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Expo 2015: che cosa mai vuol dire nutrire il pianeta?

Il Corriere della Sera titola in prima pagina Coraggio e creatività per Milano. Seguono oltre ottomila battute per dire, nell’ordine, che: l’imperativo è salvare l’Expo. “Allarme Milano” deve diventare “speranza Milano”. Bisogna tradurre i progetti in azione. Ci vuole un “momento collettivo” per mobilitare “le energie migliori dell’Italia che ce la fa”. Serve qualcosa di positivo. E (non poteva mancare) ci vuole “un appello ai giovani”. Perché (e come no?) “bisogna fare quadrato”.
Leggo, e mi viene il mal di mare.

Tra un’esortazione e l’altra, le ottomila e più battute citano, in ordine sparso: un convegno prossimo venturo. Una settimana europea del paesaggio. La funivia per salire sul Duomo. Il recupero di una piscina abbandonata. Una “traversata nel deserto con tante idee per cambiare Milano”. Per carità: egregie iniziative. Però.

È stata una delle voci più autorevoli del dibattito politico nazionale, l’energico comico genovese che non guarda in faccia a nessuno e dice le cose come stanno (sto ovviamente parlando di Maurizio Crozza), a porre, finalmente, la domanda che tutti dovrebbero farsi: a che cosa serve l’Expo? Aggiunge il saggio Crozza: di altri eventi, lo scopo si capisce. Ma che cosa mai vuol dire nutrire il pianeta?

La domanda è semplice. Ma le sconclusionate tracce di Expo che già affiorano dal caos suggeriscono l’assenza di risposte coerenti. C’è l’estroversa mascotte disneyana fatta di frutta e verdura, che niente c’entra con un logo tutto spigoli e complessità (uno specchio di luce e di vita!), che niente c’entra coi due grevi accrocchi metallici spuntati, ahimé, davanti a piazza Castello (una sorta di teaser della programmazione ventura!), che niente c’entrano col mercatino retrostante (tra le offerte: birre artigianali e telerie per la casa, confetti di Sulmona, sciarpe del Milan), che niente c’entrano col calendario degli eventi targati Expo.

Dopo diversi clic, districandomi tra pagine web luccicanti come vetrine di Natale, arrivo a Calendario maggio 2014. Dentro ci sono sì cose interessanti sul cibo, ma anche roba ugualmente pregevole che non c’entra neanche di striscio: dalla tre giorni di pianoforte al festival del tango, dalla violenza sulle donne alla mostra di Bernardino Luini, all’agenda digitale, all’animazione per bambini con bolle di sapone, alla gara di canoa e al rugby nei parchi. Di nuovo: qual è il senso?

Lavoce.info parla di ubriacatura retorica collettiva, aggravata da stime economiche azzardate: passata la sbronza, c’è il rischio di accorgersi di essersi fatti male.
Non discuto delle stime economiche – non è il mio ambito di competenza – ma a parte quelle, che forse andrebbero sobriamente riviste, l’Expo potrebbe sviluppare un valore, immateriale sì ma importante, se aiutasse Milano a riappropriarsi di una capacità di progettare svanita da oltre vent’anni.

Progettare, però, è qualcosa di diverso dall’ammucchiare. E le persone brave ed entusiaste che oggi lavorano per Expo lo farebbero con efficacia maggiore disponendo di criteri congruenti ed espliciti a tutti. Dunque, torniamo al punto: che cavolo può voler dire “nutrire il pianeta”?

“Nutrire il pianeta” non è un’etichetta o l’insegna di una vetrina in cui cacciare qualsiasi offerta. Potrebbe diventare un progetto, se avesse una struttura capace di ordinare proposte dando loro una prospettiva.

Se fossi la Fatina delle Cause Rischiose, con un colpo di bacchetta proverei a rendere leggibile Expo mettendo a sistema codici, iniziative e proposte attorno a parole-chiave che chiariscono il concetto di “nutrire” traducendolo in azioni positive.

Per esempio: “nutrire” significa rafforzare (le pratiche colturali e alimentari virtuose. I nuovi orientamenti al biologico. La consapevolezza del legame tra cibo e salute…). Significa rispettare (la biodiversità e il suolo. Gli animali, anche quelli d’allevamento. Le diverse tradizioni alimentari…). Significa risanare (le terre inquinate. Le terre di mafia. Le terre desertificate…).

