niente paura

La creatività? Fare, rischiare, fallire e niente paura – Metodo 50

La creatività è come maneggiare serpenti.
Me ne rendo conto, l’affermazione può sembrare stravagante. Eppure questo è esattamente quanto sostiene un bell’articolo sulla Harvard Business Review: mentre da bambini non abbiamo timore di avventurarci nell’immaginario più spericolato, crescendo impariamo a essere più analitici e a temere il giudizio altrui. Eppure – a confermarlo è una recente ricerca IBM –  la creatività è in assoluto il tratto più ricercato, oggi, in qualsiasi impresa o disciplina, e val la pena di tirarla fuori. Ma come si fa?
Ci si riesce superando gradualmente le paure apprese e, magari, impiegando la stessa tecnica dei piccoli passi usata da Albert Bandura, psicologo e docente a Stanford, per aiutare gli individui a superare la fobia dei serpenti. All’inizio le persone possono sentirsi un po’ a disagio ma, man mano che procedono, con la creatività come coi serpenti, al timore si sostituiscono fiducia e capacità nuove. La prima regola è abbandonare le certezze e la protezione offerta (anche materialmente) dal proprio ufficio o dalla scuola e -niente paura!- andarsi a misurare col mondo, si tratti di progettare una incubatrice a basso costo per neonati prematuri o di inventare un’app che entri nella Hall of Fame.

Del resto, l’etimologia stessa della parola “creare” – lo racconta Umberto Curi – rimanda al “fare” producendo e al “dominare”, a una divinità maschile (Kronos, il padre di Zeus) e a una femminile (Cerere, la dea delle messi). Il mondo greco distingue tra due tipi di intelligenza: nous, l’intelligenza contemplativa che “legge dentro le cose” e metis, l’intelligenza attiva e produttiva, abile e prudente, astuta e paziente. E infatti l’Ulisse che inventa soluzioni e pone fine alla guerra di Troia con un colpo di genio è polymetis. Capace di risolvere problemi facendo, e di cogliere l’opportunità: l’attimo fuggente.

Comunque, se a un certo punto le cose non vanno secondo i piani, non c’è problema, anzi: il successo nasce dal fallimento. Lo ricorda Malcom Gladwell a partire dalle idee e dalla biografia dell’economista Albert Hirschman.
In realtà, nessuno si imbarca in imprese che vanno storte tanto da dover chiedere una soluzione creativa. Eppure, proprio quando mal giudichiamo la natura del compito che ci stiamo assumendo sottovalutandone i rischi, poi succede che il precipitare stesso degli eventi ci forzi a tirar fuori soluzioni autenticamente creative (e qui devo aggiungere che – non so come la pensate voi – la mia esperienza personale mi fa essere del tutto d’accordo. Ci sono un paio di cosucce di cui vado orgogliosa nelle quali non mi sarei mai e poi mai imbarcata, se solo prima avessi immaginato il groviglio di complicazioni cui mi stavo andando a cacciare).
Del resto, la vita stessa di Hirschman, economista eretico, (partecipa alla guerra di Spagna. Si Trasferisce in Colombia e passa tre anni a Bogotà) si svolge all’insegna del mettersi in gioco.
Gli ostacoli portano alla frustrazione, la frustrazione all’ansia, e nessuno vuole essere ansioso, dice. Eppure l’ansia è il fattore di motivazione più potente, l’emozione che guida alla ricerca di soluzioni.

È Forbes, invece, a raccontare due cose che pochi sanno di Einstein: 1) è un appassionato marinaio, 2) non sa nuotare, e più volte i residenti di Nassau Point, tra il 1937 e il 1939, devono andarlo a recuperare perché con la sua barca si è messo nei guai.
Il punto è che tra creatività e rischio c’è una connessione spesso sottovalutata. La creatività fallisce, e la buona creatività fallisce spesso. Ma non solo: creatività vuol dire trovare connessioni inaspettate e quindi sottoporre il proprio cervello a un grande sforzo. E come lo si può indurre ad affrontare quello sforzo? Semplice: non lasciandogli alternative. Prendendosi qualche rischio e cercando stimoli non familiari, perché i rischi rafforzano la mente e la guidano a pensare fuori dagli schemi.
L’immagine di questa pagina: La charmeuse de serpents, di Henri Rousseau

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8 risposte

  1. Nella nostra vita, preformata e prefabbricata, fondata su “certezze”, solide come bolle di sapone e tenuta insieme dalla paura dell’ignoto, dalla paura di sbagliare, di fare scelte diverse, la creatività, cacciata dalla porta, sfonda prepotentemente la finestra della nostra cantina(inconscio); insieme con gli altri nostri impulsi puri(amore, socialità, sessualità, aggressività, fantasia, curiosità,…) che vengono accuratamente ingabbiati, incatenati e denaturati per rientrare nei limiti della “tollerabilità”.
    Ecco qui che, dopo averci distrutto sistematicamente ogni forma di creatività naturale, cercano di reinsegnarci una creatività addomesticata e ingabbiata, funzionale alla “creazione” di una nuova app.
    E’ come reinsegnare ad un gatto da poltrona a prendere topi, ma solo quelli piccoli, bianchi e ben puliti e senza sporcare il tappeto…

  2. @Riccardo. Io non conosco alcuna vita prefabbricata. Certezze? Non so cosa siano, né le cerco in un momento storico come questo, in cui tutto va rivoltato se vogliamo trovarvi un senso. Concordo profondamente con ciò che che invece ha affermato ieri sera a “Che tempo che fa” Renzo Piano: ci sono nuove professioni da inventare. E aggiungo: da riconoscere in quanto tali, da pagare adeguatamente, da offrire e richiedere senza perdere altro tempo. Le gabbie non servono più nella Rivoluzione Digitale, e la creatività è l’unico connettore di cui siamo dotati per potervi navigare.

  3. Lealtà, defezione, protesta (Hirschman) è uno dei tue o tre più bei e importanti libri che io abbia mai letto.

  4. Non “rivelo” certo nulla di sensazionale se ricordo che la indoeuropea radice di “creare” è la stessa della tanto celebrata, e spesso banalizzata, parola sanscrita “kārma”, vero universo concettuale e icona di un pensiero che sa riflettere sul profondo significato dell’agire. Se kārma non è per nulla destino ineluttabile ma ricaduta concreta del “frutto” dell’azione, allora forse un improvvisato autoinvito a valorizzare il nostro “kārma creativo” potrà sembrare qualcosa di più di uno sciocco e tautologico gioco di parole. Bei tipi gli Hirschman, Albert Otto come Ursula… Mille gli “spunti” dell’articolo e degli articoli ai quali rinvia….

  5. Anche io, come Vittorio, mi riferisco alla cultura indoeuropea e alle suggestioni di Sarasvatī (sanscrito सरस्वती, “colei che scorre”), dea induista della conoscenza, delle arti e della creatività.

    Personalmente, quando devo trovare SOLUZIONI ad un problema, lascio andare l’immaginazione senza briglie. Non metto limite temporale: prima o poi ARRIVA un pensiero divergente che posso utilizzare. Mi accade spesso.
    Non ho mai smesso di “essere bambina” in questo (*_))

  6. Bellissima riflessione Annamaria. E, come scrisse Beckett: “Ho sempre tentato. Ho sempre fallito. Non discutere. Prova ancora. Fallisci ancora. Fallisci meglio.”

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