La ricerca Ipsos realizzata in occasione del forum della PA 2008 offre una serie di risultati interessanti, che diventano ancora più interessanti se paragonati alle evidenze emerse da una ricerca fatta su temi analoghi quattro anni prima (Eurisko 2004, Che cosa pensano gli italiani della creatività, pubblicata in NeU).
Più del dato in sé, infatti, importa identificare i trend: le direzioni e l’intensità del cambiamento, se qualche cambiamento esiste. Oppure il fatto che pochi cambiamenti siano registrabili. Nel nostro caso, il confronto fra le ricerche ci permette di mettere in evidenza come l’immaginario stesso e le percezioni che si sviluppano inorno alla creatività siano sostanzialmente statici.
Un confronto tra le percentuali di consenso ottenute fra le domande di apertura delle due ricerche che, pur con qualche differenza, ruotano attorno ai medesimi concetti, ci conferma che, in effetti, ben poco è cambiato negli ultimi quattro anni.
La maggior parte degli italiani continua a percepire la creatività più come dono innato che come talento da sviluppare, più come attività di autogratificazione che come impegno nella produzione di idee e scoperte utili e innovative.
In particolare, è notevole il fatto, rilevato da Ipsos, che solo su sollecitazione le persone identifichino la creatività come attività produttiva e non come espressione di personalità innata, ed… essenzialmente ri-creativa.
Un altro dato ugualmente preoccupante è la definizione di creatività, fatta da una consistente minoranza (il 39% del campione) come prerogativa per pochi: è un modo per tirarsene fuori, per affermare la propria estraneità e il proprio desiderio di non sentirsi responsabilizzati sul tema.
Decresce, ma di pochissimo, la percentuale degli italiani che considera l’Italia come il paese più creativo del mondo (29% nel 2004, 24% nel 2008), e questo nonostante il recente ed evidente calo di competitività del paese sui mercati internazionali, e una situazione economica tutt’altro che rosea. La novità del 2008, non confrontabile con il 2004 in assenza del dato specifico, è però un 45% degli intervistati che ritiene l’Italia “molto indietro agli altri paesi europei”. Interessanti anche i motivi da cui, secondo il 45% che percepisce il problema, deriverebbe il calo di creatività nazionale: il 60% dice che è “colpa del sistema”, chiamando in causa in primo luogo istituzioni e aziende. Ma anche la minoranza che tira in ballo cause da Ipsos definite come individuali ragiona in un’ottica di sostanziale de-responsabilizzazione: la maggioranza delle risposte dà la colpa alla “vita moderna”, e si trascura completamente il fatto che mai come oggi il mondo occidentale ha avuto a disposizione informazioni, strumenti, stimoli per sviluppare la propria creatività. Della imbarazzante modestia della preparazione media degli studenti italiani, rilevata implacabilmente anno dopo anno dai test Pisa-Ocse, non c’è traccia né nelle domande né, ovviamente, nelle risposte.
Un dato confortante, invece, è la capacità, appartenente ad oltre la metà del campione (il 53%) di distinguere creatività e innovazione, e di interpretare correttamente la seconda come applicazione pratica, concreta e produttiva della prima. Il fatto che sull’innovazione la visione sia meno sfuocata, più realistica, è dimostrato dal dato successivo: per il 62% degli italiani il paese è molto indietro rispetto ai competitor europei.
Ipsos correttamente segnala il delta di meno 17 punti percentuali rispetto alla percezione del livello creativo italiano confrontato con quello europeo. In sostanza: molti connazionali continuano a pensare che siamo un paese creativo, ma quando sbattono il naso contro la realtà nazionale, scarsamente innovativa, a una buona percentuale di loro tocca ricredersi.
La tavola che mette a confronto l’autopercezione in termini di creatività e di innovazione offre molte conferme. Gli intervistati si sentono mediamente più creativi (media 6.9) che innovativi (media 6.3). Anche questo dato è confrontabile, e allineato, col dato 2004 della ricerca Eurisko, secondo la quale il 64% degli italiani si ritiene “molto o abbastanza” creativo.
La tavola successiva propone un altro dato a conferma delle evidenze già individuate da Eurisko: sono le professioni direttive a segnalarsi come dotate di capacità creativa e innovativa. Qualche tavola dopo, qualche dato ulteriore: ben oltre un terzo (per l’esattezza il 44%) dei 402 intervistati su 800 che definiscono se stessi né particolarmente creativi né particolarmente innovativi vede con estrema diffidenza una professione che richiede creatività e innovazione continua: sarebbe davvero molto faticoso. Del resto degli intervistati parliamo tra qualche riga.
Il commento sintetico che chiude la ricerca si spiega da solo: la creatività sembra essere ancora oggi percepita, nella sostanza, come un fatto di originalità individuale e poco altro. In passato siamo stati creativi ma oggi stentiamo a tenere il passo, e questo accade per motivi di sistema più che per ragioni individuali. Le aziende italiane offrono scarse possibilità di essere creativi e innovativi.
Ma l’ultimo punto è particolarmente rilevante e merita di essere riportato per intero: l’autovalutazione degli intervistati ci restituisce una fotografia in cui la maggioranza mostra una sorta di appiattimento riguardo all’innovazione e alla creatività: ciò nonostante l’aspirazione ad un lavoro altamente creativo e innovativo interessa la maggioranza del campione. E anche coloro che, per propria ammissione, non avrebbero le qualità per poterlo svolgere.
Dalla ricerca, in sintesi, emerge l’immagine di un paese che percepisce i temi della creatività in modo sfuocato, che evita di responsabilizzarsi ma pretende di esprimersi, anche se riconosce di non avere gli strumenti per farlo. Non è una bella immagine. C’è da augurarsi che cambi in fretta.