Pubblicare buone notizie

Pubblicare buone notizie: perché è difficile. E come riuscirci

Può sembrare paradossale ma è così: pubblicare buone notizie è più difficile che pubblicarne di cattive. E, se ci pensate bene, lo è per molte ragioni piuttosto facili da intuire. Qui sotto provo a elencarne alcune. Ma notate che la oltre la metà delle ragioni (tutte quelle che ho segnato con un asterisco) è legata alla percezione soggettiva, non alla sostanza delle notizie.

  1. MENO EMOZIONANTI. Le buone notizie non catturano immediatamente il pubblico suscitando emozioni forti come rabbia o paura *
  2. MENO URGENTI …per questo motivo trasmettono meno urgenza, e sembrano meno necessarie *
  3. MENO DIFFUSE … quindi vengono diffuse di meno e sono più difficili da trovare.
  4. PIÙ COMPLESSE. Le buone notizie hanno spesso bisogno di maggiori spiegazioni, e di essere contestualizzate.
  5. PIÙ INSIPIDE. Possono apparire melense, zuccherose, buoniste, scipite, insulse, leziose, sdolcinate, stucchevoli *
  6. PIÙ RETORICHE … o possono apparire enfatiche, celebrative, apologetiche, manipolatorie e strumentali. *
  7. MENO IMPARZIALI … questo suscita il sospetto che siano asservite e filogovernative, qualsiasi sia il governo, e perfino se la notizia non c’entra col governo (per esempio, perché viene dall’estero). *
  8. MENO CREDIBILI. È più facile prestare fede a una cattiva notizia che a una buona notizia, perfino se è sostenuta da dati oggettivi (per esempio, i dati sulla diminuzione globale dalla fame, della povertà e della violenza). *
  9. PIÙ DELICATE. Una cattiva notizia resta una notizia anche se è scritta male o di fretta. Una buona notizia, no: diventa un estratto del bollettino parrocchiale.
  10. MENO VISIVE. le buone notizie difficilmente sono accompagnate da immagini forti. E oggi le immagini sono più importanti che mai per catturare l’attenzione.
  11. MENO MODERNE. Essere scettici, cinici e disincantati appare più tosto e moderno che essere fiduciosi e speranzosi. *
  12. MENO PERMANENTI. Su un delitto o una catastrofe i mass media possono, a furia di approfondimenti, prosperare per lunghi periodi. Le buone notizie si esauriscono più in fretta.

Insomma, perché i mass media possano efficacemente pubblicare buone notizie è necessaria la convergenza virtuosa di due elementi: un trattamento giornalistico accurato e sapiente, un pubblico istruito, capace di ragionare e desideroso di approfondire, e non propenso a cercare, nell’informazione solo emozioni forti e occasioni di rissa. Poiché il pubblico siamo tutti noi, fra l’altro, varrebbe la pena che ciascuno cominciasse a fare la sua parte.
Tra l’altro, e a proposito di pubblico: in Italia c’è una rete di oltre sei milioni e mezzo di persone che fanno volontariato. È un pubblico tanto importante quanto trasversale in termini geografici e di collocazione politica, e assai probabilmente disposto a prestare attenzione alle buone notizie.

Pubblicare buone notizie_1

LUCI E OMBRE. In realtà, e se volessimo essere più precisi, dovremmo smettere di identificare come “buone notizie” le notizie di segno positivo: sono notizie come tutte le altre, che rimandano a un mondo fatto di luci e ombre. Se lo si vuole raccontare sul serio, né la luce né l’ombra vanno ignorate. Se lo si vuole anche migliorare, forse alle parti luminose va dedicata almeno la stessa attenzione che si riserva alle aree buie. E forse ci si può sforzare di trarre, dalle parti luminose, qualche insegnamento.
Se invece ci si limita a seguire la strada più facile, che è quella di raccontare solo l’ombra, il risultato non è solo una visione del mondo più buia e disperata, ma anche un minor livello di comprensione e di progettualità globale: al buio ci si vede poco, e non si riesce a guardare lontano.

