resilienza

La resilienza: che cos’è e a che serve – Metodo 57

Di resilienza si sente parlare sempre più spesso. La parola ha una storia antica (viene non dall’inglese, come molti credono, ma dal latino resilis, che significa rimbalzare, ritornare in fretta). Il suo significato rimanda a un concetto complesso e a una capacità affascinante, che appartiene sia ai sistemi ecologici, biologici e sociali, sia alle singole persone: riguarda il sopravvivere e il resistere agli eventi negativi.

“Quello che non ci uccide ci rende più forti”. L’ha scritto nel 1888 il filosofo tedesco Friedrich Nietzsche. Come segnala maliziosamente questo curioso video l’aforisma ha ispirato generazioni di musicisti pigri, appartenenti ai più diversi generi musicali, dal benevolo pop all’ispido metal.
Se non siete musicisti e non state componendo una nuova canzone, però, l’idea del rafforzarsi coltivando la resilienza e superando difficoltà potrebbe tuttavia sembrarvi, e a ragione, potente.
Per ribadire il concetto e contrastare il video precedente, guardate che cosa riesce a comunicare, sulle note di Stronger di Kelly Clarkson, la straordinaria gente (medici e pazienti) del Seattle Childrens Hospital.
Dite che solo gli americani possono fare una cosa così? Non è vero: questa, come un abbraccio ideale tra Italia e Stati Uniti, è l’altrettanto straordinaria Oncoematologia pediatrica di Parma. Braccialetti rossi, fuori dalla fiction televisiva.

Cita la massima di Nietzsche già nelle prime pagine un recente libro di Anna Oliverio Ferraris e Alberto Oliverio, intitolato Più forti delle avversità. Parla di resilienza: la capacità psicologica di riprendersi reagendo ai traumi e agli errori.
Resilienza è ciò che i filosofi Epitteto e Marco Aurelio chiamavano “forza d’animo”. Il termine “resilienza” (ricopio per voi da pag. 15) è mutuato dalla scienza dei materiali e indica la capacità di resistere e conservare la propria struttura o forma iniziale: materiali compressi, schiacciati e deformati riacquistano la propria forma originaria se liberati dal peso che li sovrasta e dalla deformazione. Applicata ai sentimenti e alla struttura della personalità la parola (…) indica la capacità di riemergere da esperienze difficili mantenendo un’attitudine sufficientemente positiva nei confronti dell’esistenza.
La buona notizia è che la resilienza non è una dote eccezionale ma – dicono gli autori – è una caratteristica della personalità piuttosto diffusa: c’entrano senso di identità, fiducia in se stessi, forti convinzioni, capacità di avere relazioni, di creare nuovi legami con altre persone e di solidarizzare, di condividere, di restare aperti, di coltivare l’ottimismo e di immaginare.
Non a caso, la resilienza è una componente  (e anche un dono) della creatività.

Cos'è la resilienza

Tra l’altro, uno degli ingredienti più interessanti della resilienza è lo humour. La sua capacità di ridurre lo stress è stata provata da diversi studi svolti in differenti parti del mondo, sia in situazioni  oggettivamente complicate, sia in condizioni più quotidiane. Per esempio, si è rilevato che gli studenti più dotati sono anche più capaci dei meno dotati di attivare lo humour per gestire la tensione connessa con le prove scolastiche.
Ed ecco due ulteriori cose notevoli: lo humour svolge una funzione positiva a patto di non essere autodenigratorio o aggressivo. E può essere allenato e incoraggiato: gruppi di volontari addestrati a  – diciamo così – prenderla su ridere si sono dimostrati, anche a distanza di tempo, più ottimisti e meno depressi e ansiosi di gruppi non addestrati.

