paura del nuovo

Chi ha paura del nuovo? – Idee 133

Nuovo è un aggettivo incantatore: rende attraente ogni sostantivo. Nuovo è fresco, giovane, moderno, intatto, vitale e trabocca di promesse. Appare (salvo rari casi: “una nuova seccatura”) bello e migliore. Nuovo fa notizia. Ha un valore commerciale a cui il vecchio non può ambire, se non come antico e raro. In forma di sostantivo è un miraggio circonfuso di un’aura sognante e luminosa. Del resto, è ciò che è nuovo (o capace di rinnovarsi) a far girare il mondo, e sono le idee nuove a cambiarlo. Ma nuovo ha in sé la propria nemesi: invecchia subito. Sfuggirà all’oblio solo a patto di risultare, secondo il paradigma della creatività, anche appropriato, efficace, consistente. Utile, insomma.
Quella che avete appena letto è la definizione del lemma “nuovo” che ho preparato, nelle 700 battute prescritte, per le definizioni d’autore del dizionario Zingarelli 2015. Ma ora Ilaria mi scrive chiedendo: il diverso/il cambiamento/il nuovo. Perché ci fanno paura?
Bella domanda. Per provare a rispondere ho bisogno di aggiungere diverse righe al testo che ho incollato sopra.

Paura del nuovo. Si chiama kainofobia (dal greco καινός, che significa nuovo, fresco, insolito, e φόβος, paura) o, più semplicemente, neofobia (dal greco νέος, nuovo, e φόβος, paura). Indica il timore per tutto ciò (concetti, situazioni, persone, oggetti, processi, alimenti) con cui non abbiamo familiarità. Ciò che è nuovo può essere rischioso, e non possiamo sapere quanto. Quindi, non abbiamo paura del nuovo come tale, ma delle sue imprevedibili conseguenze, compresa la perdita di qualcosa di vecchio (e positivo, confortante e rassicurante).
Possono essere neofobici i bambini perché il mondo intero, per loro, è sconosciuto e, non dimentichiamolo, gigantesco e fuori misura. Ma una dose di neofobia appartiene anche agli anziani: l’attitudine esplorativa che, da giovani, è comune sia agli esseri umani sia a molti animali superiori, tende a ridursi con il crescere dell’età (dunque, se volete continuare non a sentirvi ma a essere giovani, non smettete mai di esplorare).

paura del nuovo

Paura dei nuovi cibi. Una delle forme di neofobia più diffuse riguarda proprio gli alimenti e insorge nei piccoli tra i due e i sette anni. Il Telegraph suggerisce ai genitori di avere pazienza, perché la neofobia alimentare infantile è connessa con primitive strategie di sopravvivenza della specie: il gusto delle verdure, per esempio, ha una componente amara che i nostri antenati associavano al cibo potenzialmente velenoso. Se l’argomento dello sviluppo del gusto vi appassiona, qui c’è una piccola, interessante pubblicazione di Slowfood.

Paura della modernità. Condividete anche voi i diffusi timori riguardanti la velocità, l’eccesso di informazione, il gusto della novità per la novità e la conseguente perdita di capacità e conoscenze pregresse? Bene: siete in ottima compagnia. Ma la cosa curiosa – scrive il Guardian – è che nella compagnia ci sono pensatori del passato prossimo e remoto: come non temere le macchine a vapore, le diavolerie della meccanizzazione, gli inganni del cinematografo, gli aeroplani? Come, (e qui siamo nel ‘600) non temere gli effetti deleteri delle nuove botteghe del caffè sulle giovani generazioni? Non c’è niente di così vecchio come la preoccupazione per la modernità, conclude il Guardian. Appunto: ciascun periodo è “moderno” per la generazione che, preoccupandosene, lo vive. E, ricordiamolo, nel Fedro Platone mostra un Socrate diffidente nei confronti di quell’astruseria moderna che era la parola scritta. Le argomentazioni sono peraltro piuttosto convincenti.

