cinque domande Salone Libro Torino - 5 domande

Cinque domande semplici su questioni complesse. Da Torino a tutti voi

Il Salone del Libro di Torino lancia, come un messaggio in una bottiglia, una sequenza di cinque domande: ve le ricopio al termine di questo articolo. Le indirizza a scrittori, scienziati, artisti. Sono disposte in una progressione che parte dall’individuo, procede verso il suo rapporto con gli altri e con il mondo e poi si proietta nell’universo, tra scienza, spiritualità e arte.
Tutto ciò ricorda un vertiginoso e ancora magnifico cortometraggio (ai tempi non si usava il termine “video”) del 1977, intitolato Potenze di dieci (The Powers of ten). Sottotitolo: un film che fa I conti con le dimensioni relative delle cose nell’universo, e con l’effetto di aggiungere un altro zero.

DOMANDE E CREATIVITÀ. Fare (e farsi) domande è un’attitudine trascurata ma fondamentale per il pensiero creativo. Ma sembra che in questi tempi frettolosi, sbrigativi e rudi si stia diffondendo la presunzione di poter trovare risposte efficaci senza neanche far la fatica di mettere insieme uno straccio di domanda ben formulata. Cioè: che individua un tema, lo circostanzia, non contiene una risposta implicita e tuttavia può, almeno in teoria, dar luogo una o più risposte soddisfacenti.

IL PAESE DELLE MERAVIGLIE. Per esempio. Alice chiede al Gatto del Cheshire: Mi dici, per favore, da che parte dovrei andare? Dipende da dove vuoi arrivare, risponde il Gatto.
Ora, uscite dal Paese delle Meraviglie, entrate nel paese reale e provate a pensare a quanta gente si chiede dove andare senza prendersi la briga e la responsabilità di specificare il dettaglio non irrilevante della meta desiderata.
Per dare buone risposte a cattive domande bisogna avere un talento raro. O bisogna essere il Gatto del Cheshire. Quindi, è tutto più semplice se le domande sono fatte bene.

DONI SCAMBIATI. E ancora. Anche senza scomodare Socrate e il suo metodo, basterebbe ricordarsi che domande e risposte, se sono autentiche, sono regali che ci scambiamo. Che domandare e rispondere è il modo per formare e per trasmettere nuova conoscenza. E per toccare sia la nostra grandezza (quando siamo in grado di dare risposte nuove) sia la nostra piccolezza (quando ci rendiamo conto che ci saranno sempre nuove domande).

LE CINQUE DOMANDE. Vi dico subito che, insieme a molti altri, ho dato una mano a formulare le cinque domande del Salone del Libro. Non mi sto pavoneggiando per questo (appunto: eravamo in molti). Ma l’esperienza diretta mi aiuta ad attestarvi che formulare in modo semplice e breve quesiti che riguardano questioni complesse, offrendo elementi utili a ragionare sulle risposte senza però determinarne il contenuto, ha chiesto attenzione, delicatezza e un sacco di lavoro.

ESERCIZI DI CONSAPEVOLEZZA. Provare a rispondere alle cinque domande può essere un bell’esercizio di consapevolezza e di visione: magari vi va di farlo. Potete poi inviare le vostre risposte (ma si può anche rispondere a una domanda sola) a questo indirizzo email: 5domande.salto18@gmail.com Ad aprile tutte le risposte verranno pubblicate online, in un sito dedicato, insieme a quelle degli scrittori, degli scienziati e degli artisti. Se vi va, potete incollare le vostre risposte anche qui su NeU, nei commenti a questa pagina.

CONFRONTARSI COL MONDO. Così, avrete il gusto ulteriore di confrontare le vostre intuizioni, per esempio, con quelle degli spagnoli Fernando Aramburu, Clara Usón e Javier Cercas, dell’americano Peter Cameron, dello svedese Björn Larsson, dell’islandese Jón Kalman Stefánsson, del messicano Guillermo Arriaga. Degli italiani Antonio Manzini, Marcello Fois, Milena Agus, Davide Ferrario, Maria Pace Ottieri, Andrej Longo e Laura Pariani. E di molti altri, perché i contributi stanno continuando ad arrivare.

