Vabbe’, non sempre è vero che un esempio (o un’immagine) vale più di mille parole. Ma qualche volta, magari, sì. Dunque, oggi vi propongo alcuni esempi a supporto di un’affermazione semplice: al di là dei faccioni, e degli slogan così generali da risultare fatalmente generici, c’è un intero mondo di possibili discorsi consistenti da trasmettere agli elettori.
Basta aver voglia di farli. E, prima, di pensarci.
Tra l’altro, un’idea chiara e coraggiosa è anche più facile da trasformare in una comunicazione pubblicitaria che acchiappa l’attenzione, si fa capire e ricordare, emoziona e, magari, convince.
Ecco, per cominciare, alcune decine di immagini di campagne politiche italiane con un loro perché, uscite tra il 1974 e oggi.
Lo slideshow è tutt’altro che esaustivo ma può darvi un’idea dei molti modi (humour compreso) in cui, volendo dire qualcosa, ci si può riuscire perfino qui da noi.
Gli anglosassoni hanno una lunga tradizione di campagne politiche toste. Qui uno dei manifesti più famosi. Esce nel Regno Unito per le elezioni del 1979, firmato dal Partito conservatore. Il messaggio si radica nella memoria collettiva: negli anni seguenti è stato citato e ripreso più volte (l’ultima dal Partito repubblicano statunitense, nel corso delle recenti presidenziali) ed è entrato nella storia della comunicazione politica e anche in Wikipedia. Margaret Thatcher vinse le elezioni.
The living room candidate è un meraviglioso sito che raccoglie tutti gli spot per le campagne presidenziali statunitensi dal 1952 (Eisenhower contro Stevenson) a ieri (Obama contro Romney). Merita una visita approfondita: ci sono gli ultimi sessant’anni di storia della comunicazione politica, di storia del mezzo televisivo, di storia della pubblicità e di storia tout court ordinati in modo chiarissimo ed esauriente (guardate anche, sulla parte destra dello schermo, le info relative a ogni sfida elettorale, compresi numeri e mappe dei risultati nei singoli stati).
Concludo ricordando forse il primo, esilarante caso nazionale di contro-campagna politica virale. Siamo nel 1963. In occasione della nuova sfida elettorale la Democrazia cristiana tenta di far proprie le tecniche persuasive americane e chiama in Italia lo psicologo Ernest Dichter, mago delle ricerche motivazionali. Il quale fa, appunto, una ricerca e scopre una certa stanchezza nei confronti di un partito ininterrottamente al potere da quando è nato, vent’anni prima. Così, viene prodotto un manifesto meno democristiano e più moderno del consueto: una bella ragazza vestita di bianco che evoca la pubblicità del sapone Lux. Commenta l’immagine lo slogan “La Dc ha vent’anni”. Al quale centinaia di manine clandestine, in tutta Italia, aggiungono la chiosa “è ora di fotterla”.Morale: un’innovazione formale, anche graziosa e furbetta, è facile da smontare e contraddire (oggi molto più di cinquant’anni fa). Meglio darsi da fare per avere un’idea forte e poi (ma solo poi) per darle una forma buona e, possibilmente, nuova. Entrambe le cose non sono facili da fare, ma neanche impossibili.
Questo articolo è uscito anche su Internazionale web.
salve
post molto interessante così come interessante sono tutti gli approfondimenti che puntualmente proponi per ogni argomento trattato. mi permetto solo di farti notare una “svista” : la copertina dello slideshow, e quindi il titolo ha l’articolo al singolare e il soggetto al plurale..:D
“Qui uno dei manifesti più famosi. Esce nel Regno Unito per le elezioni del 1979, firmato dal Partito conservatore. Il messaggio si radica nella memoria collettiva: negli anni seguenti è stato citato e ripreso più volte (l’ultima dal Partito repubblicano statunitense, nel corso delle recenti presidenziali) ed è entrato nella storia della comunicazione politica e anche in Wikipedia. Margaret Thatcher vinse le elezioni.” ….e tolse il lavoro a migliaia di inglesi e minatori. Mica è detto che se la racconti bene una balla sia meno pericolosa!
Furio, questo post parla di efficacia dei messaggi, non – e dovrebbe risultare chiaro – di correttezza dei contenuti.
Neanche tanto implicitamente segnala a chi NON racconta pericolose balle la necessità di farlo – si può – dotandosi comunque di messaggi efficaci.
La vostra critica è indubbiamente sensata, e certamente meglio si potrebbe fare con slogan e campagne prodoti con modalità meno autarchiche e più professionali. Tuttavia, siete così sicuri che tutti gli esempi da voi citati non si prestino a irocnici smantellamenti? Io non ne sarei così sicuro. La “creatività” certamente conta ma non basta a risolvere problemi sottostanti alla comunicazione…
Ciao Carlo. E’ esattamente quanto sto sostenendo: in assenza di una proposta chiara e forte, non c’è make-up di comunicazione che tenga.
E, invertendo i termini, quando la campagna politica appare vaga e confusa è possibile che, dietro, ci sia un progetto altrettanto vago.
In comunicazione, la forma non è sovrastruttura rispetto al contenuto, ma è espressione del contenuto: senza forma, il contenuto non è fruibile (immagina, per esempio, un’idea che non riesce a esprimersi in segni chiari e distinti, siano parole, numeri, note, immagini di qualsiasi tipo).
Non a caso il post si intitola “Campagne politiche con un perché”