Paura del cambiamento. Le persone non solo temono il cambiamento, ma sono inconsapevolmente convinte che, se si è sempre fatto in un certo modo, quello dev’essere per forza il modo migliore. E non solo: più a lungo si è fatto in quel modo, meglio è. Huffington Post cita una serie di curiosi esperimenti. Per esempio, il favore nei confronti dell’agopuntura cresce di più dopo la notizia che si tratta di una disciplina vecchia di 2000 anni, e di meno se viene detto che è stata inventata 250 anni fa. Il medesimo cioccolato è giudicato più buono se si comunica che è in produzione da 73 anni, e meno buono se gli anni sono solo 3.

paura del nuovo

Paura delle nuove esperienze. Alex Lickerman, medico, sulle pagine di Psychology Today dichiara senza reticenze che le novità non gli piacciono per niente e che ritiene di essere molto affidabile proprio perché ama la routine disciplinata. Tuttavia, dopo qualche riga, ammette che in realtà tutto ciò deriva dal fatto che lui teme le conseguenze di ciò che non conosce, e che arriva ad avere paura più di un esito ignoto che di un esito noto e sicuramente negativo. Conclude con la ricetta che si è autoprescritto per costringersi ad affrontare le novità: ricordarsi che il nuovo richiede coraggio, e che sentirsi coraggiosi fa bene. Ricordarsi che le novità possono anche essere positive e gradevoli. Ricordarsi che le novità cancellano la noia e che aiutano a crescere, a credere in se stessi e a migliorare le proprie idee.

Le immagini: sono un illustrazioni di Boris Artzybasheff. Questo articolo esce in versione ridotta su internazionale.it. Se vi è piaciuto potreste leggere anche: Gestire le emozioni

7 risposte

  1. Bella risposta Annamaria, grazie 🙂
    Aggiungo un pensiero legato all’attualità: succede anche che “travestiamo di nuovo” concetti che nuovi non sono. Sto seguendo da vicino il tema dei “gender” che sta terrorizzando genitori apprensivi e mettendo in crisi presidi e insegnanti: http://bit.ly/1SbyeM7
    Ma i cosiddetti “gender studies” risalgono agli anni ’70. Possibile che queste mamme veronesi si stiano facendo spaventare da qualcosa che è entrato a far parte del nostro orizzonte cognitivo da circa 40 anni (quando, a loro volta, sedevano tra i banchi di scuola)?

  2. Tutto ciò che non conosciamo o che non possiamo controllare crea in noi delle incertezze, generate dalla mancanza di informazioni.

    Riprendo il quesito di Ilaria: diverso/cambiamento/nuovo. Perché ci fanno paura?

    Personalmente assocerei “diverso/cambiamento/nuovo” a questi termini:

    – FUTURO,
    – INCERTEZZA,
    – PAURA,
    – DECISIONE,
    – RISCHIO.

    Quanta paura abbiamo del futuro? E perché lo temiamo così tanto?

    Il futuro è IGNOTO, non si lascia anticipare e dipende dalle decisioni che prendiamo nel presente.

    Decidere OGGI il nostro FUTURO significa assumersi un RISCHIO (avrò preso la decisione giusta?) e questo genera molta INCERTEZZA e PAURA.

    Sembra strano, ma è proprio questa INCERTEZZA/PAURA, questa mancanza di informazioni, che ci spinge a DECIDERE (a correre un rischio. Anche il NON decidere è un rischio …).

    Il termine RISCHIO compare introno al 1300, legato al comparto mercantile ed ai primi contratti assicurativi tra mercanti.

    Le Scienze sociali attribuiscono il termine RISCHIO al Sistema (decisioni dell’uomo) e lo distinguono dal PERICOLO, attribuito all’Ambiente (eventi naturali – es. meteorite).

    Dobbiamo accettare di CONVIVERE con la POSSIBILITA’ DI RISCHI CATASTROFICI, consapevoli però che l’eccessivo ALLARMISMO non risolve le cause del problema ma crea rischio aggiunto: maggiore ALLARMISMO.

    A causa dell’incertezza del futuro, la Società (e non le macchine) genera PREOCCUPAZIONE (PAURA) e la combatte con una grande ILLUSIONE: un AUMENTO della SICUREZZA coincide con una RIDUZIONE dei RISCHI.

    Le assicurazioni, ad esempio, NON vendono sicurezza (se mi assicuro NON evito l’incidente … purtroppo) ma lucrano sulle incertezze che abbiamo sul nostro futuro : Se perdo la valigia? Se mi cade lo smartphone?
    Se non riesco a partire per la vacanza? Se mi faccio molto male?, ecc …

    La mia è una breve e semplice e riassuntiva riflessione personale del testo “Il rischio dell’assicurazione contro i pericoli”( N.Luhmann).

