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Parlare a un pubblico: come si fa – Metodo 98

Di consigli su come parlare a un pubblico è piena la rete, dai più bizzarri (evitate i latticini!) a quelli in apparenza più ovvi (ricordatevi di respirare). In realtà non tutti i consigli, a parte quelli più ovvi, sono buoni per tutte le persone. E non tutti i trucchi funzionano sempre, perché non tutte le situazioni sono uguali. Dunque, ciascuno dovrà costruire la sua individuale ricetta.
Poiché parlare a un pubblico, però, è un atto di comunicazione, la prima cosa sensata da fare è considerare, applicandoli specificamente al parlare a un pubblico, i criteri generali che rendono efficace un atto di comunicazione.

Già che ci siamo, vi ricordo che il termine “comunicare” viene dal latino cum munire (costruire, legare) e communico (metto in comune). Dunque, considerate che tutte le volte che parlate a un pubblico il vostro obiettivo di base è mettere in comune qualcosa (un’informazione, un’opinione, un’idea o un sentimento) che prima apparteneva solo a voi.

Bene: eccovi ora, più o meno, la definizione di comunicazione che di solito do ai miei studenti, nel primo giorno di corso: comunicare è un processo interattivo di scambio di informazioni tra due o più soggetti in grado di emettere e ricevere segnali e di decodificarli a partire da un codice condiviso.
La definizione può sembrare astratta (sì, lo è), ma vi assicuro che ne derivano conseguenze più che concrete sul come parlare in pubblico.

 1) EMETTERE E RICEVERE SEGNALI. Vuol dire che chi comunica (voi) produce segnali verbali (le parole che dite) e non verbali (tutto quanto non è parole: postura, gesti, espressioni, toni…) che devono prima di tutto essere abbastanza percepibili, cioè abbastanza forti e distinti, da colpire adeguatamente il sistema sensoriale degli interlocutori. Insomma: dovete prima di tutto farvi vedere e farvi sentire bene, e se chi vi sta di fronte non vi vede o non vi sente bene la sfida è persa in partenza. Questo fatto elementare spesso viene sottovalutato.

Voce, tono e ritmo. Non parlate sottovoce, o guardandovi la punta dei piedi. Se avete in mano un microfono, tenetelo vicino alla vostra bocca (non all’altezza dell’ombelico!) e non gesticolate con la mano con cui tenete il microfono (l’ho visto fare più di una volta).
Se il microfono è fisso, regolatelo in modo che la distanza dalla vostra bocca sia adeguata: devono essere pochi centimetri. E poi evitate di cambiare posizione.
Se quando parlate preferite stare in piedi e muovervi (io, per esempio, mi sento più a mio agio così) chiedete un microfono da tenere in mano. I microfoni a cuffia tendono a muoversi, quelli da appuntare alla giacca ancora di più, e vi obbligano a passare un cavetto e a fissare una scatoletta sugli abiti.
Se la sala è piccola, fate serenamente a meno del microfono: dovrete parlare a voce un po’ più alta del normale, ma la voce risulterà più naturale e avrete entrambe le mani a disposizione.

parlare a un pubblico 1

Evitate di parlare in modo monocorde. Tenete un ritmo naturale e variato (importantissimo!) articolando bene le parole, specie se state leggendo (ma se non leggete è meglio).
Più la platea è ampia e le persone sono distanti da voi, più vi conviene controllare che la vostra voce arrivi fino in fondo, e accentuare i cambiamenti di tono. E sì: ricordatevi di prendere fiato: le pause servono anche a questo.
Non fidatevi di chi vi dice di par-la-re len-ta-men-te: un oratore lento è noioso. Ma un oratore che affastella parole è incomprensibile. Trovate il vostro ritmo: sarà comunque più lento di quello che usereste parlando normalmente, perché già il fatto di alzare il mento, guardare il pubblico, articolare bene le parole perché siano comprese e tenere un tono più alto vi obbliga a rallentare.
Qualsiasi tipo di voce abbiate, è la vostra e va bene così. Però controllatela e guidatela: la vostra voce è al servizio delle informazioni e del sentimento che volete trasmettere. Restituite, attraverso le pause e l’intonazione, il senso di quel che volete trasmettere.

Gesti, postura, espressioni. Parlando in pubblico, la comunicazione non verbale è tanto importante quanto ciò che dite: rafforza o indebolisce quanto state affermando.
Non siate solo “una voce”. Fate in modo che le persone vi vedano bene in faccia e, se appena potete, alzatevi in piedi per parlare. Se c’è un leggio, non nascondetevici dietro e non aggrappatevici come un naufrago in mezzo all’oceano.
La comunicazione non verbale può anche confermare o smentire quanto state affermando. Per capirci: se esordite dicendo “sono entusiasta di essere qui”, ma avete in faccia un’espressione schifata, state guardando il pavimento e la vostra postura è depressa (spalle curve, braccia penzoloni) state trasmettendo segnali inconguenti. Se c’è contraddizione tra voce e corpo, il pubblico crederà di più, sempre,  a quel che dice il vostro corpo che a quello che dite voi.

