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L’austerità, le tasse, il dubbio di Thomas Herndon e la sicumera

La storia di Thomas Herndon (nella foto) è davvero straordinaria e, tra web e giornali, ha fatto il giro del mondo (qui Repubblica, in italiano. Qui BBC News, in inglese).
Riassumo i fatti: Herndon ha 28 anni. Per scrivere la tesi per il PhD alla University of Massachussetts deve prendere una ricerca economica e replicarne i risultati. Lui sceglie Growth in a Time of Debt, di Carmen Reinhart e Kenneth Rogoff, un lavoro accademico autorevole che affronta il quesito cruciale: è meglio lasciar aumentare il debito sperando di stimolare la crescita economica, o è meglio tenerlo sotto controllo tagliando la spesa e alzando le tasse?
Per inciso lo studio, che risale al 2010 e considera 110 anni di andamenti economici, dimostra che i paesi il cui debito supera il 90% del pil crescono meno. Anche su queste evidenze si fondano le attuali politiche di austerità europee e nordamericane.

Herndon rifà pazientemente i conti: qualcosa non torna. Pensa di aver sbagliato e ci sta sopra un intero semestre, ma non ne viene a capo. Poi, con il supporto dei suoi professori, si mette in contatto con gli autori alla Harvard University, e questi gli permettono di accedere alle fonti originali. Alla fine Herndon arriva a confutare Reinhart e Rogoff su tre punti specifici: non tutti i paesi sono stati considerati per l’intero periodo preso in esame, i dati sono stati “pesati in maniera non convenzionale” (un modo elegante per dire “discutibile”), e infine un errore di codifica nel file Excel ha cancellato Australia, Austria, Belgio, Canada e Danimarca dell’analisi, modificando ulteriormente i risultati.
Qui la spiega dettagliata di quanto è successo e la conclusione: i paesi indebitati non hanno mediamente crescita negativa (-0.1%)  ma positiva (+ 2.2%). E qui la parziale retromarcia di Reinhart e Rogoff sul New York Times: la loro teoria sarebbe stata scorrettamente associata con la richiesta di austerità.

(A proposito di verificare: per rendermi conto esattamente dell’accaduto e mettere insieme le poche righe qui sopra mi è toccato confrontare una quindicina di fonti).

Oltre a essere interessante (e non solo interessante: le politiche economiche ci coinvolgono tutti, e il fatto che le attuali  partano da una ricerca discutibile può innervosire) la storia è anche istruttiva e ci dice, mi sembra, due cose.

– con Galileo e poi con l’illuminismo ci siamo definitivamente lasciati alle spalle il principio di autorità. Tuttavia, se un’analisi viene riconosciuta come “autorevole”, tendiamo magari a discutere le conclusioni, ma a dar per scontato che sia comunque formalmente impeccabile e che i dati di partenza siano a posto. Ma, invece, far la fatica di verificare le fonti continua a essere legittimo e utile, specie sulle faccende complicate o controverse.

– i bias cognitivi (le convinzioni illusorie che ci facciamo a proposito di un sacco di cose) possono intrappolare chiunque, sia gli esperti sia gli inesperti. Se, da una parte, chi è incompetente di una materia tende a non rendersene conto e a sovrastimare le proprie abilità (è l’effetto Dunning-Kruger), dall’altra chi è molto competente può peccare di sicumera (overconfidence): un grado eccessivo di sicurezza sull’affidabilità e la validità delle proprie convinzioni, unito spesso alla tendenza a esser sbrigativi su processi e verifiche.

NeU ha raccolto una graziosa antologia di casi di overconfidence: se volete, date un’occhiata.
E, intanto, ricordatevi che errare è umano. Ma dubitare è legittimo e verificare è glorioso.

7 risposte

  1. Ho fatto per anni, se è lecito confrontare le piccole cose alle grandi, lavori un po’ come questo dei due Harvardiani.

    Nella migliore delle ipotesi sono poco affidabili, spesso sono costruiti a partire da un’intuizione e con la forte determinazione a dimostrarla.

    In tutti i casi vengono scelti per essere la base di una scelta solo se fanno comodo.
    Oltretutto la differenza tra -0,1 e 2,2 pare piuttosto ridotta per considerarla determinante.

    Insomma, di che parliamo?

  2. Verificare ciò viene taciuto potrebbe chiamarsi ‘studio approfondito’. Verificare quello che è stato nascosto potrebbe chiamarsi ‘estrazione forzosa’.
    Spesso resta poco tempo per lo studio; spesso l’accesso ai i dati nascosti richiede il sacrificio del custode. In quel caso la gloria è tutta nei dati…che avrebbero nome migliore nel termine ‘presi’.

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