idee scartate

La creatività è fatta (anche) di idee scartate in fretta – Metodo 69

Ogni storia di creatività è una storia di idee scartate. The first draft of anything is shit, afferma Ernest Hemingway, alla sua maniera ruvida e diretta.
Almeno all’inizio, tutti i nostri film fanno schifo scrive Ed Catmull, a proposito dei meravigliosi prodotti della Pixar. È davvero così: ogni prima bozza (idea, documento, testo, progetto) somiglia al proprio miglior sviluppo potenziale come un bruco schifosetto somiglia a una farfalla.

SCARTARE SENZA RIMPIANTI. Ma non solo: molte prime idee – per dirla tutta, la maggior parte – non hanno alcuna possibilità di trasformarsi in qualcosa di utile o interessante. Come scrive Henri Poincaré inventare consiste proprio nel non costruire le combinazioni inutili e nel costruire unicamente quelle utili, che sono un’esigua minoranza. Inventare è discernere, è scegliere
Da questo fatto derivano due conseguenze: conviene essere generosi di prime idee, perché molte diventeranno idee scartate. E conviene imparare a scartare davvero in fretta, senza esitazioni e senza rimpianti, per riuscire a dedicare la maggior quantità di tempo possibile alla ricerca di soluzioni buone.

SCARTATE, MA NON BUTTATE VIA: TUTTO TORNA UTILE. Eppure, perfino le idee scartate vengono comode, e le si può usare in diversi modi. Eccovi, dunque, tre ulteriori motivi per scartare in fretta: gli scarti possono funzionare da segnali utili a marcare territori che non conviene esplorare ulteriormente. Si possono adoperare come pietra di paragone, indispensabile per individuare le ipotesi che, invece, hanno buone potenzialità. Infine, possono servire da “magazzino dei ricambi”: anche se un’idea (un testo, un progetto) sono da buttare, magari ce n’è un pezzettino che, inserito in un altro contesto, può andare proprio bene. Quindi, scartate e accantonate ma non cancellate niente, almeno fino a quando non avete finito il lavoro.

VALUTARE E SELEZIONARE. So che molti non la pensano come me eppure, per tutti i motivi che ho scritto sopra resto convinta che il brainstorming sia una tecnica dispersiva e inefficace: una quantità di prime idee buttate a caso, non valutate e non gestite, non organizzate, non scartate, non riusate, non inserite in un flusso creativo orientato.
Il problema è che, come dicevamo, “tutte” le prime idee strisciano e sono mollicce, anche quelle davvero buone: per distinguere i bruchi dai semplici bacherozzi ci vuole tranquillità e una certa concentrazione. In una situazione di brainstorming, chi mai si prenderà l’onere di discernere e scegliere come consiglia Poincaré, e poi di ri-orientare la ricerca, aggiungendo alla fatica della creatività l’indispensabile onere della diplomazia?

IL BRUCO E LA FARFALLA. E rieccoci al bruco: su qualsiasi prima idea buona c’è sempre ancora una quantità di lavoro di sviluppo, messa a punto e finalizzazione da fare. Ci vogliono pazienza, umiltà, dedizione e tenacia. Se una buona idea può accendersi all’improvviso, e vi regala un brivido di esaltazione, la sua messa a punto può risultare lenta, lunga, faticosa e a tratti frustrante. Non mollate e, soprattutto, non mollatela, l’idea buona, e continuate a lavorarci per tutto il tempo necessario fino a quando non comincia, leggera e perfetta, a volare da sola.

