitico e scientifico nelle osservazioni, più consequenziale nelle ricette che propone, delle proposte di creatività generalizzata.
    Il problema, e vengo a quanto scritto da Roberta, è appunto che non si può operare questa generalizzazione. Cosa succederà, anzi cosa sta succedendo (vivo nella scuola, ne ho girate tante da precario, mi guardo intorno)? Che si creeranno isole felici di creatività come la scuola di Roberta, mentre al resto degli studenti, quelli destinati alla bassa manovalanza e al precariato in una società competitiva come quella attuale (a tal punto competitiva che perfino le scuole oggi sono in competizione per non perdere studenti, per accreditarsi come più fiche e à la page di altre: abbiamo il laboratorio e la Lim che quell’altro non ha… noi offriamo il corso di samba e loro no, ecc…), saranno riservate le scuole non creative, di massa.
    Non è solo una questione di fondi, che alcune scuole hanno e altre no (e questa questione è trasversale alla distinzione pubblico-privato, non lasciamoci ingannare dall’ideologia: ci sono scuole private che chiudono per penuria e scuole pubbliche che prosperano; e scuole pubbliche e private che si specializzano in eccellenze e scuole pubbliche e private che raccolgono, le prime, i derelitti, le seconde, i derelitti che possono pagarsi il diploma). Il punto è che il sogno della creatività per tutti è un sogno.
    Allora, io pongo questo problema, che è di urgenza sociale e politica: come fare per avere ALMENO un buon livello medio di insegnanti più che decorosi e NON CREATIVI, che possano fare decentemente il proprio mestiere senza raggiungere le vette di coloro che sanno innamorare di sé?

    La mia domanda finale è: creativi per chi e per che cosa? a che scopo? La butto, coscientemente, in paradosso: se domani la maggior parte dei ragazzi sarà sottoproletariato a che scopo renderli creativi? Per renderli più adattabili alle esigenze del lavoro? O per dar loro qualche sogno da coltivarsi in privato, quando poseranno il corpo stanco sul divano? O per dar loro una coscienza di sé e della propria straordinaria ricchezza interiore in un mondo che non la vuole, creando così delle dissonanza emotive devastanti?
    Ripeto: è un paradosso. Ma la cultura della creatività è interna all’attuale società capitalistica, cioè all’attuale individualismo. La società pretenderà sempre il suo tributo di dolorosissima fatica, ti farà capire che tu, in fondo, non conti poi molto nell’economia dell’universo. La scuola sta nella società, non è un’isola felice e aliena, perciò anch’essa continuerà a farlo.
    Se vogliamo fare creatività, e non ho nulla in contrario a farla, dobbiamo però unirla a una dose da cavallo di politicità e dobbiamo guardare in faccia la fatica della realtà fisica, la resistenza che pone ai nostri sogni.

    Saluti

    1. @ Daniele Lo Vetere Non esiste rapporto di causa-effetto tra insegnamento e apprendimento?! Be’, se si voleva capire il perché della situazione dell’educazione in Italia, ecco qui la spiegazione!

      1. Gentile Carlo, no, non esiste un rapporto diretto. Non lo dico io, ma gli studiosi di didattica. Significa banalmente che esporre una persona all’insegnamento non garantisce del suo apprendimento: ci sono una serie di filtri in mezzo. Tecnicamente si dice: all’input non corrisponde un identico output, o anche, uno stesso input produce output molto diversi o nessun output (come dice un detto cinese, si può portare il cavallo al fiume ma non obbligarlo a bere). Tutto qui. Ecco perché fare delle rilevazioni statistiche che desumano dal risultato di apprendimento degli studenti la qualità dell’insegnamento che essi hanno ricevuto è una fesseria didattica. Ma alla politica europea interessa molto di più adottare logiche di misurazione oggettiva che addentrarsi nei meandri dell’insegnamento-apprendimento.

        1. Gentile Daniele,
          vedo che lei, in proposito, ha idee assolutamente chiare e adamantine.

          Non sono assolutamente un esperto del settore e nemmeno molto qualificato. Quello che posso affermare, in primo luogo, è che sul problema relazione insegnamento/apprendimento, quanto meno, circolano opinioni assai articolate e disparate: per cui affermare che l’inesistenza di un rapporto diretto è sostenuta “dagli studiosi di didattica” mi sembra un po’ apodittico.

          Al di là della proverbiale saggezza dei detti cinesi, lei vorrebbe sostenere che l’utilizzazione di metodi statistici per effettuare delle valutazioni sull’efficacia dell’insegnamento sarebbe una “fesseria didattica”. Ora, non c’è dubbio sul fatto che le elaborazioni statistiche possano prestarsi a manipolazioni ed estrapolazioni indebite. Di qui a dire che comunque non possano dimostrare né dirci niente mi sembra francamente assurdo e contrario alla logica.

          Se porto ad una fonte 10 cavalli e sono in 2 a bere e porto ad un’altra fonte 10 cavalli ed 8 bevono, be’, io penso che qualche analisi sull’acqua delle due fonti andrebbe opportunamente fatta. O si deve tutto al caso, magari cinico e baro?

          Cordialmente,

          Carlo Turco

          1. Gentile Carlo, in verità ho più di dubbi di quanto non sembri. Forse sono stato ancora una volta apodittico perché ho reagito, e non si dovrebbe essere così impulsivi invece, alla sua chiosa fulminante, che inchiodava un intervento come il mio, lungo, anche troppo lungo, ma sinceramente appassionato, alla conclusione “ecco perché le cose in Italia non funzionano”. Come se fossi io la causa dei mafunzionamenti. Ma questo glielo dico solo per spiegarci. So che la comunicazione in rete è la più soggetta a fraintendimenti. Anche io posso avere frainteso lei e questa frase. Ma vado oltre le cause personali.

            Provo a spiegarmi ancora meglio. Ho un bravo collega. Lei lo mette in una scuola “difficile” ma in cui ha mezzi didattici, un bravo preside e qualche fondo da spendere per ipotizzare partecipazioni a laboratori sul territorio, collaborazioni e simili. La classe del collega lavora bene.
            L’anno dopo il collega è in un’altra scuola: zero mezzi, pessimo preside, nessun fondo.
            Se lei valuta il collega sulla base degli apprendimenti delle due classi, non valuterà il collega, ma il contesto in cui lavora e su cui egli ha una possibilità di intervento limitata. Non si tratta di manipolare i dati, si tratta del fatto che i dati stessi sono astrazioni dalla realtà, di cui, per la necessità di generalizzare, perdono una enorme quantità di indici, di peculiarità.
            Aggiunga il fatto che una scuola con pochi mezzi e che cade (didatticamente) a pezzi, quando risulta ultima in una classifica di qualità, perde ancor di più reputazione e si avvita in una spirale perversa di ulteriore discredito. Così come basta poco, a volte solo la buona reputazione, a una scuola magari discreta ma nella media, per crescere e crescere agli occhi di tutti. Forse persino al di là dei suoi meriti effettivi.
            Il mondo, da sempre, ma oggi mass media e logiche di “trasparenza” rinforzano questa logica fino al parossismo, è dominato dalle opinioni, non dalla verità.

