dire in italiano

300 parole da dire in italiano: la lista definitiva

Succede qualche tempo fa: mi accorgo che spesso diciamo in inglese cose che si possono dire in italiano altrettanto bene. Propongo su NeU una lista di parole inglesi che si usano spesso e di corrispondenti parole italiane d’uso altrettanto comune.

Non si tratta di una crociata contro le lingue straniere, né contro l’impiego dei molti termini inglesi che, da mouse a discount, da toast a software, non hanno corrispondenti italiani efficaci e accettati. Come sottolinea Licia Corbolante, esistono forestierismi insostituibili (come computer), utili (come autobus) e superflui (come ticket): l’idea è trovare alternative italiane realistiche ai forestierismi superflui. E suggerire che qualche volta si può, senza far troppa fatica, dire in italiano quel che, magari per abitudine o pigrizia, si dice in inglese, e dare così un taglio allo stucchevole, provincialissimo itanglese.

Aggiungo che spesso le parole inglesi vengono caricate di un senso e di un potere esoterico che, di loro, non avrebbero. Per esempio, brand è la marca (non il marchio) e brand image è l’immagine della marca. Né più, né meno.
Segnalo inoltre che, per via della (ignorata) regola inglese di anteporre l’aggettivo al sostantivo, l’itanglese frettoloso e sbracato genera mostri: così, per esempio, spending review diventa “la spending” (urca, dobbiamo tener conto della spending!) e bodycopy diventa “la body” (ehi, tagliami un po’ questa body! Schizzi di sangue dappertutto).

La lista gira in rete e raccoglie, di pagina in pagina e di condivisione in condivisione, oltre quattrocento commenti: un’appassionata revisione collettiva a partire dalla quale riscrivo tutto quanto togliendo, integrando e modificando. Qui sotto trovate il risultato.
E… ehi, il titolo qui sopra, invece, dice “definitiva” non perché penso che la lista non sia migliorabile, ma solo per sottolineare che non continuerò a proporvi una riedizione dopo l’altra, all’infinito.

La scelta di privilegiare il realismo rispetto alla completezza, fermandomi a 300 parole, mi ha imposto di scegliere i termini molto usati e quelli la cui sostituzione con il corrispondente italiano riesce più agevole. Nulla vieta, a chi lo desidera, di essere più radicale (se volete ispirarvi, guardate le proposte di Cruscate). E nulla, ovviamente, vieta di prendere dalla lista quel che serve o convince, trascurando il resto.

Già che ci sono, però, segnalo la bella voce Anglicismi di Massimo Fanfani sulla Treccani e un’altra lista, pubblicata su Gandalf dall’indimenticabile Giancarlo Livraghi: elenca diversi falsi amici, parole inglesi che hanno un significato diverso dai termini italiani somiglianti.
AGGIORNAMENTO:
Un grazie a tutti per i commenti, i contributi e l’entusiasmo: a questa pagina provo a tirare qualche conclusione, vi dico che cosa mi sembra di aver capito e vi racconto due -tre cose ulteriori che sono successe.

_____

300_parole-2

457 risposte

    1. Ho letto l’articolo dopo aver visto quello sul Corriere: azzeccato ed ironico!

      Aggiungerei: tricottare, tricottato e simili, trovati su riviste e relativi siti di moda ed arredamento al posto di lavorare a maglia, lavorato a maglia, etc. Come al solito, per far sembrare nuove ed originali cose che esistevano anche ai tempi delle nostre trisavole e prima. Come ora i leggings al posto delle pantacalze o fuseaux dei nostri tempi: peraltro, anche il francese colpiva e continua a colpire, dal tempo delle nostre nonne …

      Poi, in ambito lavorativo, FYI al posto di Per Tua conoscenza.

      Nel mio settore è un continuo impiego di termini inglesi, secondo me anche per sembrare più alla moda, professionali ed internazionali.
      Io mi sento come Piotr in “Guerra e Pace”, ove i nobili russi parlavano francese fra loro per sentirsi più à la page … salvo poi essere invasi dai francesi stessi …

      1. Ciao Paolo.
        Certo, viene dal latino, come mille altre parole inglesi. Ma noi prendiamo “tutore” dal latino, e “tutor” dall’inglese (e infatti lo pronunciamo tiùtor).
        Il vocabolario Treccani scrive:

        tutor ‹ti̯ùtë› s. ingl. (propr. «istitutore»; pl. tutors ‹ti̯ùtë∫›), usato in ital. al masch. e al femm. – Lo stesso che tutore, nel sign. 2.

        1. Aggiungo una curiosità alle origini della parola tutor. Tauthor era nome della divinità di serie B che assisteva coloro che facevano fatica nella corsa della vita: da lì, dal nome di quella divinità generosa che aveva colpito con la sua storia le forze anglo-americane nella seconda guerra mondiale, è nato poi la dizione anglosassone di tutor…). Complimenti per la newsletter. Salvatore Giannella

        2. Proprio come ‘media’ (per: mezzi di comunicazione di massa) che, pur essendo il latino plurale di ‘medium’ (mezzo, appunto), noi in realtà lo prendiamo dall’inglese, e infatti lo pronunciamo “mìdia”…

          Se posso approfittare per una segnalazione: ultimamente sento molto spesso anche “sentiment”…

          Ma che tristezz!

          1. Sono proprio d’accordo. Sono una studentessa di italiano. Quando sento alla tv delle parole inglese invece delle parole bellissime in italiano, mi danno i brividi. Essendo inglese, per me NON è figo/cool inserire una parole o espressione inglese invece del proprio italiano, la più bella lingua del mondo. Può mostrare una vergogna per la sua propria cultura?… Spero di no!
            Due anni fa, in vacanza a Roma, ho notato nelle strade molti negozi con dei nomi assurdi in inglesi! Non suonano bene per niente. E non è assolutamente ‘cool’ per niente.
            P.S. …in inglese media si pronuncia midia.

      2. beh! pur non essendo nell’elenco perchè termini latini, plus e minus pronunciati:
        plas e mainus (cioè come se fossero pronunciati da un inglese ignorante), sono un’aberrazione anche peggiore rispetto a termini stranieri usati, senza ragione, in luogo dei termini in italiano

    2. La lingua italiana è la più semplice perché, a differenza di tutte le altre lingue, tutti gli stranieri dopo un paio di mesi non hanno più problemi di lingua.

      1. Per rispondere a chi pensa che la lingua italiana sia la piú semplice da apprendere, poiché a detta dello stesso utente, che ha affermato quanto succitato, bastano solo due mesi per parlarla senza problemi, vorrei proprio sentire come si esprime lo straniero in italiano dopo così poco tempo. Va da sé, e senza offese, che quanto affermato è pura eresia. Evidentemente, codesto utente non ha avuto il piacere di conoscere la coniugazione verbale complessa (di qualsiasi lingua neolatina). Il fatto che oggi si usino pochi tempi verbali nella conversazione generale o che si elimini il modo congiuntivo in moli casi, a favore del modo indicativo, non vuol dire che l’italiano abbia compromesso la sua integrità verbale o celebrato definitivamente la dipartita del modo congiuntivo e del tempo passato remoto! È questo non è che uno dei tanti ostacoli all’apprendimento della lingua corretta. Quindi, io ci penserei un pochettino o studierei un po’ meglio la lingua prima di affermare assurdità bell’e buone. Inoltre, e dato che sono in tema, è assurdo anche azzardare che una lingua neolatina sia più difficile di un’alta lingua anch’essa neolatina, poiché, piú o meno, le difficoltà sono le stesse, poi è chiaro che ogni lingua, anche dello stesso ceppo ha parti piú complesse (l’ortografia francese e la fonologia portoghese, per citarne alcune, ma le complessità presenti in alcune lingue e assenti in altre o, comunque, meno evidenti, poi si ritrovano in altri ambiti linguistici nelle lingue che apparentemente presentano meno complessità. Per finire, se si chiamano lingue neolatine c’è un perché è normalmente tutte queste lingue condividilo la maggioranza dei tratti tipici ereditati dai volgari latini. Quindi, è ribadisco, asserire che una o più di queste lingue sia piú difficile delle altre è, a mio avviso, sbagliato. P.S. Sto scrivendo usando il mio iPhone, con caratteri minuscoli, quindi mi scuso in anticipo per i possibili refusi. Roberto

      2. Un paio di mesi è molto esagerato.. Io ci ho messo due anni. Ma è vero che lingua italiana per tanti versi è semplice e non parlo di grammatica… grammatica si impara e basta, la lingua non è solo la grammatica. Quando hai imparato la grammatica inglese vuol dire che hai solo iniziato di imparare inglese e la strada è lunga. Ho imparato 3 lingue nella mia vita – russo, inglese e italiano, sto studiando giapponese e devo dire che senza alcun dubbio – italiano è molto più semplice.

      1. Non direi proprio. A prescindere dal fatto che le basi di una lingua si riescano a imparare più o meno velocemente con una full immersion (AAAGGGH, ci sono ricascato…), le lingue neolatine si portano dietro, appunto, dal latino una grammatica estremamente complicata, cose che in quelle anglosassoni non è presente. L’italiano s’impara in fretta? Forse. L’italiano si studia più facilmente dell’inglese ? Proprio no.

        1. L’italiano si impara in fretta perchè si è costretti a farlo se si vuole sopravvivvere. Ma non venitemi a dire che è semplice. Nessuno in un supermercato, in un’edicola o in un qualunque altro luogo è in grado di esprimersi efficientemente in un’altra lingua. Provate ad andare in Germania e poi mi dite se la situazione è la stessa. Un’altra nota: anche io sono a favore della difesa della lingua italiana, ma non facciamo i bigotti. Alcune parole possono tranquillare coesistere. Mi sembra naïf tradurre email,download o altre parole come fanno i francesi, che sono spesso oggetto di scherno per questa ragione. Se no torniamo pure ai tempi della “ritirata” per evitare la parola toilette sui treni del Ventennio.

          1. Nessuno sta proponendo né di censurare o vietare in alcun modo termini di derivazione straniera, né di sostituire con parole italiane termini ampiamente diffusi, da taxi a email.

          2. Si fa di tutto per salvare i dialetti, ma se si difendono le lingue nazionali diverse dall’inglese si passa nella migliore delle ipotesi per bigotti. E’ una evidente asimmetria, frutto dell’ideologia “glocale” dominante, speculare a quella che sostituiva la “ritirata” alla” toilette”.

    3. Ottimo articolo.Senza togliere niente al gran lavoro da certosino che sta dietro alla compilazione del lista,per il termine “workstation”, mi permetterei di suggerire una traduzione alternativa:po/stazione di lavoro (trovo che “posto di lavoro sia un po ‘ troppo generico).Cordiali saluti.

  1. Tra l’altro, volendo essere precisi (e questo post è un invito ad essere precisi) “copyright” e “diritto d’autore” NON sono sinonimi e NON sono uno la traduzione dell’altro. Il “copyright” è il diritto di riproduzione, che può anche non avere nulla a che fare con chi ha realizzato l’opera. Il “diritto d’autore” invece comprende anche il diritto morale di attribuirsi la paternità dell’opera, e questa è generalmente inalienabile. Sono differenze apparentemente sottili (per chi non si è mai occupato della materia) ma fondamentali.