Più forti delle avversità parla anche di “scuole resilienti” e di “aziende resilienti”: nel primo caso, un insegnante bravo e preparato è in grado di compensare la situazione familiare carente o lo svantaggio sociale dei ragazzi a patto, dicono gli autori, di possedere le seguenti qualità: autenticità, considerazione per l’alunno, empatia. È l’effetto Pigmalione, che non si estende solo agli alunni svantaggiati ma all’intera classe, migliorandone sostanzialmente i risultati.
Le caratteristiche che rendono, invece, resilienti le aziende sono un forte senso di identità, la capacità di adattarsi al cambiamento storico-sociale, la vocazione a investire in settori diversi anche a rischio di qualche fallimento, gli alti gradi di libertà decisionale dei manager, l’essere permeabili al mondo esterno e ai pareri scomodi, la capacità di imparare, l’attitudine a reinventarsi.
A proposito di manager, però, occhio alle personalità narcisistiche e carismatiche: possono portare il gruppo a clamorosi insuccessi, proprio in quanto sono meno disposte a mettersi in discussione, a cogliere segni importanti nell’ambiente, a modificare in corso d’opera una linea d’intervento; il gruppo, d’altronde, è ormai abituato a seguire un leader infallibile. La storia, come indicano alcuni recenti e clamorosi fallimenti di grossi gruppi e aziende, è piena di questi esempi.

Cos'è la resilienza

Infine “Io sono il padrone del mio destino, io sono il capitano della mia anima” è il credo dei  Sapeurs, una subcultura sartoriale cresciuta in Congo come espressione di disobbedienza civile al regime di  Mobutu. Sono finiti sulle pagine dei principati giornali del mondo, e anche su quelle delle maggiori riviste di moda e in uno spot della birra Guinness. Guardate che meraviglia. Qui (da vedere) cinque minuti di documentario sui Sapeurs di Brazzaville.

Le immagini sono dettagli di opere di Fabian Oefner. Questo post esce anche su internazionale.it. Se vi è piaciuto, potreste leggere anche
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20 risposte

  1. Grazie Giacomo: ottimo approfondimento.
    Però: capisco il punto di ReportAfrica “gli elegantoni nei quartieri disastrati”, ma non riesco a non trovare una nota positiva in questo movimento che ha radici di ribellione politica e di ricerca di riscatto individuale, e si esprime in modo così folle, paradossale, vitale, eccessivo.
    Del resto “non di solo pane…”. Qualche volta, anche di colori e di griffe, reinterpretate – questo forse è il punto vero – con una energia e una libertà che stupiscono.

  2. Mi spezzo ma non mi piego, vs. Mi piego ma non mi spezzo. Così che un uomo tutto d’un pezzo, dopo la catastrofe thomiana, non piegandosi eccolo che è in due pezzi, che non è bello a vedersi. L’altro, tutto accartocciato e contorto eccolo fiero della sua duttilità. A proposito: da duttile a resiliente, da malleabile a informe e amorfo, che distanza occorre?, Non è che poi si è troppo disponibili a farsi plasmare? Ci sono quelli che, per evitare discussioni, dicono sempre sì, restando in cuor loro fermi nella loro idea originale, e non ho capito se è questa resistenza non espressa o resilienza estrema. Sì, sì, hai ragione, dicono. Poi fanno ciò che credono, da buoni opportunisti. Come i materiali da riciclare. Per distinguere la carta dalla plastica –appena svegli– fra i materiali degli imballaggi dei biscotti, basta accartocciarli: se il foglio “ritorna” e si disincartoccia è pet o pth o ptfe, se se ne sta buono tutto appallottolato, è carta. Ma forse è solo un fatto di attitudine e non c’è nessun ragionamento.
    Mi chiedo se la Resistenza sia stata tale o è stata Resilienza, in quanto capacità preaptica di com-prendere il proprio tempo, di modificare la realtà sulla base di un diverso progetto di società e d’individualità: quella sì gente tosta.

  3. Ciao Anna, le parole “Io sono il padrone del mio destino, io sono il capitano della mia anima” sono anche quelle della poesia di Henley…

  4. @Annamaria. La storia del movimento, nell’articolo è ben raccontata. E mi sembra anche ben raccontato il suo esito attuale: perse le radici di rivolta, il movimento è diventato “il sistema dell’apparire”. Tra l’altro dell’apparire maschile, a quanto sembra. Con grande irritazione della parte femminile. Perchè se è vero che non di solo pane vive l’uomo, è anche vero che il pane è indispensabile averlo, altrimenti si muore di fame, come forse le donne a cui è demandato il compito di allevare i figli, sanno meglio di certi uomini. Sarebbe interessante la voce di qualche antropologo. C’è relazione, ad esempio, tra questi costumi e gli antichi costumi tribali delle “piume più belle”? Quanta importanza ha avuto il sistema televisivo nella diffusione sia del movimento sia del “sistema dell’apparenza”? E così via.