            Per il resto ha ragione, le teorie sull’apprendimento sono molte. Ma io mi riferivo solo a questo tema specifico che ho cercato di chiarire.

            Un’ultima cosa: è il destino di chiunque come me faccia il lamentoso umanista sentirmi indirizzare ironie sulla mia idea di destino cinico e baro. Non mi offendo, va bene. Però occhio che questa ironia non impedisca, a volte, di ascoltare la piccola verità che una voce stonata e fuori dal coro prova a portare in pegno alla discussione di tutti.

            Saluti

  16. Errata corrige: “che non significa solo scarsi investimenti”

    “Preciso: …”

    “o andate in bianco”

    1. Gentile Daniele,
      anzitutto mi scuso per “agganciarmi” a un suo post diverso dalla sua ultima replica, ma per un qualche motivo che non comprendo non era materialmente possibile intervenire su quest’ultima.
      Mi sembra che davvero si possa andare oltre i fraintendimenti. Sono d’accordo con lei sul fatto che assumere i risultati in termini di apprendimento per valutare la qualità dell’insegnamento del singolo insegnante, per di più in contesti diversi, sarebbe sbagliato. Mi sembra che questo confermi che gli strumenti di valutazione vadano congegnati, e utilizzati, in termini il più possibile appropriati. E che nel valutare i risultati in termini di apprendimento, tra istituti diversi, occorrerà discernere nel peso di diversi fattori che concorrono alla adeguatezza e qualità dell’insegnamento.Capisco anche la preoccupazione in ordine al fatto che una cattiva reputazione comparativa può creare spirali perverse. Ma io parto dal presupposto che le valutazioni debbano ben anche servire, laddove l’istuzione è pubblica, ad intervenire per migliorare le situazioni peggiori. E d’altronde, proprio da questo punto di vista, mi sembra che il confronto delle reputazioni affidato, come è stato finora, a passaparola soggettivi e parziali,non possa non essere altrettanto preoccupante.
      Insomma, alla fine le divergenze potrebbero non essere così profonde né incolmabili…
      Cordiali saluti.

  17. Queste 95 tesi sono estremamente interessanti e stimolanti, come anche molti dei links cui si rinvia.
    Però mi chiedo – e chiedo – se non era il caso di aggiungere una 96^ tesi più esplicita e sostanziosa concernente il pensiero critico (anche se menzionato nella tesi 52 e sotteso ad alcune delle altre tesi), grande assente del sistema educativo e della società italiani..

    1. Gentile Carlo Turco,
      la ringrazio per l’apprezzamento. Come ha notato, il tema del pensiero critico affiora da più parti.
      E… la necessità di corrispondere, almeno sotto il profilo del numero complessivo e della brevità, alle 95 tesi (quelle vere) che in assenza del web vennero appese al portone della chiesa di Wittenberg nel 1517, purtroppo mi impedisce di aggiungere un punto ulteriore.
      Ma posso dirle che, nello spirito, quel punto c’è.

  18. annamaria mi piace molto le novantacinque tesi
    sulla scuola forse perché sono maestra e prof.ssa.

  19. Per quel che vale aggiungo anche il mio plauso all’idea di proporre questa forma di comunicazione affidandola alle nostre bacheche ben più visibili e ramificate di quella utilizzata dall’ancora culturalmente medioevale (e non è un insulto) teologo per la sue quaestiones disputatae. E senza nulla togliere al fascino che pur promana dalle sottili elucubrazioni luterane, delle novelle tesi “testiane” (posso dirlo?) ammireremo già di primo acchito la sempre invocata concretezza, a cominciare proprio dal sottolienare quanto sia fuorviante chiedere…indulgenza. Equilibrata concretezza nel riaffermare senza timore anche il valore della tradizione, del mandare a memoria e del leggere ad alta voce per chiedersi se davvero si capisce ciò che si legge, quasi a convogliare energie nuove verso una ripartenza all’essenziale che burocratese e pedagoghese sembrano dimenticare, magari proponendo pretenziose anatomopatologiche analisi testuali a chi si toglierà di impaccio con un copia incolla, salvo poi vedersi affibbiare i Malavoglia (nomen omen?) per una improbabile lettura solitaria. Spesso le verità sono appunto quelle banalmente più semplici, come il dire che se si lavora poco a scuola si lavorerà ancor meno a casa, e ben venga ricordare anche che antitesi della noia non è il divertimento, autonomia non è premessa di anarchia, e che non si spara su Invalsi ( e magari anche su Pisa-Ocse) solo perché la guerra è bella anche se fa male. Insomma, speriamo che di glossa in glossa, replica dopo replica, e magari grazie anche a qualche ponderato tentativo di confutazione, queste tesi contribuiscano davvero in modo incisivo a stanare la parola… riforma dall’archivio delle parole male invecchiate. Ecclesia semper reformanda….

  20. La brocca d’acqua
    …ovvero perchè Annamaria ha ragione.
    Stamattina 22 gennaio a.D. 2014 in una prima classe di un istituto tecnico ho spiegato ai miei alunni cosa significa navigare tra i pensieri, fare collegamenti, confronti, insomma vivere l’esperienza dell’imparare in maniera intelligente e creativa, con l’obiettivo che rimanga duratura perchè significativa, invece di imparare a memoria, prendersi la sufficienza e vivere felici e ignoranti dal giorno dopo, senza valutare cosa ti sia rimasto nella testa (ed anche nel tuo cuore).
    L’ora precedente avevano disegnato una brocca d’acqua in CAD (disegno assistito dal computer) e da lì son partito per fargli capire come da una brocca d’acqua sia possibile fare collegamenti a tutte le atomizzate materie che gli somministriamo: abbiamo iniziato un brain storming in cui, tra la meraviglia dei più, abbiamo trovato convincenti collegamenti tra la brocca dell’acqua e la sua forma (geometria), il suo liquido per qualità e volume(chimica e fisica), l’uso e la trasformazione dei vari contenitori di liquidi nel tempo (storia), il significato de vocabolo (italiano), lo sport e la disidratazione (educazione fisica), il calice che si usa nelle funzioni religiose (religione ), le leggi a tutela della salute per i contenitori degli alimenti (diritto) ecc.
    Anche i più increduli, affascinati dalle tante materie riconducibili ad un banalissimo oggetto come una brocca d’acqua, sono rimasti di sasso, gli ho detto che se la scuola tenesse realmente al loro apprendimento, potrebbe, per assurdo, programmare monotematiche in cui i docenti potrebbero tessere la tela di conoscenze e di esperienze da fare e assimilare, a partire da un oggetto banale come una brocca d’acqua. La lezione è durata fino al 60° minuto, avevo vinto ! Li avevo distratti dall’obiettivo principale: scappare dalla classe al suono della campanella dell’ultima ora.
    Ma prima che suonasse, allo scadere, uno di loro mi ha chiesto: professore ma perché allora la scuola italiana non funziona in questo modo ?
    Imbarazzato e contrito, mi sono avvilito perché mi sono ricordato di questa stessa domanda che mi fece QUINIDICI ANNI FA un mio alunno, affascinato dagli ipertesti che costruivamo in laboratorio: sono rimasto ammutolito per qualche secondo (e che gli rispondo ?)… poi gli ho detto che la scuola italiana è ferma a cinquanta anni fa. Poi…fortunatamente per me (questa volta) è suonata la campana e loro sono scappati via…Io tramortito da quella domanda, sono rimasto con tanta amarezza e rabbia dentro…..a pensare alla perdizione di un paese che non coltiva più, e da tempo, l’interesse e la passione per la conoscenza ed i saperi dei nostri ragazzi, ma non ci vergogniamo?