    1. Ciao Gianni.
      Come scrivo più sopra, ho tenuto conto di moltissimi commenti.
      – le traduzioni italiane di copywriter e art director sono risultate poco apprezzate.
      – le differenze tra copyright e diritto d’autore fanno capo a differenze legislative tra i diversi paesi. Credo che, a maggior ragione, in Italia e quando ci si riferisce alla legge italiana di potrebbe usare “diritto d’autore”.

      1. aggiungerei la posizione del “Direttore Creativo” che a me è sempre piaciuta a “Creative Director”. Grazie per questo articolo! Lavorando nel settore non uso mai, o quasi mai, i termini in italiano o addirittura faccio fatica a tradurli. Non mi resta che stampare la lista e attaccarla al muro. Grazie ancora, RAF.

      2. Ho tanto sperato che avrei finalmente fatto capire alla mia vecchia zia che lavoro faccio! E va bè, continuerò a dirle ‘hai presente quelle lettere pubblicitarie che ricevi con la posta? Ecco, alcune le scrivo io!’. Un caro saluto.

      1. Nell’uso italiano per “workstation” si intende un computer ad alte prestazioni, destinato principalmente ad un utilizzo produttivo. Si potrebbe usare il termine “stazione di lavoro”, anche se, secondo me, “workstation” come termine tecnico specialistico è molto più preciso.

  2. La lingua italiana è molto bella ma ha comunque bisogno di essere liberata da alcune accezioni anacronistiche, a mio modesto parere. Il termine Visione ad esempio, storicamente in italiano appartiene a un ambito che non evoca tanto la tensione verso il meglio quanto piuttosto un segno piovuto dal cielo, il che è molto diverso. Mentre vision è il tendere in modo razionale a un ideale, anche utopico ma inseguibile, visione è un termine quasi mistico. Mi spiego meglio: nella pratica vision da più affidamento e siccome il termine visione richiede maggiore credibilità da parte del comunicatore, spesso viene preferito vision. È vero però che è sbagliato di principio usare il termine vision invece di visione su piani non legati agli affari.

    1. Ciao Valerio.
      Il vocabolario Treccani mi dice che “visione”, in italiano, si riferisce in primo luogo alla facoltà del vedere, esattamente come il termine “vision” in inglese.
      http://www.treccani.it/vocabolario/visione/

      E temo che un po’ della preferenza italiana per “vision” riferito al mondo dell’impresa derivi, appunto, dal potere esoterico che tendiamo ad attribuire ai termini inglesi. Ma non sarebbe ora, invece, di sviluppare una via italiana alla visione imprenditoriale?

      1. Ciao Annamaria. Grazie della tua attenzione.
        C’è stato (e forse continua) il periodo in Italia in cui il termine inglese andava di moda e se continuiamo ad attribuirgli significati esoterici credo sia conseguenza di questo fenomeno modaiolo; anche all’estero infatti attribuiscono significati esoterici, non ai termini italiani, bensì ad alcuni nostri prodotti di lusso che esportiamo e che vanno di moda nei rispettivi settori perché considerati d’avanguardia. Negli affari molto hanno innovato gli anglosassoni e la loro avanguardia ci ha imposto nel tempo delle mode che non abbiamo fatto in tempo ad assimilare con termini corrispondenti o anche solo adeguati e così questi termini si sono ammantati di un velo, è vero, esoterico. Sono molto d’accordo che sarebbe ormai ora che l’Italia trovasse una sua via alla visione imprenditoriale ma ciò necessita di almeno tre cose, a mio avviso necessarie: una crisi vista come opportunità non come castigo divino, una cultura progressista verso tutto compresa la finanza (ahimè qui siamo ancora troppo conservatori), tanta creatività (e di questo ne saprai molto più di me in che stato siamo).

      2. Che poi “vision” in inglese non è “visione”, ma “ideale”. E’ uno dei cosiddetti “falsi amici”, stessa radice, ma differenti significati!

      3. “vision” e “mission” sono due termini che mi stanno, da un punto di vista assolutamente personale, particolarmente antipatici, ma non hanno esatti equivalenti in italiano. La “mission” si potrebbe tradurre come “scopo aziendale” (o “scopo istituzionale”, se parliamo di un ente pubblico).
        Per “Vision” si potrebbe usare, a seconda dei casi, “Visione aziendale”, “visione imprenditoriale”, “obiettivi strategici” o, forse, “aspirazioni aziendali”.

        1. Il mio commento e’ per tutta la discussione e non per un commento in particolare.

          Vorrei far notare che in inglese “vision” significa: 1. il vedere con gli occhi. 2. immaginare cose che saranno o potranno essere. 3. qualcosa vista in sogno. 4. qualcosa vista per intercessione divina. 5. qualcosa desiderata. 5. cosa, persona scena di grande bellezza.
          “Mission” significa: 1. gruppo di persone (di una azienda, un governo, una religione) mandato da qualche parte a fare qualcosa specifica per quel gruppo(negoziati, stabilire relazioni, predicare, stabilire chiese e scuole, ecc.)
          Quindi, queste due parole hanno gli stessi significati nelle due lingue. Insistere che Vision e Mission siano piu’ precise di Visione e Missione mi sembra sia dovuto piu’ alla mancanza di conoscenza di una delle due lingue che ad una differenza reale. Tra parentesi, questa osservazione vale per tutte le parole englesi che si usano in italiano.

        2. Mission non è un false friend, significa specificatamente missione. Poi è anche vero che accanto al significato standard ci sono pure tutti quelli che dici tu, ma questo succede anche con parole italiane che accanto al significato normale hanno pure altre sfumature…

  3. Grazie per la citazione!

    Includerei anche tilt nell’elenco degli pseudoprestiti, parole che nella lingua di origine hanno un altro significato o addirittura non esistono, come la spending e la body o i sostantivi social, footing, smoking ecc. L’espressione andare in tilt è un esempio interessante di slittamento di significato: come si sa, fa riferimento al gioco del flipper* ma in inglese tilt (“inclinazione”) indica la causa dell’interruzione della partita (la scritta TILT si accende dopo un comportamento scorretto, ad es. quando il piano di gioco è stato inclinato o scosso), mentre l’espressione italiana in tilt descrive l’effetto, e cioè l’interruzione del gioco.

    * anche flipper è uno pseudoanglicismo: in inglese è la levetta a forma di pinna che dà la spinta alla pallina e non il gioco, che si chiama pinball machine.

    1. Ciao Licia,
      grazie a te per i contributi!

      Ammetto di essermi interrogata su “tilt”. E infatti ho aggiunto un “andare in” fra parentesi, perché tradurre la singola parola non aveva senso. E grazie per aver raccontato anche qui la genesi del modo di dire.

      (Una delle cose che più mi piacciono di NeU è che mi porta a incontrare, anche se in modo indiretto, una quantità di persone interessanti, che dicono cose interessanti e competenti).

      1. C’è un neologismo italiano, usatissimo anche dai tecnici, per il termine tilt, specie in ambito informatico: impallarsi, impallato. Non chiedetemi l’origine perché non la so…

  4. Bellissimo! Aggiungiamo anche Photogallery, Problem Solving e Crowdsourcing che compaiono sullo stesso Menù di NeU e diamo il buon esempio. Cercando come sostituirli

    1. Ciao Francesco, e grazie.
      Come scrivevo sopra, la lista vuol essere un motivo in più per ragionare sulle parole che usiamo e per ampliare la nostra libertà di scegliere di volta come dire che cosa. Non ha alcuna intenzione talebana ed è suscettibile di infinite integrazioni.

      E, anche con l’inglese, dopotutto è questione di misura: personalmente, non mi sento infastidita o scandalizzata da una singola parola inglese, e mi è capitato (mi capiterà ancora) di usare, per esempio, “post” invece di “articolo”.
      Comincio, invece, a provare un vago senso di mal di mare quando un discorso in italiano è costituito per metà da parole inglesi, e se togli quelle non resta più niente.

      Per quanto riguarda NeU: alcune parole inglesi che compaiono nel sito (per esempio: anche “Your comments”) fanno parte dello schema di WordPress, e dubito che siano modificabili se non intervenendo sul codice.

      Non mi viene in mente un buon corrispondente italiano di crowdsourcing. E mi sembra un po’ forzato (ma magari sbaglio) anche tradurre problem solving. Su Photogallery hai perfettamente ragione.

  5. Hotel è francese prestato all’inglese, con lieve variazione grafica sulla ‘o’ ed ha l’etimologia comune con la parola italiana ostello.

    1. Ciao Boris.
      Ho avuto un problema del genere con “blitz”, termine tedesco per “fulmine”, prestato all’inglese con una variazione di significato (incursione, colpo di mano) nata in Inghilterra durante i bombardamenti della seconda guerra mondiale.
      Diversi commenti pro e contro l’inserimento. Risultato: ho tolto la parola dalla lista.

      Perché ho inserito Hotel (termine anch’esso suggerito nei commenti), allora? Non solo perché “albergo” è un termine molto consolidato, ma anche perché, suvvia, un albergo è una realtà territoriale per definizione e, allora, ho pensato di spezzare una piccola lancia in nome degli alberghi italiani. E poi albergo ci permette di giocare con diminutivi, accrescitivi, peggiorativi, vezzeggiativi: -ino, -one, -etto, -uccio, -accio: molto più divertente.

      1. Che poi il termine “blitz” deriva dalla tattica tedesca, appunto, della “guerra lampo” (blitzkrieg)…

  6. l’abstract che avete messo online però è poco advanced… non c’ha l’appeal del top…
    non è da sògno!

  7. Forse la mia osservazione è già emersa prima della “lista definitiva”, ma non sono così convinta della soluzione scelta per brand, che significa sì marca, ma anche marchiare (a fuoco – to brand an animal). Credo che l’utlizzo di marchio non derivi da nessun esoterismo applicato a parole inglesi che piacciono di più, ma semplicemente dal fatto che l’azienda che mette il nome/logo su tutti i prodotti vuole distiguere i suoi da quelli (più o meno identici) di altre aziende, esattamente come la marchiatura a fuoco distingue due mucche (più o meno identiche) in funzione del loro proprietario. L’azienda di fatto marchia tutti suoi prodotti che acquistano o perdono valore in base al marchio, non alla marca, e infatti si parla di marchi registrati, non marche registrate.

    1. …marchio registrato = trademark

      Riconfermo che “Brand” è di solito inteso come “marca”. Infatti si parla di “brand image” (= immagine della marca), di “brand equity” (= valore della marca), di “brand awareness” (=conoscenza della marca) e di “brand reputation ( = reputazione della marca).

      Il marchio è, appunto, qualcosa che puoi stampare. Di solito è composto da un logotipo (un nome, scritto in caratteri codificati e riconoscibili) che può o meno essere accompagnato da un simbolo, o pittogramma.

      La marca è qualcosa che non puoi stampare. È l’insieme di identità, valori, storia, notorietà, reputazione, attrattività (e altro ancora) che appartengono all’azienda.
      Barilla, Ferrari, Armani, Apple, Coca-Cola, Google sono non grandi marchi, ma grandi marche (brand) globali, il cui valore, la cui immagine, la cui reputazione e il cui peso trascendono la materialità dei, pur notissimi, marchi.

      Non a caso, i grandi brand italiani aderiscono a Centromarca, non a… Centromarchio.
      http://www.centromarca.it

      1. Certo, meglio usare marca che brand, non ci piove. Ma come ogni appassionato di Western ben sa, Brand non traduce solo Marca ma anche Marchio e Marchiare: you brand cattle, il bestiame si marchia a fuoco, non si marca.
        Ricordate Raw hide? “don’t try to understand’em, just rope and throw and brand’em.”

