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Gli italiani e la creatività – Un commento alla ricerca Eurisko

La ricerca che Eurisko ha realizzato sulla percezione che gli italiani hanno della creatività è divisa in due parti.

Parte qualitativa (pubblicata il 24 giugno 2004). Attuata con focus group, va a scoprire che cosa significa “creatività”, e quali concetti, esperienze, giudizi vengono associati a questo.

Parte estensiva (pubblicata il 28 settembre 2004). E’ fondata su ottocento casi rappresentativi della popolazione italiana dai 15 ai 64 anni e realizzata utilizzando il metodo CAPI, che permette di utilizzare stimoli visivi oltre che verbali. Questa seconda parte della ricerca misura quali differenti idee di creatività sono prevalenti, e con che peso percentuale, nei diversi segmenti di popolazione.

In sintesi, la parte qualitativa della ricerca definisce i diversi aspetti dell’argomento e individua orientamenti significativi, ma non ne può determinare il peso percentuale. E’ la parte quantitativa a dire quanto gli orientamenti emersi sono rilevanti in termini numerici, e per quali gruppi.

PARTE QUALITATIVA: PERCEZIONI, ASSOCIAZIONI, ORIENTAMENTI

Che cosa è la creatività e che cosa significa per gli italiani essere creativi, quali valori, quali esempi, quali ambiti e quali attività vengono riferiti alla creatività? Queste domande sono state poste nel corso di focus group, cioè di colloqui di gruppo guidati da uno psicologo, che si sono svolti in diverse località e hanno coinvolto persone rappresentative dei 4 segmenti attivi e giovani-adulti della popolazione italiana: sono i segmenti di popolazione strategici, a cui è affidato lo sviluppo del paese.

1. I giovani nel ciclo universitario

2. Le donne di età centrale (33-46 anni)

3. Gli uomini di età centrale (33 – 46 anni)

4. Le élite culturali, professionali, economiche

1. I giovani universitari: fatalismo e fantasia
Per i giovani universitari, creativi si nasce e non si diventa. Il diffuso fatalismo rilevabile in questo gruppo, peraltro condiviso dai segmenti centrali, segnala un vuoto cognitivo: l’assenza di consapevolezze sui percorsi e sui metodi che si possono apprendere per superare le difficoltà, per risolvere i problemi, per diventare creativi.

I giovani pensano alla creatività come a un tratto del carattere: è impulsività, emotività e fantasia e non è necessario -e forse nemmeno previsto- che si possa concretizzare nella produzione materiale di qualcosa di utile.

Creatività significa essere trasgressivi, rompere gli schemi, anche solo nel modo di vestire e di portare i capelli. I confini della creatività appaiono sfuocati: si definisce “creativo”, indifferentemente, un gesto artistico o un atto folle.

L’ambito elettivo della creatività è l’arte (letteratura, pittura, teatro, cinema, musica) in cui il talento innato ha la possibilità di esprimersi. La scienza non è creatività perché richiede regole, rigore, fatica. Manca la percezione della tenacia, della focalizzazione e dello studio necessari per conseguire risultati creativi.

2. Gli uomini e le donne: il Bello e il Buono
I gruppi femminili e maschili di età centrale (33-46 anni) hanno visioni differenti e simmetriche: da un lato si valorizza la dimensione emotiva-femminile della persona creativa (il Bello), connessa con attività essenzialmente artistico-letterarie, dall’altro si sottolinea la dimensione ragionante, matematica, maschile della persona creativa (il Buono), connessa con attività di taglio scientifico-tecnologico, volte a risolvere problemi.

Per le donne di età centrale la creatività consiste in una messa in scena di sé: è fatta di intuizioni che cortocircuitano talento innato e stimoli esterni, fino a dar luogo a opere d’arte. La persona creativa non pone limiti al proprio talento, è romantica e solipsista. Gli uomini di età centrale, invece, pensano alla genialità matematico-scientifica: è creativo chi ha il talento innato necessario per inventare cose importanti. Delle due visioni che si colgono nei segmenti centrali una, la più femminile, si avvicina a quella condivisa dai giovani, mentre l’altra, essenzialmente maschile, si avvicina a quella delle élite.

