Avrete notato che lo slogan di Obama per questa campagna elettorale non è Forward (avanti): è Forward., (avanti.) con il punto. Il Wall Street Journal dice che fa una bella differenza (il punto aggiungerebbe un senso di finalità alla parola), e come non credergli?
Sta di fatto che, al contrario di quanto succede coi titoli dei libri e dei giornali, di norma i titoli pubblicitari, o headline, hanno una punteggiatura serrata, e terminano con un punto fermo (leggetevi questo articolo). Online si trovano diverse discussioni strampalate sull’argomento e, visto che sono strampalate, non le linko: bisogna essere creativi inventando buoni titoli, accidenti. E non pretendendo di rifondare a cavolo, e ancora accidenti, le regole della punteggiatura.
Ma torniamo al punto fermo dei titoli pubblicitari: ci sta nella misura in cui un titolo è una energica micro-narrazione dotata di un proprio tono di voce, e intesa ad affermare, suggerire, invitare, sedurre, stupire… insomma, quando il titolo racconta una storia che, anche se si sviluppa in poche parole, ha senso: comincia, e va avanti con tutta la punteggiatura necessaria. E finisce. Con un punto.
Qui trovate un esempio curioso.
Ma se il titolo è una robetta senza sale. O se è puramente denotativo. Insomma: se non c’è storia, non c’è nemmeno punto che tenga. E tanto vale non mettercelo: non sarà quello a tenere in piedi un mucchietto di parole che non afferma, non racconta, e traballa schiantato dal peso dell’ovvietà. Sotto questo profilo, anche la punteggiatura del FORWARD. di Obama sembra indicare uno speranzoso eccesso di intenzione. Forward… e poi? No, un punto da solo non fa la magia di trasformare qualsiasi cosa in una storia. Nemmeno se a mettercelo è lo staff di Obama.
La punteggiatura, per chi scrive e non solo per chi scrive pubblicità, è una faccenda rilevante. E non serve semplicemente per riprendere fiato leggendo, come credono in molti. È qualcos’altro, come sottolinea Luisa Carrada: il punto, la virgola e gli altri segni di interpunzione non producono una pausa, ma segnalano una pausa prodotta dal significato del testo; i segni di interpunzione non separano le parole e le frasi, ma al contrario, le collegano: “agganciano”, per così dire, due parole, due frasi o due periodi fra i quali esiste già una pausa determinata dal significato.
Proprio per questo motivo (agganciare ciò che sta insieme, separandolo dal resto e stabilendo sequenze sensate) Paul Watzlawick, autore del fondamentale Pragmatica della comunicazione umana, chiama punteggiare anche l’attività automatica che tutti noi svolgiamo quando riorganizziamo la nostra memoria degli eventi e quando ricostruiamo l’intera storia dei messaggi che ci scambiamo. Se non conoscete Watzlawick e siete (almeno un po’) incuriositi, date un’occhiata a questo articolo di Giammario Mascolo. Non ve ne pentirete.
Insomma: la punteggiatura è un grande produttore di senso. Così importante che continuiamo a parlarne anche in un prossimo post.
Gran bel post, e sono contenta sia solo il primo di una serie, ma… la citazione non è mia. È tratta dal libro di Valeria Della Valle e Giuseppe Patota “Viva la grammatica!”.
Io non avrei saputo dirlo così bene.
Luisa
E poi il “Forward.” è diventato “Forward!”: Obama Campaign Raises Volume on Forward Slogan – http://on.wsj.com/TGTf4b
Nessuna meraviglia che il Wall Street Journal apprezzi il punto di Obama. Il logotipo del WSJ è uno dei rari casi in cui il punto fermo fa parte del marchio (altri casi sono Deloitte e Loewe), come a “chiudere” il nome del giornale. Per forza è così autorevole. 😉
Condivido e ringrazio. Il rigore è di rigore