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Intelligenza delle piante: c’è, anche se non ce ne accorgiamo

L’ intelligenza delle piante è un argomento che può apparire piuttosto astruso, ma sembra diventare improvvisamente semplice quando ne parla Stefano Mancuso. Lui dirige il Laboratorio di neurobiologia vegetale (LINV) di Firenze. La Repubblica l’ha inserito nella lista dei 20 italiani che possono cambiarci la vita e il New Yorker l’ha messo nell’elenco dei World Changers. Ha un sorriso gentile e un tono di voce pacato, ma quel che dice è davvero sorprendente.
Ho avuto il privilegio di sentirlo parlare nel corso di un convegno intitolato Idee per abitare il mondo, organizzato da Unicoop. L’idea di base è che le piante possano offrire un modello per la modernità. Ma dai, figuriamoci, uno pensa. E invece è proprio così.

LA VITA È VERDE. Quando parliamo di vita, racconta Mancuso, prima di tutto pensiamo a noi stessi, e poi agli animali. Eppure si stima che tra il 95 per cento e il 99.5 per cento della biomassa del pianeta sia composta da piante. Se si osserva la questione della vita in questi termini, la presenza animale (compresa la nostra) è ininfluente.Tuttavia il mondo vegetale ha sempre suscitato scarsa attenzione: nella Bibbia, Noè salva dal diluvio universale una coppia di ogni specie animale ma si dimentica dei vegetali. Eppure è il ramoscello d’ulivo portato da una colomba a segnalargli che il diluvio è finito. Eppure la prima cosa che Noè fa, terminato il diluvio, è piantare l’albero della vite.
Il filosofo greco Aristotele considera il mondo vegetale più vicino al mondo inorganico che a quello animale: le piante non possono muoversi né sentire, dice, e dunque non sono “animate”. Poi ci ripensa, perché dopotutto le piante sono in grado di riprodursi, e decide che sì, non sono proprio inanimate, ma quasi.
Noi la pensiamo più o meno ancora come Aristotele.

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PIONIERE, AUTOSUFFICIENTI, EVOLUTE. Le piante sono organismi pionieri. Usano pochissima energia, e ne producono più di quanta ne consumano. Quindi, sotto il profilo energetico, sono autosufficienti. E sono autotrofe: sanno trasformare sostanze inorganiche in molecole organiche, e dunque non hanno bisogno di nutrirsi di altri organismi viventi. Le piante da fiore (angiosperme) sono la grande maggioranza e sono apparse sul pianeta dopo l’apparizione dei mammiferi. Sono organismi molto moderni ed evoluti. Sono molto, molto diverse da noi su due dimensioni fondamentali: lo spazio e il tempo.

STRATEGIE DI SOPRAVVIVENZA. Le piante stanno sempre nello stesso posto: sono organismi sessili, cioè con radici.
Ma se sei radicato e non ti puoi muovere devi essere davvero resiliente e avere strategie di sopravvivenza più sofisticate di quelle che può mettere in atto un animale in grado di fuggire o di nascondersi. E non puoi avere organi singoli perché altrimenti, se un animale mangia un pezzo di te, muori.
Per questo le piante non sono individui (in dividuus significa non divisibile). E non hanno organi singoli. Sono organismi modulari, e le stesse funzioni che gli animali concentrano in singoli organi sono invece diffuse in tutto il corpo.
Proprio perché non possono scappare, le piante sono molto più sensibili rispetto agli animali: il loro unico modo di resistere è capire quel che succede con grande anticipo, in modo da potersi modificare in tempo. Insomma: le piante sono costruite in maniera intelligente, cioè altamente funzionale all’ambiente. Ma questo fatto non basta ancora per parlare di intelligenza delle piante.

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L’INTELLIGENZA DELLE PIANTE. Le piante possono percepire 20 diversi parametri chimichi e fisici. Arrivano a memorizzare e a imparare. Comunicano tra loro attraverso segnali chimici di attrazione o di allarme, e si aiutano a vicenda quando una pianta imparentata è in difficoltà.
Se definiamo “intelligenza” la capacità di percepire i cambiamenti dell’ambiente esterno e di retroagire nella maniera più adeguata possibile, potremmo dire che, poiché le piante percepiscono e retroagiscono, allora sì, possiamo parlare di intelligenza delle piante.

LA MUFFA INGEGNERE DEI TRASPORTI. Ma non appena accettiamo il concetto di “intelligenza delle piante” ci accorgiamo che è “intelligente” perfino una muffa, il Phisarum polycephalum, un organismo unicellulare giallognolo e non particolarmente attraente, che però sa trovare la strada più breve per raggiungere il suo cibo favorito (avena) in un labirinto.
Il Pysarum sa fare una cosa ancora più complessa: se attorno gli vengono disposti chicchi di avena collocati nella stessa posizione in cui si trovano i villaggi attorno a Tokyo rispetto al centro, e di grandezza maggiore o minore e corrispondente alla grandezza dei villaggi, il Physarum replica esattamente il percorso della metropolitana: il più razionale, frutto dello studio di decine di ingegneri che hanno impiegato complessi algoritmi. Allo stesso modo, il Phisarum sa replicare alla perfezione la rete delle maggiori linee ferroviarie italiane, e ci mostra che la rete ferroviaria russa ha invece alcuni ambiti di miglioramento: la struttura che disegna lui per andare a mangiarsi l’avena è più efficiente.
Se volete far conoscenza con il Phisarum, guardate questa Ted Conference. Ne vale la pena.

