pensiero inclusivo

Il pensiero inclusivo e la saggezza di Ms. Tseng

Faremo molte discussioni su temi sensibili (sensitive topics), quindi la nostra aula dev’essere uno spazio sicuro per imparare e dibattere idee. Per favore rispetta gli altri ascoltando con attenzione e articolando le tue idee con tatto. Per favore non interrompere gli altri quando stanno parlando.

– Presupponi che le intenzioni siano buone.
– Dissenti senza essere sgradevole. Rimproverare, svergognare e attaccare non è okay.
– Pratica il pensiero “e – e”
(both – and), invece del pensiero “o – o” (either – or).
– Sii pienamente presente. Spegni il mondo esterno.
– Parla a partire dalla tua prospettiva personale.
– Sii responsabile di te stesso: allontanati dalle tue certezze
(comfort zone) ma non avventurarti in aree pericolose (danger zone).
– Ascolta, ascolta, ascolta. E poi formula una risposta.
– Porta in classe la tua umiltà, perché ciascuno di noi ha dei punti ciechi.
– Considera il candore altrui come un dono.

REGOLE CHIARE, UNIVOCHE, CONDIVISE. Questo paragrafo mi cattura lo sguardo. Si intitola “regole della classe e della comunità”. Sta scritto sul programma del corso di American Studies in Literature tenuto da Ms.Tseng in una scuola superiore del New England. Magari lo si potrebbe importare anche da noi, pari pari. Il programma viene consegnato a tutti gli studenti la prima volta che Ms. Tseng entra in aula, all’inizio dell’anno scolastico.

METODO E COMPORTAMENTO. Il paragrafo che ho ricopiato è preceduto dall’invito a leggere sempre con una penna in mano per appuntarsi subito domande e pensieri. A segnare le parole incomprensibili, i passaggi preferiti e quelli controversi. A prendere appunti durante la lezione. È seguito dall’esortazione a rivolgersi all’insegnante per qualsiasi dubbio o spiegazione extra, via email o di persona (c’è anche un numero di telefono diretto), dall’invito a offrire contributi significativi e da una spiegazione delle conseguenza per chi trasgredisce.
Bene. Oltre a confessarvi che mi piacerebbe proprio seguire qualche lezione di Ms. Tseng e arrivare in classe col mio libro pieno di sottolineature, vorrei segnalare due cose.

UNA STRATEGIA EFFICACE. La prima riguarda il dare esplicite indicazioni di metodo (di studio e prima ancora di pensiero) e di comportamento, e il farlo in modo chiaro, empatico, concreto, dettagliato e non burocratico: una strategia efficace, e troppo spesso trascurata, per ottenere i comportamenti desiderati e per indicare che il come si studia e si ragiona non è meno importante del che cosa e del quanto si studia. Qualche volta, secondo me, ancora di più.

PENSIERO INCLUSIVO. La seconda riguarda l’invito a coltivare il pensiero e – e. Fra le indicazioni, mi sembra la più notevole sotto il profilo dello sviluppare la creatività individuale, la capacità di lavorare in gruppo, la tolleranza. Riguarda la pratica del pensiero inclusivo in aula, in gruppo e, magari, in azienda e nella vita.

NON INTRAPPOLARSI. Riguarda il non intrappolarsi nella fallacia della falsa scelta, cioè nell’attitudine a ragionare solo per opzioni contrapposte, ignorando ogni sfumatura intermedia e ogni opzione ulteriore e restringendo di conseguenza ogni ambito di scelta e di progetto a due sole alternative, entrambe di solito insoddisfacenti. La pagine inglese di Wikipedia, dedicata al false dilemma vi offre qualche informazione in più.

CAMBIARE PROSPETTIVA. La fallacia della falsa scelta deriva spesso da un errore di prospettiva. Il piccolo esperimento di tracciare sopra la vostra testa un cerchio con l’indice in senso orario, e di continuare a tracciare il cerchio abbassando il braccio fino ad avere la mano davanti agli occhi (in che senso va il cerchio, adesso?) vi dice che molti falsi dilemmi si sciolgono come neve al sole se si considerano le cose cambiando punto di vista o integrando prospettive diverse.
E, per esempio, ci si potrebbe ripromettere di partire sempre dalla prospettiva sulle prospettive proposta dall’ottima, saggia Ms. Tseng ai suoi studenti, di là dal mare.

Questo post esce anche su Internazionale.it

 

6 risposte

  1. Grande! Da rendere obbligatorio anche in tutti i talk show con l’avvertenza: “chi non rispetta queste regole viene cacciato”.

  2. Copio e incollo una slide del mio seminario “Come gestire un’azienda a 360°”. La slide si riferisce ad una sessione dal titolo “Le 10 idee forti della mia esperienza di manager”.
    Titolo: non più o… o… bensì sia… sia…
    Troppo spesso, (quasi sempre…), spinti dal «decisionismo» imperante e da stereotipi dove il dubbio viene visto come un elemento che denota un carattere «perdente» si ritiene di dover prendere una decisione «dirimente» ogni volta che siamo di fronte ad una scelta.
    Ciò porta ad adottare un approccio fatto di bianchi e di neri piuttosto che quello più corretto dove i toni di grigio diventano, invece, le costanti da utilizzare.
    Quasi mai le scelte, o le valutazioni su un certo accadimento, che siamo chiamati a prendere sono del tipo o… o… mentre, quasi sempre, l’approccio più corretto è quello sia…sia…
    È, ovviamente, più complesso ma, alla lunga, è quello vincente; quello che ci consente di valutare tutte le variabili che intervengono nei singoli processi e ci costringe ad operare su quelle in modo non ultimativo e, soprattutto, con il necessario equilibrio.

  3. Di certo, chiarire come ci si deve atteggiare è utile. Soprattutto se si riesce a evitare il tono burocratico, del tutto inefficace, o pedagogico, che può risultare respingente.
    Il contenuto delle indicazioni è più o meno quello che ho sentito fare alle medie, dalle mie professoresse più vecchio stile, 30 anni fa.
    Da un certo punto in poi, dare queste indicazioni è parso un’interferenza. E non fu una bella pensata, anche se va detto che all’epoca lo stile era piuttosto respingente, appunto.
    Sul tema dell’”e-e” ho molte riserve. Quando, nella multinazionale americana dove lavoravo, ho visto condurre così le discussioni ho sempre pensato che fosse un modo per neutralizzarla e rendere irrilevanti i contributi, evitando di offrire evidenti motivazioni di risentimento. Una forma politically correct per tenersi le mani libere.

  4. e invece io lo trovo splendido, Ms Tseng compresa nonchè la sana idea ,di tanto in tanto, di essere assertivi, costruendo un decalogo o qualcosa di simile. (eppoi…..non tutto si può spiegare con…… il tenersi le mani libere)grazie a tutti

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