  8. Splendido articolo come sempre, ma, per fare la precisa, il clown, non è un pagliaccio, come insegna Jaques Lecoq!
    Il clown moderno è un attore, che probabilmente ha studiato teatro fisico e attraverso la tecnica, riesce a far ridere e fare spettacolo. Il pagliaccio è semplicemente una persona travestita, con parrucca e naso rosso, che fa qualche palloncino mentre racconta storielle.

    1. I disagree. In general English usage, ‘clown’ means the person with makeup and a red nose fooling around. There may be a more subtle distinction within the theatre but not in general usage.

      1. I disagree, too. The distinction made between ‘clown’ and ‘pagliaccio’ is, to my mind, a tad subjective – and possibly yet another example of cultural inferiority. Who is to say that ‘pagliaccio’ cannot benefit from the same “modern” (re-)interpretation ascribed to ‘clown’?

  9. bah, con molte traduzioni non concordo…

    cameraman
    operatore è corretta come traduzione, ma decisamente troppo vaga. con cameraman si identifica in una sola figura ben specifica, operatore se non contestualizzato si può riferire a decine di figure professionali diverse.

    poster
    manifesto ha un significato più legato a campi come quello pubblicitario, informativo o simili, chiamare manifesto una qualsiasi stampa di grandi dimensioni che non ha niente a che fare con questi campi non mi sembra corretto.

    inoltre diversi altri termini in lista hanno anche altri significati che non avete tradotto, e per quegli altri significati la vedo molto dura trovare una traduzione decente.

    1. Ma e’ proprio questo, a mio avviso, uno dei problemi dell’italiano! Cioe’ il fatto che non e’ possibile ‘elasticizzare’ l’accezione di una parola. Spesso il senso e’ cosi’ circoscritto da non accomodare nuance di significato. L’italiano e’ una lingua cosi’ precisa e allo stesso tempo restrittiva e incompromettente nell’uso che in molti casi un termine puo’ essere utilizzato per esprimere un solo concetto. L’inglese non si pone questo problema per cui in inglese un termine puo’ comunicare molto di piu’. Questo rende l’inglese anche molto meno espressivamente preciso e corretto, ma forse conferisce alla lingua grandi facolta’ figurative (troppo spesso abusate dai parlanti).

      1. ma “incompromettente” si dice in italian0? confesso che ho dovuto pensare un po’ a quello che poteva significare, “che non compromette” è corretto?

        1. Uncompromettente è un calco un po’ estemporaneo da “uncompromising”, direi. Ma il senso dell’affermazione si capisce perfettamente: inflessibile, senza compromessi.
          E la prospettiva presentata da Maurice Riverso è interessante.

          1. Grazie, Sandro e Annamaria. E’ un po’ ironico che abbia fatto uso di un calco cosi’ tranquillmente senza curarmi che infatti esistesse il temine ‘incompromettente’ in italiano.

            Forse non ho proprio ragione nemmeno nell’affermare che in molti casi i termini italiani non consentano sfumature.

            Pero’ e’ vero che, malgrado il vasto numero di vocaboli, troppi anglofoni di madrelingua, anche istruiti, possiedono un vocabolario piuttosto ristretto proprio per la ragione citata sopra.

          2. Più ce “incompromettente”, la frase “non compromettente” è abbastanza usata…

          3. Più che “incompromettente”, la frase “non compromettente” è abbastanza usata…

  10. Annamaria, che ne dici di “vintage”? Si può sostituire con l’espressione “d’epoca”?

    1. Ciao Carlo. Non vorrei configurarmi come autorità nel campo della riconversione dall’inglese all’italiano, e non credo che dobbiamo tradurre proprio tutto, ma solo quanto, nel contesto del discorso, può essere detto ugualmente bene (o meglio, magari) in italiano.
      Ed è giusto che ciascuno segua la propria sensibilità.

      Detto questo: “vintage” può essere, secondo i casi, “d’epoca”, “antico”, “d’annata” (il termine in origine viene riferito al vino), “d’altri tempi”, “anni (cinquanta, settanta…)”. Ma temo che, per esempio, su moda e gioielli nessuna di queste possibili traduzioni risulti accettabile per… gli amanti del vintage.

      1. “Anticato” rende bene il significato comune e legato alla moda di vintage:
        “Di materiale o manufatto cui è stata conferita una patina d’antico.”
        “Di ciò che viene trattato in modo tale da sembrare un pezzo di antiquariato”

        Effetto vintage= effetto anticato

  11. Se lo scopo è trovare parole italianissime a tutti i costi, allora “retroterra” non va più bene visto che già si tratta di un calco (dal tedesco “Hinterland”). Evidentemente mancava il referente in italiano. Anche “albergo” è un calco, ma ormai ci sembra una parola italiana a tutti gli effetti.
    Voglio solo dire che un’impresa di questo tipo non tiene conto dei contatti interlinguistici avvenuti nei secoli, cioè ciò che rende viva una lingua, che ci piaccia o meno. Anche un termine come “abstract” diventa essenziale nel suo contesto d’uso (principalmente accademico, suppongo).

    Ad ogni modo, aggiungo che fake non è traducibile con bufala, c’è una sfumatura di significato diverso. I corrispondenti di bufala sono hoax, rip-off, spoof, fabrication.

    1. Ciao Giulia,
      l’obiettivo – dovrebbe essere evidente – non è trovare parole italianissime, qualsiasi cosa questo voglia dire. Non è nemmeno smettere di usare parole inglesi.

      L’obiettivo – l’ho scritto e lo ripeto – è avere un’opzione in più ed evitare l’itanglese: un testo o un discorso talmente pieno di parole inglesi (per esempio: “ecco l’outfit più cool secondo i top trend) che, se togli quelle, non resta niente.

      1. Comunque, “computer” non è insostituibile, dato che il termine “calcolatore”, fino a un certo punto è stato usato.

    2. E’ un’osservazione giusta, perché è vero che, se si vuole essere esatti, non esistono sinonimi, e nemmeno traducenti che riportano in una lingua esattamente tutti i significati di una parola straniera. Anche perché ogni parola porta con sé un concetto, che, ovviamente è impossibile da tradurre.

      Ma anziché scavare in questioni di linguistica più grandi di me vorrei farti una domanda: che problemi ci sono a usare ‘falso’ o ‘bufala’ al posto di ‘fake’?

  12. bella lista. pero’ dopo una prima occhiata ho notato subito che mancano due parole che in italiano si usano tantissimo, vale a dire> glamour e stage. Spero che la mia email sia vista come un contributo per una futura lista, e non come una critica. Grazie

    1. Penso che in italiano non ci sia un corrispettivo di stage (che tra l’altro molti, sbagliando, pronunciano all’inglese e non alla francese!); e forse nemmeno di glamour.

  13. Ragazzi, l’obiettivo non è quello di approntare la migliore traduzione possibile dall’inglese, ma di parlare un italiano più genuino, meno timoroso, e crescere rispetto alla sudditanza culturale e al complesso di inferiorità che molti italiani hanno rispetto alle culture anglosassoni!
    Mi pare che stiate facendo una gara a chi sa meglio l’inglese: perché non fare piuttosto una gara a chi sa meglio l’italiano? Manchereste comunque l’obiettivo, ma sarebbe un buon punto di partenza.

    A mio a avviso questo ricorso gratuito al prestito linguistico manifesta una grande insicurezza nell’uso della propria lingua madre e, quindi, una certa componente di ignoranza: un italiano che non parla bene l’italiano apparirà ai miei occhi sempre come un ignorante, anche dopo aver sciorinato tutta la sua erudizione sulle possibili traduzioni di ‘fake’.

  14. Bellissimo. Qualche osservazione spicciola. “Band” in inglese americano indica qualsiasi insieme di strumentisti e cantanti senza distinzione. I termini italiani banda, complesso, orchestra, richiedono saper distinguere, e quindi sono preferibili, ma anche più difficili da usare, specie per un popolo analfabeta di musica. Idem dicasi per “sound”, che sembra voler dire chissà che, ma vuol dire semplicemente suono, è però anche usato nel senso di sonorità, impasto, strumentazione, condotta delle parti: differenze ignote ai più. Il mouse si chiama topo in tutte le lingue tranne che in italiano, forse potremmo chiamarlo topo. Aggiungerei “social network”, per il quale “rete sociale” è del tutto adeguato. (In spagnolo si dice “red social” senza problema). Lo so, network c’è già, ma melius abundare…

      1. Band si traduceva “complesso” negli anni ’60… 😉
        Es.: “complesso rock”…

  15. Credo però che “audit” derivi direttamente dal latino, e non dall’inglese, e chi lo compie sarebbe “auditor”; che poi sia di uso molto largo in ambiti anglofoni è un altro discorso, ma credo proprio che sia latino.

    1. Ciao Michele, sì, “audit” deriva dal latino come molti altri termini inglesi, ma “è” un termine inglese e noi l’abbiamo importato dall’inglese.

      A questo proposito, il Vocabolario Treccani: auditing ‹òditiṅ› s. ingl. [der. di (to) audit «rivedere (i conti), controllare (i bilanci)», dal sost. audit «revisione, controllo» che è dal lat. auditus -us «audizione, ascolto»], usato in ital. al masch. – L’attività di revisione dei conti e certificazione dei bilanci delle imprese ad opera di professionisti indipendenti (auditors).

      1. con tutto il rispetto per la Treccani, ma mi pare una definizione parziale ed incompleta. L’”audit” (o, meglio, l’”auditing”) è tipicamente una “verifica ispettiva”, generalmente esterna (altrimento si suole specificare “auditing interno” – “controllo interno”) tipico dei moderni sistemi di gestione, di norma secondo procedure standardizzate. Ad esempio, sono tipici gli audit per la gestione ambientale o della qualità, con standard internazionali come l’ISO 19011.

        Devo dire che, a volte, si usa il termine audit/auditing proprio per sottintendere che si tratta di verifiche effettuate con approcci e criteri più moderni, in contrapposizione con le “verifiche ispettive” tradizionali.

      2. In questo caso, per auditor, non vedo proprio che cosa ci sia di male o impreciso e limitante nell’utilizzare il termine di “revisore” (di conti)…

  16. Buona iniziativa per far vivere la lingua italiana.Dovremmofare la stessa cosa per la lingua francesa!!

    1. I francesi sanno badare benissimo da soli alla loro lingua. Credo siano gli unici che, invece di dire “computer”, dicono “ordinateur”…

  17. mi fermo alla B, perche’ si vede che questi vocaboli non li usi nella vita reale, visto che non ne cogli le sfumature.

    es. il mio background va tradotto con il mio bagaglio, insieme delle mie esperienze / conoscenze.

    non basta cercare sul dizionario, sorry

  18. p.s. in ambito accademico abstract ha proprio un suo significato, cosi’ come paper. non puoi tradurli, perche’ fanno parte del linguaggio della comunita’ scientifica internazionale.

    1. Ciao Paolo,
      che bello avere certezze su tutto, comprese le frequentazioni verbali della sottoscritta.

      Tra l’altro: perché i francesi non dicono “abstract” ma résumé, e non dicono “paper” ma “article”?

      Fanno non tanto diversamente gli spagnoli, che usano resumen oppure sinopsis, e parlano di artículo.

      Forse non fanno parte della comunità scientifica internazionale?

      1. I francesi, quelli del mondo scientifico o accademico, in gergo dicono “publi” (abbr. di “publication”) laddove i loro omologhi italiani dicono “paper”. Lo posso testimoniare perché li conosco da vicino.

