Questo è il secondo di una serie di tre articoli che raccontano in dettaglio il viaggio di 13 giorni in Islanda che ho fatto con mio figlio (qui trovate il primo). Ecco perché questa narrazione comincia non da Reykjavik, ma in medias res, dal sesto giorno.
GIORNO 6) HVERIR, CRATERE VITI, CRATERE HVERFJALL, LAGO MITVAN. Sulla strada per il lago Mitvan ci fermiamo a Hverir. È un’ampia area geotermica, collinosa, di un incongruo color cipria, con venature color nero e ruggine, fumarole e pozze d’acqua che gorgogliano e ribollono. Un sentiero sulla destra permette di salire fino alle cime tondeggianti (ne vale la pena) e di trovarsi immersi in uno scenario da origini del mondo.

Ci muoviamo all’interno dell’ampia caldera di Krafla – una delle più attive del paese – e cerchiamo il Viti crater, nel quale c’è un lago che, per via del meteo, ha il colore del piombo fuso. Ci arriviamo passando accanto a un grosso, fumante impianto geotermico. Pensiamo che è un po’ il fratello maggiore del cratere Kerid, che abbiamo visto in precedenza. Pioviggina, tira vento e intorno si vede solo caligine, quindi decidiamo di spostarci. Abbiamo già capito che il tempo atmosferico è variabile, e che possono bastare pochi chilometri per ritrovarsi in una situazione più favorevole.
Alcune guide suggeriscono di visitare certe grotte con acqua termale (Grjotagja Cave) nei dintorni, e diamo una rapida occhiata.
Il cratere Hverfjall, invece, non ci delude. È un cono perfetto, alto 400 metri, nerissimo. Ed è perfettamente rotondo, e gigantesco (quasi un chilometro di diametro). C’è un sentiero che permette di scalarlo fino ad arrivare alla parte superiore, con ampia veduta del lago Mitvan.

Attorno al lago Mitvan ci sono cose interessanti. Per esempio, il campo di lava di Dimmuborgir, il cui nome significa “Fortezza oscura”, e dove sono state ambientate alcune scene del Trono di Spade. Secondo le leggende islandesi è un posto abitato da elfi e troll. Il sito è ampio e ci sono colonne, pareti, grotte di lava disposte in mille configurazioni sorprendenti, caverne. Purtroppo, specie nelle vicinanze dell’ingresso, alcuni sentieri asfaltati tolgono un po’ di magia. Ma, addentrandosi tra le formazioni e prendendo il sentiero Krokastigur, un po’ più accidentato, per niente affollato e segnato da picchetti azzurri, la si può ritrovare intatta.

Anche le sponde del Mitvan (altra location di Game of Thrones – le vedete nell’immagine che apre questo articolo) sono decisamente suggestive. Per questo ci viene voglia di guidare tutto attorno al lago. Gli pseudocrateri che si trovano lungo la sponda a sud somigliano a una serie di grosse scodelle capovolte, verdissime. C’è un percorso molto semplice che permette, salendo appena un po’, di avere una bella vista delle rive. Guardandomi attorno mi accorgo che, sotto il cielo grigio, i massicci vulcanici più lontani assumono una intensa sfumatura blu.

Ci sarebbe da stendere un velo pietoso sulla cena: abbiamo deciso di fermarci per la notte in un piccolo hotel sulle sponde del lago, al supermarket abbiamo trovato solo cibo spazzatura e piatti pronti per il microonde e siamo troppo stanchi per infilarci in un ristorante. Risultato: riscaldiamo due porzioni di pollo al curry surgelato prima sul calorifero, poi sotto il getto bollente del lavandino. Esperimento da non ripetere mai più.
E sì, il paese è incantevole, ma dobbiamo darci da fare perché questi 13 giorni in Islanda sono decisamente migliorabili sotto il profilo gastronomico.
GIORNO 7) CASCATE DETTIFOSS E SELFOSS, ASBYRGI, GODAFOSS, AKUREYRI. Questa è una tappa lunga. Ci dirigiamo verso nord attraversando un altro interminabile campo di lava. Prima ancora di essere visibile, la cascata Dettifoss si annuncia con un rombante suono d’acqua in caduta (e infatti il nome significa “cascata d’acqua che rovina”). Gli spruzzi salgono altissimi verso il cielo. È, per potenza, la seconda cascata d’Europa. È originata dal fiume glaciale Jökulsá á Fjöllum, che si precipita turbinoso, violento, travolgente nel profondo canyon che si è scavato (e che continua a scavarsi).
Risaliamo il fiume verso la cascata gemella Selfoss, che si trova a monte, costeggiando il canyon lungo un ampio sentiero tracciato nella lava e costellato di pozzanghere che riflettono il cielo.
Selfoss è uno spettacolo altrettanto notevole, meno visitato, altamente consigliato.