  21. Grazie! Sembra tutto talmente ovvio e invece non lo è affatto. Ma finché davanti ai ragazzi verranno messi gli interessi degli adulti,(istituzioni, insegnanti, editori, autori) questo stato di cose si manterrà. Che poi ci sia la volontà di mantenetlo o la non volontà di cambiarlo non so.
    Appendiamo tutti queste 95 tesi sulla porta dei nostri profili FB… qualcuno le leggerà

  22. L’impostazione delle novantacinque tesi poggia su una base fragile : si considera la Scuola come un sistema operativo, che sia INDIPENDENTE dalla struttura e dal funzionamento della SOCIETA’ CIRCOSTANTE. In realtà il mondo della Scuola è una parte, inscindibilmente connessa con l’INTERO SISTEMA SOCIALE. La Scuola diventerà operosa, creativa, inventiva, se queste qualità appartengono anche all’intero sistema sociale. In una SOCIETA’ MALATA anche la Scuola è NECESSARIAMENTE malata. Se vogliamo una Scuola funzionale e produttiva di incivilimento dobbiamo lottare CONTEMPORANEAMENTE, per rendere funzionale e civilizzatrice di TUTTI GLI UOMINI l’INTERA SOCIETA.

  23. All’intervento precedente aggiungo alcune informazioni sulla mia persona : ho lavorato quarantatrè anni nel mondo della Scuola ( prima come docente di Latino e di Greco nei Licei classici, poi come Preside, e, infine, come Ispettore tecnico ).

    1. Gentile Francesco Paolo Magno,
      la sua tesi è affascinante ma mi sfuggono un paio di dettagli.

      – Se la scuola è necessariamente (!) malata in quanto parte di un sistema sociale malato, a che serve tutta la sovrastruttura (ministero, presidi, ispettori tecnici…) che, almeno sulla carta, dovrebbe farla funzionare meglio? Perché allora non chiudiamo tutto, lasciando solo uno scarno ufficio del personale che gestisca l’ordinaria amministrazione?

      Se missione della scuola è produrre incivilimento, ma questa missione non si può espletare se non dopo che l’intera società abbia (già) incivilito tutti gli uomini (… le donne, no?), che senso ha la missione medesima?

      E quale misteriosa entità dovrebbe essere preposta al compito di civilizzare?

      Per dirla tutta – ma magari mi è sfuggito un punto fondamentale – la sua mi sembra un po’ una logica da Comma 22.

  24. Come mai fra le tesi si cita la Finlandia per la faccenda dei voti e non per il fatto che ha rifiutato con forza l’utilizzo di test standardizzati nelle singole scuole?

    1. Gentile Paola Borsari, di sicuro la Finlandia fa i test standardizzati internazionali Ocse-Pisa (per questo noi sappiamo che negli ultimi anni le performance degli studenti finlandesi sono state tra le migliori. Nell’ultima tornata, peraltro, si è registrata una lieve flessione).

      In questo documento, rilasciato da Unimi, si descrive il sistema nazionale scolastico di quel paese.
      http://www.dti.unimi.it/~oscotti/Pacioli/files/estero/FIIlSistemaScolastico.pdf
      Dia un’occhiata: è interessante. E a pagina 3 può leggere:
      L’anno scolastico è diviso in 6 periodi (vedi allegato n 3 ). Ogni periodo è diviso in 6 settimane e l’ultima settimana di ogni periodo è dedicata agli esami (test ).
      … Nella settimana dei test, che chiude ogni periodo, ogni pomeriggio c’è un esame ed il giorno precedente gli studenti si preparano in classe al test. Questa procedura è molto gradita dagli alunni si possono concentrare su un singolo esame al giorno. I test sono per il 95% scritti e se non vengono superati, possono essere rifatti in date prestabilite o ,se ci sono lacune gravi, il corso può essere ripetuto dall’inizio.

      Nel caso lei stia parlando specificamente di test standardizzati nazionali come Invalsi: tenga conto che l’omogeneità delle scuole finlandesi è, per quanto mi risulta, enormemente superiore alla nostra.
      In Italia coesistono scuole migliori delle finlandesi, e scuole peggiori delle cipriote. Impossibile districarsi, credo, in assenza di almeno un minimo di criterio standard.
      La rimanderei anche, se vuole, al link che trova al punto 11.

  25. C’è stato un tempo, inutile dire quale perché chi legge NeU sa di che cosa sto parlando, in cui dalla scuola è partito il rinnovamento che di è riverberato nella società intera.

    Può accadere ancora?

    Tutto è possibile e la speranza è l’ultima dea (*_))

  26. Annamaria carissima.
    Prima di leggere le tue “azzeccatissime” 95 tesi, ero impegnato nella progettazione di un esperimento – per rinnovare la scuola – da finanziare con la partecipazione ad un bando della Comunità Europea.
    Sono alle prime mosse. Aderisce a questa idea, già un primo partner importante.
    I motivi che mi spingono a muovermi con determinazione:
    1. La mia generazione ha “inguaiato” quelle venute dopo. Con il mio “volontariato” so che non posso rimediare, ma almeno “sposto” il mio “granellino di sabbia”.
    2. La scuola non può rinnovarsi da sola. La società – della quale fa parte – deve contribuire al suo rinnovamento. Solo dopo, la stessa scuola, potrà rinnovare tutta la società.
    3. I nostri “modelli mentali” si oppongono ad ogni rinnovamento. Io sarei favorito dalla mia profonda ignoranza, dalla mia mancanza di memoria (fin da bambino) e dal fatto di aver lavorato in molte aziende e contesti diversi. Eppure, dentro di me, resistono troppi schemi. Cerco di interagire, in più modi, con persone e ambienti molto differenti da me – per cultura, interessi e quant’altro – ma i miei schemi sopravvivono, …poco nel bene e molto nel male.
    4. Solo i miei sinceri propositi ad un mio continuo rinnovamento – anche se troppo spesso infruttuosi – hanno contagiato alcuni partecipanti a corsi da me tenuti. Ho incontrato – per la strada e in altri contesti – alcune persone che, dopo molti anni, mi hanno ringraziato.
    5. Da tanto tempo cerco (disperatamente?) di ridurre la comunicazione “uno a molti”. Ciò perché, chi ascolta, non riesce ad essere protagonista. Chi comunica invia messaggi molto potenti, verso se stesso, che tendono a “stabilizzare” i propri pensieri: questa situazione non è priva di elementi positivi, ma tende anche a rinforzare i propri “modelli mentali”. Troppo spesso le aule scolastiche non favoriscono la comunicazione “molti a molti”.
    6. Il lavoro è uno strumento utile all’apprendimento, anche se non collegato alle materie, previste dai programmi di studio. Questa è una mia opinione, che dovrà essere verificata proprio con l’esperimento in questione.
    Il progetto prevede che gli alunni – appartenenti ad un campione delle ultime tre classi del Liceo Classico e del Liceo Scientifico – lavorino gratuitamente, per due giorni la settimana, a favore dei beni comuni. Questa è la mia opinione. I partner, che ancora non hanno aderito al progetto – tutti molto più autorevoli di me – possono avere orientamenti diversi.
    Ci sono tanti metodi da utilizzare nel nostro progetto.
    In ogni caso, alcuni anni fa ho creato un approccio all’apprendimento:
    http://www.dropbox.com/s/r5o27p0fcurwmij/Appr_Samo%20IT.ppt
    Se, in questo progetto, dovesse andare tutto bene, ci sarebbe la possibilità di programmare attività pratiche, a partire dalla prima elementare e vere e proprie attività lavorative nelle ultime tre classi di tutte le scuole medie superiori ed in tutte le Università.
    In ogni caso le 95 tue tesi faranno parte del progetto, se ci sarà un bando opportuno.
    Se poi, ci fosse anche il finanziamento, le 95 tue tesi saranno esposte ovunque; dove si lavora per i dettagli della progettazione ed in tutte le aule dell’esperimento.
    Grazie Annamaria.