      2. Brava! Cosí come i Francesi per WEB non usano affatto rete ma “toile”, cioè “tela”, piú correttamente, visto che rete è net(work)…

  19. Grazie per quest’interessante elenco!
    Anch’io mi ritrovo spesso a mescolare le lingue, parlando così un itanglese che, diciamolo, è molto “in”.
    Suggerirei d’inserire nella lista la parola “lobby” per indicare gruppi d’interesse/gruppi di pressione.
    Anche le parole “drink” (ci facciamo un drink, oppure drink card)e “cocktail” (=super alcolico?) sono molto diffuse in italiano.

  20. Ciao Annamaria, ultimamente ho notato che molta gente quando usa gli anglicismi si fa prendere la mano al punto di aggiungere la “s” quando si parla al plurale.
    Per esempio: ieri sera abbiamo bevuto diversi drinkS. Per strada hanno sfilato i clownS.
    Orrore! E non è solo un orrore del popolo, ma anche di intellettuali, giornalisti, gente da cui ci aspetterebbe un po’ di più. Ho ragione o esagero? Ciao

      1. peggio ancora quando aggiungono la S del plurale a parole che in inglese non ce l’hanno, come softwareS

      2. non voglio buttarla in politica ma qualcuno sa spiegarmi la S del “jobs act”?

        grazie franco

        1. Credo sia un gioco di parole (poco riuscito) con il cognome del fondatore di Apple. Alla base, in soldoni, l’idea che – ispirandosi a Steve Jobs – sia possibile creare più posti di lavoro. Ad aggravare la confusione, peraltro, c’è la scelta del termine inglese “act”, corrispondente in campo politico-giuridico all’italiano “atto di Legge” (o più semplicemente “Legge”), mentre sarebbe stato tecnicamente più corretto usare il termine “bill”, equivalente al nostro “proposta di Legge”. Probabilmente, però, chi ha suggerito il nome “Jobs act” pensava ad “act” nel suo significato generico di “atto”.

          1. Dovrebbe essere Jobs’ Act, con l’aggettivo sassone, che anche gli anglofoni nell’uso corrente spesso trascurano. Ad ogni modo, il plurale e’ giusto in questo caso.

            Pero’ mi fa ridere l’uso dell’inglese per un disegno di legge italiano.

          2. Maurice, hai ragione, ma si tratta del genitivo sassone, non dell’aggettivo… 🙂

          3. Forse non sono stato chiaro, Maurice e Paolo: reputo si tratti di un gioco di parole riuscito male.
            Fra l’altro, se avessero usato il genitivo sassone (e avessero scritto “Jobs’ Act” con l’apostrofo), avrebbero potuto generare ulteriori ironie, dato che Steve Jobs, al limite (ripeto, al limite), può considerarsi l’ispiratore della proposta di Legge, non di certo il suo autore…

          4. A differenza di quanto si pensi, il nome Jobs Act deriva o da
            (1) il “Jumpstart Our Business Startups Act” voluto da Obama nell’aprile 2012, che non regolamenta il lavoro, oppure da
            (2) “American Jobs Act”, nome informale di una legge sulle professioni proposta da Obama nel 2011.Il plurale va bene perché è una legge sugli “American Jobs”.
            Renzi, da perfetto ignorante e demagogo, ha voluto utilizzare il termine anche per al sua pessima legge.

          5. Un gioco di parole è per natura multisemantico: implica cioè che una singola parola abbia più significati (se così non fosse, il gioco di parole non sussisterebbe). Il Jumpstart Our Business Startups Act che mario_gua cita, per esempio, contiene un gioco di parole, giacché l’acronimo di “Jumpstart Our Business Startups” è per l’appunto “JOBS”. I discorsi e le interviste di Renzi, mentre lui e il suo staff elaboravano quello che hanno poi chiamato il Jobs Act, erano colmi di riferimenti sia alla politica aziendale di Steve Jobs, sia a quelle occupazionali e, più in generale, economiche di Barack Obama. Quindi è probabile che il nome Jobs Act sia nato da questi due motivi congiunti.
            Tralasciamo qui l’analisi critica del contenuto del Jobs Act e limitiamoci a quella del suo nome, per non andare fuori contesto.
            A quanto mi risulta, manca una dichiarazione ufficiale, chiara, esplicita e univoca di Renzi o del suo staff sui motivi per i quali hanno chiamato così il Jobs Act. (Se però mi sbaglio e una dichiarazione ufficiale esiste, chi la trova non esiti a farmelo sapere.) Comunque c’è la seguente dichiarazione, virgolettata (per quel che oggi valgono le virgolette), che Renzi ha rilasciato al Foglio il 26 Agosto 2011: «Secondo il sindaco di Firenze, “il primo politico a essere riuscito a parlare, con il linguaggio di Jobs, con il suo modo di fare e persino, scusate la parola, con i suoi valori, è stato naturalmente Obama, e nessuno oggi meglio del presidente americano può dire di essere un interprete sincero di quello spirito creativo, gioioso, artistico e rivoluzionario di cui si è fatto portavoce l’inventore della Mela. È evidente, poi, che se è vero che ispirarsi a Jobs dovrebbe essere quasi naturale per un politico di nuova generazione è anche vero che nel mondo della politica vi è sempre di più quella buffa tentazione di pigiare il bottone ‘Jobs’ per provare a creare un collegamento metaforico tra la propria immagine e quella dell’inventore della Apple, [quasi a] dire: ‘ehi, amici guardatemi bene, guardate come sono fico, come sono cool, come sono creativo, come sono rivoluzionario: guardate insomma come sono parte anche io di quel fantastico mondo degli spiriti liberi della Apple…”» (Qui un gran Matteo Renzi su Steve Jobs, oggi sul Foglio, di Claudio Cerasa, http://www.ilfoglio.it/articoli/v/54752/blog/qui-un-gran-matteo-renzi-su-steve-jobs-oggi-sul-foglio.htm).
            Se non è una dichiarazione d’intenti questa…

      3. In realtà, io trovo molto provinciale il contrario. Non vedo perché – checché ne dicessero certi grammatici italiani – usare parole inglesi nella loro forma sbagliata, sempre al singolare, anche quando s’intende plurale… Sarebbe meglio dire “le attività sportive” piuttosto che l’orribile “gli sport”, o le pellicole, piuttosto che l’orribile “i film”, ecc., che fanno ridere il mondo da cui vengono quelle parole – e persino i francesi! 😉 , quanto l’orribile accentazione di “performance” come – mi si passi il termine, contando anche la e muta finale – semibisdrucciola, come dicono cosí spesso i giornalisti TV, per fare i “fini” e non dirla né alla francese (sdrucciola) o all’inglese (bisdrucciola) come si dovrebbe dire…

  21. i termini web e rete, anche se abitualmente usati in modo intercambiabile hanno significati completamente diversi: la rete è l’infrastruttura fisica composta da cavi e apparati; web è un documento ipermediale distribuito, è un servizio che si appoggia sulla infrastruttura fisica.

    Un termine che potrebbe essere rivalutato è quello della fantascienza pre-internet, in cui si parlava di ciberspazio.

      1. In realtà, e i Francesi la usano proprio cosí, web vuol dire “tela”. Ragnatela è spider web o cob web quando s’intende quelle che si trovano nei posti abbandonati o intonsi da tempo.

  22. Da quando in qua “tutor” è una parola inglese? Voglio dire è latino… Non si usava anche prima che iniziassimo a farcire il nostro vocabolario di parole inglesi? O davvero siamo andati a ripescarla dall’inglese anziché dal latino? Sono l’unica che al plurale usa “tutores”?

    1. Ciao Eva.
      Temo che tu sia l’unica. E infatti senti dire tiùtor.

      C’è lo stesso problema con “mass media”.
      E, ahimè, senti dire mass mìdia e (bruttissimo) senti usare la forma plurale al singolare (è UN bel mass mìdia, oppure è UN bel mìdia).
      Uso frequentissimo anche fra gli addetti ai lavori.

    2. Ciao, approfitto per manifestare un dubbio al quale non ho ancora trovato risposta: assodato che non si fa il plurale delle parole straniere usate parlando italiano, la stessa regola non dovrebbe valere anche per il latino? Non sarebbe corretto dire “i curriculum” piuttosto che “i curricula”?

      1. Ciao Enrico. Bel quesito.
        Qui c’è una lunga, esauriente e interessante considerazione dell’Accademia della Crusca che suggerisce di usare nella forma invariabile diversi latinismi (corpus, iter, referendum, forum, solarium), anche perché trattasi di comportamenti meno rischiosi (quanti si ricordano che il plurale di iter è itinera? E che il plurale di forum è fora?)
        http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/latino-inglese

        D’altra parte, sempre l’Accademia della Crusca ricorda che i dizionari inglesi considerano il singolare mass medium, e non capisco perché non dovremmo farlo noi.
        http://www.accademiadellacrusca.it/it/lingua-italiana/consulenza-linguistica/domande-risposte/pronuncia-mass-media-summit

        Aggiungo una considerazione di carattere empirico: mi sembra assai più frequente l’uso di mass medium al singolare che di forum (fora) e di itel (itinera) al plurale e sarei, a maggior ragione, portata a fare un’eccezione, e a distinguere.

        Ultimo punto: i dizionari inglesi fanno, comunque, anche il plurale di forum (in entrambe le forme: quella latina e quella anglosassone) http://www.wordreference.com/enit/forum

  23. Riporto alcune accezioni in più per questi termini.
    Alert = avviso
    Badge = cartellino
    Leaflet = prospetto
    Review = rassegna
    Press officer = addetto stampa.

    Inoltre, suggerisco di usare ogni tanto, frammiste alle parole italiane o inglesi, anche qualche parola francese. Es. dépliant o brochure al posto di leaflet o di flyer…

  24. ciao annamaria, bel lavoro! direi manchino, tra i termini molto usati (senza reale necessità):
    – brainstorming –> discussione aperta/fare a chi la spara più grossa
    – management –> direzione/dirigenza (persone) o invece gestione/governo/controllo (attività)
    – project financing –> finanza di progetto
    – utilities –> servizi di pubblica utilità

    poi vabbè recentemente è invalsa la consuetudine di indicare che una cosa è improvvisamente diventata fichissima, semplicemente chiamandola in inglese. tipo “il settore food” o “running” per corsa. conseguenze, “scarpe da running” e cose così. del resto nello sport (intraducibile) i vari “basket”, “volley” ecc. sono da sempre usati alternati ai termini italiani, peraltro impropriamente dato che in inglese bisogna aggiungere -ball.
    😉

    1. e, a supporto dei grammar nazi inglesi, c’è da dire che, ad esempio, dopo anni in cui si è vista gente usare apposta YOUR al posto di YOU’RE (you are, quindi “your great, bro”), ora mi capita non di rado di assistere all’errore inconsapevole opposto (quindi “here’s you’re pen”), che non fa nè slang nè ciòfane ma solo gnurànt. o no? 🙂

      1. Questi però sono errori tipici dei madrelingua, non degli italiani che parlano inglese scolastico ma almeno non confondono le parti del discirso.

        1. infatti, Paolo, mi riferivo ai “grammar nazi” inglesi di cui sopra. madrelingua. dalla storpiatura fatta apposta per creare lo slang, al ritorno di un errore inconsapevole di senso opposto.

