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Personalizzazione: l’illusione di vivere in un mondo che ci rispecchia

La personalizzazione delle merci è uno dei molti paradossi della società massificata e omologata, quella che da un capo all’altro del mondo ci fa trovare le stesse marche negli stessi negozi, gli stessi sapori, le stesse forme d’intrattenimento. Consiste in una valorizzazione intensiva della soggettività, delle propensioni e dei gusti individuali.

CONVINZIONI E DESIDERI. Così, grazie al diffondersi dei sistemi computerizzati, oggi fluttuiamo tutti quanti in un universo, sia reale sia virtuale, sempre più denso di offerte personalizzate, che con ogni probabilità sono il vero futuro del commercio e dei servizi.
Vuol dire che ciascun individuo-consumatore viene considerato come persona singola e unica, con i suoi gusti, le sue convinzioni e i suoi desideri. Non come pura entità intercambiabile di un insieme statistico o, ben che vada, come elemento tipico di una segmentazione per gruppi (target group) che appaiono omogenei in base a una manciata di caratteristiche sociodemografiche.

PERSONALIZZAZIONE DI MASSA. È la mass customization, la personalizzazione di massa di roba decorata, calibrata (o, meglio ancora, costruita) in modo tale da corrispondere ai gusti e alle richieste di ogni singolo acquirente, tanto da esprimerne perfettamente (almeno in teoria) l’identità. E da solleticarne, in pratica, il narcisismo. Cioè l’illusione di contare e di valere di più come “persona”
Personalizzare è un vantaggio anche per chi produce: non deve più che tanto competere sul prezzo, e fidelizza i clienti. Dunque, quasi il novanta per cento delle imprese concorda sul fatto che la personalizzazione è un buon affare.

“PURCHÉ SIA NERO”. Di tutto ciò si è cominciato a parlare già alla fine degli anni 90. Ma con gli allestimenti delle automobili abbiamo molti esempi di personalizzazione già nel secondo dopoguerra.
Un bel cambiamento, se di pensa che solo qualche decennio (e una guerra) prima, nel 1914, il pioniere della motorizzazione di massa Henry Ford dice, del ModelloT, “sceglietelo di qualsiasi colore, purché sia nero”.
Il fatto è che il colore nero asciuga prima, costa meno e e resiste di più. Ford continuerà a produrre auto ModelloT rigorosamente nere fino al 1926.

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DECORARE. Il primo grado della personalizzazione è la decorazione. Negli Stati Uniti, nel 2014, Coca-Cola ha personalizzato le proprie bottiglie con gli 800 diversi nomi propri più diffusi tra i 15-34enni, dando nuovo impulso a vendite rimaste ferme dal 2000. La stessa cosa ha fatto, in tempi più recenti, la Nutella. Ma basta una manciata di euro per far ricamare le proprie iniziali su una camicia prodotta in serie. Ce ne vogliono di più per apporre le proprie iniziali su una borsa.

SELEZIONARE. Il secondo grado della personalizzazione è la selezione: specifiche offerte o consigli costruiti a partire dalle precedenti scelte del cliente (lo fanno, per esempio, Amazon e Netflix). Playlist personalizzate. Voli aerei in business class personalizzata.

FATTO SU MISURA. Il terzo grado è la costruzione su misura (in inglese: customization). Troviamo le biciclette personalizzate e le maglie girocollo personalizzate, le scarpe personalizzate (il cliente se le disegna e le porta a casa in novanta minuti), E poi: le tecnologie personalizzate. L’apprendimento personalizzato. Le favole  per bambini e i romanzi personalizzati (il protagonista che le pagine celebrano e che l’immancabile lieto fine gratifica siete voi).

DAGLI AURICOLARI ALLE PROTESI. Ancora oggi le stampanti 3D sono in larga parte usate per costruire prototipi (cioè, modelli tridimensionali di oggetti che poi verranno prodotti in altro modo). Ma la loro maggior precisione rispetto al recente passato e, soprattutto, la crescente varietà dei materiali che possono essere usati per stampare, permetteranno a breve di ottenere un’enorme quantità di prodotti su misura, primi fra tutti quelli che, riguardando il nostro corpo, devono essere davvero “su misura”. Già oggi sono disponibili protesi, auricolari, apparecchi per i denti stampati in 3D in modo tale da adattarsi perfettamente al singolo corpo umano. Questo è il lato meno frivolo e più virtuoso dell’intera faccenda.

MISSIONE IMPOSSIBILE. O, FORSE, NO. Forse, la cosa che in sé resta più di ogni altra difficile da personalizzare è l’offerta politica (dovremmo avere tanti partiti quanti sono gli elettori). Si personalizzano però i partiti, in modo che l’elettore possa rispecchiare se stesso nel carisma del capo. E soprattutto si personalizza la propaganda, profilando il corpo elettorale in modo accurato, per poter fare a ciascuno esattamente la promessa che vuole sentirsi fare.
Riuscirci non è così difficile, e a un algoritmo sofisticato basta una manciata di like attribuiti su Facebook per capire che tipi siete: un eccellente articolo di Valigia Blu vi spiega come questo avviene (sì, vi sto caldamente invitando a leggerlo).