COME PUBBLICARE BUONE NOTIZIE. Per pubblicare buone notizie rendendole attraenti non basta chiamarle best practice, dice Alessio Maurizi nel corso della seconda parte dell’incontro Giornalismo oggi: c’è ancora spazio per le buone notizie? (qui una sintesi della prima parte).
Questi i suoi suggerimenti sul trattamento giornalistico delle notizie positive:  le storie locali funzionano meglio di quelle nazionali perché appaiono meno controverse. Difficile trovare buone storie grazie alle agenzie di stampa, che fanno quello che possono ma finiscono sempre per dare la massima rilevanza alle dichiarazioni dei politici. Meglio cercare in rete, sui siti dedicati (ce ne sono diversi) o spulciando la cronaca locale.
Le buone notizie funzionano bene se si integrano nel palinsesto dell’informazione, che dev’essere equilibrato. È la prospettiva aperta dal giornalismo costruttivo, che si sforza di restituire i diversi aspetti di una notizia. Per esempio: c’è stato un grave terremoto (parte negativa). Grazie all’edilizia antisismica i danni sono stati contenuti (parte positiva).

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SOLUZIONI DI PROBLEMI. Oggi le buone notizie sono sostanzialmente storie di idee brillanti per risolvere problemi complicati. In campo ambientalista se ne trovano tante, che aprono universi di possibilità. C’è, per esempio la storia (ancora ampiamente sconosciuta in Italia) dei comuni virtuosi per politiche ambientali. Pochi ne hanno sentito parlare, ma il maestro elementare Rossano Ercolini, il premiatissimo (all’estero) fondatore, è stato perfino ricevuto da Obama, e governa una fitta rete di relazioni internazionali.
C’è la storia di Daniela Ducato, imprenditrice sarda della bioedilizia, che a partire dagli scarti della lana, del latte, del mare (ma, ehi!, non sono scarti! Sono materie prime!) ha dato vita a una rete di aziende che producono materiali edili eccellenti e innovativi e danno lavoro a centinaia di persone.

APPROFONDIMENTO ED EQUILIBRIO. Naturalmente, è necessario essere cauti: bisogna andare oltre l’Annuncio di Grandi Cambiamenti Positivi, e raccontare com’è andata a finire davvero. E bisogna valutare attentamente quanto si dice, per esempio, quando si raccontano buone pratiche nate come operazioni di greenwashing, cioè per dare una sciacquata ecologista all’operato di aziende o comuni che con l’ecologia hanno poco a che fare. E allora bisogna valorizzare la pratica positiva, distinguendola però dal discutibile praticante.
Bisogna evitare a ogni costo il rischio del buonismo melenso. Lo si combatte con l’orgoglio, la forza, l’emotività. Oppure lo si combatte con la leggerezza e l’ironia, quando si incontrano fatti curiosi (ma comunque, a loro modo, importanti) come l’iniziativa degli ecologisti che aiutano i rospi ad attraversare la strada.
Infine, a proposito del pubblicare buone notizie c’è una buona notizia: anche all’estero i giornalisti cominciano a parlarne.
E poi. C’è un momento in cui tutte le maggiori testate internazionali, e anche molte italiane, concedono a se stesse il permesso di pubblicare buone notizie e di dar loro spazio e rilievo: succede alla fine di ogni anno. Qui l’articolo di fine 2015 del New Yorker. Qui Linkiesta. Forse si potrebbero trovare altre occasioni, che ne dite? Magari, almeno anche a Pasqua, a Ferragosto.