  27. Carissima amica, Lei confida nell’azione delle strutture istituzionali ai fini della rinascita della Scuola in Italia. In realtà le strutture istituzionali non si propongono nè il rinnovamento e l’incivilimento della società, nè la rinascita della Scuola. Se le strutture istituzionali avessero l’obbiettivo, che Lei presume esse abbiano, la società umana, dopo tanti millenni di storia, dovrebbe apparirci simile ad un Paradiso, e la Scuola del nostro Paese dovrebbe presentarsi come la terra, da cui provengono uomini colti, saggi, e pensosi.Davanti a noi c’è, invece, uno spettacolo odioso e deprimente.L’incivilimento degli uomini è promosso non dalle strutture istituzionali, ma da quegli individui, svegli, irrequieti, e insoddisfatti, che, per nostra buona sorte, accompagnano la nostra esistenza. Il fine delle strutture istituzionali è quello di sopravvivere, e non quello di MIGLIORARE IL MONDO.Anche Lei, carissima amica, contribuisce all’avanzamento degli uomini non perchè fa parte di una struttura istituzionale, ma perchè è una persona colta, insoddisfatta, e operosa.

  28. Sembra che, nel corso del tempo tempo, le società si siano date delle strutture stabili dedicate che cito alla rinfusa: la caserma, la fabbrica. il monastero, la prigione, il manicomio, la scuola.
    Quest’ultima pare contenere tutte le altre.
    Notevolissimo l’elenco, che sto rileggendo poco alla volta, dato che ogni riga corrisponde ad un volume, almeno, di riflessioni possibili. Peccato che il divario fra il possibile e il reale stia aumentando…
    Condivido ogni parola di Francesco Paolo Magno. Grazie Annamaria!

  29. Credo, forse ingenuamente (ma meglio ingenuo che opportunista)che la Scuola sia memoria ed espressione evoluta ed evolutiva dell’esperienza umana, trasmessa in modo più efficiente ed ampio alle nuove generazioni. È un’esigenza primaria, come il cibo e la salute, e mai un lusso. Altrimenti ogni prospettiva è falsata.
    Se ci si lascia imprigionare dal paradigma che la Scuola è un’azienda a resa zero ma con costi certi, come una catena di supermercati la qualità più o meno scarsa del prodotto non può che essere determinata dalle opportunità economiche e di budget.
    A quel punto è ovvio che se uno o più commessi, il punto di contatto con i consumatori, si diano da fare per agire a favore del ‘cliente’, resteranno casi isolati e senza storia. Magari licenziati.
    Questo però non m’impedisce di pensare che i singoli casi, qualora si smetta di apprezzarli solo su carta e si impari a seguirne l’esempio, sommati ad altri nuovi casi giorno dopo giorno, da spuri sassolini si tramutino in montagne.
    Non credo che la Scuola esista perché trovi mercato alle sue offerte, ma per il contrario. È per sua natura dinamica, interconnessa, viva. In questa prospettiva diventa più che possibile rimodellarla dal basso, dalla domanda, appunto. Non è facile, ma più che possibile. Basta non stare a guardare.
    E noi genitori, sebbene ignoranti, cafoni, distratti deculturati, beoti, sebbene pregni di ogni difetto che va contro la cultura ed il sapere, nel fondo del nostro cuore desideriamo tutti che i nostri figli possano sognare qualcosa di meglio che non l’assoggettarsi per tutta la vita all’ignoranza e al degrado.

    “Quando l’idiota ed il codardo incontrano la passione e il coraggio dell’esempio, l’idiota si dilegua ma il codardo resta a guardare e a giudicare.”

  30. mamma mia che depressione alcuni interventi, ma secondo voi noi insegnanti dovremmo spararci ????? Che senso abbiamo più ?
    In realtà MI SEMBRANO ALIBI DI CHI, depressosi SI E’ ARRESO !
    L’insegnamento è un mestiere meraviglioso: molti non l’hanno capito e allora rileggiamoci con attenzione questa insuperata definizione della educazione di Hannah Arendt:
    “L’educazione è il momento che decide se noi amiamo abbastanza il mondo da assumercene la responsabilità e salvarlo così dalla rovina, che è inevitabile senza il rinnovamento, senza l’arrivo di esseri nuovi, di giovani. Nell’educazione si decide anche se noi amiamo tanto i nostri figli da non estrometterli dal nostro mondo lasciandoli in balìa di se stessi, tanto da non strappargli di mano la loro occasione d’intraprendere qualcosa di nuovo, qualcosa d’imprevedibile per noi; e prepararli invece al compito di rinnovare un mondo che sarà comune a tutti.””

    (Hannah Arendt, Tra passato e futuro, 1961)

  31. Splendida, questa frase di Hannah Arendt.
    Conosco insegnanti, come Nicola Cotugno.
    Che ne pensate dell’esperimento, per valutare l’efficacia della “convivenza” tra scuola e lavoro?

  32. In realtà “L’IMPARARE A SCUOLA” è già una attività lavorativa.Comunque, sarebbe necessario che gli alunni, a partire dalla Scuola primaria, si dedicassero anche ad altre attività lavorative, quali lavorare il legno, lavorare il ferro,edificare in muratura, coltivare la terra,insegnare, utilizzare il “computer”,…Tanti anni fa ALDO VISALBERGHI sostenne, sulla rivista “SCUOLA E CITTA’ “, che per gli adulti dovrebbe esserci la “ROTAZIONE DEI LAVORI”, in modo tale da evitare che i lavori meno piacevoli pesino solo su determinate persone.Io ritengo che, attraverso la frequenza della Scuola, ciascuno di noi dovrebbe imparare oltre al patrimonio culturale anche almeno altre tre attività lavorative così da permettere “LA ROTAZIONE DEI LAVORI”, suggerita da Visalberghi.