Significa sfamare (gli indigenti del terzo mondo e gli emarginati del primo. Scolari e anziani in modo sano…). Significa mettere a frutto (il cibo oggi sprecato. Le competenze agricole tradizionali.  L’energia dei nuovi giovani agricoltori…). Significa educare (alla sostenibilità. Alla convivenza. All’interconnessione e alla complessità. Al pensiero critico e alla lettura…). Significa accogliere (turisti. Altre tradizioni e culture…). Significa condividere (conoscenze e competenze. Risorse. Buone pratiche…).

Questa roba si chiama “format”: ce l’hanno le serie televisive e le grandi catene di distribuzione, i giornali e i programmi radio, le campagne pubblicitarie, i videogame, i siti web e Wikipedia. Un format non è altro che la struttura logica che aiuta a leggere un evento o una narrazione, orientandosi e cavandone un senso.

E, tra l’altro: non è che lo dico adesso perché mi sono svegliata di malumore. Ne ho parlato nel lontano 2009, davanti a un Formigoni tutto arancione e a una Letizia Moratti tutta beige. Il video è rovinato (se cliccate un po’ di volte, comunque, parte) ma l’audio si sente abbastanza. E qui c’è il testo dell’intervento: tutto nei quattro minuti previsti. Ah, tra l’altro parlavo anche di difficoltà nel garantire la trasparenza delle scelte.

Questo post esce anche su internazionale.it

10 risposte

  1. ma come mi trovi d’accordo! Sarei anche più talebana…intanto non può essere che una cosa che si titola “nutrire il pianeta” diventi una scavallata enogastronomica delle nostre prelibatezze alla facciazza di chi crepa di fame. Non lo vedrei davvero come un inno al cibo, ma se mai come un’educazione più vasta che sappia includere gli esclusi, ovvero quei 5 miliardi di disperati e molto affamati (di tutto, non di solo pane) che sono la popolazione mondiale.

  2. Quando le decisioni circa gli spazi, i contenitori e tutto quanto c’è intorno erano già state prese, il suggerimento su cosa metterci dentro era venuto da Carlo Petrini, il quale però, dopo aver visto cos’è in realtà Expo 2015, mi pare abbia rinunciato ad ogni sua collaborazione, affermando che l’Expo lui la fa già da dieci anni e si chiama Terra Madre. In quanto a nutrire il pianeta ci pensa già la FAO nei modi geneticamente modificati, brevettati e monsantiani che sappiamo.
    Ora, quello che Annamaria Testa descrive giustamente come ciò che dovrebbe essere il format, richiede un cambio di paradigma economico (descritto ad esempio nell’ultimo libro dell’economista Mauro Bonaiuti “La grande transizione” edito da Bollati-Boringhieri) al di fuori di ogni capacità di comprensione da parte dei Nostri che sono da tempo arrivati e bivaccano sulle macerie.
    Ciò che invece è totalmente nelle corde e negli interessi di quanti hanno operato per avere l’Expo a Milano è ciò che si è reso manifesto con gli interventi della Magistratura. Quello che è mancato da parte nostra, degli italiani, è stato lo stupore. Nessuno si è stupito o ha mostrato incredulità. Tutto, e anche tutto quel pasticcio sconclusionato finora realizzato, era nelle premesse e nelle aspettative. Nutrire il pianeta? Si potrebbe cominciare con i più prossimi e famelici, devono aver pensato.
    Sono ormai convinto che, al di la di ogni affermazione di buoni propositi, qual’è nutrire il pianeta, sia necessario ricondurre le iniziative come l’Expo alle sue originali motivazioni, in larga misura indicibili.
    L’Expo è una grande opera a scadenza. Da un lato abbiamo grandi opere senza tempo che hanno portato alla salernoreggiocalabrizzazione di un numero notevole di cantieri d’ogni dimensione, dall’altra abbiamo cantieri che garantiscono ritorni certi in tempi certi, come ad esempio le Olimpiadi invernali di Torino 2006. Le previsioni circa l’esito fallimentare del loro ritorno economico erano già chiarissime anni prima ma questa consapevolezza non ha impedito le peggiori nefandezze, gli sperperi, la devastazione del territorio. Le nuove abitazioni del villaggio olimpico (area ex mercati generali) sono fatiscenti, dopo sei anni non sono abitabili, restaurare il cemento depotenziato non è buona cosa, probabilmente saranno demolite. Chi volesse fare un giro dalle parti di Pragelato potrebbe invece ammirare lo stato dei trampolini o delle piste di bob… e si potrebbe continuare.
    Dove interviene il malaffare primigenio, origine di tutte le expo, le tav, i mose…? Quando si fanno i preventivi dei costi di opere pubbliche di queste dimensioni si tiene conto, fra l’altro, delle misure di sicurezza per cui neppure un chiodo in una scarpa dell’ultimo manovale è possibile che accada. Quindi il costo medio orario di ogni lavoratore è stimato oltre gli 80 euro e prossimo ai 150. Se non che il sistema dei sub-sub-appalti determina che chi esegue realmente il lavoro ne prenda 5 di euro, possibilmente in nero. L’impresa capofila si limita a gestire gli acquisti, distribuire mazzette (e non solo quelle di ferro, col manico) e a subappaltare. Risultato: costruzione del Tav, tratto Novara-Chivasso (TO-MI), sei morti in incidenti sul lavoro, uno ogni 12 chilometri. Tre dei lavoratori erano clandestini che lavoravano in nero e che non avrebbero in alcun caso essere lì. Un caso? Tratto Bologna-Firenze dell’alta velocità: altri 6 morti. E se ci sono 6 morti è perché si verificano almeno 12 feriti gravissimi, 24 gravi, 48 medi… insomma, se c’è stato uno che non si almeno pestato un’unghia è un miracolo.
    Cantiere dell’inceneritore del Gerbido (Torino): tre morti volati dalle impalcature fra i lavoratori avventizi delle ditte subappaltanti. Queste sono le grandi opere pubbliche. Sempre a Torino, ma cantiere privato del grattacelo Sanpaolo, progettato da Renzo Piano e molto più intrinsecamente pericoloso di un inceneritore: zero incidenti. I morti sul lavoro hanno chiuso i loro occhi ma hanno avuto almeno il pregio di aprire i miei e di farmi capire. La ragione ultima che collega le persone che muoiono sul lavoro all’ignobile crenatura della headline nei poster del PD -povero Bersani- è sempre la stessa. Nutrire il pianeta? Ma contatela a un’altro.

