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Le sette donne al governo, le pietre e le buone, o cattive, lavandaie

Quella minuscola grande donna di mia nonna Alfonsina (ve ne ho già parlato a proposito del nientino d’oro) diceva spesso che la  cativa lavandera la treouva mai la bòna preja. Insomma: la cattiva lavandaia non trova mai la pietra giusta. Per capire fino in fondo il proverbio bisogna ricordare che ai primi del ‘900 i panni si lavavano a mano, e al lavatoio o nei torrenti, sbattendoli sulle pietre: un lavoro bestiale (già che ci siamo, vorrei anche ricordare che la diffusione delle tecnologie domestiche, prima fra tutte la lavatrice, è stata uno dei fattori più rilevanti per la liberazione delle donne nel secolo scorso).

Ma torniamo alla cattiva lavandaia. Il proverbio è interessante, credo, per due motivi.
In primo luogo, racconta in modo colorito e in estrema sintesi un atteggiamento diffuso: consiste nel sollevare obiezioni, magari anche fondate (dopotutto nessuna pietra è perfetta), e nel farlo con lo scopo non dichiarato di rimandare o rifiutare un’assunzione di ruolo e l’esecuzione di un compito sgradevole e faticoso, sollevandosi contemporaneamente dalla responsabilità del rifiuto e imputandola a un’oggettiva impossibilità ambientale.
In secondo luogo, il proverbio esprime un netto giudizio di valore: la lavandaia che fa così non è una semplice fanigottona (il termine significa svogliato, fannullone, e viene dal latino na gutta, neanche una goccia).  È proprio “cattiva” nel momento in cui, rifiutandosi di fare quel che deve fare, rinnega il  proprio essere lavandaia.
Il detto della cattiva lavandaia continua a tornarmi in mente in questi giorni, mentre tra rete, tv, quotidiani si sommano i commenti sulla situazione italiana.

Abbiamo una montagna gigantesca di fetidi panni da lavare. E sì, è vero che trovare buone pietre è ormai impossibile (anche perché, non dimentichiamocene, qualche pietra mica male è stata colpevolmente spaccata a martellate, da questo e da quello). Ma rifiutarsi di fare il bucato o rimandarlo sine die, o stare a discutere all’infinito di quanto sono luride e ripugnanti le mutande senza prenderne in mano neanche una non migliora certo le cose, e non può essere una soluzione.

Questo post è un omaggio e un augurio a tutte le sette donne al governo, nessuna esclusa. Avranno da affrontare calzini lerci e lenzuola grigie e pesanti. Ma voglio sperare che l’antica e modernissima capacità femminile di farsi carico, di aiutarsi se serve, di inventare soluzioni  pragmatiche e di sgobbare riserverà a tutti noi, finalmente, qualche buona sorpresa.

 

6 risposte

  1. Sai Annamaria leggere NeU mi ripaga delle incazzature (quando ci vuole, ci vuole…) generate dalla situazione politica.

    La prendo alla lontana. Noi ragazzine ci divertivamo molto a strusciare sulla pietra del lavatoio nel paese di 10 anime, Centonara sul lago D’Orta! Ma si sa i ricordi magicamente s’indorano!

    Torniamo a noi. Mi auguro, ma non sono ottimista che le magnifiche sette possano smatassare i nodi… tanti auguri a noi, a loro e al nostro bel paese (*_))

  2. Certo che leggere questo post dopo aver ascoltato il discorso di Enrico Letta fa un certo effetto. Sentivo ancora l ‘ eco della metafora sui sassi recuperati al fiume per evocative imprese bibliche e mi ritrovo in mano una bella pietra per lavare una montagna di panni sporchi..insomma, mi è venuto da ridere. Ecco appunto, la pragmatica capacità di affrontare le questioni dal punto di vista femminile. Auguri anche da parte mia.

  3. ..la, ormai mitica, nonna Alfonsina non sbagliava. Però questo bel proverbio si basa su un assunto, ci deve essere un fiume. A me pare che in questa situazione, tutti presi a valutare sassi o a spostare mutande, non ci siamo accorti che il fiume è secco e che restano solo pozze fangose, inutili allo scopo. Buoni sassi e volonterose lavadaie non basteranno ed eventuali danze della pioggia possono solo rimandare il momento in cui dovremo, per forza, trovare un altro fiume o cambiare modo di vestire. Insomma reinventarci un nuovo modo di vivere. A presto e grazie Annamaria.

  4. Cara Annamaria

    questo post mi ricorda la “Teoria degli alibi” di Velasco applicata alla pallavolo.

    La lavandaia mi ispira energia, simpatia ma anche la rabbia nel rimediare lo sporco accumulato.

    Miriam

  5. scusate il ritardo e di qualche anno. leggo il proverbio curiosando alla ricerca di spunti sul fare, il lavorare. sono partito da un’altro proverbio, siciliano: cui gli piaci travagghiari u travagghiu non ci finissci mai. i due proverbi portano a un assunto analogo, vale a dire che che il fare, il lavorare sono insiti in noi e un pò come per il coraggio di Don Abbondio se uno non ne ha voglia non se la può dare da solo. interessante risvolto potrebbe essere questo: i due proverbi sono analoghi ma uno è coniugato in positivo l’altro in negativo, non trovate strano che in positivo sia il siciliano e in negativo il milanese? non dovrebbe essere costituzionalmente il contrario? o si lavora e si scansano fatiche alla stesso modo a tutte le latitudini?

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