  33. Se gli interventi deprimenti sono i miei, mi tocca denudarmi in pubblico: sono un insegnante giovane, in qualche modo idealista, ho scelto di fare questo mestiere perché lo adoro e non mi sono mai arreso.
    Solo, le cose sono infinitamente complicate e non bastano i buoni auspici. Il mondo non è diviso in chi crede e in chi non crede più, è un po’ semplicistica come divisione. Potrei tranquillamente ribaltare l’accusa di pessimismo in questa: se noi insegnanti non salvaguardiamo la complessità, chi lo farà? Non siamo i primi a ripeterlo ai ragazzi: le cose sono complesse? Dunque, se questa frase ha un senso e non è solo un vuoto mantra, significa che è il nostro stesso lavoro, come quello di chiunque altro cerchi di cambiare (un po’, pochissimo) il mondo ad essere tremendamente complicato. Io infatti lo consiglio solo a chi ha un pelo così sullo stomaco. I professor Keating esistono solo nei film.
    Capisco che è la forma stessa della tesi a chiedere essenzialità, sono una sorta di promemoria. Infatti ho detto che va bene ripetersi certe cose ogni tanto.

    Ma i problemi politici restano.
    Segnalo un articolo su Internazionale di questa settimana (per ora c’è solo il cartaceo però). Qui avete un sommario: http://www.internazionale.it/sommario/

    In soldoni: la Corea del sud ha una percentuale di NEET (ragazzi che non studiano né lavorano e hanno smesso di cercare lavoro per sfiducia) di fronte alla quale la nostra fa ridere. Anzi, a proposito di statistiche, da quella contenuta nell’articolo, appunto sui NEET, si desume che siamo messi meglio anche di diversi altri paesi.
    In Corea, però, società in cui lo stress da competitività è altissimo, l’impatto psicologico della rinuncia alla ricerca del lavoro è molto più devastante che da noi. Praticamente sei un fallito. Punto.
    Non annoio col racconto di quanto la Cina, per fare il miracolo che sta facendo in economia, di fatto abbia costruito un sistema universitario improntato a un feroce darwinismo, che è sia delle capacità che del denaro.

    Solo questo voglio dire: non basta confrontare due statistiche e dire “facciamo come in Finlandia e in Corea”. Che paesi sono la Finlandia e la Corea? INTORNO a quelle statistiche che cosa si nasconde, quali fenomeni socio-economici complessi?
    La Corea ha uno splendido sistema scolastico, wow, sono i primi. Grosso modo le ragioni sono solo che voglio essere competitivi in modo spietato sull’attuale mercato, non molto di più. E questi sono i risultati, perché anche loro subiscono la pressione di un capitalismo sempre più feroce.

    Dunque, ancora una volta, e diventando noioso: o questi discorsi sulla scuola li riempiamo di politicità e di spregiudicata capacità di osservare l’attuale sistema politoco ed economico, oppure le nostre buone intenzioni saranno fagocitate da logiche lontanissime da quelle in cui tutti noi crediamo.

    1. “In soldoni: la Corea del sud ha una percentuale di NEET (ragazzi che non studiano né lavorano e hanno smesso di cercare lavoro per sfiducia) di fronte alla quale la nostra fa ridere. Anzi, a proposito di statistiche, da quella contenuta nell’articolo, appunto sui NEET, si desume che siamo messi meglio anche di diversi altri paesi.”
      Non so a quali statistiche si riferisca Internazionale o come le abbia elaborate. Le statistiche internazionali che conosco io dicono che la Korea, in termini di NEET, non sta affatto peggio dell’Italia, anzi, al contrario (vedi http://www.oecd.org/education/skills-beyond-school/EDIF%202013–N%C2%B013%20%28eng%29–FINAL.pdf o vedi anche http://econplus.wordpress.com/2013/09/29/are-koreans-too-educated/).
      Senza con questo voler negare che non ci si possa basare unicamente sulle statistiche tal quali per decidere cosa fare o non fare.

      1. Forse la prossima settimana l’articolo sarà leggibile anche sul web.

        Comunque la fonte è l’OCSE, anche se i dati erano del 2009.
        Ho dato un’occhiata alla tabella del secondo articolo da lei postato (il primo, non so perché, non riesco ad aprirlo) e non mi pare che ci siano grandi misteri: anche da questa tabella la Corea ha più NEET con tertiary education dell’Italia, mentre la cifra assoluta è più bassa.
        Nel pezzo su Internazionale si parla di ragazzi che rinunciano a cercare lavoro dopo la laurea, quindi con alta educazione, non dei NEET in generale. E appunto metteva in evidenza una sorta di contagio psicologico: ragazzi che hanno investito denaro e tempo in alta formazione che “si ritirano” nell’indolenza. Qualcosa di simile è successo in Giappone nei Novanta e per le società orientali, in cui non è mai esistito un individualismo come quello nostro è un atteggiamento che desta forte preoccupazione, si parla di una sorta di “regressione” passiva, di una paura di fallire nella ricerca della propria collocazione fra gli altri.
        COmunque intervengono diversi esperti e ne parlano come di un problema ormai endemico e di cui si discute da un po’ e in parecchi.

        Ma il punto che a me premeva sottolineare, statistiche a parte, è che l’educazione è oggi più che mai legata a una certa forma di società e d’economia. Nella scuola sono entrate parole ad essa estranee: accountability, valutazione di sistema…

        A me interessano i risvolti pratici di tutto questo: e li osservo ogni giorno e ci rifletto su ogni giorno.
        Credo che “siamo agiti” da certe logiche molto più di quanto agiamo.
        Questo, credo, deve essere considerato.

        Saluti

    2. Gentile Daniele Lo Vetere,
      le novantacinque tesi – e lei l’ha colto – hanno un obiettivo molto semplice: tornare a parlare di scuola in un momento in cui si parla soprattutto d’altro
      Le ho scritte a partire dalla mia prospettiva di osservatrice esterna ma empatica, e non disattenta alle dinamiche della comunicazione interpersonale. Per questo motivo il tema “interesse” è così centrale.
      Ovviamente, un centinaio di righe di testo non sono un progetto, e nemmeno una proposta, e nemmeno una diagnosi strutturata: ci vuole, e stavolta è il caso di dirlo, ben altro.

      Un ultimo punto mi sta a cuore: ci sono tanti modi e tante logiche diverse, e a spesso opposte, nelle esperienze straniere di cambiamento. Su questo, credo, sarebbe bello farsi qualche domanda: che cos’hanno in comune strategie che, anche essendo diversissime tra loro, comunque producono risultati? Quali elementi potremmo mutuare? Quali sono inapplicabili qui? Quali sono i risultati più importanti? Quali sono i rischi? Che cosa possiamo imparare? Che cosa potremmo inventare, che non c’è ancora?

      1. No, ma ha ragione. Perdoni se mi sono incaponito. E’ passione per la scuola, mi creda.
        Le sue tesi sono 95, io ne ho prese solo poche e le ho sviscerate. Diciamo che quasi tutte quelle che non ho citato le condivido, ecco.

        Le sue ultime domande sono tutte interessanti e mi piacerebbe discuterle, perché certo abbiamo bisogno di parlare approfonditamente di scuola, proprio con questo atteggiamento: di apertura, di pragmatismo, di dubbio, di ponderazione sulla fattibilità dei progetti.

