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La creatività tra volere, potere, sapere, dovere – Metodo 72

Riprendo volentieri il discorso su creatività e ostacoli: ha suscitato interesse, diverse questioni e un buon dibattito in rete. Tutto questo mi convince a rendere esplicito ciò che mi sembrava tanto chiaro da poter restare implicito.
Per dirla in parole semplici: regole, limiti e vincoli, ostacoli e barriere incoraggiano sì la nostra creatività, ma lo fanno nella misura in cui ciascuno di noi soggettivamente ritiene non solo di poterli e saperli superare, ma anche di volerli, o doverli, superare.
Sta proprio qui il nodo che intreccia inestricabilmente creatività, competenze, carattere.

QUEL CHE RIVELANO I VERBI MODALI. Credo che tutto giri attorno all’aggettivo “soggettivamente” e a questi quattro verbi: potere, sapere, volere, dovere. La grammatica li chiama verbi servili o modali: “servono” il verbo che li segue all’infinito.  Ed esplicitano la modalità in cui viene compiuta (o omessa) l’azione che il verbo esprime.
È molto più che una questione di sfumature linguistiche: c’entra, per esempio, con l’essere convinti di potere o non potere affrontare un problema. Se li riferiamo a noi stessi e a quanto produciamo, scegliere di usare l’uno o l’altro di questi verbi, al positivo o al negativo, può diventare quasi una questione di vibrazioni dell’anima.
Facciamo una piccola prova: come cambia il modo in cui percepiamo  un qualsiasi compito, se ci pensiamo in termini di posso, oppure voglio, oppure devo, oppure so… (per esempio) inventare una storia, risolvere un problema, sfidare un pregiudizio, scoprire una verità, e così via?

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CARATTERE E COMPETENZE. Ecco: soggettivamente ciascuno di noi ritiene di sapere (o non sapere), di potere (o non potere) di volere (o non volere), e infine di dovere (o non dovere) accettare sfide, correre rischi e superare limiti. Dunque non tutti gli ostacoli, i vincoli eccetera offrono uguale impulso e direzione alla creatività di tutti, e il tema non è il limite in sé, ma la nostra percezione del limite.

Ostacoli che a qualcuno o a moltissimi sembrano invalicabili, problemi inaffrontabili per altri, possono invece essere sfidati da persone più coraggiose e tenaci (e qui è questione di carattere), più preparate e sapienti (e qui è questione di competenze).

QUALI LIMITI E QUALI BARRIERE. Si può trattare di limiti fisici: pensiamo a Wilma Rudolph, colpita da piccola dalla poliomelite e tre volte medaglia d’oro alle Olimpiadi per la corsa. Ho ricordato la sua storia qui.
Possono essere rischiose e tragiche barriere di tipo politico o sociale: pensate a Boris Pasternak, che non ritira il Nobel vinto per Il dottor Zivago perché non potrebbe rientrare in Russia dove comunque viene perseguitato, o a Nelson Mandela.
Possono essere plumbee barriere di ottusità, sicumera, conservatorismo corporativo e pregiudizio: nel mio personale pantheon degli eroi creativi c’è Ignác Fülöp Semmelweis, il medico ungherese che scopre l’origine della febbre puerperale, quella che falcidia le partorienti nell’ospedale di Vienna in cui lui lavora a metà Ottocento.
Semmelweis studia ossessivamente la questione per anni e infine (due decenni prima che Pasteur scopra l’esistenza dei batteri!) si rende conto di un fatto quasi inconcepibile: le partorienti vengono infettate dai medici stessi, che le visitano dopo aver sezionato cadaveri. Li obbliga a lavarsi le mani con cloruro di calce. Le morti si riducono a un decimo. Ma i colleghi di Semmelweis e la comunità scientifica dell’epoca si risentono e lui viene cacciato. Morirà in manicomio. Oggi viene definito il Salvatore delle madri.
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GRANDI E PICCOLE SFIDE. Per quanto mi riguarda, so benissimo di non avere certo né la mente di Hawking (che ha oltretutto sfidato ben più di un limite) né la tenacia della Rudolph, il coraggio di Pasternak o di Mandela, l’incrollabile ostinazione di Semmelweis.
Vivo in un mondo tutto sommato morbido, nonostante le ineliminabili seccature.
Ma ci sono sfide, infinitamente meno rilevanti e più contenute, che comunque posso e so affrontare. E, ogni tanto, ce n’è perfino qualcuna che sento di “dover” affrontare. So bene che la dimensione della sfida che affronto coincide esattamente con l’estensione del mio, chiamiamolo così, volo creativo.
Per fortuna, so altrettanto bene che tra creatività straordinaria, quella dei geni e degli eroi delle idee, e creatività quotidiana (quella che esprimiamo ogni giorno risolvendo problemi) c’è un continuum. E so che a rivoluzionare il mondo è la creatività straordinaria, ma a renderlo più piacevole e interessante è (anche) la creatività quotidiana. La quale, tuttavia, chiede comunque ogni giorno, a tutti noi, il suo pedaggio di dedizione, di tenacia e di competenza.
Dunque, volendo almeno svolazzare nei dintorni, non ci resta che pagarlo, il pedaggio. E senza pigolare.