LE IMMAGINI. Ammetto di avere a mia volta avuto qualche difficoltà a trovare immagini per questo articolo. Quelle che vedete sono dettagli dei bellissimi lavori del fotografo rumeno Ionut Caras.
Una versione più breve di questo articolo esce anche su internazionale.it

10 risposte

  1. Oltre ad essere difficile scrivere “notizie buone” deve essere difficele anche commentare un articolo sulle “notizie buone”, visto che non è stato fatto ancora un commento (ed il mio è fuori tema fino adesso).
    Credo che per avere una cronaca ricca e variegata, dovrebbe dimenticare ogni concetto di marketing, facendo un resoconto di quello che succede, con il solo obiettivo di raccontare quello che succede. Questo succederà quando chi scrive non lo fa per essere letto il più possibile dal suo pubblico di riferimento, e chi pubblica non bada a problemi di costi e ricavi (vendita e pubblicità). Utopia?
    A conti fatti, anche il mio commento è negativo, avendo parlato solo di problemi. Mi sa che hai proprio ragione.

  2. “Buona nuova, nessuna nuova ? ” Rovesciare i luoghi comuni può risultare sorprendente.
    Mi apre comunque un utile promemoria.
    Grazie.

  3. Cara Annamaria, ci siamo conosciuti – nell’era del cartaceo – nell’impresa di far circolare buone notizie intorno al tema dell’accoglienza dei migranti: TAM-TAM giornale.

    Ho subito rilanciato questo tuo prezioso post ripromettendomi di scriverti per segnalare un tema che ho proposto ai colleghi dell’OXFAM nel maggio scroso su questa pagina: https://www.facebook.com/search/top/?q=Giangi%20Milesi%20SFIDUCIATI
    Il 13 ottobre al G7 dell’agricoltura a Bergamo presenteremo il Global Hunger Index e , come tutti gli anni ci troveremo a denunciare un numero inaccettabile di affmati. Ma nonostante i cambiamenti climatici, la rapina delle terre, lo sfruttamento delle risorse ecc. la lotta alla fame fa propgressi e la pubblicistica contro le ONG si è spostata, vergognosamente, su altri cavalli di battaglia.
    da qui la mia domanda che ripropongo a te:
    I numeri dello sviluppo segnano un progresso in quasi tutti i campi, ma tutte le percezioni sono di segno negativissimo e piegano la realtà alla narrativa delle notizie false o interessate della politica (voti) e dei media (ascolti).
    Mi chiedo: la narrativa delle nostre ONG può ancora limitarsi alla denuncia delle ingiustizie e delle terribili tragedie a cui assistiamo in prima persona (troppo spesso nel silenzio) senza d’altra parte sforzarci di alimentare la speranza e la fiducia, semplicemente cimentandoci a raccontare i nostri successi e i grandi cambiamenti che stanno rivoluzionando le vite di una parte enorme dell’umanità?

    grazie. un abbraccio
    giangi milesi – CESVI

  4. “L’ottimismo è una scelta”, sostiene Christiana Figueres, la diplomatica costaricana che ha guidato gli sforzi per far approvare l’accordo sul clima di Parigi. “Conoscete qualche sfida che l’umanità abbia affrontato con successo e che sia cominciata con pessimismo o disfattismo?”, si è chiesta Figueres in una conferenza di qualche anno fa. “Non ce n’è una”, ha detto, rispondendo alla sua stessa domanda.

    Qui l’editoriale di Giovanni De Mauro sul tema:
    https://www.internazionale.it/magazine/giovanni-de-mauro/2022/11/24/narrazioni

  5. Qual è lo scopo delle buone notizie?
    Rasserenarci?
    Io ho una buona notizia che, oltre a rasserenarmi, mi rattrista perché vorrei che altri facessero quello che ho fatto io in un complesso scolastico negli ultimi 15 anni (e ho fatto in modo che prosegua dopo di me).
    Mi rattrista il fatto di non essere riuscita a far sì che altri, in altre scuole, facessero lo stesso.
    11note.org insegna musica classica dal 2006 a 600 bambini di due scuole elementari di Rozzano, senza nessuna spesa a carico delle famiglie, neppure l’acquisto degli strumenti.
    Sono rattristata perché non so come fare a diffondere la mia idea a chi potrebbe fare lo stesso, ma l’idea non l’ha avuta.

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