    2. Ciao Roberto, e grazie!
      Come ho scritto, mi sono fermata a trecento per darmi un limite, e anche perché altrimenti la lista sarebbe diventata ingestibile all’interno della struttura di NeU.
      È un sasso gettato nello stagno, e nulla vieta, a chi lo vuole, di togliere, aggiungere, modificare.

      “Definitiva” (ho scritto anche questo, più sopra) vuol dire solo che non continuerò a sfinire gli amici di NeU con una lista alla settimana 😉

  25. Ci voleva, anche questo tema.
    Grazie, grazie.
    Ho usato spesso il termine “workshop”, per itendere che stavo organizzando un seminario con “lavori di gruppo”. Ok?

  26. Concordo con Roberto Olivari. La parola management trova anche nell’italiano un equivalente. Con mio stupore infatti ho trovato una definizione nella Treccani a dir poco curiosa: “l’attività del manager, soprattutto come direzione di una società, di un’impresa commerciale o industriale, volta al conseguimento del massimo profitto e in quanto tale, soprattutto in passato, distinta dalla gestione di aziende pubbliche e dei servizi, cui si preferiva attribuire la denominazione di amministrazione.”
    La parola “profitto” mi sconcerta perché significherebbe che il non profit non ha bisogno di management.
    L’Accademia della Crusca traduce il “manager” come uomo d’affari.
    A me piace invece pensare all’etimo, da manu agere (condurre con manu) da cui maneggio, maneggiare, ovvero guidare, condurre.
    A parte questo: bellissima lista, che mi sono stampata per essere io per prima meno pigra nella scelta delle parole.

  27. Sono appassionato del tema. Ogni giorno trovo una parola ‘nemica’ di itanglese da sconfiggere… E vedo che il tema ha parecchi proseliti… bene!
    Una riflessione che vorrei condividere: mi sembra che il problema risieda nella troppa staticità dell’italiano… Noi ci giochiamo poco (i francesi invece lo fanno tantissimo) e finisce col sembrare una lingua cupa e un pò ‘pallida’… io quando mi siedo a tavola dico semplicemente ‘buon appe’… Anche se, molte volte, mi piace sentire il sapore della parola in italiano: retroterra è di gran lunga più bello di background… come lo è anche bagaglio… buone cose. GC

  28. chiedo scusa, ma mi par di notare un’imprecisione nelle premesse, a meno che le parole derivate dal latino e dal greco siano considerate anch’esse forestierismi: da quando “autobus” sarebbe una parola straniera? da quel che so, è una parola-valigia composta dalle metà di “automobile” e “omnibus”, che era la carrozza pubblica a cavalli…

    1. E’ una di quelle parole difficili da tradurre in italiano, visto che esprimono un concetto complesso e, per inciso, che abbiamo importato dal mondo anglosassone. Ci sono anglicismi che, comunque, non sono direttamente riconducibili ad un equivalente italiano o, a volte, non conviene farlo. Detto questo, però, si tende ad esagerare un po’ troppo, spesso perché l’uso del termine straniero conferisce (o si pensa che lo faccia) un’aura di professionalità che, spesso, vira nel ridicolo. Se troppo inglese nell’italiano è sbagliato, lo è altrettanto il contrario…

  29. Apprezzo il suo sforzo, e la ringrazio.
    Pero’ il provincialismo dell’itanglese mi pare solo un sintomo del provincialismo culturale di questo Paese. Che si manifesta specialmente la’ dove il provincialismo culturale e’ usato per fare soldi (es. mass-media).
    Purtroppo non si guarisce il male curandone un sintomo.

  30. Bella l’iniziativa, ma definire anglicismo (nell’articolo di accompagnamento) la parola autobus mi sembra scortese verso il latino. Così come attribuire all’inglese il latinissimo sponsor (plurale “sponsores”, colpevolmente mai usato)

  31. Segnalo un errore in premessa: era stato inizialmente coniato il termine elaboratore, molto più appropriato di computer (oggetto che conta)assunto per servilismo esterofilo. Trovo poi errato l’assunto generale : è l’uso dei termini senza corrispondenza che provoca il danno irreparabile, infatti impedisce la nascita di parole italiane nuove (in risposta a novità della tecnologia e del costume) e fa diventare la nostra una lingua morta.

    1. I linguisti distinguono tra formazioni primaria dei termini (nasce un nuovo concetto a cui viene dato un nome) e formazione secondaria (si trasferisce un concetto già esistente in un’altra lingua). Nella formazione secondaria è abbastanza insolito che vengano coniate parole ex novo: in italiano prevale la tendenza a ricorrere alla derivazione (da parole già esistenti), ai prestiti e ai calchi.

    2. Non ricevo risposte perché nessuno riesce a capire che la lingua è una cosa viva e, se non si rinnova continuamente con nuovi vocaboli, muore

      1. Sono d’accordo con te, Renato. Avevo scritto il mio commento senza aver letto il tuo precedente sul termine ‘elaboratore’. Secondo me, il fatto che l’italiano si rifiuti di accettare calchi senza coniare nuovi termini sta impoverendo la lingua in modo irreparabile, specialmente nel linguaggio tecnico, informatico e scientifico.

  32. E’ l’articolo più bello e più intelligente che abbia avuto il piacere di leggere negli ultimi anni.

  33. Io sono cresciuto in Australia. Quando studioavo e in seguito insegnavo l’italiano cercavo, con i miei colleghi, di trovare il termine italiano. Pertanto, leggere oggigiorno i giornali italiani e’ sconvolgente: i giornalisti stessi sembrano non conocere la loro lingua molto bene o curarsi di termini che usano in inglese – male – quando esistono termni italiani ben applicabili. Non si capisce, ad esempio, la ragione per la quale non si possono usare calchi dall’inglese perche’ paiono ridicoli, secondo molti italiani, quando invece lo spagnolo ne fa uso, secondo me nonche’ milioni di ispanofoni, a grande vantaggio. Quindi si sentono parole che non esistono in inglese, come per esempio ‘pressing’ (‘pressure’?) quando pressione/ pressione risparmia ben solo due lettere. Personalmente, poi, la parola ‘computer’ vuol dire in effetti ‘computatore’ mentre quello che fa e proprio processor, cioe’ ‘elaboratore’, una parola molto piu’ descrittiva e accurata. Pensavo anche che la parola ‘autobus’ derivasse dal latino. Poi non si puo’ usare ‘sconto’ per ‘discount’? Mi sembra che l’inglese venga usato come fonte di sinonimi per coloro che sono troppo pigri per pensarne ad altri. Soprattutto, quello che fa pena e’ sentire gli italiani mispronunciare l’inlgese e solo perche’ vogliono farsi sentire colti, globalizzati?

  34. Era ora.
    Da 20 anni all’estero, ho avuto come un sorta di “buco temporale” e mi sono perso qualche anno d’Italia. Ho avuto il dispiacere di scoprire che il concessionario si chiama show-room, che la rete é gol, lo zaino é school bag e, le peggio, sono quelle ufficiali, tipo election day, family day, job act ecc. Credevo di essere il solo a battermi contro i mulini a vento ma vedo con piacere che non é cosi’. Brutto sentire blaterare in italiese gente che a fatica si esprime in italiano. Non sono contro il progresso ma in Italia si é, da sempre, servi del padrone e si ha questa strana vergogna di assumersi la nostra cultura. Purtroppo é una battaglia persa. Basta leggere un qualsiasi giornale per rendersi conto di quanto l’ignoranza dilaghi. Spero che questa iniziativa sia amplificata e porti i suoi frutti.
    Un saluto. Riccardo

    1. Dopo alcuni decenni all’estero, leggere e sentire un tale impoverimento della lingua italiana e un uso molto spesso assolutamente evitabile e spesso fuori luogo, improprio, di termini inglesi è alquanto triste…specialmente se accompagnato da altre violenze fatte alla lingua. Mi riferisco agli errori madornali nell’uso dell’indicativo anziché del congiuntivo o del congiuntivo al posto del condizionale e vice versa, accompagnati da una di quelle che considero come cartina tornasole della sgrammaticatura, che sono l’uso di sia…che, anziché sia…sia e di malgrado al posto di nonostante. C’è da chiedersi se a scrivere per i grandi quotidiani prendano solo piú coloro che NON hanno fatto il Classico…o che avevano un “sei” come voto di consiglio in Italiano… 😉

      1. Accademia della Crusca: “La forma sia… che, comparsa per la prima volta nell’Ottocento, oggi è diffusissima, e non può certo essere considerata un errore; noi, comunque, vi suggeriamo di non usarla.” Comunque io trovo più elegante sia/che, ma è un fatto personale.
        Ma invece, vogliamo parlare dell’uso scorretto di “piuttosto”?

  35. “Superfluo” è un giudizio talmente soggettivo. Così come “si dovrebbe”. La lingua sopravvive e si adatta ai tempi solo se rimane fluida, flessibile e adattabile, altrimenti produce strambezze come l’ordinateur francese.

    Se la lingua serve per comunicare e per capirsi, remare contro l’uso delle parole che spontaneamente entrano nell’uso comune è uno sforzo destinato a non produrre frutto.

    Introducendo le parole straniere non si diventa “bastardi” o “meno puri”: si diventa semplicemente più parte del mondo e meno di una nicchietta. 🙂

    1. d’accordo per alcune cose, tipo i termini informatici. invece, chiamare “settore del FOOD” il settore del cibo, o le “scarpe da RUNNING” le scarpe da corsa, solo perchè ci siamo inventati lo “slow food” (altro termine inglese, ma qui lo si è fatto per mettersi in contrapposizione al fast food) e perchè adesso correre va di moda, quindi è running, è però indice di una subalternità culturale da combattere. come lo è la mera sostituzione di parole italiane con parole inglesi per darsi un tono, alla “la mission del nostro management è…” e cose così. o no?

  36. Complimenti per l’idea e il lavoro svolto.
    Vorrei contribuire segnalando che “best practices” non sono le “buone” pratiche ma le “migliori”.
    Il concetto di “migliore” è fondamentale perché sono pratiche che derivano dalle esperienze PIU’ significative, che hanno permesso di ottenere i risultati MIGLIORI.

    Ancora complimenti,
    Franco

  37. In linea di massima sono d’accordo con l’iniziativa, ma ritengo che l’autrice sia caduta in qualche trappola concettuale. NON si può così facilmente italianizzare tutto, quando con il termine inglese si introduce un concetto che in italiano richiederebbe una wscomoda perifrasi. Esempi:
    Badge: è un oggetto con nome e cognome e talvolta fotografia che si appende in evidenza e che si usa per farsi riconoscere in spazi riservati o per funzioni particolari. NON si può tradurlo con distintivo (che in genere è un piccolo oggetto metallico generico) o tesserino (che si tiene nel portafogli e non si appende alla giacca)
    Feature: in informatica è una variante della macchina principale che ha uno suo specifico codice prodotto (in analogia agli “optional” delle automobili). Mai più traducibile come proposto. Semmai, sia per “Optional” che per “Feature” si potrebbe dire “Accessorio opzionale”: la perifrasi si avvicina…
    Input: in informatica sono i dati in ingresso, non traducibile come proposto.
    Non si può tradurre Safety con Sicurezza, perchè il termine italiano è molto più generico, e include anche la “Security” (la Pubblica Sicurezza non è la Croce Rossa)
    Teenager non si può tradurre con adolescente: a diciannove anni si è teenager ma (si spera) non più adolescenti
    “Web” non si può tradurre con “rete”: semmai “la Rete”, maiuscolo, quella rete lì, non una rete aziendale o da pesca.
    “Wishful thinking” è molto più preciso: è un ragionamento apparentemente razionale ma in realtà influenzato dai desideri del pensatore.
    “Workstation”: la traduzione proposta è sbagliata (sarebbe di “Workplace”), WS significa “Stazione di lavoro” cioè un PC particolarmente potente e/o specificamente configurato per svolgere un lavoro aziendale.