Uomini, donne e giovani ignorano tuttavia l’esistenza di percorsi, metodi, strumenti che favoriscano la creatività. Tutti pensano che la creatività sia, sostanzialmente, un dono, non un talento che va coltivato attraverso un’applicazione costante.

3. Le élite: work in progress
Gli elitari (cioè le persone che vivono per professione a contatto con sfide creative) si pongono al polo opposto dei giovani. Hanno una visione della creatività molto più articolata, oltre che differente: creatività è innovare, conoscere, apprendere dalle esperienze, in un percorso che si svolge come processo ed è finalizzato per obiettivi, che chiede competenze e fatica e unisce fantasia e ragione. La creatività non è solo talento innato. Per ottenere risultati è determinante applicare un metodo.
In questo processo conta l’ambiente: è importante che l’attitudine creativa venga favorita e che i risultati creativi siano riconosciuti e premiati. L’ambiente è prima di tutto il luogo di lavoro, di ricerca. Le persone creative hanno entusiasmo, sono estroverse, sanno lavorare con gli altri, non si sentono frustrate se i risultati non arrivano subito.

4. Più maschile che femminile, più ieri che oggi
Se si chiedono risposte riguardanti modelli e ambiti di riferimento, gli intervistati trovano più facile citare esempi di creatività al maschile (Einstein, Leonardo, Van Gogh, Platone, Caravaggio) che al femminile (Montessori, Levi-Montalcini, Marie Curie, Virginia Woolf).A tutti riesce difficile individuare esempi contemporanei: i pochi nomi citati si riferiscono quasi esclusivamente al mondo dello spettacolo.

5. La pubblicità è il massimo esempio di creatività
Nella percezione degli intervistati, oggi i luoghi della creatività sono le piccole città d’arte italiane. Le aziende piccole più di quelle grandi, i gruppi internazionali più di quelli italiani (che tarperebbero le ali ai giovani), poco l’università italiana (salvo le facoltà dove si insegnano pubblicità, marketing, design-architettura), pochissimo la scuola dell’obbligo, dove si è costretti a seguire regole burocratiche e non si insegna a diventare creativi.

La creatività sembra trovare nella pubblicità la sua massima espressione: non nella politica, nell’economia, nella finanza, nello sport.

6. Italia televisiva e senza creatività
Per i partecipanti ai focus group, l’Italia non è un paese creativo. Non ha idee nuove, non sa sviluppare e insegnare la creatività. Non c’è ricerca e non c’è metodo: il paese è tradizionalista, statico, preoccupato, in recessione. Ha modelli educativi vecchi, niente idee, niente utopie forti.

Creatività significa anche gioco, ironia, leggerezza del pensiero, che sarebbero compatibili col Dna italiano. Ma oggi l’Italia è orientata verso piccoli miti televisivi, presi troppo sul serio. Altri paesi sono decisamente più creativi. In particolare vengono citati la Cina, il Giappone e alcune città come Amsterdam e Londra, che hanno saputo risolvere il problema del traffico e dell’inquinamento.

PARTE QUANTITATIVA

1. Le accezioni di creatività: due vissuti

Agli italiani presi nel loro insieme appartengono effettivamente entrambe le visioni di creatività emerse dalla ricerca qualitativa.

Appaiono confermate la propensione femminile a considerare la creatività un modo per esprimere se stessi, quella giovanile a interpretarla in chiave di follia, stravaganza e rottura delle regole, quella maschile a valorizzarne la dimensione sociale e la componente di problem solving.

Una novità rispetto alle evidenze emerse in precedenza è la coincidenza della visione delle élite con quella degli anziani (over 64) precedentemente non indagati. Per questi segmenti la creatività chiede fiducia in se stessi ma anche negli altri, intelligenza e tenacia.

Le associazioni mentali prevalenti premiano gli aspetti facili e seduttivi della creatività: è una felice attitudine innata, che viene dal cuore. Le componenti di studio, di fatica, di ragionamento, di tecnica appaiono ampiamente sottostimate, con l’eccezione degli anziani e, in parte, del segmento maschile.

