Nuovo e utile

Esperienze 17: tra scrittura, web, scuola e nostalgia

Ditemi quante possibilità ci sono che le seguenti cose succedano tutte quante:
1) Un prof di liceo classico naviga correntemente sul web 2) navigando, si imbatte in un libro di esercizi di scrittura che non è un libro scolastico e che tuttavia lo incuriosisce 3) il prof decide di proporre gli esercizi a una classe del terzo anno e a una del quarto anno 4) per farlo usa Edmodo, un’ottima piattaforma di microblogging. Guardate qui se volete vedere di che si tratta. Qui invece scoprite in quante maniere la si può usare 5) non solo gli studenti fanno gli esercizi, e non solo li fanno benissimo (non sto scherzando: sono andata a leggermeli), ma vanno oltre e aggiungono diversi commenti brillanti 6) è proprio l’acuto commento di uno studente a offrire al prof un ulteriore spunto di dialogo a proposito di letteratura, viaggio, spaesamento e nostalgia 7) ne esce un testo assai suggestivo che, postato anche su Facebook, finisce esattamente sotto il naso dell’autrice del libro di esercizi.
Ed ecco come quel testo è arrivato qui, su Nuovoeutile, chiudendo un cerchio di scambi virtuosi. E, magari, aprendone un altro, che coinvolge tutti voi.

Bene: tutto questo è successo davvero. Il prof si chiama Michele Ruele. Insegna al Liceo Classico Giovanni Prati di Trento, i cui studenti peraltro vantano performance eccellenti, e superiori alla già alta media regionale.
Questo post è dedicato a lui e a tutti gli insegnanti il cui obiettivo è coltivare talenti, sperimentando, integrando efficacemente tradizione e modernità, offrendo suggestioni stimolanti e validi modelli di ruolo. E coltivando un’idea della scuola italiana come luogo di idee e di crescita: un luogo del quale non si può non avere nostalgia, in tutte le accezioni e le varianti (dalla sofferenza alla mancanza, al rimpianto, al desiderio) elencate qui sotto.

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A scuola facciamo degli esercizi di scrittura (presi da “Minuti scritti” di Annamaria Testa) su un ‘social’ che si chiama ‘edmodo’ (www.edmodo.com“). Nei commenti al quarto esercizio (E se io non fossi io?) uno degli studenti di IIB ha scoperto, da solo, una cosa importante, cioè il fenomeno di spaesamento che sta dentro ogni racconto. Allora ne ho approfittato. Poi la nota mi ha preso la mano, ed è diventata questa divagazione su scrittura, viaggio e spaesamento.

ULISSE E LA NOSTALGIA

L’accenno di Leonardo allo ‘straniamento’ mi ha fatto venire in mente una nozione importante anche per la letteratura, forse centrale (così la pensavano i formalisti russi, che hanno usato la categoria di ‘ostranenie’, cioè ‘spaesamento’).
Letteratura, scrittura, viaggio sono esperienza dai tratti affini.
“E se io non fossi io?” è in effetti un viaggio dell’immaginazione, e tali sono la scrittura, la formalizzazione, la definizione a parole di questo uscire fuori dalla nostra patria consueta (il nostro corpo, le abitudini, gli sguardi, il tempo che viviamo normalmente).
Misurarsi con realtà “altre” (un altro tempo, altre vite, altre storie) è ciò che la letteratura permette di fare, quando letteratura è “racconto”, parole ben disposte e in grado di dare forma alle esperienze in maniera adatta.
Vi faccio un paio di esempi.
Il primo è un brano scritto da un grande linguista e letterato degli anni scorsi, Giorgio Raimondo Cardona (un tipo davvero interessante: un genio della critica, viaggiatore avventuroso, morto molto giovane), che ha scritto un saggio nella “Letteratura Einaudi” diretta da Alberto Asor Rosa, volume “Le questioni” (siamo negli anni Ottanta) sulla letteratura di viaggio.
Esperienza mentale prima che fisica, occasione non raramente traumatica di confronto tra il noto e l’ignoto, il viaggio è stato spesso assunto a metafora dell’intera condizione umana, nell’impresa degli Ulissidi come nella fulminante sintesi delle terzine finali del canto XXVI dell”Inferno’. Non casualmente, i formalisti individuavano uno specifico procedimento stilistico in quella che chiamavano ‘ostranenie’, che è letteralmente appunto lo ‘spaesamento’: la sensazione che ha chi viaggia di non riconoscere più luoghi e forme consuete. E in quell’appuntare lo sguardo alla ricerca di appigli noti si ridesta un’attenzione, una facoltà di registrare ogni stimolo che manca ormai ai sensi sopiti dalla consuetudine. Ma componente indissolubile dell’esperienza del viaggio è la modalità di raccontarlo, e in tutte le lingue di tradizione scritta abbiamo testi che traducono l’altrove fisico in una narrazione.

