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New Orleans: l’alcol, le monache, i migranti e gli altari

New Orleans sembra condannata a ripetere una stanca, meccanica messa in scena dal proprio stesso mito. L’affascinante quartiere francese – case tardo settecentesche e ottocentesche, muri colorati, esili colonne di ghisa che sostengono ampi e fioriti balconi, posti dove si suona musica jazz – è percorso da grosse e grasse ondate di turisti in cerca di colore locale, suggestioni sonore, ebbrezze alcoliche e souvenir.
Di sera Bourbon Street, la via più nota, è un fiume di gente ondeggiante che tiene in mano qualcosa da bere mentre una cacofonia di suoni e ritmi si riversa dalle porte aperte dei locali. Del resto questo è uno dei pochi posti negli Stati Uniti dove è permesso consumare alcolici per strada, e nel quartiere c’è chi comincia a offrire tre cocktail al prezzo di uno già all’inizio del pomeriggio.

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Oggi il Quartiere Francese rischia di ridursi a scenografia turistica, tanto sgangherata da appannare perfino le suggestioni letterarie e quelle musicali più permanenti. D’altra parte la città che appartiene ai new orleanian, quelli che a New Orleans abitano davvero, comincia nel quartiere degli affari, al di là di uno stradone, e col quartiere Francese sembra avere scarsissimo contatto.
Tuttavia, se si riesce a scansare la ressa, camminare per il Quartiere francese può essere piacevole. Basta evitare i cento negozietti di oggettini leziosi, annusare i mille odori di cibo del French Market senza star troppo a guardare la merce omologata che c’è sui banchi (unico punto di verità territoriale: le teste imbalsamate di alligatore in vendita a pochi dollari) e confidare in un po’ di serendipità.

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Può così succedere di entrare per caso nel Pharmacy Museum: è la casa di Joseph Dufilho Jr., il primo ad avere la licenza di farmacista negli Stati Uniti agli inizi dell’ottocento. Sono due piani di suppellettili, farmaci, alambicchi e impressionanti strumenti chirurgici del passato: seghe, pinze, trapani che fan pensare più alla carpenteria che alla medicina. Dentro c’è la storia di un intero territorio e delle popolazioni che l’hanno abitato e percorso, raccontata attraverso salute e malattia.

New Orleans 2 Nuovo e Utile

La febbre gialla e il vaiolo. Le pratiche per il parto. Le epidemie portate dai marinai. Le erbe e le droghe, i rimedi della medicina ufficiale (sanguisughe comprese) e quelli degli stregoni vodoo, gli occhiali. Vale anche la pena di prendersi il tempo di leggere le spiegazioni, che sono numerose ed esaurienti. Poi uno esce ed è felice di vivere nel ventunesimo secolo. Se siete appassionati di The Knick potreste passarci delle ore.

Forse soltanto riannodando i fili di storie di vita è possibile, al di là della seduzione musicale immiserita dalla stanca ripetizione dei brani più riconoscibili e della deriva alcolica e consumistica, rientrare in contatto con un ormai esile, volatile e tuttavia permanente genius loci.
Pochi turisti, per esempio, si aggirano per le stanze e il polveroso giardino del convento delle Orsoline, l’edificio più antico di tutta la valle del Mississippi. Ma dentro c’è la sorprendente storia di un manipolo di giovani monache, partite tutte da sole dalla Francia nel 1727 e approdate tra i cajun dopo un terribile viaggio in nave durato mesi. Di una statua miracolosa che ferma le fiamme. Della prima scuola femminile per le native americane e per le schiave afro americane.

Un’altra curiosa storia di vita appartiene a Frances Parkinson Keyes, sposa poco più che adolescente di un anziano senatore conservatore e prolifica autrice di (temo melensi) romanzi ambientati nel Sud: la si può ricostruire visitando la sua casa, che è rimasta intatta, tra bambole vestite da suora (la signora si converte con molta convinzione al cattolicesimo) e collezioni di veilleuse (ingegnose teiere da notte, riscaldate da un lumino) abiti e memorabilia, e remoti scintillii della mondanità locale e internazionale.

Non molti sanno che tra il 1980 e il 1910 una grande ondata migratoria si muove dalla Sicilia verso New Orleans, tanto che il Lower French Quarter cambia nome e viene battezzato Little Palermo. La città è seconda negli interi Stati Uniti, dopo New York, per presenza italiana: c’è addirittura una linea diretta di navi a vapore per il trasporto dei migranti da Palermo a New Orleans.
La muffuletta, un panino ripieno di provolone, salame e olive, è il pasto che i braccianti italiani si portano al lavoro. Ancora oggi viene celebrata e riproposta come tipica squisitezza locale.

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Dunque, agli inizi del secolo scorso schiere di siciliani coltivano frutta e lavorano alla costruzione delle nuove ferrovie. Le strade di New Orleans cominciano a somigliare a quelle del nostro sud: panni stesi e signore in nero sedute a prendere il fresco.
Del resto il clima e la cultura cattolica della Louisiana aiutano a sentirsi a casa e invitano a chiamare i parenti, anche se c’è conflitto con gli irlandesi, già insediati nella città, e se la discriminazione resta forte (a fine ottocento, undici connazionali vengono linciati).

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Catturo queste notizie e l’immagine che vedete qua sopra all’American Italian Cultural Center. È deserto. Ci guida una volonterosa fanciulla che parla a stento la nostra lingua. Scatto un’altra foto alla riproduzione dell’altare di San Giuseppe: una tradizione portata direttamente dalla Sicilia che ancora oggi si rinnova a New Orleans ogni 19 marzo.

New Orleans altare
È una festa di cibo, dolci e preghiere per scongiurare la siccità, molto apprezzata, soprattutto sotto il profilo gastronomico, anche dai non italiani e non cattolici: guardate questo articolo. E scoprite tutte le credenze connesse (a cominciare da “se rubi un limone trovi marito”) in quest’altro.

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L’ultima immagine che voglio lasciarvi, però, è quella dell’intraprendente homeless (ne ho visti così tanti come a New Orleans solo a San Francisco) che sventola festoso il cartello Fuck Trump.
Un esperto di marketing direbbe che segmenta il target grazie a una chiara unique selling proposition.
È una delle pochissime tracce delle prossime elezioni presidenziali che trovo girando per la Louisiana. E come non sganciargli un paio di dollari, a questo simpatico signore?

2 risposte

  1. Quel “simpatico signore” dovrebbe imparare il rispetto, senza eccezioni a questa regola, indipendentemente dalla simpatia o dall’antipatia che ispira una persona.

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