CONFRONTARSI IN CLASSE. Se invece vi va di fare un lavoro collettivo su questi temi e siete insegnanti, ricordate che le risposte delle classi sono benvenute, e che al Salone ci saranno appuntamenti in cui gli studenti, e anche i piccoli delle elementari, potranno parlarne con gli autori.

Eccovi le domande. Su, dai, pensateci, che è una bella sfida. E magari fatele girare.

Chi voglio essere?
La nostra identità è in continua costruzione. Nell’epoca del culto di sé, chi aspiriamo a essere? Che rapporto c’è oggi tra l’essere se stessi, il conoscere se stessi e il diventare se stessi?

Perché mi serve un nemico?
I confini ci proteggono oppure ci impediscono di incontrarci e cooperare? Come e perché li tracciamo? Abbiamo bisogno di costruirci un nemico per poter sperare di non averne?

A chi appartiene il mondo?
Tra cent’anni la nostra Terra potrebbe essere meno accogliente di oggi. La forbice tra ricchi e poveri si allarga. Il lavoro si trasforma e può ridursi. Milioni di persone sono costrette a lasciare la propria casa. Di chi è il mondo? Chi deve prendersene cura?

Dove mi portano spiritualità e scienza?
Scienza e religione hanno dato forma alla nostra storia e al nostro pensiero. Ma sono state usate anche come strumenti di oppressione. C’è oggi una promessa di cambiamento e di futuro nella spiritualità delle religioni, nel rigore delle scienze? O altrove?

Che cosa voglio dall’arte: libertà o rivoluzione?
La creazione artistica può bastare a se stessa? O deve porsi l’obiettivo di cambiare le cose? Libertà o rivoluzione: cos’è l’arte, e che cosa deve e può dare a tutti noi?

12 risposte

  1. Vale la pena rimettere in modo il pensiero e il piacere di pensare. Che magari rimette in moto anche la libertà, l’ etica, la consapevolezza e la lungimiranza nell’agire. Sarebbe fantastico! Grazie Annamaria Testa

  2. Perché mi serve un nemico?

    Il confine è una convenzione di identità.
    Stabilisce che l’ho tracciato per manifestare il possesso di questo territorio sia fisico che spirituale.

    Stabilisce che posso condividerlo, ma non cederlo gratuitamente al primo avventore.

    La figura del nemico si compone nel momento in cui questi manifesta avversità alle mie identità.

    Non credo che ci sia bisogno di avere un nemico. Penso che diventiamo nemici quando pretendiamo di prevaricare sulle identità degli altri senza rispettare le loro identità

    ————

    Che cosa voglio dall’arte: libertà o rivoluzione?

    Partiamo dall’assunto che l’arte è rappresentazione. E come tale è strumento di analisi e meditazione da cui può scaturire una rivoluzione che produce a sua volta un modello rappresentabile. Affinché ciò avvenga è necessario essere liberi da concetti dogmatici.
    Ricordo con piacere un’intervista a Salvador Dalì a cui si chiedeva se con il surrealismo l’arte fosse arrivata al suo apice.
    Con il suo “folle” ghigno rispose più o meno così: …no, no, …c’è l’iperealismo, ma poi ci sono gli scenziati che sono i veri artisti del futuro.
    Ecco l’arte, la libertà di formulare idee rivoluzionare partendo dalla scienza del vivere.

  3. Chi voglio essere?

    Vorrei essere qualcuno che esalta il suo fare nascondendo un po’ il proprio essere.

  4. 1- Sono sempre stata in continuità con me stessa: creativa e pignola, collaborativa e attenta all’ascolto. Amo lavorare con gli altri.

    2 – Condivido il pensiero dello psichiatra Vittorino Andreoli che ritiene si stia “regredendo alle pulsioni istintive”, al dominio della “cultura del nemico”. Il nemico serve definire la propria identità: pazzesco.