    All’indirizzo indicato, le mie proposte per i gerghi politici, sindacali e aziendali.

    1. Sono madrelingua inglese e quindi mi permetto di segnalare una tendenza comune fra gli italiani, ovvero quella di usare delle parole inglesi storpiandone il significato. In questo caso, la parola “badge” in inglese da sola non può essere usata per significare “un oggetto con nome e cognome e talvolta fotografia” – in questo caso la parola più precisa e corretta sarebbe “name badge”. La parola “badge” da sola ha un significato molto più generico e esteso, come giustamente ha indicato AnnaMaria. La stessa cosa vale per la parola “gadget”, spesso usata in italiano per descrivere un oggetto promozionale che viene regalato a potenziali clienti, invece in inglese, “gadget” vuol dire semplicemente un qualsiasi aggeggio. Per indicare invece un oggetto promozionale che viene regalato, usiamo le parole “freebie” o “giveaway”. Ci sono tanti altri esempi ma io mi fermo qui… forse il prossimo elenco di AnnaMaria può essere “parole inglesi usate in italiano erroneamente”?

      1. Ciao Stella.
        Quello che dici conferma in pieno quanto ho scritto due o tre commenti più sotto.
        Un italiano che usa una parola inglese, lo fa spesso impropriamente oltre che non ne conosce tutti gli utilizzi.
        Si può dire che la parola assume un significato (leggermente) diverso dalla lingua di origine.
        E’ un’adozione 🙂

      2. Ciao Stella, e grazie per il contributo.
        “parole inglesi usate erroneamente in italiano”: NeU non si occupa solo di linguaggio, ma… ci penserò, magari fra un po’ di tempo.

      3. Il commento di Stella Hodkin mi sembra il più intelligente di tutti. Io vivo all’estero da tanti anni e uso l’inglese da sempre. E’ impossibile trovare traduzioni perfette, o si usa l’italiano o, se si usa l’inglese, bisognerebbe, a) saperlo pronunciare, e b) sapere quale e’ il verio significato. L’articolo è comunque bellissimo e pure il dibattito che si è scatenato..

  38. Mi scuso per l’ortografia del mio commento precedente.

    La parola ‘governance’ non trova equivalente in italiano, forse perche’ culturalmente non viene praticata molto. Ma dubito che gli spagnoli abbiano intrapreso questa strada con molto piu’ successo degli italiani. Eppure loro hnno ‘gobernancia’ e i francesi ‘gouvernance’.

    1. Se è per questo neanche “flavor” trova equivalente in italiano, per quanto talvolta sia tradotto come “flavore” dagli assaggiatori di vino del mio Paese. Per citare il “Manuale dell’Assaggiatore” ONAV, “flavor” indica l’«insieme complesso delle sensazioni olfattive, gustative e trigeminali, percepite nel corso della degustazione». Malgrado si tratti di un lemma poco usato (e, probabilmente, ancora meno conosciuto) dagli italiani, ciò non implica che essi, all’atto pratico, siano poco capaci di comprendere l’insieme delle sensazioni a cui il lemma stesso si riferisce.

        1. Esattamente, si usa “aroma”, “odore” oppure “gusto”, mentre flavour significa “l’insieme dell’odore e del gusto”, “odore e gusto contemporaneamente”.

  39. ‘intelligence’ non vuol dire solo ‘spionaggio’. Ad esempio, nel caso di ‘business intelligence’ si riferisce a ‘dati (strategici) aziendali’.

  40. Credo anche in un’altra ragione (una piccola sfumatura) del successo delle parole inglesi nell’italiano (quotidiano, lavorativo, ecc).
    Le parole in lingua straniera (inglese, nello specifico caso, ma lo stesso accade con parole di altre lingue, anche se molto meno frequentemente) usate nel discorso italiano hanno successo perché il parlante percepisce una differenza sostanziale tra la parola inglese e la parola italiana, anche se il significato è il medesimo (almeno nel contesto). Sembra non sia uguale usare l’una o l’altra (= è diverso, anche se il significato è lo stesso). Spiego perché.
    In primis, le lingue non sono completamente sovrapponibili. L’arbitrarietà ha sempre giocato un ruolo nella produzione della cultura e della lingua assieme.
    Inoltre c’è una differenza contestuale (il fatto stesso di usare una parola straniera nel proprio discorso italiano ha già in sé un significato; in più c’è il trovarsi in un determinato spazio/tempo e avere determinati interlocutori) che si somma alla percezione della lingua straniera da parte del parlante italiano (non c’è una conoscenza allargata/globale del vocabolo e non se ne apprezzano le sfumature, quindi il vocabolo straniero assume una certa precisione e una certa puntualità, denotando esattamente ed esclusivamente quella cosa).
    Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto (la percezione della lingua e la sua conoscenza da nativo), c’è la lettura opposta: il parlante italiano conosce i vocaboli nella sua lingua e ne conosce i diversi significati, quindi, anche se il vocabolo italiano viene contestualizzato, richiama (almeno virtualmente e potenzialmente) tutti gli altri significati del vocabolo stesso. L’effetto che si produce è la percezione di essere più generici, meno precisi (in italiano quella parola ci trasmette tanti significati, in inglese ne conosciamo solo uno).
    Ecco perché, secondo me, nonostante le opinioni dei patriottici (che non sto criticando assolutamente), questa pratica ha così tanta diffusione e successo.
    La riprova sta nella lettura della pratica comunicativa del nativo inglese. Ma ho già parlato tanto.
    E poi, son convinta, di ragioni ce ne stanno ancora.
    Grazie del TOPIC 😉

  41. Ticket – E’ la prima parola che ho cercato: manca infatti l’accezione di “quota a carico”.

  42. Grazie infinite per l’iniziativa. Sarebbe bello e liberatorio poter schiaffeggiare gli interlocutori all’urlo di “come parla? Le parole sono importanti!”. D’altra parte, così facendo, ogni conversazione finirebbe in rissa. Apprezzo pertanto la sua iniziativa non violenta a difesa della lingua italiana.

  43. Perfavore, come si può tradurre in italiano “science centre” o “science center”: il primo dovrebbe essere più corretto.
    E’ quel luogo dove pubblico e ragazzi sperimentano con “Exhibit” (sic!) scientifici e metodologia “hands on” (…ma basta!).
    “Polo scientifico” non va bene, indica i centri dove collaborano aziende e università.
    Grazie

        1. Complimenti e grazie per il link.
          “Laboratorio” va bene per il singolo evento, il problema è sul nome del contenitore di tanti laboratori: forse un aiuto viene dalla Città della Scienza di Napoli e dal suo sito web: “…presentiamo lo Science Centre, il primo Museo Scientifico Interattivo italiano…”.
          Ecco, appunto, “Museo Interattivo” che poi può essere scientifico, artistico, di artigianato, etc. e composto di laboratori oppure di semplici “exhibit” 🙂 (emoticon smile), ossia vetrine interattive, diorami meccanici. Forza che ce la facciamo!

  44. Molto interessante e utile. Manca completamente la parola ‘GOLIVE’, usatissima in ambito lavorativo, nell’accezione prevalente di INIZIO PROGETTO, MESSA IN PRODUZIONE.

    1. Pensa te che, quando mi parlavano di “kickoff meeting” mi veniva voglia di tirargli un cric in mezzo agli occhi…

    1. Perché? Non si può neanche più proporre? Una proposta, da che mondo è mondo, non ha mai obbligato nessuno a fare alcunché. Una proposta si potrà pur fare, poi Lei continui pure a usare «tag».

      1. “Tag” è, a mio parere, una di quelle parole che, pur avendo un corrispettivo italiano (etichetta, cartellino, targhetta), nell’uso comune è più “comodo” mantenere: cioè, non è un termine insostituibile, ma è pratico. Non so se valga la pena accanirsi più di tanto su questi tipi di termine…

  45. Solo una nota, “computer” non le inserirei affatto tra i “forestierismi insostituibili”, anzi, abbiamo un eccellente “calcolatore”, o “calcolatore elettronico”. I francesi, noti nazionalisti, l’hanno fatto, da loro computer si dice “ordinateur” …appunto calcolatore

  46. Bravissima,
    e’ da tempo che mi cruccio con queste insalate

    grazie per aver portato alla luce il problema
    della provinciale anglofilia italiana degli ultimi tempi con l’uso
    di parole inutili come la famigerata “privacy”
    che, per di piu’,tutti insistono nel pronunciare erroneamente “praivasi” e non
    “privasi” come giusto. L’ uso stupidamente
    diffuso di vocaboli e frasi inglesi fa coppia
    con l’ abitudine di detti latini usati e pronunciati a sproposito.
    Grazie per l’ attenzione data a questo tragicomico problema
    problema m

    1. Risulta che PRIVACY sia anche una parola del vocabolario italiano (che si pronuncia /ˈpraivəsi/ nella nostra lingua) introdotta nel 1950.
      Che poi non la si sappia pronunciare in inglese, beh, è un problema che riguarda molte parole, soprattutto quelle molto simili.

        1. A prescindere dalla provenienza, in italiano esiste una parola la cui pronuncia corretta è /ˈpraivəsi/. Quindi non capisco perché affermare che tutti (“stupidamente, provinciale, erroneamente, a sproposito”, e via citando) la pronunciano malamente.

          Probabilmente solo i linguisti potrebbero arrogarsi il diritto di parlare autorevolmente (e tutti invece possiamo esprimere opinioni) ma proprio per il fatto che loro conoscono la lingua e le sue regole, sanno anche che l’italiano non è immobile, ma muta, evolve. I parlanti fanno una lingua.

          Non mi stupirebbe se in futuro si parlasse una lingua universale fatta dall’evoluzione di tante altre (tutto si muove, perché resistere a questo?)

          C’è chi scrive che Dante si rotolerebbe nella tomba. Beh, parlate voi tutti nella lingua di Dante?
          Non credo proprio.

          E’ così bello il mutamento che in alcune lingue (di alcune culture) esistono parole apposite per coglierne gli aspetti e la bellezza.
          Mentre la nostra cultura per alcuni aspetti demonizza il passare del tempo.
          Tutto è legato alla cultura. Occorre guardare le cose da una prospettiva allargata.

          1. Ciao Camilla.
            Tullio De Mauro in un’intervista (Parliamo come Dante, La Repubblica, 19 ottobre 1999) ricorda che “nella Commedia è già presente il novanta per cento del nostro vocabolario, con cui facciamo i conti tutti i giorni”.
            Per quanto mi risulta, questo non capita, per esempio, agli inglesi con Shakespeare.

          2. Ciao Annamaria. Urca, vedo solo adesso il commento (rispondo al mio perché il sistema non mi fa rispondere al tuo).
            Hai detto bene, il novanta per cento del vocabolario. Ma il vocabolario non è il modo di parlare. In tal senso, “Parliamo come Dante” è un titolo che mi pare assai metaforico 😉

          3. Mi piace moltissimo! La vedo come Camilla Antonelli: un giorno parleremo una lingua-mosaico…magari! Finirà l’Identità, la Nazione, la Proprietà Intellettuale…Mi diverte lo spirito di Annamaria Testa e dei tanti linguisti accorsi al lettino dell’Italiano..ma la Lingua la fa chi la parla, pochissimo, purtroppo, i dizionari..