  3. Che bello questo articolo, Annamaria! Stavo aspettando una tua osservazione su Expo, sapevo che sarebbe stata lucida e argomentata, come sempre ma ancor di più, essendo coinvolta la tua città.
    Attualmente lavoro presso un’associazione che ha come finalità la tutela e l’incremento delle relazioni economiche tra l’Italia e le Francia, e spesso i miei interlocutori sono le istituzioni regionali francesi,che mi chiedono, tra le altre cose, come fare strutturare la loro presenza su Expo2015, e cosa stiano facendo gli organizzatori.
    La realtà è confusa, oltre che oscura per alcuni versi, ma quel che è certo è che il progetto ed il tema dell’esposizione universale potrebbero essere sviluppati per ottenere un dibattito e delle risposte di grandissima importanza e attualità.
    Spero si possa fare di più che stare ad osservare o cercare di barcamenarsi nel marasma di informazioni e notizie che arrivano sul grande evento dell’anno prossimo.
    Intanto adesso mi nutro dei link che hai inserito qui: hai visto mai che riuscirò a tirare le fila del discorso e trovare una risposta da dare ai francesi. Grazie! 🙂

  4. Come sempre qualcuno dirà che è troppo facile criticare … dopo.

    Sì, è mancato lo stupore … ma credo sia mancato molto altro …

    Lo ammetto, per mie colpe non ho ancora capito cosa davvero sia Expo2015 e quale sia lo scopo di tutto ciò nei confronti del futuro, nostro e del territorio.

    Ma non credo di essere l’unico a chiedersi cosa sia realmente EXPO 2015?

    Tanti slogan (posti di lavoro in primis), ma cosa rimarrà realmente dopo?

    Solo cemento?
    Speriamo di no …

    E’ mancato lo stupore nel presente e ancora una volta il conto lo pagheremo probabilmente nel futuro.

    Nutrire il pianeta?
    Slogan bello e affascinante, se fosse stato reale … molto meglio però sarebbe stato NUTRIRE IL FUTURO … per davvero.

    1. (Faccio mia la frase: non sono stato sintetico e mi sono dilungato perché ero di fretta). Intendevo dire che lo stupore che non si è manifestato è quello circa le ruberie, le mazzette, il malaffare. Nessuno si è stupito del ritorno dei vari Greganti, della mafia e della camorra, mentre molti si sarebbero meravigliati del contrario.
      Queste opere -è la mia conclusione- si fanno per rubare, a qualunque costo, anche a costo dei morti sul lavoro, quindi si ci caccia dentro la prima idea a caso, seguita da altre mille altrettanto sconclusionate (basta vedere anche il sito qui di seguito segnalato)…

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