Signore e signori, di norma sono piuttosto riservata sui fatti miei personali, ma ho deciso che oggi, e in via del tutto straordinaria, condividerò con voi alcune cose che ricordo della mia infanzia.
Stiamo parlando di poco più di cinquant’anni fa, in quel di Milano. È l’altro ieri, non un passato remoto. Non è un luogo lontano. E non è una situazione di deprivazione, o sottosviluppo. La guerra era finita da un bel pezzo, erano i primi anni del boom. Eppure.
Eppure ricordo nettamente la volta che, cosa mai successa prima e fatto così straordinario da imprimersi nella mia memoria, i miei hanno portato a casa un (enorme, mi era parso) bottiglione di Coca-Cola e ho pensato “urca, siamo diventati ricchi”. Il fenomeno non si è più ripetuto e io mi sono rapidamente tolta il dubbio.
Ricordo i rettangoli di giornale meticolosamente ritagliati dal nonno e appesi al chiodo accanto al water. Vi posso assicurare che la carta igienica, introdotta in casa più o meno ai tempi della Coca Cola e per fortuna diventata, quella sì, consumo familiare permanente, è assai più confortevole: confrontare per credere.
Ricordo nettamente un pranzo della vigilia di Natale con l’intera famiglia, nonni, zii e cugini compresi, intenti a osservare, uh, un ananas fresco, – preziosissimo dono di un cliente dello zio – come se fosse stato un reperto marziano.
Infine, dopo lunghi ragionamenti su come diavolo si dovesse tagliare quell’affare, i due maschi di casa si erano risolti ad affrontarlo, l’uno afferrandolo coraggiosamente per il ciuffo, l’altro brandendo un coltellaccio da cucina. Ne avevano ricavato poche fette ciancicate, agre e deludenti, e tutti avevamo concordato che l’ananas in scatola, la consueta prelibatezza esotica natalizia, era infinitamente meglio.
Ricordo l’odorino che restava sul fondo della ghiacciaia, quando il ghiaccio era ormai sciolto e il burro si stava squagliando. E il fatto che bisognasse aprire e chiudere il coperchio in un battibaleno.
Ricordo le lenzuola da lavare messe a mollo nella vasca da bagno per un’intera giornata con scaglie di sapone di Marsiglia. E il fatto che poi qualcuno dovesse effettivamente lavarle. E poi sollevarle – pesavano una tonnellata – e strizzarle torcendole, e bisognava farlo in due. A proposito: l’avvento della lavatrice è considerato forse il singolo più importante fattore di emancipazione femminile.
Ricordo quando venivo spedita due piani di sotto a scongiurare i vicini di lasciar libero il telefono perché aspettavamo una chiamata, e c’era il duplex.
Ricordo mia nonna che mi diceva magna la verdüra se no te vègn la pelagra, perché nelle sue campagne, dove si mangiava polenta, e polenta, e polenta e basta, la pellagra c’era stata eccome, e di pellagra si era morti, eccome. Ricordo che per strada capitava di vedere un ragazzino coi tutori alle gambe, e qualcuno sottovoce sussurrava poveretto, si è preso la polio.
Tra l’altro: tutti i nonni si erano fatti due guerre. Nessuno ne parlava, mai. Le medaglie stavano in fondo ai cassetti, insieme ai nastri e ai pezzi di spago recuperati perché possono sempre venir buoni.
Ricordo che nella camerate della colonia estiva ligure dove venivo spedita ogni estate passeggiavano dei bei toponi, e che una volta hanno fatto fuori tutti i biscotti che mi avevano portato i miei. Per il resto del mese, solo pane e marmellata di ciliegie, di un rosso così chimico da risultare fluorescente.
Ricordo tutto questo e molto altro ancora.
Ricordare per me è un fatto di igiene mentale e sentimentale. Così, ogni tanto, quando caccio le lenzuola in lavatrice o tiro fuori il latte fresco dal frigorifero, o quando mi innervosisco perché la connessione internet va a rilento, mi rendo conto che tutto ciò non è così scontato. Che ho dei privilegi che ancora oggi non tutti, non dappertutto condividono. Mi osservo da lontano. Relativizzo.
E almeno per un attimo mi sento lieta e grata. E così, per un attimo almeno, spero di voi.
L’immagine è uno dei magnifici collage dell’illustratore francese Julien Pacaud. Qui il suo sito. Qui un’intervista sul suo ultimo libro.
Grazie. Anche leggere i tuoi articoli è un fatto di igiene mentale e sentimentale.
CIAO Annamaria,
anche io mi ritrovo ogni tanto proiettato all’indietro, è una cosa che amo fare e che a volte mi permette di ricaricare le pile, quei luoghi e quelle persone riaccendono fiammelle inesauribili e rallentano la percezione del tempo.
Rivivo quelle scene gustando ogni particolare che ricordo, riassaporo gli odori, i profumi (eh eh eh… il sapone di Marsiglia della nonna… 😉 ), i colori, i volti, le medaglie…, le gioie ma anche i dolori.
Tempo fa ho scritto un racconto breve di una delle mie diverse disavventure bambinesche di cui porto e porterò per sempre i segni, ovviamente non ne è uscito un best seller ma non era quello il mio intento, rivivere ancora una volta quelle sensazioni e riordinarle in qualche paginetta per dare loro un senso logico è stato un esercizio meraviglioso.
Grazie per questo armonioso tuffo all’indietro che hai condiviso.
Condivido a pieno questi ricordi ed altri ancora legati al fatto che, a soli 5 anni, fossi già orfano di mio padre.
Anche a me capita di ripensare e rivalutare questo mio passato ei sembra di sentire che ciò che oggi ci manca profondamente è la “condivisione” dei momenti della vita…
“…si stava peggio quando si stava peggio…” Si in effetti è così ma forse, solo per tante cose pratiche. Penso che quand’ero bambino c’era il duce e poi i tedeschi, i carri piombati e le bombe e i rifugi e tanta tanta cattiveria e miseria eppure oggi, per qualche verso, mi sembra possano ritornare quei tempi e la cosa mi rattrista e spaventa un poco… e poi, scusate, mi fa rabbia aver lavorato tanto per tornare al Via… è vero si, al Via, ma un poco più in alto, con tanto da mangiare e tante comodità… Mi consola solo il pensiero che il buon Giambattista Vico da Napoli, di come vanno le cose per noi Umani, l’aveva capito e spiegato tanto tempo fa.
…quando i ricordi servono a ridimensionare la percezione del reale dono i benvenuti. Aiutano a guardare il futuro, perlomeno per quelli che vengono da quel passato in cui si aveva certezza che ‘più avanti sarà meglio’.
Restiamo positivi.
Grazie Annamaria.
p.s. ricordo i miei anni al teatro dell’Elfo e la tua presenza attesa a tutte le prime.
Ciao Bruno! L’Elfo rimane una magnifica costante. 🙂
… mi sento lieta e grata.
Esattamente questo è quello che provo anch’io.
Per essere nato dopo la guerra.
In un posto bello come l’Italia.
Per il lavoro a Milano…. sempre ben retribuito e con contributi, ferie, malattia, ecc. ecc
Per la scuola fatta e per le amicizie che mi han dato tanto.
Per il cibo, l’arte, l’informazione, la cultura…
Essere felici di poter iniziare una nuova settimana. Lunedì primo
Giorno della settimana.
Dovremmo tenere a mente nella nostra vita quotidiana queste riflessioni. In un certo senso, ci aiuterebbero a non disprezzare mai nulla.
🙂