cambiamento

Esperienze 15: una storia di destino, resilienza, cambiamento

Ho incontrato Daniele Bonacini (nella foto) al Festival della Luce di Como, dove eravamo entrambi relatori. La sua storia mi ha colpita: dentro c’è vita, destino, resilienza, cambiamento e molto altro. Gli ho chiesto di raccontarla su NeU. Leggete.

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Ho subito l’amputazione sotto il ginocchio in seguito ad incidente stradale: lo sterzo si è bloccato in curva e siamo finiti contro il guard-rail, che è entrato in macchina e ha letteralmente tagliato la mia gamba.
È l’antivigilia di Natale del 1993.
Il destino di quel momento sembra segnato: una gamba amputata sotto il ginocchio, la necrosi che costringe i medici a continui piccoli interventi per tre mesi e la laurea che si fa lontana. Dopo quattro giorni di ricovero a Niguarda, vengono a trovarmi il mio migliore amico e compagno di università, Guido Bussolini, e Battista Galliani, ex campione di sci nautico, anche lui amputato sotto il ginocchio come me.
Davanti al mio letto Galliani comincia a saltellare come un grillo, prima sulla sua gamba, poi sulla protesi. Uno spettacolo incredibile… io lo osservo con lo stupore di un bambino.
Mai sarò abbastanza grato al mio amico Guido. E lì, fra me e me, mi dico: se un signore di 50 anni riesce a fare questo, chissà cosa potrò fare io che ho solo 23 anni.
In quel momento vedo davanti a me le infinite possibilità di vita che si aprono, e decido che sicuramente proverò a correre.
È la fine di aprile 1994 quando, uscito da Niguarda dopo 3 mesi di permanenza, vado al Centro INAIL per la mia prima protesi. Il giorno dopo sono in giro per Milano in bicicletta, il mio nuovo mezzo di spostamento visto che non riesco ancora a camminare bene.
Nell’anno successivo i miglioramenti nella camminata sono sensibili, grazie ad una maggiore confidenza con la protesi e all’utilizzo di componenti tecnologici più evoluti. 
Nel 1996 vedo alle Paralimpiadi di Atlanta, in una sintesi televisiva notturna,  Tony Volpentest, focomelico, senza gambe né braccia, correre i cento metri in 11 secondi e 38 centesimi.
In quel momento ho la conferma che la tecnologia può consentirmi di correre. L’idea era già  nella mia testa dopo aver conosciuto Galliani a Niguarda, ma in quella occasione decido che anch’io, prima o poi, farò una Paralimpiade.
Comincio a correre a fine 1996. Ricordo ancora chiaramente che torno a Milano con il mio primo piede in fibra di carbonio per camminare, vado subito al parco di Trenno e, sotto un diluvio torrenziale, faccio jogging per 2-3 chilometri, dopo soli tre anni dall’incidente. È una sensazione indescrivibile di gioia, libertà, gratificazione, cambiamento… sono di nuovo in armonia e in equilibrio con l’universo.
Trovo la Polisportiva Milanese nel giugno 1997 e alla fine dello stesso anno viene realizzata la prima protesi italiana per correre presso il Centro Protesi INAIL, grazie al supporto dell’Ingegner Verni e del tecnico ortopedico Ezio Sermasi. 
Nell’aprile 1998 inizia così la mia carriera agonistica, con i 100 metri, i 200 metri e il salto in lungo che mi porta a svariati titoli italiani, a piazzamenti ai Campionati europei (4° nei 200 metri e nel salto in lungo nel 2003, ad Assen), a piazzamenti ai Campionati Mondiali e alle Paralimpiadi di Atene 2004 (6° nel salto in lungo).
Le Paralimpiadi di Atene, il punto più alto della carriera per un atleta, provocano in me un cambiamento anche come uomo: incontro persone provenienti da tutto il mondo, in grado di reagire alla condizione di disabile con un percorso vincente.
Mi ricordo di Tony Volpentest, conosciuto anni prima e ormai si era ritirato dalle gare. Tony non si limitava ad essere un grande atleta per se stesso: era un grande testimone in difesa dei diritti dei disabili.
Vedo Christo, amputato di coscia, saltare 3,5 metri con una protesi di 7 chili in legno e acciaio inox e Czyz saltare 5 metri con una protesi in fibra di carbonio di 1,5 chili, sviluppata in collaborazione con l’ESA. È evidente che la tecnologia ha il ruolo più importante sia nella performance dell’atleta, sia nella qualità della vita delle persone in ogni giorno.
E lì decido che devo fare qualcosa per annullare il gap tecnologico fra le persone provenienti da paesi diversi.
La Roadrunnerfoot era già nata nella mia mente: un’azienda dalla parte dei disabili, che non pensasse solamente a fare profitti come le multinazionali del settore, ma con una forte responsabilità sociale di impresa, una intensa attività di ricerca e innovazione e un forte sostegno all’avviamento sportivo…
Quello è il momento di dare una svolta alla mia vita. Do le dimissioni dalla multinazionale automobilistica in cui lavoro e inizio nel 2005 un dottorato di ricerca al Dipartimento di meccanica del Politecnico di Milano, sotto la guida di Umberto Cugini.
L’obiettivo è progettare e sviluppare un piede per correre e fondare la Roadrunnerfoot.
Lo faccio nel 2007, a metà del dottorato.
Oggi Roadrunnerfoot, pur essendo un’azienda piccola, può vantarsi di avere realizzato il piede protesico da camminare con la maggior efficienza e funzionalità, il Roadwalking, di avere cambiato l’approccio del sistema ortopedico al disabile attraverso l’utilizzo di alta tecnologia a prezzi contenuti, di aver avviato allo sport quasi tutti gli atleti italiani e diversi atleti africani, di aver realizzato il primo laboratorio ortopedico ad Haiti e protesizzato 1000 bambini, di aver sostenuto attività di emergenza in paesi come Iraq, Afghanistan, Siria, Tanzania, Etiopia, Rwanda, Uganda, Ghana, Kenia.
Abbiamo ricevuto diversi premi in questi anni, ma finalmente qualcuno, il Presidente Giorgio Napolitano, si è accorto della nostra attività, del nostro impegno per gli amputati e delle nostre innovazioni  e ha voluto consegnarmi l’onorificenza di commendatore a fine 2012.
L’impegno di Roadrunnerfoot sarà sempre maggiore per rendere la tecnologia accessibile a tutti, con grandi sforzi ingegneristici, con grande flessibilità delle persone che ci lavorano, con margini etici e contro lo strapotere delle multinazionali.

