Col rebranding non si scherza. La vicenda è recente e, nei suoi sviluppi fondamentali, semplice: GAP, uno dei grandi marchi della moda globalizzata, decide di cambiare logotipo (o logo. Il marchio, insomma). È un’operazione classica. Che va malissimo. Il web insorge. I professionisti sghignazzano. L’azienda minimizza, poi dice che ricorrerà al crowdsourcing per raccogliere altre idee, infine torna al vecchio logo.
Moltissime aziende aggiornano il loro logo nel tempo, così come aggiornano l’offerta. Qui trovate diversi recenti prima-e-dopo. Ma andate anche a vedervi, scrollando la finestra select a logo, l’evoluzione dei loghi di altre decine di aziende. È davvero interessante.
Cambiare può essere opportuno. Ma a volte l’operazione è caricata di troppe intenzioni senza fondamento e si traduce in un disastro. E gestito dal basso il rebranding può diventare addirittura una forma di vendetta nei confronti di un marchio traditore come BP.
Tre le conclusioni: 1. Un logo non è solo un fatto estetico, e una proposta creativa di restyling deve risultare, oltre che nuova, appropriata, tanto da poter essere percepita come necessaria. 2. Un logo appartiene tanto all’impresa quanto al suo pubblico. 3. Questo vale sia per le imprese commerciali che, a maggior ragione, per i partiti politici.

Creatività delle donne e patriarcato
Non possiamo smettere di parlarne. Dunque provo a raccontarvi come pregiudizi e stereotipi, sostenuti da oltre tre millenni di patriarcato, hanno impedito e tuttora ostacolano
Un rebranding venuto male. 1994 – un nuovo, grande, miracolo italiano. 2001 – un patto con l’Italia. 2006 – la rivoluzione liberale. 2010 – non cambio il mio stile di vita.
Molto interessante, come al solito su NeU. Tremo al pensiero dell’unveiling del logotipo di Futuro e Libertà, oggi… Ne approfitto per salutare la mia “maestra” Annamaria; chissà se si ricorda, metà anni 90, a Roma, Facoltà di Scienze della Comunicazione! Complimenti di NeUvo. 😎
Grazie, post ricco e con ottimi approfondimenti, che svelano le agilità dei loghi e le staticità dei brand names; è di norma più facile intervenire su un logo (nuovi colori, immagini, font, a volte introducendo anche nuovi simboli) che su un nome. Ed infatti i loghi cambiano periodicamente adattando (quando va bene) l’immagine veicolata dell’azienda al mutare dei tempi, ma per il nome ogni cambiamento è sempre clamoroso, e sempre difficile, perché il nome è più strettamente collegato all’identità del brand, sia che si tratti di un’azienda sia che si tratti di un prodotto.
Venendo da una famiglia di impresa di lungo corso, sono certa che cambia casacca chi ha consumato la precedente ( benché Parmalat e Granarolo l’abbiano addirittura mantenuta). Si possono cambiare forse i colori, ma la Mela rimane riconoscibile. Graziano fa un buon esempio di cambio di logo per consunzione.
@ piersifal. Ehm. Stiamo parlando del secolo scorso, e di alcune migliaia (non scherzo: ho fatto il conto) di studenti fa. E poi mi fornisci nient’altro che un nickname e un centimetro quadrato di foto in B/N. Decisamente mi sopravvaluti ;)) Però: posso dirti che ho un ottimo, ottimo ricordo dell’anno di insegnamento a Roma, degli studenti e del loro talento nel districarsi in un’università complessa e non precisamente organizzata. Della volta in cui abbiamo dovuto letteralmente scassinare l’aula perché non c’era più l’ombra di un commesso, la porta era chiusa e volevamo far lezione (qualcuno ha estratto una carta di credito e l’ha egregiamente usata per far saltare la serratura. Rassicurandomi del fatto che trattavasi di pressi corrente). Degli esami fatti al bar, sulle scale, e qualcuno perfino in taxi. E delle risposte lucide e accurate, nonostante la situazione poco ortodossa. Felice anche che NeU serva – era uno degli scopi del progetto – per proseguire discorsi interrotti, e per riallacciare fili. Fli: leggo che in rete il nuovo simbolo non riscuote grandi entusiasmi. Concordo: è bruttino (tra le altre cose: lettering modesto e grafica incerta). Ma il logo di una formazione politica va valutato anche, e soprattutto, a partire da criteri non puramente estetici. Sarebbe un discorso lungo. @ Graziano. Sigh. @ Lilinda. Di solito le aziende cambiano logo quando vogliono aggiornare la propria immagine, e cambiano nome – si tratta di un mutamento decisamente più radicale – quando hanno bisogno di cambiare identità, spesso per motivi esterni e traumatici: vendita, fallimento, incidenti da far dimenticare, pessima reputazione… proprio come dice Gabri. Non sempre questo basta: da Time, ecco dieci pessimi esempi di cambiamento di nome
