governare le parole

Possedere e governare le parole – Metodo 97

Per saper dire bisogna non solo possedere, ma anche saper governare le parole.
Tutti noi parliamo ogni giorno, perfino troppo, scordando che le parole non sono solamente  tratti che appaiono su un foglio o su uno schermo. Suoni che vibrano nell’aria. Segnali (bip, bip, bip) che ci scambiamo perché parlare è nella nostra natura e per ricordare al mondo, e a noi stessi, che esistiamo.
Saper dire significa scegliere, tra tutte le parole che possediamo, quelle esatte, e solo quelle, e metterle in fila  in modo accorto, fino a costruire una struttura robusta, coerente e potente. Così le idee prendono forma, consistenza, peso. Le visioni possono essere condivise. Le parole diventano lame che squarciano veli, fari che illuminano notti nere.
Sono pugni nello stomaco. O sono carezze e medicine.

Le parole, lo dico ancora, possono essere strumenti per costruire, armi per combattere, ali per volare. Chi non è in grado di saper dire perché non possiede o non sa governare le parole se ne resta senza strumenti. Senza armi e senza ali.
L’aveva già capito don Milani. Ogni parola che non impari oggi è un calcio nel culo domani, diceva ai suoi ragazzi.

La recente vicenda dello stupro di Stanford riguarda anche il possedere e il governare le parole.
Siamo in California, nel campus di Palo Alto. Una giovane donna subisce un’aggressione sessuale. È andata a una festa, ha bevuto, ha perso conoscenza. Si risveglia bendata, insanguinata e dolente su una barella in ospedale. Non ricorda niente. Scopre i dettagli di quanto le è successo solo nei giorni successivi, leggendo le notizie sul telefono.

Il processo si svolge un anno dopo. L’aggressore è uno studente di diciannove anni, campione di nuoto. I reati che ha commesso prevedono pene fino a quattordici anni di carcere. La difesa chiede sei anni. Lui minimizza. Suo padre minimizza. Il suo avvocato minimizza.
Il giudice stabilisce che sei mesi possono bastare.

saper dire text

È l’ennesima storia orribile di una serie infinita. C’è perfino una pagina dell’edizione inglese di Wikipedia dedicata specificamente ai campus sexual assault: il fatto è così ricorrente da essere ritenuto enciclopedizzabile. È l’unico tipo di violenza tra studenti a non essere diminuita dal 1995. Tutti i campus americani ospitano colonnine antistupro.
La maggior  parte delle vittime di violenza sessuale (ancora Wikipedia) non denuncia l’accaduto alla polizia o alle autorità perché non lo considera “abbastanza serio” da essere perseguito. Poche righe dopo, la medesima pagina segnala che, se i risultati delle ricerche sugli stupri nei campus venissero presi sul serio, ne verrebbe fuori che in molte università la percentuale di crimini violenti è superiore a quella di qualsiasi città.

Dicevo: l’ennesima storia orribile. Con una variante.
Questa giovane donna parla. Legge davanti al giudice una lunga lettera rivolta al suo stupratore, poi pubblicata in rete, in cui riesce a dire l’indicibile (qui la traduzione italiana).
È una giovane donna istruita e consapevole. Possiede e sa governare le parole. Usa tutte quelle che servono, ma solo quelle.

Le parole che sono visioni, o pugni e lame (e anche quelle che sono carezze, o vere medicine) non sono mai a buon mercato. Uno deve andarle a cercarle dentro se stesso per cavarle fuori a una a una: non riesco nemmeno a immaginare quanto difficile e doloroso sia stato farlo, in questo caso.
Ma le parole difficili e dolorose che questa giovane donna riesce a usare per dire l’indicibile trasformano quello che potrebbe essere un caso tra mille altri nel singolo caso che illumina, rivelandoli nuovamente, tutti gli altri.

What makes the Standford case so unusual, titola The Altantic. Ecco che cos’è, a rendere il caso così inusuale: sono l’enorme potere e la chiarezza di pensiero che le dichiarazioni della vittima rispecchiano.
Questa donna ha superato il lavoro di ogni documentarista, di ogni politico, di ogni giornalista o avvocato, dice Ashleigh Banfield, anchor woman della CNN, che legge la lettera all’interno del proprio programma.
Sono sbalordito per il tuo coraggio. La tua storia sta già cambiando delle vite scrive in una “lettera aperta a una giovane donna coraggiosa” il vice presidente Joe Biden, promotore e sostenitore del Violence Against Wiomen act, la legge americana contro la violenza sessuale. Così, sullo Stanford rape si accendono un’attenzione e un dibattito pubblico che non hanno precedenti. Forse, come si augura Biden, qualcosa comincia a cambiare davvero.

Questa storia è esemplare, terribile ed estrema. Ho fatto fatica a scriverne e, prima, a leggere tutto ciò che era necessario per scriverne. Per favore, non pensate “almeno è andata a finire bene” perché non è così: nessuno stupro “va a finire bene”.
Con il prossimo articolo di questa serie tornerò a raccontare nel dettaglio che cosa significa parlare in pubblico e perché è importante imparare a farlo, e a suggerirvi qualche accorgimento. Ma vi chiedo di non dimenticarvi di questa storia, e del potere che un discorso può avere. È un potere che appartiene non ai politici, ai giornalisti, ai capi, ma a chiunque, e anche a una giovane donna  che, stuprata e umiliata, non dimentica di possedere e saper governare le parole.

Le immagini sono dettagli di due lavori di Heitor Magno. Sul parlare in pubblico potete leggere anche:
Parlare in pubblico: perché in Italia lo facciamo così male?
Parlare a un pubblico: come si fa
Come e perché prepararsi a parlare in pubblico
Parlare bene in pubblico, avendo qualcosa da dire

3 risposte

  1. Articolo davvero interessante. Il potere di governare le parole mi ha permesso di riflettere ancora di più su ciò che sto studiando sempre più da vicino: la pnl. Credo che sia davvero importante avere le parole giuste al momento giusto, per avere voce in capitolo anche in queste situazioni così delicate.

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