Se non siete attori professionisti, vi riuscirà difficile tenere sotto controllo la comunicazione non verbale mentre siete lì tutti concentrati su ciò che volete dire. L’unica soluzione è che sappiate benissimo quel che state dicendo, che l’abbiate interiorizzato e che ne siate convinti: solo così il vostro corpo potrà “dire la verità”,  aggiungendo la sua propria espressività a quel che voi dite.

2) SCAMBIARE INFORMAZIONI. Un gruppo di segnali (per esempio le parole che dite) è un’informazione solo se ha un senso sia per voi, sia per il vostro pubblico. Se il pubblico non capisce il senso di quel che dite, quella che voi ritenete essere un’informazione dal vostro pubblico verrà percepita come puro rumore. E il vostro discorso risulterà, nel migliore dei casi, inefficace.

Chiarezza, semplicità, struttura. Sia parlando sia scrivendo, se volete comunicare qualcosa, vi tocca sempre calibrare il tipo di parole che usate e il grado di complessità di quel che dite sul livello di competenze del vostro pubblico.
Quando state parlando, l’attenzione a essere chiari è doppiamente importante: se usate codici (parole, concetti) che il vostro pubblico non possiede, verrete sentiti, ma non ascoltati né capiti.
Dunque, le persone devono essere in grado di seguirvi parola per parola: ricordatevi che, a meno che la situazione non sia informale, di solito il pubblico non può interrompere chi sta parlando per chiedere di ripetere una parola o un concetto. Usate parole semplici, frasi brevi. Strutturate quello che state dicendo. Non divagate. Lasciate alle persone il tempo di capire quanto state dicendo. Considerate che una pausa sottolinea ed enfatizza quanto avete appena detto.

Se mentre parlate proiettate testi o immagini, controllate che aiutino a chiarire il senso e che non siano distraenti. Un buon modo per impiegare testi e immagini proiettati è usarli per scandire e segnalare i cambi di argomento, o per ribadire un concetto prima di passare al concetto successivo.
Quando, doverosamente, vi chiedete come parlare a un pubblico, domandatevi in primo luogo come farvi capire dal vostro specifico pubblico.

parlare a un pubblico 2

3) TRA DUE O PIÙ SOGGETTI. Per comunicare bisogna essere (almeno) in due. E per comunicare parlando in pubblico, ci vuole un pubblico. Questo significa che il pubblico, all’interno del processo di comunicazione, è un soggetto tanto importante quanto voi.

Entrare in contatto. Molti suggeriscono di scegliere uno spettatore a caso e di agganciarne lo sguardo. Altri, di saettare la platea di sguardi. Credo che la cosa più importante sia ricordarsi sempre che il pubblico esiste. Che è il motivo per cui siete lì e dite quel che state dicendo. Che ha delle attese e dei diritti (primi fra tutti quelli di capirvi, di non schiattare di noia, di scoprire qualcosa di interessante).
Dunque, non parlate per voi stessi e per il puro gusto di ascoltare la vostra voce. Evitate di pavoneggiarvi. Cercate di mettervi nei panni del vostro pubblico, e fatelo già mentre (cosa altamente consigliata) preparate e provate il vostro discorso.
Un’operazione complessa come parlare a un pubblico è tutt’altro che spontanea. I discorsi devono sembrare naturali, ma sembrano tanto più naturali quanto più e meglio sono stati preparati e interiorizzati.
Dunque: fate mente locale e allenatevi. Pensate a ciò che può risultare piacevole, interessante o emozionante e non fuorviante per il genere di persone che avete di fronte. Dite o fate tutto quanto di lecito o sensato può venirvi in mente per far capire alle persone che state parlando a loro e per loro. Non abusate della pazienza e della benevolenza del vostro pubblico. Non date per scontato che sia necessariamente paziente e benevolo.

parlare a un pubblico 3

4) UN PROCESSO INTERATTIVO. Mentre parlate a un pubblico voi trasmettete informazioni alla vostra platea, ma anche la vostra platea ne trasmette a voi. E (occhio!) si tratta di informazioni sull’andamento della vostra prestazione.