  47. Io mi chiedo, ma chi critica (in qualsiasi forma) gli anglicismi, lo fa secondo una precisa ideologia o tiene conto anche di tantissimi aspetti (molti dei quali legati soprattutto a fatti ed evoluzioni culturali)?
    Perché se fosse solo per la prima ragione, l’ideologia (in caso) sarebbe quella del “resistentismo evolutivo”?

    Ecco, per esempio io sono colpevole di tollerare poco la superficialità (e invece ci vuole anche quella).

    1. Privacy: il tipico esempio di un concetto anglosassone, completamente stravolto in Italia, al punto di diventare un esagerato strumento in mano a un inquisitore plenipotenziario e dittatoriale, il cosiddetto Garante della “Privacy”; uno strumento con cui si proibisce di tutto, a livelli ossessivi che spesso non proteggono affatto gli interessi del cittadino, comprese cose che potrebbero salvare la vita di pazienti, come la condivisione automatica in rete di terapie seguite e allergie. In Italia se arrivi privo di conoscenza in un ospedale necessitando un intervento chirurgico immediato, la “privacy” all’italiana impedisce a quell’ospedale di sapere se sei allergico a qualche medicinale (magari un antibiotico o se un certo narcotico potrebbe ucciderti perché soffri di ipotensione o stai prendendo certi medicinali), il tutto perché i computer dei medici, delle farmacie e degli ospedali non possono “parlarsi tra loro” a causa della “privacy”… Un’idiozia sconosciuta nei paesi anglosassoni che la privacy l’hanno inventata e in quelli avanzati!

  48. Manca “standing ovation”,molto in voga tra i giornalisti italiani e tra i politici “ignoranti”.

  49. Ottima iniziativa.
    Con molta umiltà porto a conoscenza di un gioco che insieme a diversi amici e colleghi abbiamo ideato diversi anni fa (http://www.lasporcaforchetta.it/academia.html).
    Si tratta di un modo scherzoso e simpatico per raggiungere lo stesso scopo: evitare, quando possibile, l’utilizzo inutile e (secondo noi) dannoso di parole o abbreviazioni non Italiane.

    Provateci, e’ divertente e funziona ! 🙂

  50. How about stop saying “fare lo spelling” when we have the Italian term “compitare”.

    http://www.etimo.it/?term=compitare

    Tra l’altro: mia nonna sapeva cosa volesse dire “compitare”, quando lo dicevo al telefono “te lo compito, così te lo scrivi”; le avessi detto “ti faccio lo spelling” si sarebbe molto adirata.

    “fare lo spelling” non è nemmeno più corto, e visto che non “si spiega da sé” – tutte cose che sovente sentiamo dire per giustificare l’uso degli inglesismi – ma va comunque spiegato una volta, tanto vale spiegare un termine italiano che non si (ri)conosce.

  51. L’abuso del lessico anglosassone da parte di uno dei popoli meno ferrati nello studio delle lingue straniere non è solo segno di stucchevole provincialismo, ma di un vizio ben peggiore: subalternità politica e culturale a tutti i livelli. Vizio con radici storiche ormai consolidate, ma dai risvolti modernissimi e attualissimi, se si considera che buona parte di quel lessico proviene – non a caso – dall’ambito dell’economia e della finanza…

  52. Consueto lettore del CDS da anni, da anni mi aspetavo un grido come questo di riscatto verso la lingua madre. Dante, sono sicuro, sará molto lieto e riconoscente ovunque si trovi.

    L´uso innecesario (qualunque sia la maotivazione) di parole starniere rapresenta un affronto a la propria cultura.

    Lo dice qualcuno che del Inglese qualcosa se ne intende.

    Nando dal Venezuela.

  53. Temo che la gran parte delle responsabilità della nostra degenerazione linguistica vada attribuita alla pubblicità e alla comunicazione commerciale in genere. Io ci lavoro da alcuni decenni e dovrei solo tacere, ma poche cose mi fanno incavolare come questa prostrazione provinciale e patetica davanti all’inglese. Attualmente mi capita di piangere (o ridere sguaiatamente, a seconda dell’umore) di fronte ad un’affermazione come “Renault Clio Costume National. Seduction is an attitude”. “Costume National”: variante di modello dal nome francese che, da scritto, potrebbe sembrare inglese ma è pronunciato in francese. Renault: famosa marca francese. “Seduction is an attitude”: frase (tecnicamente “payoff”) in inglesoide, dal significato piuttosto vacuo (giudizio del tutto personale) che tanto, nonostante sia di traducibilità semplicissima, sarà compresa forse dal 6-7% del pubblico indigeno.

  54. A mio parere andrebbe rivista la traduzione di “snob”, termine che proviene dalla locuzione latina “sine nobilitate”. Con essa si indicavano nelle antiche università inglesi gli studenti di origini non nobili. La locuzione veniva trascritta abbrevista (s. nob.) nei registri, accanto ai nomi di tali studenti. Da qui il termine “snob”, che ha poi assunto il significato di persona che vuole apparire di una condizione sociale superiore a quella d’origine. Per cui lo snob, anticamente, era la persona di origini umili che voleva scimmiottare il modo di fare (e di vestire) dei nobili, e nel far questo assumeva spesso atteggiamenti affettati e, in definitiva, ridicolmente altezzosi e arroganti.

    1. Ciao Giorgio. Discussione già fatta. Ripropongo anche a te quanto dice il vocabolario Treccani:
      snob ‹snòb› s. ingl. [parola che significava in origine «cittadino di basso ceto» e nell’ingl. dialettale «ciabattino», assunta nel gergo studentesco inglese per indicare una persona estranea all’ambiente, passata quindi a significare «persona non fine, non adeguata a un ambiente colto e raffinato», e diffusa in Europa dal romanzo The book of snobs (1848) di W. Thackeray; è priva di fondamento l’opinione, molto diffusa, che sia un’abbreviazione della locuz. lat. s(ine) nob(ilitate) «senza nobiltà»] (pl. snobs ‹snòb∫›), usata in ital. come s. m. e f. e agg.

      1. Mi sorprende che Lei giudichi privo di fondamento quanto afferma nel suo dizionario etimologico (Devoto-Oli) il professor Giacomo Devoto, il più noto studioso italiano di etimologia. Ignoro chi sia lo studioso che ha redatto la voce “snob” per la Treccani.

        1. L’origine di “snob” per Oxford Dictionaries (che attinge dal prestigioso Oxford English Dictionary) conferma che è un’etimologia priva di fondamento:

          “late 18th century (originally dialect in the sense ‘cobbler’): of unknown origin; early senses conveyed a notion of ‘lower status or rank’, later denoting a person seeking to imitate those of superior social standing or wealth. Folk etymology connects the word with Latin sine nobilitate ‘without nobility’ but the first recorded sense has no connection with this.”

          http://www.oxforddictionaries.com/definition/english/snob?q=snob

  55. Titolo di una mail (nel dubbio chiedo scusa) che mi è appena arrivata da LinkedIn: “Le slide del quinto incontro di Inspiring Route sul quantified self e le wearable technology”. Devolverò il mio 5×1000 all’Accademia della Crusca o alla Società Dante Alighieri.

  56. Sono quasi d’accordo, ma da un punto di vista linguistico l’articolo è un po’ troppo semplicistico: buona parte delle parole per le quali si è dato più di una traduzione non sono perfettamente rendibili in italiano proprio perché il loro reale significato, in inglese, è una sfumatura a metà fra quelle traduzioni. Oppure hanno un significato molto più specifico del corrispondente italiano, che necessita invece di specifiche. Nessuna sorpresa che si preferisca un termine unico, per quanto straniero, a una locuzione.

    1. Questa convinzione che il termine straniero dica sempre qualcosa in più, che abbia sempre una sfumatura assente nella nostra lingua, è il motivo per cui molti preferiscono usare i forestierismi.

  57. Manca anche la terrificante “Call”, usata ormai ovunque. “Ciao, ci sentiamo dopo per una call?” – “Sono in call con un cliente” eccetera.

    Cristo, ma cosa ci vuole a dire “ti CHIAMO?” o “sono al telefono”?

    1. Forse manca perché è uno di quei termini difficilmente traducibili se non con una frase complessa. Anche qui, poi, il concetto è stato importato dal mondo anglosassone, più o meno come la privacy.

  58. manca stalking=persecuzione. Qualcuno mi spieghi perchè il codice penale italiano dovrebbe prevedere il reato di “stalking”. Forse perchè abbiamo deciso che per convenzione qui stalking deve voler dire persecuzione eterosessuale?

    1. A me pare, ma opinioni diverse sono benvenute, che persecuzione e stalking siano cose simili ma non coincidenti, cioè il termine inglese indica una forma particolarmente ossessiva di persecuzione, con modalità un po’ più definite e dettagliate. E, quando si parla di codice penale, la precisione e il dettaglio sono essenziali…

  59. La parola ” autobus ” non risulta essere straniera ma di origine latina, precisamente da ” omnibus ” sorta di carro romano che appunto serviva ” tutti “.

  60. Qui il Vocabolario Treccani su Autobus: è un prestito dal francese, ed è, appunto, un esempio di forestierismo. Che va, peraltro (l’ho detto) benissimo.
    àutobus s. m. (meno corretto autobùs) [dal fr. autobus, comp. di auto(mobile) e (omni)bus]. – Autoveicolo destinato al trasporto collettivo di persone su percorsi urbani e suburbani.

  61. Complimenti! Davvero!! Perché 300 sono un bel numero e per le integrazioni e approfondimenti suscitati.
    Direi però che “Concept, progetto, testi e selezione dei contenuti sono di Annamaria Testa” (nella pagina “Chi siamo/Contatti/Credits”) vada al più presto modificato in “Idea, progetto, testi…”

  62. Bene (notate non ho usato “ok”!), sono perfettamente d’accordo! ma alcune sostituzioni sono errate! il “web” ad esempio non è la rete! a parte che significa “ragnatela” poi è l’errore che fanno i miei studenti: Internet (con la I maiuscola, cioeè la Rete) è la struttura su cui è realizzato il Web! E ugualmente non sostituirei “workstation” e “wireless” che non significano semplicemente “stazione di lavoro” e “senza fili” ma indicano specifiche tecniche precise!

  63. Bella lista, però aggiungerei la parola che “odio” di più: briefing! Non sarebbe meglio “punto della situazione”?

    L’italiano, quando parlato bene, è meraviglioso.

  64. Nell’elenco delle parole inglesi da ‘tradurre’ in italiano leggo anche ‘AUDIT’ che invece è latina…..
    A proposito poche sanno che le automobili AUDI si chiamano così perchè il proprietario fondatore avevaun cognome (tedesco) che tradotto significava ‘ascolta’ ed era veramente brutto come marcadi automobili quindi non lo tradusse in inglese ma in latino, appunto ‘AUDIT’.
    Forse i compiaciuti possessori di una Audi A6 magari sarebbero molto meno compiaciuti nel possedere una ‘Ascolta A6’….
    Buona Pasqua a tutti

  65. Nella lista manca lo “smartphone”. Ma fatico a pensare a una traduzione veloce senza usare una espressione lunga una riga.
    E anche “tablet”, che “tavoletta” mi sa tanto da wc (appunto).
    Li consideri insostituibili?
    E manca anche “cool”, che pure tu citi nei commenti, Insomma, la lista è tutt’altro che definitiva, i prestiti sono veramente molti di più.