Il canyon di Asbyrgi è una destinazione relativamente poco nota. Il nome islandese significa “Rifugio degli dei”. È un vasto (intendo: davvero vasto) emiciclo interamente circondato da alte, nere pareti rocciose e chiuso da un anfiteatro di rocce. Il fondo è coperto da una fitta foresta di betulle e salici. La leggenda dice il canyon non è altro che la traccia lasciata sulla terra da uno degli zoccoli del cavallo di Odino. A guardare com’è fatto sembrerebbe proprio così, perché al centro si erge un altipiano che sembra corrispondere al vuoto che si trova nella parte interna di uno zoccolo ferrato. Tutto ciò ammesso che Odino ferrasse le otto zampe del suo cavallo.
Andiamo a vedere la bella pozza d’acqua smeraldina che si trova alla sommità del canyon. Poi, all’imboccatura del canyon prendiamo il sentiero (Eyjan trail) che parte nelle vicinanze del Centro visitatori e ci permette di risalire verso l’altipiano centrale e di camminare lungo tutta la sua lunghezza. Il sentiero sull’altopiano è stretto, profondamente inciso in una distesa di vegetazione bassa, fiorita e rigogliosa. Percorrendolo arriviamo a conquistarci, giunti al termine dell’altopiano, una gran vista sull’intero anfiteatro.


La strada per arrivare a Godafoss si snoda tra discese e risalite in un’altra vallata verdissima. Per un tratto sembra puntare dritta al cielo, come un trampolino verso le nuvole.
Il nome Godafoss significa “cascata degli dei” e rimanda alle leggende: secondo alcune, i tre corsi principali che compongono la cascata rappresentano Odino, Thor e Freyr, la sacra triade della mitologia norrena. Secondo altre, attorno all’anno Mille e in occasione del passaggio al cristianesimo, in queste acque sono stati gettati gli antichi simboli pagani.
La cascata in sé (ma dovrebbe essere facile capirlo anche dalla foto) è spettacolare: l’archetipo della cascata perfetta.

Uno dei vantaggi delle giornate estive islandesi, che sono interminabili, è che la golden hour, l’ora magica del tramonto, sembra non finire mai. Se appena il cielo si apre, l’intero paesaggio si accende di colori brillanti. E allora non solo le montagne più remote, ma tutte le ombre si tingono di blu come se fossero state dipinte a larghe pennellate da un pittore impressionista.

Akureyri è la maggiore città del nord (si trova a meno di cento chilometri dal Circolo Polare Artico) e vanta quasi ventimila abitanti: un numero importante per gli standard islandesi.
Arriviamo tardi, ma per le strade ci sono ancora bimbi piccoli che giocano da soli e se ne stanno in canottiera (noi, pullover e piumino). Troviamo un ristorante affacciato sul porto e ci concediamo – era ora – una cena come si deve.

GIORNO 8) BOGARVIRKI FORTRESS, HVÍTSERKUR ROCK, KOLUGLJUFUR CANYON, LAUGARBAKKI.
Vedere Bogarvirki e l’Hvítserkur Rock è un pretesto per un’altra deviazione verso la costa nord e la penisola Vatnsnes. Per arrivare al primo sito seguiamo senza difficoltà un lungo sterrato che risale. È un’imponente formazione vulcanica alta sul terreno circostante, circolare. Davvero somiglia a una fortezza e forse è anche stata davvero impiegata per scopi di difesa. Dalla sommità si vedono le cime dele montagne che sbucano dalle nuvole, un’ampia pianura in cui brillano pozze e corsi d’acqua, I rettangoli di un verde chiaro e vivido dei prati d’erba appena tagliata, il mare.

Proseguiamo, sempre su strada sterrata, verso l’Hvítserkur Rock. E ci troviamo dentro una pura scena western: una grossa mandria di cavalli corre lungo la strada, guidata da una decina di cowboy e cowgirl, in un vortice di dorsi, musi, polvere e zoccoli. Chiudiamo i finestrini contro la polvere e ce ne stiamo fermi, godendoci lo spettacolo come se fossimo al cinema.
L’Hvítserkur è un faraglione a forma, dicono, di elefante. Ma sembra più un animale preistorico che beve con testa infilata nell’acqua. Si erge poco lontano dalla riva di ciottoli neri, ed è più piccolo di come ce lo saremmo aspettati. Un sentiero permette di scendere dal parcheggio verso la spiaggia.

Il Kolugljúfur canyon comincia con una cascata ed è la profonda spaccatura aperta da acque che in precedenza scorrono su un terreno pianeggiante. Sembra di vedere le due anime del torrente, a monte quella placida, a valle quella prepotente. Un sentiero permette di procedere lungo la riva, rasentando i bordi del canyon che si fa sempre più profondo.

Laugarbakki, dove ci fermiamo per la notte, è case sparse lungo la costa e poco altro. Ma, mentre ci dirigiamo lì, la golden hour e la caligine perlacea che su leva sull’acqua ci regalano una nuova, e inedita, visione.