PREGIUDIZI E CREDENZE. Prendiamo anche nota del fatto che, insieme a (o integrate in) promesse elettorali personalizzate può arrivarci anche la nostra dose di notizie false personalizzate in modo tale da confermare le nostre credenze e i nostri pregiudizi, e quindi da non farci venire nessuna voglia di avventurarci in ulteriori verifiche.
Infine, prendiamo nota del fatto che la personalizzazione è in larga parte un’illusione seduttiva, fatta di marketing e tecnologia. E che può convincerci a comprare (quasi) qualsiasi cosa. E qualsiasi idea.
Ci possiamo difendere, però, praticando un esercizio semplice: provare a pensare a noi stessi non solo come individui, ma anche come membri di una comunità.

Una versione più breve di questo articolo esce anche su internazionale.it. Se vi è piaciuto, potreste dare un’occhiata anche a:
Colori che vendono

7 risposte

  1. Ad esempio, all’inizio era Colgate. Con Gardol. Un additivo misteriosissimo scomparso nell’iperuranio insieme a Lisa Biondi e al Talidomide. Quando la formulazione ha raggiunto un livello di complessità e di omologazione nei quali i componenti variabili non avevano più la capacità di orientare l’acquisto –cosa mai puoi aggiungere per essere preferito, se persino Gardol ha perso il suo antico fascino?– si è passati alla segmentazione (gengive sanguinanti, denti sensibili, giallo tartato, fumatori, gusto menta, pistacchio, puffo, come coi gelati). Ma questo non bastava, e allora ecco non più il tubetto sciolto ma astucci in cartoncino che, in breve tempo, sono divenuti dei completi campionari di tutte le tecniche grafiche. Stampa in quadricromia più diversi colori dichiarati, impressioni in rilievo a secco, trasferimento a caldo di patine iridescenti, ologrammi, tag UV e IR, QR code che, se lo fotografi, fornisce al produttore tramite il tuo smartphone informazioni di geolocalizzazione, di fascia di reddito in base al modello di telefono, ecc.
    Nel contempo una microtelecamera posta nello scaffale avrà registrato i moti saccadici e comprese le intenzioni del tuo sguardo, un’altra ancora avrà analizzato il tuo peregrinare fra le corsie.
    Arrivati a casa, quello che costituisce circa l’ottanta per cento del costo industriale, l’imballo, intatto, finisce in discarica ad alimentare l’inceneritore. Il tubetto in polietilene e il tappo in politetrafluoroetilene andranno invece a comporre una nuova isola di plastica in culo alle balene.
    Siamo passati dalla condizione originale di cacciatori-raccoglitori a quella più facile di semplici raccoglitori: raccattiamo dagli scaffali quelle merci alle quali siamo segmentalmente assimilati e li deponiamo nei carrelli.

  2. @Rodolfo: hahaha, bellissimo commento!

    E si collega anche più in generale al tema, vastissimo, dell’articolo di N&U: oggi ogni consumatore è un fornitore involontario dei propri dati, che le aziende del settore (parliamo delle big del settore informatico: da google a FB) raccolgono e rivendono in grandi quantità.

    La parola “personalizzazione” in questo articolo viene usata in almeno due modi diametralmente opposti: per la segmentazione microscopica della produzione, ritagliata sul singolo consumatore, e per la sostituzione di qualsiasi ideologi politica con una singola persona-leader, che diventa in questo modo qualcosa di più di un essere umano (un contenitore, una galassia di credenze politiche, una etichetta).
    Ad esempio, per commentare il secondo fenomeno, io direi che Berlusconi, Grillo e Renzi mi sono bastati: possiamo tornare alle ideologie, per favore?

  3. Ciao Rodolfo e ciao Magari,
    questo è uno dei casi in cui i commenti a un articolo arricchiscono sostanzialmente l’articolo medesimo. Grazie!
    (Tra l’altro: se non proprio alle ideologie, sarebbe almeno interessante tornare alle idee. Per esempio: che razza di paese vogliamo essere?)
    Tanti cari auguri.

  4. Potrebbe essere interessante chiedere alle tre persone citate da Magari (…) di realizzare un piccolo imballo, proprio come quello del dentifricio citato da Rodolfo, che:
    – Non contenga alcun tipo di testo o slogan.
    – Non contenga immagini di persone legate alla politica (tantomeno le loro…).
    – Non contenga simboli di partiti politici di ieri, oggi o riconducibili a loro.
    – Contenga una sola immagine disegnata personalmente e di loro pugno dai Tre in grado di rappresentare la loro IDEA del “paese che saremo” o “del paese che vorrebbero consegnare ai cittadini italiani”.

    Successivamente riempirei gli scaffali dei vari punti vendita commerciali con le tre confezioni anonime affiancate e, sopra di questi, un cartello: “scegli il paese che vorresti” oppure “e tu quale paese scegli?”.
    Naturalmente nessuno dovrà sapere chi ha disegnato cosa e ciascun cliente potrà scegliere gratuitamente una confezione.

    Beh, questa è un’idea farlocca, un gioco improbabile, ma sarebbe interessante fare il conteggio delle confezioni più vendute in un arco di tempo definito, ad esempio nei due mesi precedenti le elezioni.

    Inoltre sarebbe estremamente interessante osservare l’espressione sul volto dei “cacciatori-raccoglitori” una volta svelato il nome del disegnatore della confezione che hanno scelto.
    Dopo questo ultimo passaggio temo che, come accennava Rodolfo, molti imballi finirebbero in discarica ad alimentare l’inceneritore…

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