        Io ho solo paura del doppio registro comunicativo che i massmedia usano ogni volta che parlano di scuola, e che ormai è una vera e propria epidemia, che ci offusca la vista e non ci fa capire più niente: da un lato una estenuata lamentazione su quanto da noi le cose vadano peggio che in ogni altro paese; dall’altro infatuazioni ed enfasi sulla scuola digitale, su sogni donmilaniani, sulla pedagogia attiva, sull’inclusività totale, e su molto altro.
        Le due cose sono fra loro collegate: siamo, noi italiani, sostanzialmente bipolari. Dall’autodenigrazione all’ebbrezza del sogno.

        Lei ha buone intenzioni e io sto con tutte le persone di buona volontà, però credo che certi messaggi semplificati (non ripeto quali) provochino proprio uno stato di ebbrezza che non aiuta a guardare con laicità i problemi, enormi, che abbiamo di fronte.
        Ma ripeto, le tesi sono un “genere letterario” con certe regole. Se lei argomentasse o progettasse sarebbe un altro genere letterario.
        Io mi sono preso quindi, un po’ capziosamente, la libertà di premere su certi pedali, fingendo di ignorare questo aspetto delle sue tesi. Ho colto l’occasione di un dibattito pubblico sulla scuola per dire alcune cose che, a mio parere, sono importanti. Non me ne voglia.

        Il problema è anche che quello che io e tutti i colleghi facciamo in classe è invisibile: la pratica non ha voce.
        Così, quando dibattiamo, quando usiamo le parole, siamo sempre un po’ troppo astratti. Io pure.

        Saluti

  34. “Qualsiasi argomento può essere reso interessante. Però bisogna lavorarci.”

    L’interesse dovrebbe essere un prerequisito; cioè: lo studente dovrebbe venire a scuola provando già interesse per le discipline da studiare. Far nascere un interesse che non ‘è è impresa difficile, se non disperata.

  35. Nicola Cotugno: In quel saggio Arendt scrive anche:

    “L’insegnante si qualifica per conoscere il mondo e per essere in grado di istruire altri in proposito, mentre è autorevole in quanto, di quel mondo, si assume la responsabilità. Di fronte al fanciullo è una sorta di rappresentante di tutti i cittadini adulti della terra, che indica i particolari dicendo: ecco il nostro mondo.”

    Che è, a mio avviso, il modo peggiore di pensare il ruolo dell’insegnante e il senso del suo lavoro.

  36. Difficile se non impossibile dire quale sia la soluzione migliore per la nostra cara scuola, una cosa però è certa: la strada non è quella dei tagli selvaggi.

    Troppi sono gli “attori” in “gioco” e sempre meno sono le risorse a disposizione per giocare la “partita”, sia in termini di moneta che in termini di persone: sempre meno soldi per investire in progetti basilari, sempre meno personale per portarli avanti, sempre più contributi (persino “volontari” …) a carico delle famiglie.

    Troppo diversi gli interessi in “gioco”.

    Le idee potrebbero essere tantissime, ne esprimo alcune come semplice cittadino:

    1. guardare cosa fanno nel resto del mondo senza “innamorarsi” dei casi di successo e senza “tralasciare” i casi di insuccesso; prendere quello che di buono può esserci e valutare in modo obiettivo se davvero può essere applicato anche nelle nostre scuole.

    2. Chiedere ai ragazzi (in ingresso al primo anno) cosa si aspettano dalla scuola che vanno ad iniziare.

    3. Chiedere ai ragazzi (in uscita dopo il terzo o il quinto anno) cosa non hanno trovato nella scuola che hanno appena concluso.

    4. Dare la possibilità a docenti ed istituti di apportare cambiamenti ai programmi, se migliorativi.

    5. Dare la possibilità agli istituti di offrire programmi specifici/alternativi agli istituti, in funzione delle caratteristiche e delle competenze di classi/studenti/docenti.
    Inutile nascondersi, anche nel nostro paese sono presenti differenze a vario livello, culturali, regionali, provinciali, umane, strutturali, organizzative ed è illogico pensare che la stessa “regola” vada bene per tutti.

    6. Proporre almeno DUE programmi differenti, modulabili e non un unico programma da completare a tutti i costi:
    1. Un primo programma, completo, dove tutte le materie devono essere portate a termine:
    o Ideale forse per classi omogenee, dove tutti gli alunni avanzano più o meno di pari passo.

    2. Un secondo programma, di “base”, che fornisca le competenze basilari, lasciando spazio ai docenti per portare avanti “progetti reali”, approfondimenti sul mondo che circonda i ragazzi :
    o Ideale forse per classi disomogenee e/o con problematiche interne (ragazzi disadattati o altro). Questo programma potrebbe offrire la possibilità di apprendere le basi delle materie e, allo stesso tempo, affrontare i problemi del vissuto quotidiano, stimolando i ragazzi ad affrontare, capire e studiare argomenti e problematiche che li toccano da vicino.
    Esempio: Studiare la storia, capire “chi siamo” e da “dove arriviamo” è fondamentale … ma se percepita dai ragazzi come “racconto fantastico che non posso toccare con mano” è inutile … ! Al contrario, studiare quello che accade oggi attorno a te, capire le dinamiche della “vita reale” che ci circonda il ragazzo, potrebbe essere uno stimolo eccezionale.

    7. Applire il metodo della valutazione a “doppio senzo” come avviene ormai anche nelle aziende private. Dare un voto agli studentiper misuralri; dare un voto ai docenti per stimolarli.

    La scuola è una palestra di vita, una palestra che può dare moltissimo, ma anche togliere altrettanto.

    I ragazzi si aspettano dalla scuola grandi cose, ma se già il passaggio dalle elementari alla medie trasmette loro un senso di disorientamento, qualcosa non va … 11 o 12 docenti che si alternano in un vortice di materie differenti, con metodi di insegnamento differenti, valutazioni e atteggiamenti differenti, docenti e ragazzi che in alcuni casi si “incontrano” una-due ore a settimana.

    Domanda 1- Come può un docente trasmettere passione, metodo ed altro in questo modo?

    Domanda 2- come può uno studente appassionarsi in questa macedonia di variabili?

    La scuola dovrebbe insegnare innanzitutto ai ragazzi un metodo di studio, dovrebbe fornire loro gli “strumenti” necessari per affrontare lo studio.
    Questo avviene?

    La scuola dovrebbe TRASMETTERE PASSIONE ai ragazzi, voglia di approfondire, voglia di mettersi in gioco.
    Questo avviene?

    La scuola dovrebbe INCENTIVARE i suoi tanti “soldati” (docenti e studenti insieme), fornire strumenti in grado di fare emergere nuove idee e nuove opportunità per tutti.
    Questo avviene?

    Molti lavori di oggi, anche ben remunerati, non esistevano solo pochi anni fa e come sempre la scuola arranca cercando in qualche modo di tenere il passo.

    Forse è proprio questo l’errore: l’eterna rincorsa … il tempo passerà e, tra solo pochi anni, lavori che non esistono oggi fioriranno e offriranno nuove opportunità.
    E i nostri studenti dove saranno?

    Investimenti, apertura/visione, confronto, ascolto, sperimentazione, ricerca, collaborazione e formazione costante (vera!) dei docenti per consentire loro di stare al passo coi tempi …

    La scuola, con il suo esercito di “soldati”, dovrebbe essere il primo mattone di un lungo ponte chiamato futuro … un ponte che rischia di crollare ancora prima di essere costruito in nome di altri … ideali …

  37. mi piacerebbe sapere se chi ha scritto le ‘tesi’ è un insegnante. e anche se chi ha commentato è un insegnante. giusto per sapere.