GIORNO 9) CASCATA DYNJANDI, BRJANSLAEKUR. Questa è un’altra tappa lunga. Dobbiamo procedere dritto verso ovest. E poi risalire lungo i fiordi per arrivare fino al porto di Brjanslaekur, da dove parte il traghetto che, toccando la piccola isola di Flatey, arriva fino a Stykkisholmur. La strada lungo costa è in parte asfaltata e in parte sterrata. A volte segue per chilometri il profilo del fiordo restando quasi a filo d’acqua, a volte risale bruscamente regalandoci paesaggi amplissimi. Non finisce mai, il fondo è ghiaioso, c’è da guidare con calma.

Una deviazione (altro sterrato) poco prima di Brjanslaekur ci porta verso l’interno e la cascata Dynjandi. Il paesaggio cambia: prima un’area vulcanica completamente brulla, poi distese verdi, pozze e corsi d’acqua e pendici ancora innevate.


Dynjandi è soprannominata “velo da sposa” per il suo peculiare allargarsi sulle rocce nere, scendendo con sette salti successivi per cento metri circa. Un sentiero abbastanza agevole, anche se un po’ ripido, permette di risalire verso l’alto, con una magnifica vista della valle e dei fiordi.


Abbiamo prenotato online il traghetto per la penisola di Saefellsnes con una comoda partenza alle 12. Per due persone, un’auto e due ore e mezzo di traversata, tutto sommato non costa neanche tanto. Ma tutto ciò significa che stiamo tornando decisamente verso sud, e verso l’ultima parte di questo viaggio di 13 giorni in Islanda.
Mentre stiamo per lasciare l’albergo ci succede un fatto curioso: la stanza è minuscola, eppure non riusciamo a trovare da nessuna parte le chiavi che, prima di partire, dobbiamo riconsegnare. Ispezioniamo furiosamente ogni angolo, smontiamo i bagagli, guardiamo in auto e perfino nella spazzatura. Fino a quando, dopo domanda diretta, mio figlio si accorge che le chiavi sono in una sua tasca, che pure aveva tastato più volte, acquattate sotto il cellulare. Così, il lessico familiare si arricchisce di un nuovo termine: la Sindrome di Brjanslaekur, che consiste nel cercare senza esito e a lungo qualcosa che si ha addosso (a me capita spesso con gli occhiali).

Questo è il secondo di una serie di tre articoli dedicati al viaggio che ho fatto in Islanda con mio figlio. Qui il primo:
Islanda, 13 giorni tra cascate e vulcani
Qui il terzo:
Viaggio in Islanda. L’emozione del paesaggio
Bellissimo resoconto. Mia moglie ed io abbiamo inserito l’Islanda tra le mete da esplorare, chissà magari quando i figli sono grandi abbastanza per un viaggio del genere. Comunque volevo segnalarti che il primo capitolo di quest’avventura non è più disponibile per qualche motivo…
Ciao Camu, e grazie per l’apprezzamento e per la segnalazione! Ora il link funziona
Bel viaggio attendiamo la terza parte 🙂🙂🙂
Grazie Marco! La pubblico oggi, fra poco.
Come scrive bene!
Oh, Giovanna, ma grazie! Tenevo molto a questo racconto!
Grazie Annamaria. Bellissimo resoconto di viaggio. Attendo il terzo articolo. ❤️
Grazie Annamaria per il racconto del bellissimo viaggio in Islanda.
Grazie a te, Rosa, per l’apprezzamento!
Bellissima l’Islanda….. sono stata in primavera….. vorrei tornarci… c’è tanto da vedere…..la prima cosa l’aurora boreale….. mi piacerebbe vedere tutto il suo viaggio….. io al nord non sono stata…… grazie e complimenti…..
Grazie Federica!
Ciao nel lontano1982 scappando da Roma con zaino in spalla passando per la Gran Bretagna con treno, traghetto, bus di linea sono arrivata a Thongue e da lì dopo 3 giorni di navigazione sono approdata al porto di Hofn erano i primi giorni di Agosto e sul bus di linea che ci portava a Reykjavik c’ero io, un giapponese con un infinità di rullini e…..qualche islandese. La voglia di tornare a vedere il nord mi è rimasta solo che mi dovrò adattare ad un viaggio condiviso non avendo nessuno tra gli amici con cui dividerlo.
Attendo con ansia di completare questo bellissimo viaggio che, purtroppo, io non potrò mai fare
Grazie.
Grazie Maria Rita per l’apprezzamento:
I racconti e le storie sono un altro modo di viaggiare!
Pubblicherò l’ultima puntata tra un paio di giorni.
Grazie Annamaria!
Sei sempre molto generosa nel condividere le esperienze (bellissime, come questa) che hai fatto: tanto lavoro di scrittura e di selezione delle foto… Ti penseremo quando faremo questo viaggio!
Un abbraccio
Grazie, Fabrizio, per l’apprezzamento!
E… ci conto!