    Ne ho accennato qui con relativa mappa mentale: http://wp.me/pYL2M-df

  3. Altro termine da associare a “nuovo” è “responsabilità”, vale a dire la capacità di rispondere delle conseguenze delle nostre idee e delle nostre azioni. Per questo quando entriamo proattivamente nel “nuovo”, cercare di capire dove il nuovo che proponiamo è… proponibile dipende dal grado di responsabilità di ciascuno. E questo vale per tutto e per tutti. Anche, ad esempio, per gli artisti. Come ammoniva N. Gordimer, la responsabilità è ciò che ci attende al di fuori del giardino della creatività.

  4. Da sempre ciò che è nuovo spaventa.

    Le culture orali (prive di scrittura) vedevano nella scrittura, nei testi e nella stampa una novità estremamente pericolosa.
    Platone sosteneva che la scrittura avrebbe portato a perdere la memoria, ma per farcelo sapere lo ha dovuto scrivere … la paura non era però immotivata.

    Esempio: i cantori del tempo non inventano nulla, ripetevano ed assemblavano detti, proverbi e frasi fatte, accompagnando il tutto con musiche (per favorire la memorizzazione) ed adeguando ritmo e parole al contesto.

    I cantori che imparavano a scrivere non erano più in grado di narrare i loro racconti come prima; questa fu la prima dimostrazione che, una volta abbandonata la cultura orale a favore di quella chirografica, è impossibile rientrarvi.

    La scrittura, la stampa, i libri furono considerate novità pericolose, così come nel recente passato (ma anche oggi) lo sono internet, il web, i social.

    In questa “industria culturale”, dove tutto diventa merce ed è orientato ad unico fine (produrre profitto e ricchezza), tutto ciò che è nuovo viene visto come pericoloso ed eversivo.

    La novità vera potrebbe essere la “creatività individuale” anche se, in questa industria culturale, una libertà illusoria condanna il singolo ad essere guidato al consumo, in un contesto dove le scelte sono imposte (dai media) ed i conflitti sono risolti spesso con una adesione acritica.
    (“Oralità e scrittura” – Walter J. Ong)

    “Ong” mi ha riportato alla mente il simpatico cartone animato “I CROODS”, una famiglia di cavernicoli dove il padre-capofamiglia, sentendo la parola NUOVO, ripeteva sempre la stessa scena: “NUOVO ??? NUOVO ???? NUOVO è pericoloso !!!!! Tutti al riparo nella caverna !!!!”

    Il tempo passa ma, in fondo in fondo, restiamo dei simpatici cavernicoli impauriti 😉

  5. Da un po’ di tempo lavoro all’integrazione di due società. Da subito ho dovuto affrontare il tema del cambiamento perché la stragrande maggioranza delle persone è andata in fibrillazione. La prima cosa sulla quale ho voluto lavorare è il tema dell’interculturalità, perché due aziende hanno due culture diverse, e qualcuno ha pensato che così facendo non contribuivo all’integrazione. Per un anno mi sono spaccata la testa e poi ho capito che chi non riconosce la diversità è perché ha molta paura di cambiare. Sono andata avanti e ho iniziato a parlare di change management, e ancora qualcuno era scettico, ma bisogna offrire ai colleghi la rassicurazione che i valori che ciascuno si porta dentro vanno individuati e condivisi ma che è anche necessario trovare nuove strade per raggiungere nuovi obiettivi. Lickerman ha individuato una giusta prospettiva: cercare le novità con coraggio aiuta a crescere. Ciascuno di noi si costruisce aree di comfort e mi sono sorpresa nel vedere quanto la difficoltà ad uscirne non dipendesse dall’età ma dalla cultura. …e quindi là si torna e con pazienza si ricomincia.

  6. Da parecchio tempo tento un commento alla tua nota, Annamaria. Mi mancava qualcosa nel tuo ragionamento: la PAURA come punto di partenza.

    Io penso che tentare di definire la PAURA sia importante. Personalmente ho due riferimenti: Zigmunt Bauman e Vittorino Andreoli. 

    Del primo la pubblicazione “Paura Liquida”, – Editori Laterza 2006 mi pare imprescindibile. 

    Di Andreoli ricordo la relazione in un ottimo convegno di 20 anni fa, organizzato dall’Enea “Pericoli e paure. La percezione del rischio tra allarmismo e disinformazione” a cui partecipai e da cui trassi spunti per la formazione. 
    Ricordo le tre forme di reazione alla paura che Andreoli descrisse: la fuga, l’attacco e l’angoscia paralizzante. Sono un suo pensiero ricorrente anche nelle recenti pubblicazioni.

    Grazie per le tue preziose note *_*

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