  38. Apprezzo molto le 95 tesi e rilancio, condividendo questo documento in discussione nella mia Rete di docenti registrari ai servizi web di Garamond (circa 67 mila docenti).
    Grazie!

    ——————————

    Cambiamo la scuola.
    5 proposte per rinnovare la scuola italiana

    Piattaforma di discussione per un piano complessivo di innovazione del sistema dell’istruzione italiano.

    1. STUDENTI

    Innalzamento del diritto/dovere all’istruzione a 18 anni.
    Alternanza scuola lavoro o esperienza estero per alunni 4° anno superiori (stage estivo in aziende, laboratori o sedi lavorative estere).
    Finanziamento statale per tutti per acquisto di strumenti digitali personali (PC, tablet, palmare, lettore ebook ecc.).
    Creazione di un profilo individuale dell’alunno da pubblicare online, dotato di indicazioni quantitative e qualitative sull’impegno e sui risultati, e della documentazione delle personali inclinazioni e qualità, con abolizione delle bocciature e del sistema dei crediti e debiti.

    2. DOCENTI

    Adeguamento retribuzioni docenti, su base media europea, da raggiungere progressivamente in 5 anni
    Turn over, con pensionamento o attribuzione ad altro incarico agli insegnanti over 55 e relativa immissione in ruolo dei 30enni. Diversificazione incarichi e ruoli, non solo di docenza, con riconoscimento retributivo dell’impegno aggiuntivo.
    Piano di riqualificazione professionale, con corsi di aggiornamento retribuiti dall’amministrazione. Defiscalizzazione per spese in libri, musica, cinema, teatro, musei, contenuti digitali, riviste e altre risorse culturali.
    Incentivazione economica e di carriera per i docenti che si sottopongono volontariamente a valutazioni qualitative della loro azione, incluse alcune forme di “rating” sociale di studenti e famiglie.

    3. DISCIPLINE

    Riduzione cicli da tre a due (primario e secondario, di sei anni ciascuno) e ridefinizione piani di studio per primarie e secondarie, nella prospettiva europea della società della conoscenza
    Potenziamento lingua inglese, dal primo all’ultimo anno di scuola, con docenti madrelingua e/o esperienze di condivisione in rete. Potenziamento della cultura musicale, dei temi ambientali e del diritto/educazione civica.
    Studio di una lingua di immigrazione (arabo, rumeno o cinese) per facilitare integrazione multiculturale.
    Ridefinizione degli obiettivi di apprendimento, puntando ad un graduale passaggio dalla didattica per argomenti alla didattica per competenze e a quella centrata sui problemi.
    Conversione del modello di apprendimento dal tipo “riproduttivo” a quello “creativo”, più coerente con le esigenze della società della conoscenza e le forme della comunicazione orizzontale, collaborativa e di Rete.

    4. STRUTTURE

    Abbassamento limite massimo di alunni per classe a 25 unità, garantendo assistenza e sostegno a tutti i diversamente abili.
    Potenziamento e rinnovamento di laboratori scientifici, musicali, tecnici. Ampliamento delle biblioteche e mediateche di istituto.
    Superamento del concetto di classe (spazio chiuso) in funzione della prospettiva della scuola aperta e “senza pareti”.
    Accesso wireless garantito in tutti gli spazi della scuola e negli spazi pubblici inerenti o adiacenti alla scuola. Dotazione di computer connesso alla rete, proiettore e LIM in ogni spazio didattico.
    Adeguamento impianti sportivi e palestre e piano quinquennale di verifica sicurezza stabili e impianti.

    5. DIDATTICA

    Apertura delle “classi” ad una pluralità di esperienze didattiche con altri alunni dello stesso istituto e di altre scuole, con gemellaggio europeo o mediterraneo di ogni istituto, sviluppato e coltivato in rete.
    Scansione della giornata scolastica in tempo di lezione, tempo di laboratorio aperto, tempo di studio individuale e di gruppo interclasse.
    Valutazioni non solo individuali ma di gruppo, per incentivare lo stile collaborativo di studio e apprendimento, al fine di educare alla cooperazione e alla condivisione delle conoscenze, andando oltre la logica della competizione e della selezione individuale.
    Sviluppo della conoscenza come bene comune, superando l’idea del sapere come proprietà privata di chi distribuisce contenuti didattici. Abolizione libro di testo in adozione, e promozione della costruzione collaborativa, pluralistica e condivisa della conoscenza.
    Introduzione di strumenti digitali di rete per la didattica anche a distanza e in mobilità (elearning, e-portfolio, podcast didattici ecc).

  39. Scelgo di dire la mia opinione solo su due delle proposte, formulate da AGOSTINO QUADRINO. E’ totalmente irricevibile la proposta di ridurre da tredici anni a dodici anni la durata del corso di studi dalla Scuola primaria alla Scuola secondaria di secondo grado. Il sapere oggi è divenuto così ampio e così complesso che richiede non un accorciamento ma un consistente ALLUNGAMENTO della durata degli studi. Egualmente irricevibile è la proposta di portare a 25 il numero di alunni per classe. Ogni classe dovrebbe accogliere non più di 10 alunni.Formare gli alunni, seguendo un approccio individualizzato -come correttamente suggerì Edoardo CLAPAREDE- è un’impresa faticosissima. Già un gruppo di dieci alunni comporta un lavoro improbo.

  40. Ovviamente ciascuna delle proposte di Agostino Quadrino meriterebbe una lunga discussione.
    Ne scelgo solo due, e fra quelle che non condivido (altre mi trovano d’accordo).

    1)”Creazione di un profilo individuale dell’alunno da pubblicare online, dotato di indicazioni quantitative e qualitative sull’impegno e sui risultati, e della documentazione delle personali inclinazioni e qualità, con abolizione delle bocciature e del sistema dei crediti e debiti.”

    Una cosa del genere non solo m’inquieta, direi che mi terrorizza. E spero di non essere il solo a provare questo sentimento.
    In un mio commento precedente ho postato un link, lo incollo di nuovo qui: http://www.leparoleelecose.it/?p=13284 e aggiungo quest’altro ugualmente interessante, magari anche meno complesso e più breve: http://www.leparoleelecose.it/?p=12797

    Ci rendiamo conto che siamo di fronte a un’immensa opera di “esternalizzazione” e tecnicalizzazione della valutazione?
    Mi spiego. Il sistema tradizionale della bocciatura prevede che della valutazione si faccia carico un essere umano (l’insegnante), che si è “preso cura” di un altro essere umano (lo studente). Si puà sbagliare? Sì, si può. Siamo esseri umani. E’ ingiusto? Lo è.
    Ma con che cosa si pensa di sostituire questo imperfetto sistema?
    Oggi chiedere l’abolizione del sistema delle bocciature ha un valore completamente diverso dall’epoca, diciamo, di Don Milani, perché la bocciatura non verrà abolita, ma sostituita da altro.
    Quadrini ad esempio propone di sostituirla
    con un sistema di portfoli pubblici: cioè l’offerta delle proprie prestazioni erga omnes perché vengano valutate, la volontaria sottomissione al giudizio di un terzo, freddo, impersonale, distaccato, apparentemente oggettivo. Un terzo che non sai chi sia: certo non è più il tuo professore, che magari, sì, ti vuole male, ma più spesso ti vuole bene e si fa carico di te, in una relazione umana complessa e viva.

