pensiero magico, libri e lettura profonda

Pensiero magico, libri e lettura profonda

Mi è venuta in mente all’improvviso una cosa riguardante il leggere libri, ma non saprei dire se si tratta si pensiero creativo (cioè di un’intuizione che ha qualche riscontro reale) o di pensiero magico (un ragionamento del tutto campato per aria). Per spiegarmi meglio, devo fare una premessa, che spero vi sembrerà comunque interessante.
Ecco qui.

CONNESSIONI INEDITE. Da una connessione inedita può nascere un’idea. Succede così: elementi (notizie, fatti, azioni, oggetti…) del tutto indipendenti tra loro si uniscono a un certo punto nella nostra mente, in un disegno che ci suggerisce l’esistenza di un legame. Ed ecco che vien fuori un’idea nuova di zecca.

L’ESSENZA DELLA CREATIVITÀ. Questa capacità di  stabilire connessioni tra elementi distanti è la vera essenza del pensiero creativo. Non mi stanco di ricordare che il matematico Henri Poincaré lo scrive già nel 1906: un risultato nuovo ha valore, se ne ha, nel caso in cui stabilendo un legame tra elementi noti da tempo, ma fino ad allora sparsi e in apparenza estranei gli uni agli altri, mette ordine, immediatamente, là dove sembrava regnare il disordine

INVENTARE, CIOÈ SCEGLIERE. Non vuol certo dire che qualsiasi nuova connessione o unione è creativa. Bisogna che i risultati siano apprezzabili. Questa, peraltro, è la condizione che anche Poincaré indica: inventare consiste proprio nel non costruire le combinazioni inutili e nel costruire unicamente quelle utili, che sono un’esigua minoranza. Inventare è discernere, è scegliere.
Aggiungo che il discorso vale sia per la creatività scientifica, che procede per invenzioni e scoperte, sia per la creatività artistica in tutte le sue espressioni.

SE LA CONNESSIONE FUNZIONA. Ma tutti noi, e anche chi non sta praticando nessuna disciplina scientifica o artistica, abbiamo la tendenza a stabilire  legami tra elementi diversi. E, quando la connessione funziona, è magnifico.
Così. mettiamo insieme due capi d’abbigliamento  che non c’entrano l’uno con t’altro e scopriamo che per forma, trama, colore o materiale stanno stranamente bene insieme. O mescoliamo due ingredienti bizzarri in una ricetta che si rivela gustosa.

IL BINOMIO FANTASTICO. O uniamo, per esempio, la lieve traccia di un sogno che abbiamo fatto e l’immagine di un oggetto che abbiamo intorno e ne viene fuori una storia capace di incantare un bambino. Del resto, ce l’ha insegnato Gianni Rodari: possono bastare anche due singole parole sufficientemente lontane tra loro (il binomio fantastico) per inventare una storia.

TRA REALTÀ E FANTASIA. Insomma: immaginare il mondo come un puzzle da ricomporre, di connessione in connessione,  può rivelarsi non solo divertente e suggestivo, ma fertile in termini di produzione artistica o scientifica. E anche in termini di creatività quotidiana. Ovviamente bisogna sempre avere ben chiaro se ci stiamo muovendo nell’ambito della creatività artistica (dove tutto può accadere: basta che ci sia una logica riconoscibile. E che tutto poi si traduca in un’opera reale, e che ha valore) o in quello della creatività scientifica (dove solo certe cose accadono e certe regole valgono, e altre no. E dove poi ciò che accade si compone in una scoperta o in un’invenzione).
Se facciamo confusione tra i due ambiti, e se trascuriamo ogni riscontro di realtà, ecco che viene fuori il pensiero magico.

OCCHIO AL PENSIERO MAGICO. In sostanza, chiamiamo pensiero magico  l’attitudine a stabilire connessioni tra eventi e a istituire regole senza che ci sia nessun fondamento di realtà. Ragionare così è tipico dei bambini, ma può succedere di coltivare il pensiero magico anche da adulti. Per esempio: “l’amore della mia vita ieri mi ha finalmente telefonato proprio mentre sbucciavo un’arancia. Se sbuccio oggi un’altra arancia, mi telefonerà di nuovo”.

CONFORTATI MA NON INTRAPPOLATI. È un vezzo tutto sommato inoffensivo, e può perfino rassicurarci o confortarci, in certi momenti. Dobbiamo però sapere di che si tratta, e non lasciarcene intrappolare. Per esempio, il mio personale pensiero magico riguarda una camicia a quadretti, quella che indossavo quando mi sono presa, col primo esame all’università, un bel 30 in cui non speravo.

