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Rai: il rischio, la sfida e il paradosso dell’audience

Negli anni Cinquanta gli italiani imparano a parlare italiano guardando la televisione. Negli anni Sessanta, guardando la televisione un milione e mezzo di adulti impara a leggere e a scrivere grazie alle lezioni di Alberto Manzi. Il format (ma la parola format non esiste ancora) viene replicato in 72 nazioni.
Oggi in un paese come è il nostro, poco alfabetizzato, e con un forte analfabetismo di ritorno (se non ci credete guardate i dati), e nonostante l’espansione del web, la televisione continua ad avere un grande peso sia in termini di informazione, sia in termini di costruzione di un’identità e di un immaginario condiviso, sia in termini di educazione: a questo peso dovrebbe corrispondere, da parte della Rai, un’assunzione di ruolo e di responsabilità. Ma non è più così da circa trent’anni.

A partire dagli anni Ottanta la Rai intraprende un’affannosa rincorsa emulativa della formula “pupe e circenses” propria della concorrente Mediaset. E le va male: a fine 2000 Canale 5, rete ammiraglia Mediaset, supera la rivale Rai 1 grazie a programmi come “Grande Fratello”, “Striscia la notizia” e “C’è posta per te”.
Agli inizi del 2002 il servizio pubblico perde il primato dell’audience.
Certo, in questi trent’anni abbiamo avuto – e ci mancherebbe – anche buoni programmi. Per esempio la sperimentazione di Rai 3 con Guglielmi: guardatevi una puntata di Blob con questo link. Abbiamo avuto Enzo Biagi (ma ci ricordiamo anche dell’editto bulgaro che l’ha cacciato). Piero Angela continua a fare ottima divulgazione. Abbiamo avuto Benigni a recitare Dante, Fiorello (guardatevi questo duetto con Elisa), Saviano (qui il monologo “La macchina del fango“). E poi Gabanelli, Augias… e molti altri.
Ma si è trattato di episodi. Manca da troppo tempo un progetto coerente e coraggioso. Tra pregiudizi (per esempio, che la qualità non faccia audience, che l’intelligenza sia noiosa) spreco di competenze professionali (in Rai c’è molta gente in gamba sottoutilizzata e frustrata), lotte di potere e polemiche interminabili, l’azienda si avvita su se stessa da troppo tempo.

Del resto non c’è creatività senza progetto: l’audience in sé non è un progetto ma, se mai, un risultato. E non può essere l’(unico) obiettivo: nessuna azienda può porsi l’obiettivo di vendere “qualsiasi” cosa, ma deve darsi da fare per produrre con costanza qualcosa che è utile e interessante, capace di interpretare lo spirito del tempo e di rispondere ai nuovi bisogni. E che quindi si vende perché ha valore.
In altri paesi la tv riesce a dare un concreto aiuto alla modernizzazione e all’educazione. E lo fa, notatelo, usando in maniera eccellente i propri linguaggi e guadagnandosi pubblico: in Brasile le seguitissime telenovelas di Rede Globo hanno sull’emancipazione femminile un effetto – dice l’economista Eliana La Ferrara – equivalente a quello di due ulteriori anni di istruzione. In Rwanda due radio-soap aiutano la riconciliazione.
La telenovela Noor prodotta dal turco Kanal D e rivenduta (un bel business) in tutti i paesi arabi sta esercitando un’influenza positiva nel mondo islamico. Mentre nel 2010 una straordinaria serie BBC di argomento medievale (ehi… immaginatevi la faccia di un dirigente Rai se qualcuno propone di fare un programma divulgativo sul Medio Evo) diventa perfino uno dei materiali più postati sul web, tanto da venir segnalata da AdAge, notissima testata di pubblicità.
C’è un enorme spazio (anche commerciale) di opportunità oggi, in Italia, per una Rai capace di interpretare il presente e il futuro, di raccontarlo e, magari, di dare una mano a costruirlo, un futuro. Capace, insomma, di scegliersi, tra cultura, educazione, informazione, narrazione, intrattenimento di qualità, diffusione di pratiche virtuose, una propria strada che sia di pubblica utilità. Ma c’è un’altrettanto grande area di rischio.
Sarebbe bello che qualcuno se ne accorgesse, prima o poi. E, preferibilmente, adesso.

