La Biennale Architettura apre a Venezia il prossimo 29 agosto con una bella prospettiva creativa: essere un luogo di discussione e interconnessione, alla ricerca di ciò che, in tutti i sensi, è “territorio comune”. Piccolo problema: il padiglione Italia non ha ancora un curatore (e in mezzo c’è l’estate). Ricevo da Luca Silenzi e pubblico volentieri.
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Forse qualcuno non si stupirà più di tanto, di questi tempi. Forse ci sono problemi più urgenti. Ma a quattro mesi dall’apertura della Biennale di Architettura di Venezia il MIBAC non ha ancora definito chi sarà il curatore del nostro padiglione nazionale, il “Padiglione Italia” all’Arsenale.
La kermesse veneziana, che si tiene ogni due anni in alternanza con la Biennale d’Arte, rappresenta forse la più prestigiosa mostra internazionale di architettura al mondo: una vetrina per tutte le nazioni, ognuna presente con un suo padiglione, uno spazio autogestito in cui rappresenta le proprie eccellenze e la propria visione sui temi dell’architettura e del progetto del territorio.
Alla direzione dell’edizione 2012 è stato nominato lo scorso dicembre il pluripremiato architetto David Chipperfield, che ha scelto come tema quello del “Common Ground”. Da allora tutti gli Stati hanno incaricato i curatori dei rispettivi padiglioni, che si occuperanno dei contenuti nazionali tenendo conto delle linee direttive generali. Tutti tranne noi. Lo Stato ospite: i più maligni ritengono che molti nomi già in pole nel 2011 si siano avariati dopo il cambio di Governo, chissà.
Due settimane fa, nel silenzio delle istituzioni, un gruppo di giovani architetti coordinati da Luca Diffuse ha messo in atto una piccola rivoluzione: anziché semplicemente “denunciare” o “lamentarsi” della situazione, di fatto vergognosa, ha cominciato a delineare una proposta corale, un atto di riappropriazione. Partendo da un blog e da un gruppo Facebook questa proposta “open source” si è via via arricchita di adesioni, di sensibilità e contenuti, capaci di occupare il (meglio: occuparsi del) Padiglione Italia.
Si sta mettendo a punto un progetto indipendente, condiviso, che intende esprimersi attraverso una mostra ed una piattaforma di ricerca attive dentro e fuori il padiglione, pensato come un collettore/attivatore di connessioni e di sensibilità, diffuse o da diffondere nel paese reale. Costruendo nodi, reti di relazioni e tattiche che ne costituiranno l’eredità operativa negli anni a venire, al di là della Biennale.
Forse è finalmente giunta l’ora di affrontare il problema dell’architettura italiana, delle sue grandi eredità mai raccolte, dell’ingerenza soffocante delle lobbies, della brutta politica e del compromesso. Del durissimo lavoro ai margini, fuori dai riflettori.
E per farlo non basteranno gli architetti: servirà l’aiuto di tutti, perché l’architettura e la qualità degli spazi in cui viviamo debbono tornare ad appassionare questo Paese.