  5. Giovedì 20 marzo, alle ore 18, presso lo Spazio GIVA in via Aurelio Saffi 9, Milano, presentazione ufficiale del Movimento d’Arte e Cultura “Resilienza Italiana”.

    Il movimento è nato da un’idea di Francesco Arecco (scultore) e di Ilaria Bignotti (curatore indipendente, storica d’arte e docente presso l’Accademia di belle arti SantaGiulia di Brescia) e alla sua fondazione hanno partecipato sei scultori. Oltre allo stesso Arecco troviamo Valentina De’ Mathà, Alberto Gianfreda, Francesca Pasquali, Laura Renna, Daniele Salvalai.

    Per approfondire cliccate sul link: http://bit.ly/1q60SAj

  6. Grazie!sig.a Annamaria ho sempre pensato che fosse un termine caratteristico della materia. In special modo rivolto ai metalli,in quanto materia quindi applicabile anche alle caratteristiche delle persone esempio “cuore d’acciaio” “o due palle così”,gesticolando le c al contrario- ma questo solo per ironizzare la materia che è seria e a volte sopra stimata, senza però uscire dal tema.Dopo l’articolo è confermata
    l’attitudine.Grazie sempre della luce dispensata.

  7. Anche io, ancora una volta, ringrazio.
    Il termine resilienza, mi è caro da un po’ di tempo.
    Quando è iniziato il 2014 – ero insieme a circa 50 persone a me molto care – a tutti ho augurato di essere “resiliente”, al massimo livelllo possibile.
    Poi, con te Annamaria Testa, gli orizzonti si allargano, i pensieri scoprono ancora di più la mia anima, capisco che – se riesco a diventare più resiliente – sarò più felice.
    Grazie.

  8. La resilienza è un concetto che appartiene all’umanità. Ce ne vuole tanta nei momenti che contano, come quando devi organizzare un matrimonio, con la tua vita che ti cambia sotto agli occhi. Alcune cose cambiano… Pure troppo!

  9. Nei materiali significa semplicemente il contrario di fragilità. E mi sembra che ciò si adatti a tutte le analisi e interpretazioni presentate qui. Mi sembra però divenuta una buzzword di questo periodo, un feticcio a cui attribuire la propria idea e con cui rassicurarsi. Come l’empowerment degli anni ’90. Si lega alla cosiddetta cultura del fallimento, che pure, infatti, andrebbe presa con molta più cautela di come si fa oggi.

  10. Peccato che non stiamo parlando di materiali inerti, ma di persone! La solidarietà è la compagna imprescindibile della resilienza,da sola, quest’ultima può tradursi in un disumano: “se sei forte vivi, se non lo sei, muori”.

  11. Ho letto tutto il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza con la principale curiosità di capire cosa, il Presidente e il Consiglio dei Ministri, intendano per resilienza. Ho così scoperto una nuova accezione del termine: aggiramento. Soprattutto nella parte 2.2 Rivoluzione verde e transizione ecologica, la ricerca di una via capace di contenere la Ripresa, la Crescita Economica, lo Sviluppo del Commercio Internazionale, che permetta al nostro Paese di ripartire rimuovendo gli ostacoli che l’hanno frenato nell’ultimo ventennio, passa proprio dall’aggiramento degli ostacoli –questa stupida Terra non infinita e altre simili facezie– che ci permetterà di recuperare il tempo perduto a causa della pandemia. Il tutto per un debito modico, quasi simbolico, da far pagare alla prossima generazione, in cambio di enormi benefici. Se noi vecchi balordi avessimo affidato ai giovani con meno di venticinque anni (che i trentenni sono già decotti) la redazione del piano, avremmo ottenuto forse un testo migliore, meno ipocrita, e con meno maiuscole.

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