UN TEMPO PIÙ LENTO. L’altro punto di differenza tra le piante e noi riguarda il tempo: quello delle piante è più lento. Ci sembrano immobili perché, salvo rari casi, i loro movimenti sono rallentati rispetto ai nostri e sfuggono alla nostra percezione. Ma se acceleriamo il loro tempo trovando il modo per osservarle abbastanza a lungo, per esempio grazie a una ripresa in time-lapse, vediamo che le piante si muovono, eccome. E che sanno come e dove muoversi per raggiungere un obiettivo. Guardate questo video.

UN MONDO A NOSTRA IMMAGINE. Consciamente o inconsciamente, conclude Mancuso, attraverso gerarchie e ordinamenti sociali noi replichiamo la nostra morfologia di esseri animali: una testa che comanda, braccia che eseguono… tutto quello che riusciamo a immaginare è strutturato secondo questo modello, che è debole e vorace in senso energetico. Forse dalla silenziosa intelligenza delle piante, dalla loro struttura a rete e dalla loro resilienza abbiamo più di una cosa da imparare. In altre parole: l’intelligenza delle piante è per molti versi aliena, ma sottovalutarla può essere un errore.
Di sicuro è un gigantesco errore continuare a tagliare tremila ettari di foresta al giorno. Conosciamo il 20-30 per cento delle piante sul pianeta. Di queste, il 70 per cento è in via di estinzione. Noi usiamo energia e farmaci che vengono dalle piante. Noi dipendiamo dalle piante, e non possiamo dimenticarcene.
Se volete approfondire, leggete Verde brillante: poco più di cento pagine per un viaggio appassionante alla scoperta dell’intelligenza delle piante. Se volete ascoltare Stefano Mancuso, qui c’è un’altra Ted Conference.



UN COMMENTO, IN CONCLUSIONE.
Ora che abbiamo scoperto che esiste un’intelligenza delle piante, dobbiamo sentirci in colpa quando mangiamo una foglia d’insalata o affettiamo una cipolla? Il tema, credo, non è questo: noi abbiamo il nostro posto nella catena alimentare e le piante hanno il loro. E poi: il fatto che la cipolla sia così buona ci persuade non solo a mangiarla, ma anche a prendercene cura e a coltivarla.
Ho la sensazione che il tema sia un altro.
Forse varrebbe la pena di smettere di far fuori biodiversità vegetale. Forse bisognerebbe dare spazio agli studi sull’intelligenze delle piante, ed essere perfino disposti a imparare qualcosa. Forse potremmo chiederci se l’agricoltura intensiva, oltre a esaurire il suolo e a desertificarlo, non pregiudichi l’intelligenza delle piante rendendole “più stupide”, cioè più incapaci di reagire in modo autonomo alle avversità esterne. Forse, soprattutto, dovremmo recuperare rispetto e meraviglia per la vita che ci circonda, animale e vegetale. E ricordarci che abitiamo il nostro pianeta non da soli, e che il pianeta non è per niente solo “nostro”.
Le foto che illustrano la prima parte dell’articolo sono di Wolfgang Stuppy, ricercatore ai Royal Botanic Gardens. Una versione più breve di questo articolo esce anche su internazionale.it

12 risposte

  1. Le piante, così come verdure e frutti, non crescono sugli scaffali dei supermercati…
    Partendo da questo presupposto ho realizzato, per alcuni anni, un minuscolo ed artigianale orticello urbano con la collaborazione di due coltivatori un po’ speciali: i miei figli.
    In quel fazzolettino di terra si alternavano pomodori, fragole, insalate, fagiolini, piselli e perfino coraggiose mini-rotazioni delle colture fino a sperimentazioni con cocomeri (mai cresciuti) e zucche (l’unica cresciuta per davvero è finita nel giardino del vicino ed è stata recisa… involontariamente…).
    Tra successi e fallimenti l’obiettivo non era certo la quantità quanto piuttosto la scoperta, non solo dei frutti ma anche di quell’universo di golosissimi “mostriciattoli” disposti a tutto pur di raggiungere e divorare quelle leccornie.
    Stupefacente era lo spettacolo che, da un giorno all’altro, regalavano quei “filamenti” sottilissimi che, come lunghissime dita, si attorcigliavano a bastoni, rami, sassi per sostenersi, distendersi, crescere.
    Pareva proprio che quelle “dita” avessero gli occhi e si muovessero alla ricerca dell’appiglio migliore.
    Ricordo le domande, lo stupore e lo sbigottimento dei momenti in cui, rannicchiati tra le foglie, porgevamo un nostro dito in carne ed ossa a quelle “dita filamentose” e queste, con lentissimi movimenti, cingevano il nostro dito per sorreggersi… o forse semplicemente per fare amicizia e condurci alla scoperta del loro incredibile mondo.
    L’orto non c’è più, ma la curiosità è tanta ed il prossimo passo sarà quello di osservare da vicino una vera e propria “cacciatrice”: la Dionaea Mascipula.