Le immagini di questo articolo sono di Robert e Shana Parkeharrison.

13 risposte

  1. Mi hai fatto venire in mente questo antico precetto:
    “Niuna impresa per minima che sia può avere cominciamento e fine sanza queste tre cose, e cioè sanza sapere, sanza potere, sanza con amore volere” (anonimo fiorentino del 1300).
    Sempre interessante qui.
    Un saluto

    1. Vera. C’è un mio amico che si chiama Primatesta. Tante mattine m’alzo senza sapere perché e ricomincio da capo e solo dopo un po’ capisco che ‘da capo’ vuol dire dall’inizio e non col potere del capo. Tante volte faccio male a qualcuno perché sta tranquillo sulla strada che faccio io e, guarda un po’, quella è pure la sua solo che lui ci sta fermo mentre io la seguo. Se la seguo la scopro e prende freddo e per questo d’inverno non mi ringrazia.

  2. L’energia creativa che emerge di fronte problemi, ostacoli o desideri è sempre stata la propulsione per il progresso, ovviamente un’evoluzione positiva se la creatività è indirizzata al servizio dei “molti”.
    Molte filosofie, tra cui il buddismo danno a questa energia creativa una funzione fondamentale.
    Argomento molto interessante e oggettivamente rilevante da affrontare in questo periodo storico, sociale e umanamente fragile.
    Grazie !
    Cris

  3. Mi è venuto in mente un libricino che lessi all’università (allora lo considerai un gioiellino, ma sono un po’ cambiata in questi dieci anni): Il dottor Semmelweis, di Céline. Un outsider che racconta un outsider, due creativi (ognuno a modo suo), due medici, due infelici.

  4. Confortante conferma del legame fra la pratica e la grammatica,tanto stretto quanto la percezione soggettiva dei verbi servili. Vagheggiando una rivisitazione di “Paura di volare” con uno spettro un po’ più ampio del fortunato volume degli anni Settanta, non rifuggiremo dal dovere di guadagnarci il nostro piccolo spazio nel cielo della creatività ordinaria. Niente dotti voli pindarici e niente prosaici blu dipinti di blu, ma la fatica quotidiana di chi prova a volare con i piedi per terra, di chi ha il coraggio di immaginarsi nei panni di una gallina che vuole trovare il modo di dare il meglio con le sue goffe ali, senza più poter pigolare e senza emettere altri strani suoni. (A proposito, il verso della gallina? La rete mi dice “chiocciare”…..) Toppo interessante e da approfondire la storia di Ignác Fülöp Semmelweis. .

  5. Mi capita da qualche anno di tenere laboratori di scrittura nelle scuole. Quando arriva il momento di parlare di “paletti” da rispettare (nel caso di bambini e ragazzi ad esempio la consegna di un tema) racconto una storia, a quanto pare vera, che mi capitò di leggere tempo fa: a un giovane pittore viene diagnosticata una malattia neurologica che col passare del tempo gli causa tremori continui, tanto da rendergli impossibile perfino il tracciare una linea retta. Il pittore quindi smette di dipingere e presto cade in depressione. Per fortuna viene assistito da una brava specialista, che gli suggerisce di vedere la malattia non come limite, ma come sfida, opportunità. Poco alla volta il pittore riprende a creare, senza combattere il tremore, piuttosto assecondandolo. Il risultato è uno stile peculiare, e anche molto apprezzato.

  6. Personalmente cambiando il verbo , cambia proprio la percezione di ciò che devo affrontare e questo mi piace, perché così “so” affrontare anche le “seccature” in modo interessante!

  7. Grande Annamaria, come al solito sai pizzicare le corde della nostra creatività con dedizione, tenacia e competenza. Un esempio per noi poveri comunicatori che veniamo dal 20mo secolo.

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