
Open to Meraviglia e il turismo provvisorio
A un ragionamento sulla recente campagna di promozione del turismo in Italia, Open to meraviglia, devo premettere due avvertenze, e subito dopo mi tocca chiarire quattro questioni di carattere più generale. Abbiate pazienza, e cominciamo.
LE AVVERTENZE
Mi sono già occupata di strafalcioni sul turismo in Italia e comunicazione governativa in queste pagine, e in tempi non sospetti. Ammetto di non essere felicissima di trovarmi a tornare sul tema. Qui il primo, qui il secondo, qui il terzo articolo sul turismo. Qui un decalogo sulla comunicazione rivolto ai pubblici amministratori.
Mi chiamo Testa di cognome, e sono omonima dell’agenzia. È una faccenda che va avanti da quando ho cominciato a lavorare (stiamo parlando di 49 anni fa), ma non ci posso far niente. Prendete nota, e amen.
LA PRIMA QUESTIONE
Fare buona comunicazione è difficile. Secondo la mia esperienza, in certi settori (editoria, cosmetici, turismo) è più difficile che in altri, o perché la promessa da fare è fin troppo ovvia (è il caso dei cosmetici) o perché ciò che va raccontato è complesso e va reso semplice senza però banalizzarlo (editoria, turismo).
LA SECONDA QUESTIONE
Un buon risultato di comunicazione dipende, per dirla in modo sbrigativo, per un terzo dalla chiarezza d’idee del cliente (è il cliente a stabilire quali sono il pubblico, i contenuti del messaggio da trasmettere, gli obiettivi da raggiungere), per un terzo dal talento dell’agenzia (sta all’agenzia tradurre quei contenuti in una sintesi appropriata ed efficace) per un terzo dalle risorse disponibili per comperare spazi sui media.
Nove milioni di investimento su Open to meraviglia sarebbero molti per il mercato italiano, ma sono davvero pochi per una campagna che vuole uscire in 33 paesi del mondo. È il motivo per cui i primi due elementi (chiarezza di idee e talento) acquistano un ulteriore rilievo strategico: se hai poche risorse per dire una cosa, quella cosa dev’essere davvero interessante, e devi proprio dirla benissimo.
La scarsità di risorse sarebbe anche un motivo per costruirsi una solida presenza indipendente in rete (in sostanza: un sito funzionale ed efficace).
LA TERZA QUESTIONE
Una buona campagna pubblicitaria dev’essere attraente, comprensibile, convincente.
È attraente quando è nuova e diversa da ogni altra, quando ha una indiscutibile valenza estetica, quando incuriosisce perché dice qualcosa di inedito e non stereotipato, quando suscita una forte e positiva reazione emotiva (fa sognare, commuove, diverte, sorprende, coinvolge…).
È comprensibile se il messaggio è espresso in una forma chiara e semplice ed è consistente (cioè: non è un puro bla bla). Quindi, se i testi sono facilmente decodificabili dal pubblico, e il loro senso si capisce ed è congruente con l’obiettivo. Se le immagini interagiscono con il testo senza contraddirne il senso, ma anzi amplificandolo, esaltandolo e, come dicevamo qualche riga fa, caricandolo di emozione.
È convincente se il messaggio contiene una proposta forte e allettante, se esprime vantaggi che sono importanti per il pubblico e che sono distintivi rispetto a ogni altra offerta analoga, e se fa riferimento a valori che quel pubblico condivide. Se ha una forte coerenza con l’identità del committente. Se è memorabile.
Certo, sono molti risultati da conseguire tutti assieme, e con un messaggio sintetico: per questo ci vuole talento.
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