  2. Se ci sono messaggi da cogliere in queste scoperte, sono plurimi:
    – La ricerca scientifica si conferma come unico strumento possibile per dissipare la nebbia dell’ignoranza e guidare verso un progresso non distruttivo e consumistico ma sensato e in equilibrio con l’ecosistema. Non si finisce mai di scoprire

    – L’arroganza di ritenersi creature “superiori” è solo arroganza: è un punto di vista che non corrisponde a verità, è parziale e quindi limitato, di conseguenza dannoso; è un errore scientifico oltre che morale, un errore sostenuto per millenni che grazie a scoperte scientifiche come queste può finalmente essere demolito. L’umiltà invece è un atteggiamento molto più intelligente e insegna decisamente meglio

    – Prendere ispirazione dalle piante insegna troppi comportamenti positivi per non farlo: avere pazienza, osservare prima, poi optare per scelte sensate, agire non in modo invasivo ma in equilibrio con gli altri elementi dell’ecosistema, ricordarci che siamo membri di una comunità e di un complesso: parti di un ciclo e non punte di una piramide. Politici, Ingegneri, grandi manager, ma tutti dovremmo imparare a usare bene i nostri sensi (anche se meno evoluti di quelli delle piante), ascoltare e osservare

    – La divulgazione delle scoperte scientifiche è l’altro grande strumento per vincere l’ingoranza. Sono stata ad una sua conferenza, e credo che Stefano Mancuno sia un grande divulgatore: si impegna a illustrare le sue scoperte con foto, video, un linguaggio chiaro e un tono da narratore. E questo blog ha la stessa importante funzione divulgativa!

    Grazie Annamaria Testa per aver parlato di questo argomento, è confortante:)

  3. Il Phisarum mi mancava, grazie.
    Dopo aver letto La possibilita’ di un’isola di Houellebecq e conosciuto l’euglena, ho pensato a come sarebbe bello avere un cappello di clorofilla, integrato nel nostro sistema circolatorio, in grado di alimentarci con la fotosintesi. Potremmo smettere di piangere sulle cipolle morte 🙂

  4. Articolo interessantissimo. Una delle cose più complicate per l’uomo è essere in grado di riconoscere un intelligenza; è facile per molte persone dire che un altro essere vivente è stupido perché non è in grado di fare le cose che ritene noi più utili dal nostro punto di vista quando in realtà l’intelligenza è differente specie per specie.

  5. Da circa 15 anni pratico l’ascolto delle piante come pratica quasi quotidiana di meditazione.
    È una pratica semplice, in cui l’intento è sull’entrare nel respiro dell’albero, entrare nel suo stato di percezione, nella sua lentezza, nella sua stabilità, nella sua presenza silenziosa e attenta.
    Mi sono sempre annoiata a fare meditazione o yoga, ma con gli alberi, in natura, allenare la presenza mentale è diventato facilissimo!
    Ho praticato in ogni stagione, con la neve, con la grandine, a testa in giù sul mio melo la notte di Capodanno, e anche la sera dopo il pranzone di Natale.
    Mi divertivo ad avvicinarmi ogni sera all’albero con la domanda: come sta stasera questo albero?
    Così ho allenato per anni l’ascolto degli alberi, e l’ascolto è diventato la base di ciò che insegno oggi a gruppi di manager stressati e incapaci di leadership, perchè mai in ascolto del loro contesto, degli altri, e di se stessi.
    Scherzando dico anche che se ho trovato marito (e l’ho trovato meraviglioso, ma molto tardi, a quasi 40 anni!) è merito del mio melo, perchè con lui ho imparato a rispettare un’altro essere vivente, ad ascoltarlo veramente, ad essere veramente con lui mentre sono veramente con me.
    Sognavo un uomo come il mio melo; presente, robusto, con solide radici, fertili rami carichi di mele (la più grossa pesava 750 gr!). Ed è arrivato un uomo proprio così! 🙂
    Poi finalmente arriva anche Mancuso, ed è folgorazione! Finalmente qualcuno che spiega alla mia testa molto di quello che il mio corpo e i miei sensi già avevano scoperto sul mondo delle piante, e mi rende meno folle di quello che pensavo.
    Ho letto tutti i suoi libri.
    E sono felice che finalmente articoli come questo inizino a essere scritti da chi ha visibilità mediatica.
    Grazie Annamaria, inizierò a seguirti.

  6. PS: sull’intelligenza delle piante consiglio anche Daniel Chamovitz, che è meno poetico e più spietato di Mancuso (cosa ch enon mi piace molto), ma il suo corso sull’intelligenza delle piante su Coursera è comunque molto interessante per sapere di più sul mondo sensoriale e percettivo delle piante!

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