    Aggiungo che oggi, se la scuola rinuncia a valutare (e a trarre le spiacevoli conseguenze che la valutazione a volte comporta) ci pensano terzi a farlo in sua vece. Il sistema della certificazione delle competenze è in ascesa vertiginosa: per le competenze linguistiche ci sono enti appositi, per quelle di base, literacy e numeracy, c’è l’Invalsi, leggevo oggi che iniziano a certificare anche le competenze di latino…
    Si sta, senza che nemmeno ce ne rendiamo conto, espropriando la scuola di una funzione educativa, umana e delicatissima come quella della valutazione e la si sta dando in mano a terzi, alla tecnica, alla sua finta neutralità. Cui prodest?
    Quali sono le logiche profonde dell’onnipresenza e onnipervasività della categoria “valutazione” (connessa a quest’altra: “trasparenza”, magari dei portfoli pubblici) nella società odierna? Quanto noi stessi siamo disposti a soggiacere volontariamente a questa forma di controllo biopolitico?

    2) “Scansione della giornata scolastica in tempo di lezione, tempo di laboratorio aperto, tempo di studio individuale e di gruppo interclasse.”.

    Ormai la mentalità improntata alla razionalità organizzatrice ci pervade a tal punto da essere percepita come ovvia e naturale, nonché la più auspicabile.
    Tutto il nostro tempo deve essere scandito: persino il tempo libero è sempre più ossessivamente riempito di cose e attività. In questo caso, il tempo dello studio autonomo diventa tempo “concesso”, inquadrato in uno schema, casella riservata in un organigramma nevrotizzante.

    No, invece l’uomo ha bisogno di disorganizzazione (almeno di qualche spazio), di anarchia, di noia, di momenti di totale dispendio, in perdita, senza scopo.
    In termini meno astratti: non possiamo organizzare tutto il tempo dei ragazzi. Sono contro una scuola aperta mattina e pomeriggio, che diventa totalizzante.
    Le ore di attività programmate devono essere limitate: poi si stabiliscono delle cose che lo studente deve fare per la volta successiva, e in quel tempo “altro”, lui se le gestirà per i fatti suoi: a casa, al parco, col pc acceso su Facebook (peggio per lui), oppure deciderà di gestirsele facendo altro (buon per lui se l’attività alternativa è divertente e buon per lui se pur non studiando riuscirà a realizzarsi nella vita: chi lo può sapere).
    E’ meno razionale ed efficiente? Sì che lo è. Ma è umano.

    Saluti

  41. Mio figlio IV elementare in psicoterapia a causa di un’insegnante che di questi fantastici 95 punti manco ne conosce/condivide/applica il 5%…
    Grazie per questi temi sempre stimolanti!

  42. Carissimo collega Daniele Lo Vetere, dai tuoi interventi ricavo che hai una profonda sensibilità di EDUCATORE, accompagnata da un’agguerrita ATTREZZATURA IDEOLOGICA. Oggi da parte di pseudo-competenti si propongono modelli e tecniche educative “SPERSONALIZZANTI” e “DISUMANIZZANTI”. E’ il trionfo delle tecniche organizzative, elaborate dai pensatoi del padronato per coloro che lavorano nelle fabbriche. Sono tempi neri e infausti : è certo che gli UOMINI ne sapremo uscire, come è già avvenuto nel passato per tanti momenti di inabissamento. Il che accade perchè gli uomini sono creature viventi, che hanno cuore e mente, sentimento e ragione. Buon lavoro per te e per i tuoi alunni.

  43. Siamo sicuri che gli over-55, siano così vecchi e inadeguati? Lo dico contro i miei interessi. Quanti insegnanti, discutono e collaborano su web! Hanno adottato i 95 punti da tempo e dico tempo! Il problema vero è che i miei alunni sono passati da 20 a 47 in 4 anni e per fortuna che ho due insegnanti di sostegno coscienziose e preparate. Anche qui il rapporto è passato da 2 a 8. Eppure si fa, qualcosa si fa ed è possibile per i titoli e l’esperienza che abbiamo. I problemi sono: l’organizzazione, le strutture, nuove figure fisse all’interno delle scuole (Tecnici in primis, psicopedagogisti attivabili settimanalmente), aggiornamento costante e retribuito. Una guida sicura in tal senso dal MIUR, denaro per innovare. Con questo: non sono favorevole all’uscita a 67 anni, 60 andavano bene. Anticipare l’uscita in Europa serve, accorciare no.

    1. Grazie mille per le sue tesi, mi vorrei qui soffermare su un punto in particolare; i voti. Ho sempre sosetnuto da quando insegno alle superiori se sono ormai 20 anni che i voti, così come sono concepiti, compromettono la relazione studente-insegnante. Gli studenti si arroccano sulla media matematica, molti genitori, non tutti, si fanno vivi solo per una insufficienza, e così nel tempo si è persa la fondamentale valenza PEDAGOGICA di questo mestiere. L’apprendimento è un PROCESSO, sono super d’accordo, allora Lei che sicuramente ha più voce in capitolo visto che ormai gli insegnanti negli ultimi ventanni sono stati oggetto di una sistematica polemica (certo, come in tutti i lavori c’è chi fa più e chi meno… e questo è un problema nella scuola) … bene dicevo, perchè non va Lei a dire q quegli inocmpetenti del ministero che i voti così non servono, che bisognerebbe assumere gli insegnanti sulla loro preparazione e controllarne periodicamente la formazione, che i genitori non dovrebbero arrogarsi il diritto di fare il mestiere delgi altri … davvero, ci serve qualcuno che possa ridare credibilità alla ctegoria
      grazie

  44. ho pensato una volta e continuo a credere che un problema dei libri di testo oggi sia che facilitano troppo. Non stimolano la creatività perché sono “troppo perfetti”. Quanto sarebbe più divertente (e interessante) se non ci fossero i numeri sui capitoli e se questi fossero sparsi casualmente nel libro e se la sfida consistesse nel metterli nel giusto ordine? Si imparerebbe molto di più e molto meglio. Si vedrebbe il libro per quello che è: uno strumento che serve a capire il mondo, come i capitoli semplici servono a capire quelli complessi.

  45. Direi che vale anche per l’università, nonostante l’ovvia diversità nel sistema ridicolizzi il confronto. Alcuni insegnanti (forse un paio?) hanno saputo risvegliare la fame di soddisfare la curiosità – quella sana, non quella fine a se stessa – che avevo all’asilo e alle elementari. Per il resto: nozionismo, “arrangiati”, “te lo spiegherò male perché è difficile”. Forse dipende dalle facoltà (io frequento Lettere Moderne) ma non ne sarei troppo sicura.

  46. Vale sempre ciò che scrissi due anni fa.
    C’è stato un tempo in cui dalla scuola partivano sollecitazioni per grandi cambiamenti nella società. Speriamo che ciò riaccada *_*

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