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13 risposte

  1. La tecnica del brainstorming (o meglio ancora la “mappa mentale”, che è qualcosa di simile ed al contempo diverso) è utile per la possibilità che offre di eliminare censure e barriere mentali.
    Spesso gli aspiranti scrittori sono un po’ “trattenuti” e tendono a muoversi entro uno spazio sostanzialmente circoscritto e limitato. Il brainstorming riesce a togliere un tappo e consente alla fantasia di muovermi autonomamente. Una volta abbozzati gli spunti iniziali, per riconoscere una buona idea è sufficiente maturare una sorta di intuizione. Le storie che chiedono di essere raccontate finiscono per imporsi da sole all’attenzione dell’autore 🙂

  2. Ah le buone idee! sanno giocare benissimo a nascondino… e noi a contare, contare, contare. Se pur con gli occhi spalancati, spesso fatichiamo a scovarle. Soprattutto in un mondo pieno di idee mediocri o balzane, che sculettano continuamente sotto il nostro naso e, come sirene omeriche, ci illudono. Poi dicono che il nostro è un lavoro facile…

  3. Oggi è il mio primo giorno di scuola, scusate il primo giorno di una nuova avventura, nel Laboratorio di Scrittura, per le ragazze, i ragazzi della I°A e naturalmente per me.

    Una nuova avventura perché ogni anno il tema per realizzare un libro è differente. Per quest’anno ho proposto un tema insolito: LE PAROLE. Con le parole giocheremo e scriveremo.

    Detto questo, Annamaria, mi trovo perfettamente in tema.

    Io utilizzo il brainstorming come primo approccio, per tastare il terreno. Chiara scrive “per togliere il tappo”, ecco proprio così.

    Gli studenti sono avvertiti che NON tutto ciò che scriveranno verrà utilizzato per il prodotto finale, ma ci aiuterà, eccome se ci aiuterà!

    Intanto raccogliamo parole: insolite, immaginifiche, emozionale e poi… andremo avanti.

    Questa mattina Lorenzo (aveva il vocabolario a disposizione) ha detto che BARLACCIO è una parola che gli piace e l’ha proposta.

    Cerchiamo 100 parole per lavorarci su.

    Qualcuno chi dà suggerimenti? Sono ben accetti. Grazie *_))

  4. Mi pare che si tratti a un certo punto di setacciare e il setaccio può essere usato per separare la farina dai grumi e la sabbia dalle pepite d’oro. Quale sia il setaccio quali i grumi quali le pepite… etc. e’ questione ogni volta aperta che si avvale di conoscenze acquisite sia a livello intuitivo che cognitivo ed emozionale. Acquisite ma, in quanto conoscenze, necessariamente aperte alla trasformazione.

  5. Nel mio studio ho un ramo di un arbusto, composto quasi di soli rami nudi, di cui ora non ricordo il nome e che cresce nella macchia, in Sardegna. Mi piace perché è elementare, cristallino. A distanze regolari da ogni nodo si dipartono tre rami che a loro volta si dividono in tre ramificazioni, e ancora e ancora, sino alle foglioline di un verde sbiancato disposte a corona in cima ai rami terminali.
    Se si uniscono virtualmente i vertici delle ramificazioni finali si ottiene uno sferoide poligonale abbastanza regolare. Sembra un disegno di Bruno Munari di Codice ovvio o Da cosa nasce cosa.
    Sul ramo ho colorato in arancione un percorso che parte dal tronco principale e arriva a un ramo terminale e che descrive una mappa mentale, la sequenza di scelte successive che conducono al risultato, ma è, per me, anche un monito, poiché mi mostra tutte le ramificazioni non percorse, tutte le idee scartate ma anche quelle trascurate e che avrebbero potuto portare a un progetto migliore.
    La metafora dell’albero è pertinente poiché pone l’attenzione al contesto. Il frutto migliore dipende sia dalla configurazione dei rami sia dall’orientamento, dalle ombre degli altri alberi, dal vento, dal terreno. Ogni progetto ha, quindi, una propria ecologia da valutare e da rispettare. Sono solo i progetti arroganti che non nascono dalla pazienza, dall’umiltà, dalla dedizione e dalla tenacia.