TALISMANO TESSILE. Mi sono messa quella camicia per tutti gli esami successivi, e i risultati sembravano confermare la relazione magica. Ma ovviamente, e a prescindere dalla camicia, studiavo anche come una disperata. Poi, a furia di lavaggi la camicia è diventata davvero troppo stretta. E sono ben consapevole di non aver mai dato la tesi perché ho cominciato a lavorare, e non perché privata del mio talismano tessile.

DUE FATTI. Vi racconto tutto questo perché, ultime poche ore, due fatti indipendenti tra loro, ma legati da un filo emotivo, mi si sono uniti nella testa, e non sono ancora riuscita a decidere se si tratta, appunto, di pensiero magico o di un’intuizione che  può riguardare la vita reale e l’esperienza di molti di noi.

LIBRI E SOCIAL MEDIA. Il primo fatto: mi sono trovata a sostenere in pubblico che leggere libri oggi è fondamentale! Vitale! Imprescindibile!, in modo così veemente e accorato che io stessa ne sono rimasta stupita.
Il secondo fatto: ho letto un breve articolo intitolato Quegli otto studenti, unici a resistere lontano dai social. In sostanza: si è proposto ai 503 ragazzi iscritti al liceo Cairoli di Pavia di passare cinque giorni lontani dai social network. Solo in 43 (meno del 10 per cento) hanno accettato di provarci. Solo in 8 ce l’hanno fatta. Dati analoghi sono stati rilevati intutto il mondo occidentale.

INCALZANTE E FRAMMENTATO. Ed eccomi al punto: può essere che leggere libri mi sembri oggi così importante, anche dal punto di vista emotivo, e più necessario che mai proprio perché viviamo in un mondo dove tutto il resto dell’informazione è così caotico, incalzante e frammentato? E dove il caos e la frammentazione sono ormai così pervasivi da apparirci normali?

TIRARE IL FIATO. È una cosa perfino più profonda e radicale del piacere di leggere. È il bisogno di tirare il fiato. La sensazione è questa: solo un libro, sia un saggio o un romanzo, ci può accogliere in un mondo coerente, strutturato, ordinato (e, di norma, interessante), che possiamo percorrere e scoprire.  E (meraviglia!) possiamo farlo seguendo il nostro ritmo.

OASI NEL DESERTO DEL SENSO. Per questo ormai penso alla lettura di un libro come a un’oasi in un deserto non di stimoli (se mai è il contrario) ma di senso. E ho come l’idea che leggere un libro mi faccia bene e mi aiuti in primo luogo a mantenermi stabile, all’interno di un sistema che, di stabilità, ne ha davvero poca.

UN QUESITO APERTO. Che sia pensiero magico (cioè: nient’altro che una cabala personale) o l’intuizione di un effetto reale della lettura profonda e prolungata, dipende da quanti di voi condividono questa sensazione.
 Una versione più breve di questo articolo esce su internazionale.it

11 risposte

  1. Come al solito riflessioni molto interessanti.
    Riflessioni che condivido: mi rendo conto che il piacere di leggere non deriva solo da quello che sto leggendo, ma dall’atto di mettere in pausa tutto. Ho perfino installato un app sul telefono che mette a tacere tutte le notifiche e mi premia quando non lo uso per un tot di tempo. E la sfrutto soprattutto per leggere.

  2. Cara Annamaria ,non so se hai mai giocato a casetta da bambina.. Il senso che lì dentro eri felice e al sicuro. A me succede questo quando mi immergo in un romanzo. Sono d’accordo che leggere sia un’attività vitale e salvifica, anche se mi sento pessimista per chi non crescendo più con i libri potrebbe non avere una via di fuga dal caos e dalla frammentazione del mondo.

  3. Cara Anna Maria, secondo me è un’intuizione, e pure brillante. Mi è venuto in mente un parallelismo con le opere musicali. Insegno musica alle medie e noto che i ragazzi hanno difficoltà a concentrarsi sull’ascolto della musica, mentre li trovo più avvezzi a concepirla come sottofondo o come una sorta di marker identitario. Come la lettura dei libri, forse anche l’ascolto di opere musicali potrebbe fungere da oasi di senso e palestra di stabilità? Cosa ne pensi?

    1. Ciao Antonino,
      credo proprio che possa essere così – anche la musica costruisce universi di senso immersivi e ordinati, ricchissimi di senso per chi li sa leggere – ma non ne so abbastanza.