ecco, si, a proposito di partiti..se si dovesse affrontare il problema con lo spirito cinico di una pura operazione pubblicitaria, cosa bisognerebbe farne di questa sinistra? di simboli ne spuntano in continuazione, le facce sempre quelle..non so.. “la rottamazione” che si e’ proposta porterebbe a dei risultati? oppure bisognerebbe buttare a mare anche le idee, perche’ non c e’ riscontro nella base e inventarne di nuove, o cercare di rafforzare quel che e’ rimasto in modo che ci si possa identificare? sono di sinistra , ma non ho piu’ voglia di votarli, perche’..? e’ un intervento disperato..lo so.. gio
Il marchio distintivo (o brand) del centro sinistra e della sinistra è il lamento: potrebbe essere rappresentata dalla Fontana malata che piange (cloffete, cioppete, chchch…) di Aldo Palazzeschi. “Mia povera fontana malata…si tace, non s’ode rumore di sorta, che forse…che forse sia morta?”. La lagna non è nelle mie corde, però. La evito proprio, mi fa incavolare più del premier e delle sue gesta. Giò, ma di quale base parli?
di quella delusa gio
LO SPIRITO CINICO DI UNA PURA OPERAZIONE PUBBLICITARIA… … anzi, diciamo di un’operazione di marketing della quale fa parte anche la comunicazione pubblicitaria, proprio perché è cinico, individua alcuni requisiti di base indispensabili per il successo: 1) un’offerta chiara, semplice, comprensibile, coerente in tutte le sue componenti, attraente e competitiva, 2) un pubblico d’elezione (un target) che viene chiaramente identificato per segmentazione, e del quale si conosce praticamente tutto, 3) un sistema di distribuzione – cioè, la maniera in cui l’offerta raggiunge il suo pubblico sul territorio – adeguato e realistico, e infine 4) una comunicazione efficace, capace di raccontare l’offerta, usando i media ai quali il pubblico-target è più esposto, e disponendo delle risorse economiche necessarie. Giò, temo che la sinistra oggi abbia i suoi bei problemi già al punto 1). E’ improbabile che a cambiare le cose basti qualche ideuzza che prova – peraltro con imbarazzante scarsità di mezzi – ad affrontare il punto 4) se non si affrontano prima sul serio gli altri tre. Ehi, ho detto “sul serio”… altro che rottamazione.
Annamaria, perchè il ragionamento che hai fatto lo definisci “cinico”? Conseguqnziale, obbligatorio, logico, quello che vuoi ma perchè cinico? Nel merito, io sono d’accordo al 100% con il punto 1, che riscrivo a futura memoria (e che dico dal 1994…). La sinistra deve proporre al paese “un’offerta chiara, semplice, comprensibile, coerente in tutte le sue componenti, attraente e competitiva”. Questo è il suo errore più grande che, se perpetuato (ed è perpetuato, purtroppo…), non porterà mai a nulla di positivo. E credo che questa considerazione valga anche per i contributi di gio, “che cosa vuola la “base” delusa” e di gabri (ciao!), “usciamo dalla lagna e entriamo nella proposta”.
… dico “cinico” riprendendo le prime due righe dell’intervento 6) di Gio. Ma ovviamente non di cinismo trattasi: piuttosto, della voglia di mettere in atto pratiche efficaci. Il tema dell’efficacia, però, è piuttosto estraneo, ahimé, a un bel pezzo di sinistra. Come se bastasse avere idee brillanti, o presunte tali. E come se il fatto di poterle e saperle mettere in pratica fosse, tutto sommato, irrilevante. Mi spiego: fare politica è cosa molto diversa dal gestire un’impresa. Non ci piove: gli scopi sono diversi. I criteri sono diversi. La posta in gioco è diversa. Le gerarchie di valori sono diverse. Ma, accidenti, questo non significa che la politica possa permettersi di ignorare la dimensione dell’efficacia pragmatica. Nessuno può farlo: il medico deve mettere in atto terapia efficaci. L’imprenditore deve offrire prodotti efficaci, in modo efficace. Il docente deve efficacemente insegnare. IL cuoco deve efficacemente cucinare. E il politico deve efficacemente progettare. E’ sbalorditivo, ma questa constatazione elementare sembra estranea a un discreto pezzo di cultura della sinistra. E credo che in questo stia la chiave della sua visibile impotenza odierna.
