c'è un problema

C’è un problema? Calma e gesso – Metodo 29

Dunque: immaginate che un tizio abbia un problema. La cosa giusta da fare è cercare subito una soluzione, no?
In realtà, e nonostante le apparenze, la risposta è “non proprio”. Prima, conviene capire com’è fatto il problema (per esempio: molti problemi hanno una sola soluzione possibile, ma molti altri ne hanno molte, diversamente possibili. E già questo fa qualche differenza). E, prima ancora, conviene capire se il problema è proprio quello lì. O se, magari, quello che sembra essere “il” problema non è che la conseguenza di qualcos’altro (allora, per trovare una soluzione efficace, conviene ragionare direttamente su quel qualcos’altro).

COME AFFRONTARE UN PROBLEMA. Joseph Rossman, già nel 1931 e in in testo intitolato The Psychology of the inventor, stila un (citatissimo) elenco di passaggi da farsi per affrontare un problema.
1. Osservazione della difficoltà
2. Formulazione del problema
3. Revisione delle informazioni disponibili
4. Formulazione di soluzioni
5. Esame critico delle soluzioni
6. Formulazione di nuove idee
7. Sperimentazione e accettazione della soluzione

IL VERO PUNTO CRITICO. Il punto più critico dell’elenco è proprio il secondo. Se non ci state sopra un po’, rischiate di buttar via un sacco di lavoro (è un classico errore da pivelli entusiasti. Le vecchie volpi spesso arrivano prima alla soluzione proprio perché partono più lentamente e con maggior cautela).
Prendere sul serio il punto 2) significa farsi una quantità di domande. Di quali elementi è fatto il problema? Ci sono elementi che lo fanno diventare più o meno rilevante? Se il problema avesse una forma o una struttura, quale sarebbe? Lo si può dividere in sotto-problemi, magari individuando obiettivi intermedi? Tutti i dati necessari sono disponibili, o ce n’è qualcuno, magari nascosto, che conviene cercare o approfondire? E così via.
E soprattutto: qualcun altro ha già avuto a che fare con problemi simili, magari in un ambito del tutto diverso, e ha trovato una soluzione?
Il tempo passato a documentarsi raramente è sprecato, e spesso perfino dalle soluzioni già tentate, ma sbagliate o inefficaci, si può imparare qualcosa.

PRIMA DEFINIRE, POI RISOLVERE. Non siete ancora convinti? Considerate che ciò che distingue un cervello umano da un computer non è certo la velocità, ma la capacità di definire bene problemi mai incontrati prima, e i cui dati di partenza non sono già strutturati. Beh, c’è un fisico indiano che si chiama Anirban Bandyopadhyay, e sta cercando di costruire un nanocompter biologico che funziona così…  quindi almeno per ora, e finché è possibile, godetevi il vantaggio e dedicate al problem setting tutto il tempo che serve.

VALUTARE LE OPZIONI POSSIBILI. E sì: risolvere un problema è sempre una faccenda di creatività. Ma, nonostante le apparenze la parte più dura è proprio quella iniziale: quando uno sta lì, e osserva, e raccoglie i dati, e li mette in ordine, e cerca una sintesi, e scava fino ad arrivare al nocciolo, con tutta la pazienza che serve, evitando di intrappolarsi in pregiudizi o in processi mentali inefficaci.
Fra l’altro, l’esortazione “calma e gesso” si riferisce al giocatore di biliardo che, prima di un tiro difficile, si prende il tempo necessario a valutare la posizione delle biglie e tutte le possibili traiettorie, e intanto prepara bene la stecca strofinandone la punta col gesso. Solo così il tiro verrà preciso come deve essere.

8 risposte

  1. Quando ho selezionato persone per la consulenza è sempre stato uno dei miei criteri fondamentali. Ho imparato da una psicologa che mi ha aiutato in passato a fare delle valutazioni del potenziale a fare la domanda “qual è il tuo modo preferito di affrontare un problema?” (e, un po’, anche a decifrare la risposta). Valuto molto bene chi, tra la altre cose, dedica attenzione alla definizione del problema; a costruire la domanda a cui dare risposta. La struttura didattica delle facoltà scientifiche, basate sulla soluzione di esercizi definiti, non aiuta a sviluppare questo atteggiamento. Soprattutto in chi è orientato al compito e al rispetto dell’ordine costituito. Eppure, quante volte ci si trova disallineati dopo settimane di lavoro, per aver cercato di risolvere qualcosa che non corrisponde al complesso di volontà che definiscono il problema. Il quale, evidentemente, è una nostra rappresentazione. Non meno soggettiva della soluzione.

  2. Se, ad esempio, come diceva G. Rodari, ci si chiede “perchè il cassetto ha un tavolo?” difficilmente si riuscirà a risolvere il problema. E poi, due piccole citazioni (non per appoggiarsi al “principio di autorità”, ma per sfruttare bene il pensiero degli altri). Ha detto Albert Einstein: “la formulazione di un problema è di gran lunga più importante della sua soluzione, che può essere soltanto una questione di abilità matematica o sperimentale. Per sollevare nuove domande, nuove possibilità, per guardare di nuovo vecchi problemi da un diverso angolo visula, si richiede un’immaginazione creativa”. John Dewey: un problema ben definito è già mezzo risolto”.