  6. Scrivere bene è nobile e la virtuosità crea induzione.
    Ciò nonostante, per non trasformare le parole in una inutile pratica edonistica, ma cercare di dargli un senso pratico e utile (come suggerisce il sito), specie per chi ci legge, ebbene no, non sono d’accordo con l’autrice.
    A livello statistico, per quanto mi riguarda, la prima e l’ultima idee sono generalmente le migliori.
    In mezzo la fuffa, che tuttavia ha funzione di stappare certi imbarazzi che poi evolveranno nell’ultima proposta.
    In quanto alla prima proposta, e riprendendo l’argomento clou, spesso è frutto di una freschezza, non ancora appesantita dall’eccessivo ragionamento orientato sempre più a un processo strategico marketing.
    – Ma come? – direte voi – tanto meglio se è strategico!
    Eppure sono convinto che la pubblicità vada in una direzione sempre più legata all’intrattenimento, dove la vera strategia sempre più spesso è scordarsi il brief e divertire lo spettatore relegando il ruolo del brand a un puro sponsor di sollievo.
    In effetti è un fatto non del tutto “nuovo”, basti pensare al Carosello (no, non quello attuale), e anche “utile”, in particolar modo per quella parte del nostro cervello che esige la spensieratezza!
    Con affetto,
    L.

  7. Bellissimo articolo.
    Io non scrivo, ma nel mio lavoro di grafica produco una gran quantità di prime bozze…la mia fatica quindi è selezionare tra le tante, perché mi sembrano tutte degne di considerazione.
    Il mio processo creativo risulta così molto lungo e sofferto e spesso termina con una ‘non-scelta’, lasciando che sia il cliente a fare selezione.
    Giovanna

    1. Io faccio un altro mestiere, ma che comprende anche la grafica e la comunicazione. Ai tempi della mia permanenza in agenzia di pubblicità si presentavano di norma le classiche tre tavole affinché il cliente potesse scegliere. Ero stato in precedenza dall’altro lato del tavolo e sapevo che era quella la procedura a cui attenersi, sin quando l’A.D. di una importante azienda –che era stato manager di multinazionali in Brasile, Giappone, USA e Germania, mi domandò perché mai tre proposte. Mi disse che a saperne di più sull’argomento ero io e che, quindi, toccava a me scegliere. Cosa proponevo? Spiegai le motivazioni alla base delle tre proposte e le strategie conseguenti, quindi scelsi. Da allora mi limitai a informare il marketing, l’A.D. e gli altri enti coinvolti circa le mie scelte. Non è che non si discutesse, ma c’era stato un riconoscimento delle competenze e della professionalità, ero uno della squadra.
      Ma questo è stato un episodio quasi unico. Posso affermare per esperienza diretta che più c’è incompetenza maggiore è l’intrusione, la supponenza, la volontà d’insegnarci il mestiere e di spiegarci cosa abbiamo fatto e perché. In molti casi, se si lascia al cliente di fare selezione, si può essere certi che la sua scelta cadrà sulla proposta nella quale crediamo di meno, che abbiamo fatto per mostrare la strada meno efficace, quella fatta affinché sia scartata.
      Sarebbe davvero interessante che Annamaria, dall’alto della sua notevole esperienza, ci raccontasse in che modo e con quali strumenti le aziende valutano e scelgono fra le proposte. A pensarci mi sovvengono episodi davvero esilaranti, tragicommedie rivelatrici della cultura d’impresa alla base della crisi sistemica del nostro Bel Paese formaggino.

      1. Ciao Rodolfo.
        Di certo non “dall’alto della mia esperienza” provo a dirti come faccio.
        Il vincolo – e in questo non sono così d’accordo con Luca – è il brief. La scommessa è trasformarlo in un messaggio distintivo e pertinente.

        Se mi sembra che tutto converga verso una singola proposta, capace di soddisfare tutti i requisiti richiesti, presento solo quella, con il supporto di un forte documento strategico.

        Se mi sembra che le strade possibili ed efficaci siano due, presento due proposte, argomentandole e offrendo al cliente tutte le chiavi di lettura necessarie per confrontarle.

        Se conosco poco il cliente, i suoi gusti e i suoi criteri, se il brief è così generico e confuso che riesce a dire poco o nulla, oppure se una strada è interessante ma per qualche verso rischiosa posso arrivare a presentare tre o perfino quattro proposte.

        Cerco però, anche e soprattutto in questo caso, di strutturare la presentazione in modo che la scelta non risulti casuale.

        Non presento mai proposte che non mi convincono.

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