2. Quando e dove la creatività serve di più
Quasi tutti -il 92% degli intervistati- dicono che nella vita è (molto o abbastanza) importante essere creativi. Ma la convinzione di vivere una vita creativa (e di essere creativi) dipende dall’età, soprattutto per quanto riguarda giovani e classi centrali maschili. I giovani, e soprattutto gli uomini dai 25 ai 40 anni, sono convinti di vivere più creativamente degli altri. Ma per questi ultimi creatività significa quasi esclusivamente “dare il massimo” per il lavoro, la carriera e la costruzione di una famiglia nella sua accezione più tradizionale. Si tratta dunque di una creatività che va poco oltre l’individuo, e che non a caso entra pesantemente in crisi tra i 55 e i 64 anni, quando le persone si rendono conto di essere entrate, o di stare precipitando, in un vuoto in cui esperienze e conoscenze non vengono più richieste. Mentre le casalinghe tendono a percepirsi come scarsamente creative, le élite imprenditoriali ritengono di avere una vita molto creativa: autopercezione non troppo distante da quella degli over 64.

La percezione di essere creativi è indipendente, invece, dall’appartenenza alle diverse classi sociali. Tende a ritenersi più creativo chi fa una professione autonoma, il commerciante o l’imprenditore. Presso queste persone è accentuata la convinzione che la creatività consista nel superare i propri limiti, anche fino a rompere le regole.

3. I miti e i modelli di creatività
Al di là dei vissuti personali, gli italiani ritengono che sia importante essere creativi soprattutto nella vita quotidiana reinterpretando ruoli, compiti, valori e regole. Inoltre ritengono che la creatività sia utile per la carriera (i trentenni. Questa visione della creatività come stile di vita e creazione di opportunità per sé che come sfida per la creazione di un valore per tutta la società, o semplicemente come modo innovativo di pensare e di produrre, si riflette nella graduatoria delle attività per le quali la creatività viene ritenuta una risorsa importante.

Esistono, per gli intervistati, attività per svolgere le quali è indispensabile essere creativi. Sono soprattutto l’arte (52%), l’artigianato (50%), la cucina (47%) e la moda (47%). Sarebbe poco o per nulla importante la creatività in settori come il marketing (24%), l’industria (23%), l’economia (18%), la politica (16%), la stampa (15%), la finanza (13%). Ma anche università (27%), televisione (26%) e letteratura (24%) sembrano, a più di due intervistati su tre, campi in cui la creatività è poco rilevante.

Gli anziani, più degli altri gruppi, ritengono che l’insegnamento, l’università, la letteratura, l’economia e la politica abbiano un consistente bisogno di apporti creativi.

Il 28% degli intervistati (quasi uno su tre, dunque) non sa indicare nemmeno un personaggio creativo. Il 13% indica Leonardo da Vinci, seguito da Albert Einstein (4%), Michelangelo Buonarroti (3%), Guglielmo Marconi.

Il 16% degli intervistati (soprattutto il segmento giovanile) indica come creativi personaggi del mondo dello spettacolo o del cinema.

4. L’Italia è un paese creativo?
Il 58% degli intervistati dichiara che l’Italia è un paese (molto o abbastanza) creativo: ci credono soprattutto gli over 64, mentre il picco negativo si registra per i giovani e gli adulti in prepensionamento.

Gli ambiti italiani di creatività sono però circoscritti alla moda (60%), e alla cucina, (43%), in second’ordine ad arte, pubblicità e design. Poco o per niente creative appaiono le aree determinanti per lo sviluppo del paese: politica (9%), insegnamento (9%), università (8%), stampa (8%), economia (6%), finanza (5%). Tra le regioni ritenute più creative spicca la Lombardia (49%), seguita a distanza dalla Toscana, mentre prima per difetto di creatività viene ritenuta la Calabria, seguita dalla Sicilia.

Ottimismo e pessimismo sulle potenzialità creative dell’Italia si bilanciano: più ottimista il sud. Più scettico il nord (soprattutto per le élite e i giovani).

2 risposte

  1. Se in Italia si fornissero gli strumenti ai talenti senza gloria che pullulano da nord a sud, ci sarebbero meno glorie senza talento.

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