8 risposte

  1. A me questa RAI non interessa. Non guardo più alcun programma. Ha ancora senso la sua esistenza? A parte tutti i discorsi sulle potenzialità che lasciano il tempo che trovano, ha una ragion d’essere questa RAI che pretende pure di tassare gli italiani che usano internet? Perché si tace sull’esito del referendum del 1995 sulla privatizzazione rimasto inattuato? Perché non è stata rispettata la volontà espressa nel referendum? Francesco Di Bartolo – Vicenza

  2. Ciao Francesco. Parlare di RAI (non di Sanremo, sul quale la rete si è inutilmente scatenata. Non di pinzillacchere, insomma) ha un grandissimo senso, a mio avviso. Per ricordarlo a tutti ho linkato qualche dato, che ti invito a vedere. – Siamo un paese che non legge, con ampie sacche di analfabetismo di ritorno – un paese che continua a guardare la TV (ho capito che tu non lo fai. Ma lo fa il 90% degli italiani) – e un paese che ancora oggi va poco sul web. Naviga quotidianamente (e chissà come, e dove, fra l’altro) poco più del 25% degli italiani. In questo contesto, la TV continua, e continuerà ancora, a essere il più importante generatore di informazione, spettacolo, valori, immaginario, narrazioni, identità…. vogliamo lasciare tutto questo nelle mani dei privati? Magari impacchettandogli una good company e tenendoci sul groppone una bad company, come è successo con Alitalia? Ma non solo: RAI potrebbe essere un grande motore per lo sviluppo di professioni creative, come succede in Francia e in Inghilterra, se solo tornasse a progettare e a produrre. E ti chiedi se ha senso l’esistenza della RAI? E che senso ha domandarsi chi governa la RAI? Leggiti, per favore, l’ultimo link. O guardati, per favore, questo articolo uscito in prima pagina sul Corriere di oggi. Insomma, dai… proviamo a pensarci sul serio, eh?

  3. Molto spesso si contrappone il web alla tv. Da una ricerca presentata lo scorso anno da una delle maggiori società fornitrici di servizi informatici alla pubblica amministrazione, in un importante convegno sulla sicurezza dei dati in rete, è venuto fuori un dato interessante: ogni postazione dotata di connessione internet in diversi Ministeri, nelle sedi di diverse Regioni, delle Province e di molti Comuni, si connette a siti che nulla hanno a che fare con gli scambi d’informazione intra e inter-lavorativi, per un tempo medio prossimo ai 120 minuti. L’utilizzo improprio, e per questo pericoloso per la vulnerabilità di dati riservati (concorsi, appalti, progetti, dati personali dei cittadini ecc.), è orientato alla pornografia, alle ricette di cucina, ai pettegolezzi su personaggi famosi, alla pianificazione di viaggi. L’incremento maggiore (da circa 90′ ai oltre 120′ pro-capite/giorno) è stato generato da Facebook. Trovo che -a parte il giudizio sull’impegno lavorativo dei dipendenti pubblici- anche il web sia in via di televisionizzazione acuta. Concordo circa la necessità di una rifondazione della Rai e dei programmi tv, ma ho come il sospetto che forse confondiamo la causa con l’effetto. p.s. sono un lavoratore autonomo che, nelle 11 ore medie di presenza in studio, ogni tanto ruba un quarto d’ora per rilassarsi, invece del caffè.

  4. Commento sintetico: molto interessante. Temi da approfondire ancora. Sono pienamente d’accordo: la penso proprio così. Da anni (da sempre, potrei dire). Enzo Di Leo

  5. per fortuna non c’è solo la tv. i cittadini responsabili hanno il dovere di migliorare se stessi e possono farlo spegnedo la tv e accendendo il cervello, aprendo un libro o, eventualmente essendo critici di fronte alla tv stessa e scegliendo nel panorama, al dire il vero di basso livello, ma comunque con qualche eccezione lodevole: report, presa diretta, quark e pochi altri. sperare che sia la tv a cambiare se stessa è un’illusione e allora devono essere i “cittadini utenti” a cambiarla, scegliendo fra i programmi migliori, selezionando ciò che c’è di buono. pubblicizziamo i buoni programmi con il passaparola, con internet o come vogliamo, se ci saranno risultati i primi ad accorgersene saranno i signori dell’auditel, unico vero creatore di palinsesti televisivi. fabio ascani

  6. Quanti commenti velleitari, non tutti hanno gli strumenti adatti per ampliare le proprie conoscenze su canali alternativi, per questo il ruolo della tv è ancora centrale. Ma fino a quando ci sarà un atteggiamento di sussiego nei confronti di questo mezzo da parte di che dovrebbe intervenire e non solo, beh le cose non cambieranno di molto. Michele Siconolfi

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