  3. Annamaria, come hai ragione! Quello che hai scritto dovrebbe essere stampato nella mente di tanti politici,ma,ahimè, solo di quelli che sanno leggere.

    1. :Ho dato uno sguardo al vosrto blog… MA DA DOVE SBUCATE? complimenti per la preparazione a 360 gradi dal trading al fondamentale… siete una grande squadra;-)troppo buono siamo qui da un meseee fa piacere ogni tanto leggere qualche complimento siamo una bella squadra siamo in tanti e tutti amici cerchiamo di esternarla la nostra passione per i mercati ovvio non possiamo piacere a tutti perf2 speriamo che il piacere sia superiore al non buona domenica

  4. Mi chiedo quanto sia attitudine, quanto sia invece apprendimento del metodo. E se la creatività possa essere appresa.

  5. @ jac: due citazioni perfette. 😉 @ Luca: parole sante. Mi è capitato più di una volta di presentarmi da clienti che mi avevano proposto un problema non con la soluzione, ma con una ri-definizione. Chi capisce apprezza molto, ma non tutti capiscono e, quindi, non tutti gradiscono. C’è anche qualcuno che mi guarda storto. Purtroppo a scuola si presentano solo problemi, come dire?, ad alta definizione. E all’università,, per certi versi, è anche peggio. Quindi pochi sono abituati a cominciare a ragionare mettendo in discussione le premesse. Non a caso, nei test Pisa gli italiani, che già se la cavano mediocremente, sul problem solving precipitano agli ultimissimi posti. Sigh. @ anonimo 3/4. Lasciamo perdere i politici che, oltretutto, hanno quasi sempre un problema nel problema, e grosso: la loro prospettiva temporale arriva sempre e solo alla prossima tornata elettorale. Se ci sono problemi che chiedono soluzioni di lungo periodo, non c’è verso che vangano affrontati in modo radicale. Un esempio per tutti: capitale umano e sviluppo del paese chiederebbero fortissimi investimenti sull’istruzione, a partire dagli asili e a finire con l’istruzione permanente degli adulti. Ma i risultati di una scelta del genere si cominciano a vedere almeno dopo un decennio, ed è difficilerrimo trovare un politico che ragioni in una prospettiva così lunga. La creatività può essere “appresa”? Non credo proprio: è una dimensione dell’essere umano senziente e ragionante, non un sistema di conoscenze come, per esempio, la chimica o la filosofia. Però è possibile “apprendere” tecniche, processi, criteri per migliorare, per applicare bene, per esprimere meglio la propria creatività. E di questo sono profondamente convinta: altrimenti, per esempio, non sarei arrivata a scrivere questa, che è la questione di metodo numero 25 (trovi facilmente le altre 24 scorrendo l’archivio di NeU:la prima voce del menu. O digitando “metodo” nel riquadro “cerca” della homepage di NeU.

  6. Problem solving e mappe mentali: per curiosità ho acquistato il libro ” Sei cappelli per pensare” di Edward de Bono, ho scritto due righe nel mio sgangherato blog: http://alesatoredivirgole.wordpress.com/2012/06/19/matrici-e-cappelli-due-storie-un-unico-obiettivo-scrivere-meglio/ . Creatività: purtroppo si abusa sempre più di questo termine, molti si propongono come tali ma solamente pochi dimostrano di esserlo veramente. Difficile definire in poche parole cosa sia davvero la creatività, per quanto mi riguarda credo sia un processo mentale che si innesca naturalmente. Si può sicuramente imparare ad effettuare presentazioni accattivanti, si può imparare a pensare in modo più o meno strutturato, ma la creatività è una dote naturale: o c’è o non c’è … !!! Pur non ritenendomi un creativo (magari lo fossi), mi ritrovo spesso ad osservare cose, oggetti, persone ridefinendone mentalmente forme, funzionalità e concetti. Questo processo (che poi elaboro, scompongo e ricompongo) non è forzato o pensato, è un processo automatico che ho imparato ad ascoltare e seguire nel tempo. Durante queste fasi cadono barriere e preconcetti, tutto appare nuovo e lo sforzo maggiore è quello di non restare arroccati o condizionati dal “vissuto”. Impariamo ad osservare quello che ci circonda con gli occhi di un bambino e sforziamoci di uscire dagli schemi, cerchiamo di capire prima di fornire soluzioni, tutto il resto sarà più semplice e forse … creativo. Davide, un semplice Alesatoredivirgole

  7. Proprio cosi, la parte più dura è quella iniziale…

    Comunque io lavoro su due fogli (materialmente): uno è il FOCUS e l’altro è la MAPPA, proprio come i due emisferi di Roger Wolcott Sperry.
    Li chiamo in causa entrambi e, in genere, funziona (*_))

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