11 risposte

  1. Una delle moltissime storie straordinarie di questo Paese. Una onorificenza guadagnata sul campo e non grazie a raccomandazioni. Qualcosa che, nonostante tutto, fa sperare nel futuro.
    Grazie al Commendatore per il racconto. Grazie ad AM per la sua divulgazione.

  2. Ci sono persone come Daniele che, dalle difficoltà, traggono energia e forza incredibili per riemergere ed affrontare la vita, guardando negli occhi il proprio destino ed affrontandolo con idee e spirito nuovi.
    Ci sono persone come Daniele che, con coraggio, determinazione e forza di volontà si rialzano e si mettono in gioco per aiutare anche coloro che hanno avuto lo stesso destino avverso.
    Ci sono persone, come Daniele, da prendere ad esempio e dalle quali tutti noi abbiamo molto da imparare.
    Questa storia mi riporta ad inizio anni ottanta, quando una telefonata squassò l’atmosfera di casa:
    un caro zio, allora trentenne e con una attività in proprio avviata, subì l’amputazione di una gamba (appena sotto al ginocchio) dopo che un TIR lo travolse non rispettando la precedenza.
    Anche lui si è rialzato con forza d’animo incredibile e grandissima voglia di andare avanti.
    Molte volte mi sono chiesto se in questi casi conta solo il carattere o se scatta davvero qualcosa nella mente di chi ha subito un trauma di questo tipo.
    Molte volte, dopo essermi amputato buona parte della prima falange del dito indice mano dx a 5 anni, mi sono chiesto se questo ha cambiato oppure no il mio modo di “andare avanti”. Io credo di sì, anche se probabilmente in modo inconscio. Infatti a 6 anni ho iniziato a giocare a minibasket (dove le dita si utilizzano parecchio direi), forse per dimostrare a me stesso che ce l’avrei fatta ugualmente, alla pari degli altri, nonostante tutto! E 37 anni di pallacanestro giocata alla pari (pur a bassi livelli) sono per me un grande risultato. Forse anche grazie a quell’evento cerco di vedere sempre il bicchiere mezzo pieno.
    Non credo che Daniele abbia fatto ed affrontato tutto questo per ricevere dei meritatissimi ma scontati “complimenti” da chi come il sottoscritto legge la sua storia.
    Credo gli si debba innanzitutto dire “GRAZIE”.