      Ricordo però che l’ascolto della musica ha anche comprovati effetti sul cervello. Ti linko una ricerca dell’University College di Londra che parla proprio di questo:

      https://www.cambridge.org/core/services/aop-cambridge-core/content/view/095C9B25E4C50A3702BDA3DB2A529A31/S2056474000001720a.pdf/music_and_the_brain_the_neuroscience_of_music_and_musical_appreciation.pdf

  4. Bellissimo articolo, grazie.
    E’ anche l’essenza della poetica, come in questa similitudine citata da Burgess proprio per esemplificare il valore evocativo dei nessi sorprendenti:

    Let us go then, you and I,
    When the evening is spread out against the sky
    Like a patient etherized upon a table
    (T.S. Eliot)

    Un caro saluto.

  5. Il mio leggere, oltre a un piacere che coltivo sin da bambina, è diventato anche un allenamento costante che mi aiuta a mantenere l’equilibrio e il benessere personale.
    Mi è capitato non molto tempo fa di fare una settimana di totale astinenza dalla lettura (l’avevo letto in un libro), è stato molto difficile ma ha avuto un effetto scatenante sulla mia creatività, sulla mia attenzione verso il mondo esterno, una settimana al tempo stesso delirante ma molto molto utile. Per guardarla da un altro punto di vista!

  6. Anche per me è così, i momenti anche brevi che dedico ogni giorno alla lettura sono indispensabili e non vi rinuncio mai anche se sono stanca. Ma non riesco a passare questo amore/bisogno ai miei figli, che da piccoli leggevano, ora non riescono più , come se non ne fossero più capaci, e questo mi crea una tristezza enorme.

  7. Bellissima intuizione (o, almeno, spero sia tale).

    Io sostengo una tesi simile, ma con una maggiore componente di pensiero magico: nella realtà la lettura ‘impegnativa’, quella che sola può dare soddisfazione e l’impressione di avere trovato qualcosa di nuovo e di valore dentro se stessi, mi richiede uno sforzo a cui mi sono disabituato.

    Quindi mi aggrappo alla rilettura di vecchi libri che ho amato o alle letture leggere, sperando siano sufficienti a farmi tornare indietro nel tempo a un periodo più spensierato.
    Mi accorgo che solo il piacere della lettura mi permette di superare lo scoglio della pagina 50.

    Per la musica vorrei far notare che, come un buon film, il piacere è lo stesso, ma il ritmo non è mai quello deciso dal fruitore.

    (con l’occasione vorrei anche segnalare un piccolo refuso nel paragrafo dell”oasi’: “si stabilità”.)

  8. Ciao Magari.
    Grazie per tua lettura così attenta da intercettare un refuso insidioso (l’ho corretto).
    Capisco perfettamente quel che dici.
    Io riesco ancora a leggere benissimo in vacanza, specie se sono abbastanza lontana dal computer, e ho davanti a me, per dire, un intero, lussuosissimo pomeriggio.
    Per le letture “rubate” (per esempio, un viaggio in treno): libri di genere. Alcuni, peraltro, egregiamente scritti.

    Di recente, invece, mi sono convertita agli audiolibri, ma cercando una tipologia precisa: magnifici romanzoni che ho già letto, e che forse oggi non rileggerei più. Ah, che meraviglia, il Conte di Montecristo letto da Andrea Giordana, o Moby Dick, letto dall’impareggiabile Piero Baldini. Consiglio vivamente. 🙂

  9. “Oasi di senso” e “seguire il proprio ritmo”: per me sono questi i punti importanti della tua intuizione, Annamaria, che condivido in pieno. Credo sia un “effetto rimbalzo” dell’overload informativo: la sensazione che ci venga imposto un obbligo di continuo aggiornamento su tutto. Si è sostenuto che i testi lunghi e lineari (i libri, di narrativa o saggistica) ci impongono il loro percorso argomentativo o narrativo. In realtà è molto più impositivo il continuo diluvio di “testicoli” che arriva dal web (Ferraris ci ha scritto un pamphlet, esagerando un po’, a mio avviso). Sarà banale, ma l’ovvia metafora “superficie veloce VS profondità lenta” ha del vero (e Baricco aveva torto). Ed è probabile che, in fondo, bisogna soloi trovare la giusta misura, come dicevi tu stessa a proposito del “processo creativo come una struttura frattale: sequenze minori all’interno di sequenze maggiori”. Una trama di “oasi” e “lampi”.

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