    3 – Il mondo ci è stato sottratto quando il potere finanziario si è impadronito delle persone e della politica. I responsabili degli Stati devono assumersi l’onere di un cambiamento.

    4 – Giordano Bruno, messo al rogo per eresia nel 1600, è l’emblema dell’oppressione di uno spirito libero.
    Non so dove posso oggi trovare la “promessa di cambiamento”. Intanto guardiamo dentro di noi e nei nostri comportamenti: è già un passo avanti.

    5 – Io penso che guardando le opere di Michelangelo Merisi si ha la risposta: rivoluzione e libertà nella rappresentazione soprattutto delle madonne, l’anticipazione dello “scatto fotografico”. Personalmente lo guardo e lo riguardo nelle chiese di Roma e mi incanto.

  5. Gentile Magari,
    le risposte arrivano al Salone del Libro. Nello specifico, al piccolo gruppo che sta curando questa iniziativa
    Verranno, come dicevo, pubblicate in rete.
    Ma non è una raccolta di dati personali (di questo sono piuttosto sicura).
    Tra l’altro: sto giusto preparando un articolo che cerca di spiegare bene come funziona ‘sta faccenda della profilazione. Esce tra pochi giorni.
    Un saluto cordiale,
    Annamaria

  6. Buon giorno, la ringrazio per questi bei spunti di riflessione, volevo lasciare qui le mie considerazioni.
    saluti, buona domenica.
    Michele

    1- Un uomo che dona stupore e meraviglia, capace di comunicare, curioso e capace del saper fare. Fiero dei propri Fiero dei propri sbagli e delle proprie conquiste. Essere chi sono a seconda delle stagioni della mia vita.
    Per quello che osservo in generale, le tre fasi sebrano più una ceck list da spuntare, un raggiungere obiettivi senza meta definita, un’accozzaglia di egismi ed egocentrismi.

    2- Un nemico mi serve perchè mi aiuta a tracciare i confini e i limiti. Definisce la mia parte migliore, mi aiuta a dare valore a ciò che per me è importante. Il nemico dovrebbe cambiare nel tempo.
    Cessa di esistere solo nel momento in cui il nostro sistema di valori va in crisi e riusciamo ad essere onesti con noi stessi e ammettere di avere anche noi gli stessi difetti che attribuivamo al nostro nemico.

    3- Il mondo appartiene ai burocrati. L’individuo subisce leggi e regole senza poter intervenire realmente sulla sua terra.
    Il mondo è di tutti ma in misura maggiore è dei giovani, che hanno le forze per prendersi cura anche dei più deboli, vecchi e bambini.

    4- L’assenza di limiti e valori universalmente condivisi fa si che nè la scienza nè le religioni possano offrire promesse di cambiamento. Osservo un crescente avvicinarsi delle culture orientali e del magico.
    Credo che l’occidente deve fermarsi, iniziare a guardarsi dentro e accettare quello che si può spiegare e quello che non si può spiegare, forse a quel punto potrebbe nascere qualcosa di nuovo e spiritualmente condivisibile.

    5- L’arte in senso classico e dicotomico (libertà e rivoluzione) ha ben poco da offrire, le due parole ormai sembrano vuote e prive di senso profondo.
    A mio avviso può mostrare il cambiamento raccontando storie universalmente valide che parlino di cambiamenti e trasformazione, in cui le persone possano ricominciare a credere.

  7. Abitiamo il mondo eppure non ci appartiene. Non sono capace di pensare in grande ma come individuo che è ospite minuscolo di questa Terra. Per questo immagino che sarebbe bello se riuscissimo a comportarci più da ospiti e meno da padroni. Toglierci le scarpe per non sporcare e avere un passo più lieve. Non alzare troppo la voce e dire “grazie” e “scusa” quando pensiamo di aver ferito qualcuno.
    Ognuno, che abbia ruoli di rilievo all’interno della società o meno, che sia giovane o anziano, potrebbe, con un gesto, rendere un po’ più accogliente il luogo che ci ospita.

    Grazie per averci dato l’opportunità di queste riflessioni!
    Valentina

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