Il secondo esempio.
Milan Kundera, ancora di lui parliamo, in uno di quei brani dei suoi romanzi in cui viene fuori il pensiero, riflette sull’opposto dello ‘spaesamento’ come piena facoltà di conoscere la differenza fra quel che si è e quel che si è diventati (anche solo per finta).
Nel suo caso la distanza da se stessi, dalla propria patria è obbligata e coatta (Kundera è un uomo in esilio). Il libro si intitola “L’ignoranza” (per chi c’era, l’ha citato anche Massimo Rizzante nella conferenza della settimana scorsa, ricordate?). Qui si tratta non di partire, ma di avere ‘nostalgia’ di quel che si è lasciato.
Perché è importante? Credo perché si può riflettere sulla differenza, sul rapporto con l’altro, su “E se io non fossi io?” anche riflettendo su cosa ci succede quando dobbiamo stare lontani da noi stessi, dagli schemi, dalle abitudini, dallo sguardo consueto che abbiamo sulle cose, per stare in una terra straniera.

“In greco ‘ritorno’ si dice ‘nòstos’. ‘Algos’ significa ‘sofferenza’.
La nostalgia è dunque la sofferenza provocata dal desiderio inappagato di ritornare. Per questa nozione fondamentale la maggioranza degli europei può utilizzare una parola di origine greca (‘nostalgia’, ‘nostalgie’), poi altre parole che hanno radici nella lingua nazionale: gli spagnoli dicono ‘anoranza’, i portoghesi ‘saudade’. In ciascuna lingua queste parole hanno una diversa sfumatura semantica.
Spesso indicano esclusivamente la tristezza provocata dall’impossibilità di ritornare in patria. Rimpianto della propria terra. Rimpianto del paese natio. Il che, in inglese, si dice ‘homesickness’. O, in tedesco, ‘Heimweh’. In olandese: ‘heiwee’. Ma è una riduzione spaziale di questa grande nozione. Una delle più antiche lingue europee, l’islandese, distingue i due termini: ‘soknudur: ‘nostalgia’ in senso lato; e ‘heimfra’: ‘rimpianto’ della propria terra’.
Per questa nozione i cechi, accanto alla parola ‘nostalgia’ presa dal greco, hanno un sostantivo tutto loro: ‘stesk’, e un verbo tutto loro. La più commovente frase d’amore ceca: ‘styskà se mi po tobe’: ‘ho nostalgia di te’; ‘non posso sopportare il dolore della tua assenza’- In spagnolo, ‘anoranza’ viene dal verbo ‘anorar’ (‘provare nostalgia’), che viene dal catalano ‘enyorar’, a sua volta derivato dal latino ‘ignorare’.
Alla luce di questa etimologia, la nostalgia appare come la sofferenza dell’ignoranza. Tu sei lontano, e io non so cosa succede laggiù.
Alcune lingue hanno difficoltà con la nostalgia: i francesi non possono esprimerla se non con il sostantivo di origine greca e non hanno il verbo relativo; possono dire: ‘je m’ennuie de toi’ (‘sento la tua mancanza’), ma il verbo s’ennuyer è debole, freddo, e comunque troppo lieve per un sentimento così grave.
I tedeschi utilizzano di rado la parola ‘nostalgia’ nella sua forma greca e preferiscono dire ‘Sehnsucht’ ‘desiderio di ciò che è assente’; ma la ‘Sehnsucht’ può applicarsi a ciò che stato come a ciò che non è mai stato (una nuova avventura) e quindi non implica di necessità l’idea di un ‘nòstos’. Per includere nella ‘Sehnsucht’ l’ossessione del ritorno occorrerebbe aggiungere un complemento: ‘Sehnsucht nach der Vergangenheit, nach der verlorenen Kindheit, nach der ersten Liebe’ (‘desiderio del passato, dell’infanzia perduta, del primo amore’)”.

Una risposta

  1. Anche io sto utilizzando il libro, con tre classi di triennio. Vediamo se ne viene fuori qualcosa di buono.:)

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