Tempestività e flessibilità. Di norma un applauso è un segnale importantissimo di incoraggiamento, di consenso o di gradimento: dunque, se arriva un applauso, siate grati. Ma non in tutte le situazioni le persone applaudono (o fischiano, o rumoreggiano). Qualsiasi pubblico manda comunque segnali, e vi conviene coglierli, anche se si tratta di segnali deboli: vi aiuteranno ad aggiustare il tiro.
Se le persone vi stanno ascoltando rapite, bene: potete prendervi ancora un po’ di tempo. Se guardano l’orologio o si agitano, o se l’audio è disturbato, o se la sala è calda, affollata, scomoda, o se c’è un ritardo sulla scaletta, siate sintetici: il vostro pubblico ve ne sarà grato. Se fate una battuta e vedete che nessuno ride, evitate di insistere. Se percepite un calo di attenzione, cambiate qualcosa al volo: passate all’argomento successivo. O raccontate un aneddoto. O concludete in fretta.

Dicevo: questi sono criteri generali. Nel prossimo articolo di questa serie metterò in fila alcuni suggerimenti specifici per organizzare e gestire un discorso e per parlare a un pubblico. Se avete domande, scrivetele nei commenti. Vi risponderò.

Se questo argomento vi interessa, potreste leggere gli altri articoli di questa serie:
1)Parlare in pubblico: perché in Italia lo facciamo così male?
2) 
Possedere e governare le parole
3) Parlare a un pubblico: come si fa
4) Come e perché prepararsi a parlare in pubblico
5) Parlare bene in pubblico, avendo qualcosa da dire

8 risposte

  1. Farò tre incontri dal titolo “Scienza e dintorni” (parlando di personaggi e scoperte su temi di fisica e matematica) ad un pubblico eterogeneo come conoscenze ma piuttosto omogeneo per età, è un’università per adulti. Ho sempre dubbi su quello che posso dare per universalmente noto e mi piacerebbe vedere e sentire qualcuno che parla, bene, di argomenti scientifici al grande pubblico. Mi potreste dare qualche suggerimento? Grazie! Vi potrei inviare le slide dei tre incontri dell’anno scorso per avere un vostro parere o chiedo troppo?
    Un cordiale saluto e molti complimenti!

    1. Ciao Maria Giovanna.
      Il “voi”, in realtà, è la sottoscritta.
      Vabbè.
      – Ciò che è universalmente noto: il suggerimento è semplice. Non dare MAI niente per scontato. Ci vuole poco a richiamare (o a trasferire) un’informazione. Può bastare un piccolo inciso a cambiare le cose.
      – Buoni esempi di divulgazione: guardati le Ted Conference di carattere scientifico più popolari. Non sottovalutare la potenza dello humor.

  2. Circola in internet un folgorante video di meta-comunicazione che svela i segreti di OGNI TED talk, trattando esclusivamente lo schema tipico delle conferenze.
    Un mio amico ha commentato correttamente che “è così vero da fare male”.

    Alla prima occasione ve lo linkerò.

    Magari

  3. Sono d’accordissimo su tutto.
    Dall’anno scorso, propongo corsi di public speaking relazionale (più che un corso è un laboratorio dove ognuno sperimenta). Il punto di partenza del mio corso è proprio il concetto di comunicare: non solo il “cosa”, ma anche il “con qualcuno”, invece di fermarsi a “comunicare a”. Altrimenti quello che viene a mancare è una delle parti più importanti: lo scambio.

    Nessuna ricetta magica: tanto impegno, studio e prove. Senza dimenticarsi di respirare (può sembrare ovvio, ma non lo è).

    PS: nella bibliografia del corso c’è sempre il suo “Farsi capire”.
    Sì, vale come grazie.
    Tatiana

  4. Tempo fa ho letto “Come parlare in pubblico e convincere gli altri” di Dale Carnegie.
    Non sono mai stato un oratore e non ho avuto modo di mettere in pratica o sperimentare sul campo i consigli riportati in questo libro, libro che ho trovato interessante e attuale nonostante abbia “qualche” anno…!
    Ma forse lo conoscete già…

  5. Per comunicare innanzitutto bisogna avere QUALCHE COSA da dire (lo ricordi anche tu, Annamaria, nel metodo 97). Pare ovvio, ma non sempre accade che gli oratori ne abbiano consapevolezza. La dimensione autoreferenziale e narcisistica tira brutti scherzi. 

    Penso che nella comunicazione debbano convivere le TRE componenti: chi parla, chi ascolta e l’argomento scelto.

    In secondo luogo la comunicazione efficace si nutre di argomenti e delle sue declinazioni. I popoli latini hanno grandi padri da Aristotele a Quintiliano.
    Non vorrei apparire saccente, ma credo che dovremmo ricordare l’Ethos, il Pathos e il Logos. Fondamentali, così come l’inventio, la dispositio e l’elocutio. Non è vero?

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