Concordo su tutto e integro. Efficienza= fare bene le cose. Efficacia = fare bene le cose “giuste”. Ciò vale per il medico, per l’imprenditore, per il cuoco, per il politico, per tutti noi. La sinistra, negli ultimi quindici anni, non ha mai capito quali fossero le cose “efficaci” da fare. In più ne ha fatte, e in modo non efficiente, altre, sbagliate (mi vengono in mente, al volo, D’Alema e la sua bicamerale, il conflitto d’interessi, i candidati a sindaco di Milano degli anni scorsi, ma l’elenco sarebbe quasi infinito…)
PESSIMA GESTIONE POLITICA? NO, PEGGIO: STAGNAZIONE DEL PENSIERO I Paesi visti come brand: è Il “Country Brand Index” una pubblicazione di Future Brand che ogni anno è possibile scaricare dal sito FutureBrand. Quella del 2010 non l’ho ancora vista, ciò che segue è riferito al 2009 Spiega Susanna Bellandi, Amministratore delegato di FutureBrand: “L’Italia quest’anno ha perso due posizioni nella classifica generale dei primi 10 Paesi e, purtroppo, ha perso consensi anche in quelle aree dove, di solito, eccelle, come la storia e la cucina. Non ha certamente giovato il clima turbolento che ha caratterizzato questo ultimo anno: gli scandali, i rifiuti, i gossip e la litigiosità diffusa. Tuttavia, guardando alla situazione con gli occhi di esperti di marca internazionali, la nostra impressione è che il Paese soffra soprattutto di una “stagnazione” del pensiero, che investe quasi tutti i settori. È come se si vivesse sugli allori del passato senza mai rinnovarsi, mentre il resto del mondo viaggia a ben altre velocità. Sul fronte della cultura e della storia – il modo di pensare i musei, le mostre, i convegni – le proposte fanno fatica ad attualizzarsi. La cucina tradizionale italiana ormai è patrimonio dell’umanità, si trova ovunque, tanto che non siamo più certi che la pizza e la pasta siano proprio nostri… Quando si parla di marca, si parla di percezioni: la marca Italia deve tornare a essere percepita come la culla della cultura, deve ritrovare nella forma e nella sostanza i livelli di qualità, di innovazione e di bellezza che l’hanno resa grande nei secoli. L’Expo 2015 potrebbe essere una grande occasione di rilancio dell’immagine, se cominciassimo a valorizzarne le opere sin da ora.” La citazione è copiata da http://www.webershandwick.biz/content.aspx?ID=aktuell-176 dove è possibile trovare anche una presentazione esauriente del CBI Dell’argomento si occupa anche il sole24ore http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Economia%20e%20Lavoro/2009/11/country-brand-index-classifica-2009.shtml?uuid=7fb42b06-ca2c-11de-a0a9-92a600e76807 Cito la fonte spirituale e materiale della mia curiosità sul tema brand e soprattutto brand-italia: i post di Luisa Carrada sul Mestiere di Scrivere
Non potendo aggiungere nulla di significativo all’argomento tranne i complimenti a tutti e dirvi quanto mi sono goduta i vostri post anche questa settimana, vi mando solo un saluto partecipe. (A proposito della Mela in copertina, eccovi uno scherzetto di halloween che con il mio piccolo novenne ci siamo divertiti a fare proprio con il suo logo e che la homepage ci ha rammentato: http://img408.imageshack.us/img408/2944/macolantern.jpg )
UN TRENO ALLA LEOPOLDA Oggi ho passato un paio d’ore per assistere alla fase conclusiva del “Prossima fermata: Italia” E tra interventi di sconosciuti, sindaci del sud, scrittori, giovani politici e tanta altra piacevole umanità devo riconoscere che mi sono proprio emozionato. Era molto tempo che non succedeva, il clima era allegro e molto carico di aspettative e speranze, di una marea di persone che voleva ascoltare e pensare, e perché no? agire in prima persona per un futuro possibile e reale. Renzi è stato molto bravo, forse a volte un pò pasticcione ma credo che abbia dato insieme a Civati e a tutti gli altri una scossa elettrica a tutti. Il logo era carino, la scenografia semplice e diretta, l’impressione non è stata di divisione o di rottura, ma di forte determinazione al contributo di idee per la conquista di un futuro migliore per tutti. walter
@ laura: che bravi… davvero grazioso 😉 @ walter: anche qui a Milano discorsi e toni e facce delle primarie suggeriscono un approccio diverso. Incrociamo le dita.