    1. Si, è esattamente così: ho riflettuto sulla mia situazione e ho pensato a come volevo vivere la mia vita…senza limiti!! da li è nato tutto: l’atletica, l’azienda, missioni un po’ folli come Haiti, ma, ad oggi, posso dire serenamente di avere fatto ogni cosa che volevo fare e questo contribuisce sicuramente a darmi una grande serenità interiore e un grande equilibrio.

  3. vai Daniele! spero che un giorno saremo la moltitudine che possa aiutare la gente comune a capire che non servono grandi mezzi per crescere insieme…ma grande volontà reciproca.

  4. Una storia bella e grande. Ringrazio Daniele, ringrazio Annamaria per averne dato visibilità su NeU.

    Quante storie di coraggio e passione non ci sono note. La cronaca sulla BUONA notizia fatica a farsi strada, ahimè (*_))

  5. Di fronte alla capacità di reazione, alla tenacia e alla leggerezza di un percorso eccezionale raccontato come la più normale delle progressioni, non sono in grado di dire cose che abbiano un senso. A Daniele tutta la mia ammirazione e stima.
    Io faccio il designer e insegno Design for All. Con le imprese che realizzano prodotti non si riesce a fare un bel nulla. Mi accontento, rassegnato, di stimolare l’attenzione dei giovani creativi che, appena compresa la necessità di un approccio progettuale consapevole, dimostrano ampie capacità d’immaginare ambienti e oggetti accessibili e non discriminanti, fattibili e persino economici.
    Ci sono tante persone che, come Daniele, hanno subito amputazioni o sono rimasti paralizzati da paraplegie e tetraplegie. Pochi hanno lo spirito e il carattere o la guida e l’esempio così ben raccontati. Tanti si accontenterebbero di poter percorrere con la sedia a ruote un tratto di marciapiedi senza ostacoli, senza pali superflui, senza auto posteggiate a metà del percorso. Invece le nostre città e le nostre case costituiscono un infinito dedalo di percorsi ad ostacoli spesso insuperabili, dovuti principalmente all’ottusità dei progettisti, alla prevaricante precedenza alle auto sui pedoni, all’idiozia perversa di chi decide e costruisce senza il minimo buon senso e dove prevale il profitto su ogni altra motivazione. Anziani, mamme col passeggino, persone che hanno appena un piccolo acciacco momentaneo scoprono quanto sia difficile accedere ad un ufficio pubblico aiutandosi con la stampella o aprire un rubinetto avendo un dito fasciato. Solo i centri commerciali e le città outlet sono percorribili senza problemi, chissà perché?

    1. grazie! ognuno vive la propria vita come crede e nel modo in cui è più felice. SOno d’accordo con te che,se i disabili fossero maggiormente impegnati nella battaglia per il riconoscimento dei propri diritti, forse il Nom. tariff. che stabilisce il budget del SSN per l’acquisto degli ausili non sarebbe fermo al 1999. Negli Stati Uniti, in Inghilterra, in Germania e anche in Svizzera la situazione è ben diversa. In riferimento alle aziende, non sempre esiste una capacità di visione nitida del futuro, ma sicuramente nella crisi di questi anni, è più difficile averla.

  6. Nel mio primo commento rimarcavo come le BUONE notizie abbiano poca visibilità.

    Desidero rendere noto un progetto che ha acquistato visibilità e consensi, dopo tre anni di lavoro, in Olanda e qui premiato.

    Non é una storia tragica come quella di Daniele, ma una storia per salvare vite. Ecco i riferimenti.
    http://www.mini-vrem.it/

    Grazie ancora a NeU per esserci (*_))

  7. Questa storia è ancora più straordinaria perché è italiana. Nel nostro Paese non sono sufficienti l’impegno, la fortuna, la resilienza e le competenze. Ci vuole un aiuto SUPERIORE proprio nel senso mistico del termine. Sarà per questo che ci definiscono un popolo di SANTI e di POETI? Più SANTI, a dir la verità, perché per superare certi macigni (anche burocratici) ci vuole uno spirito di abnegazione che non può essere associato alla semplice (e impotente) ferrea volontà: ci vuole una fede tenace che produca il MIRACOLO! E’ quello che deduco dalla testimonianza che ho letto.

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