    1. Per «smartphone» si potrebbe adottare «telefonino/cellulare intelligente» o – meglio ancora, secondo me – «intellifonino».

      Per quanto riguarda la lista «definitiva», nell’introduzione Annamaria è stata chiarissima sul perché l’abbia chiamata così, sebbene non sia affatto «definitiva».

  66. Dai commenti sembra ignorata la causa del fenomeno che impone per ogni moda, tendenza, prodotto, etc un termine “inglese”. La questione non è di natura linguistica, lo scimmiottamento trae origine dalla servile ossessione nei confronti degli Statunitensi, di cui vengono acriticamente imitate le cose peggiori. L’ italiano si è arricchito nei secoli con l’introduzione di neologismi e l’adattamento di parole alla propria pronuncia e declinazione; solo così una lingua rimane viva. Una volta venivano italianizzati anche i nomi come Descartes, Kopernik (un eccesso), adesso usiamo ogni giorno di più la nostra lingua come misero collante fra termini estranei, storpiati nella pronuncia, dal significato non ben compreso e senza plurale.
    La parabola dei ciechi.

  67. Premetto che l’articolo è utile ed interessante. Tengo a precisare che essendo ITALIANO tendo per abitudine a utilizzare termini italiani. Trovo odioso l’utilizzo sfrenato di termini inglesi negli uffici pubblici, nel parlare quotidiano, ecc.. Oltretutto non comprendo per quale ragione non si debba rivalutare la nostra bella lingua. P.S. A conclusione inviterei a utilizzare anche termini italiani nelle finestre qui presenti. Mi sembra un controsenso con l’articolo. Grazie e Saluti

    1. Ciao Sabino.
      Ricopio quanto ho già scritto a questo proposito, ricordando ancora una volta che questa non è una battaglia talebana contro l’inglese, ma una semplice, accorata esortazione a non farsi travolgere dall’itanglese.

      Neu è fatto su un modello Worpress che non permette di cambiare alcune cose (per esempio Add a comment) se non intervenendo sul codice.

      Ma quello non è itanglese: sono definizioni inglesi automatiche in un sito italiano.

      Se ti prendi la briga di cercare nel sito, scoprirai inoltre che anch’io non mi faccio problemi nell’usare una parola inglese se mi sembra che serva. Mi faccio problemi se i termini inglesi sono dieci in un discorso di quindici parole in tutto.
      Dai, cerchiamo di capirci, eh

  68. Buongiorno Annamaria Testa.

    Ho letto il nome del sito nella galleria fotografica del Corriere.it.
    Condivido appieno lo spirito di questa proposta. Quel che mi/le domando – ed è una domanda effettiva a cui non mi pare si sia trovata risposta – riguarda l’illusione di esattezza che certe parole tratte (e maltrattate) qui nella nostra lingua inevitabilmente conservano (per un bel numero di parlanti). Mi spiego meglio con un esempio. Mettiamo di avere l’esigenza di designare nel modo più economico possibile il nome adoperato in una chat(!) dai rispettivi utenti. E mettiamo, come spesso accade, di avere la necessità di adoperare una parola in sé contestualizzante – senza che ci sia bisogno, ad esempio, di precisare: rete, chat. “Pseudonimo” ci rimanda a una moltitudine di usi e contesti diversi. “Nickname” è ormai quasi universalmente comprensibile e si riferisce nell’immediato al suo contesto. Vale anche, a esempio, per l’odiatissima “selfie” – e “autoscatto” ha inoltre almeno due significati molto diversi. Così come “gossip” (“pettegolezzo” non è abbastanza contestualizzante). Ovviamente non è una mia esigenza, questa, ma giornalisti pubblicitari frettolosi vari l’avvertono evidentemente. E ora la domanda: come è possibile risolvere la questione? La nostra lingua è a due passi dalla sterilità, rispetto all’inglese per esempio, per cause sulle quali non credo sia possibile intervenire direttamente.
    La poca conoscenza dell’inglese inoltre ci aiuta mediamente a decontestualizzare del tutto un’espressione e trasferirla (maltrattarla, appunto) nella nostra lingua.
    Insomma, è questo il problema, credo. (Purtroppo il Treccani non risolve questioni simili concernenti l’uso).

    Buona giornata.

    dm

      1. Bravi! Anzi Bravissimi!!
        Bravissima l’autrice.
        Bellissimi i commenti.
        Ho imparato più da questa chiaccherata(e non “chat”) che da tanti libri di linguistica.
        Grazie ancora.
        Virginia

  69. Bellissima iniziativa che condivido al 100%! L’ho scoperta solo adesso grazie a Corriere.it. Sono capo redattore di una rivista tecnica specializzata (dove i termini inglesi “obbligatori” sono già tanti) ed è una mia battaglia quotidiana combattere con collaboratori e uffici stampa per eliminare i termini inglesi assolutamente inutili!

  70. Complimenti! Era ora! E la lista potrebbe in effetti essere ancora più lunga (file, marketing, release – nel settore stampa). Un altro filone è quello dei verbi. Ad esempio gli orrendi: postare, forwardare, printare (!), switchare. Tutte oscenità che purtroppo in certi ambienti di lavoro si sentono. Comunque congratulazioni; sarebbe bello dare la massima diffusione a questa necessità di “pulizia linguistica”.

  71. ed il caro elaboratore elettronico lo vogliamo aggiungere? Questo amore per tutto ciò che è estero proprio non lo comprendo…. Comunque dico anche io PC, ma per fatica più che altro….
    Spero che questo articolo faccia riflettere

    1. Allora, volendo fare i pignoli, un PC è un elaboratore ma un elaboratore non è un PC. Per PC si intende, generalmente e a sproposito, lo standard PC IBM del 1981, mentre l’elaboratore include qualsiasi tipo di macchina da calcolo (dal tablet ai cassoni anni 50-60)…

  72. aggiungerei alla lista anche alcuni errori di traduzione con parole che sono puri e seplici “calchi” dell’originale, per esempio “sensibile” (da sensible, che significa sensato, tipo “obiettivo sensibile”), “rumori” (da rumours, dicerie), “assolutamente” (da absolutely, che significa certo, certamente)….

  73. Personalmente non sono contro l’uso di parole inglesi vere e proprie, soprattutto quando esprimono meglio un concetto, o sono molto più pratiche nell’utilizzo (“cheap”, “cash”, “deal”, ecc.) perchè sono corte e non dimentichiamoci che oggi la comunicazione è rapida e sintetica (sms e twitter insegnano…). Non sopporto invece l’italianizzazione di termini inglesi, come ad esempio brandizzare, buyare e simili

    1. «Cash» esprime meglio il concetto di «contanti» ed è «più pratico nell’utilizzo»? E perché mai? Perché è un monosillabo?

  74. la cosa buffa è che la maggior parte dei giornalisti che si gongola usando parole inglesi al posto di bellissime italiane, oltre 2/300 parole di inglese, e spesso pronunziate male, non conosce.
    E’ molto irritante e sintomo di un popolo che si distingue per una scarsa conoscenza della lingua internazionale per eccellenza.

  75. D’accordo sull’uso inutile dell’inglese quando esiste in italiano la parola con lo stesso significato. Nell’elenco leggo safety con il significato di sicurezza. In questo caso l’inglese dice più dell’italiano. Safety è sicurezza relativa a pericoli derivanti dall’uso di attrezzi, di veicoli o da comportamenti errati; security è la sicurezza per fatti che per comodità definisco di polizia (aggressioni, attentati etc…). Ad esempio in un aeroporto convivono problemi di safety e di security. Non mi sembra, in questo caso, che l’italiano possa sostituire appieno i due termini inglesi.

    1. Verissimo, safety e security in campo aeronautico sono due cose completamente diverse difficilmente traducibili in italiano con una parola sola. L’Agenzia Nazionale Sicurezza Volo (che di queste cose si occupa) tratta in sedi separate i problemi di safety e quelli di security, che tra l’altro vengono affrontati da enti e soggetti vari diversi.

  76. Bellissima lista! Complimenti.
    Alla traduzione del termine welfare aggiungerei “benessere” come in animal welfare= benessere animale.

  77. Non mi dà (troppo) fastidio l’uso di termini tratti da lingua straniera (inglese incluso) in italiano, bensì l’uso incompetente, a diversi livelli che esemplifico:
    1. Pronuncia improbabile. Es.: non ho mai sentito quasi nessuno dire “authority”. Di solito dicono “autòriti”.
    2. Uso inappropriato, che alla fine porta ad attribuire per molti un senso diverso da quello reale. Alcuni esempi sono presenti proprio nella lista dei 300, come sottolineato da alcuni commenti precedenti il mio.
    3. Storpiatura del nome inglese italianizzandolo in malo modo. Qui la lista è infinita (testare, plottare,forvardare, attacciare), ma la battaglia è persa in partenza se perfino il Devoto-Oli (2009) adotta “scannare” per “passare allo scanner”.

  78. Qual e’ la traduzione italiana di un altro termine che sembra mancare non solo dalla lista ma dalla lingua: ‘accountability’ (forse come ‘governance’, un concetto non ben conosciuto nella cultura italiana?)

  79. Essendo perfettamente bilingue, trovo MOLTO irritante l’uso continuo di parole in Inglese, un uso che mi pare un’affettazione assolutamente superflua.
    La ringrazio della lista, che purtroppo è tutt’altro che esaustiva, data l’inflazione dell’uso di parole inglesi, anche da parte della RAI, il che tende ad escludere un’enorme fetta della popolazione italiana: gli anziani, che spesso in Inglese capiscono a malapena “stop”…

    1. Completamente d’ accordo Aurora,
      trovo che i giornalisti televisivi e della carta stampata sono i maggiori responsabili. Più’ di una volta mi trovo costretto ad abbandonare la lettura di un articolo infarcito di spropositi del genere. Ma che soddisfazione trovano a rendersi illeggibili? Ho sempre ritenuti i francesi un poco esagerati nel loro rifiuto di termini stranieri al punto di coniarne di nuovi purché francesi. Comincio a ricredermi…

      1. Poveri Francesi! Sempre criticati per questo…dagli italiani però perché in altri paesi fanno lo stesso. Se gli inglesi hanno pensato a chiamare mouse al puntatore perché assomigliava un topino, è completamente normale che l’indomani lo si chiami così in altre lingue, souris in francese, ratón in spagnolo…sono anche sicuro che da Olivetti avevano una parola italiana per il computer prima dell’era Windows (i francesi questo o altri marchi li rispettano).

        1. Se noi esageriamo in una direzione, spesso i francesi esagerano in quella opposta, ma va bene lo stesso. Olivetti ? Sì, aveva una parola per il computer, visto che il primo calcolatore personale (bella, eh ?) l’avevano inventato loro: Programma 101….

  80. Una piccola correzione… Lo “spread” (finanza)… con cui le hanno lessate – “excuse my French” 😉 , che è il modo in cui in Inglese si dice “scusate la volgarità” – a tutta l’Italia… credo sia meglio tradurre in Italiano con “differenziale” o addirittura piú semplicemente con “differenza” (di tasso)

  81. Pattern in realtà spesso vuol dire “canovaccio”, come nel caso di pattern of behavior, linea di comportamento.

    1. Pattern, in inglese, ha una decina di traduzioni italiane, da canovaccio a schema, motivo, disegno, modello, rotta, ecc.

  82. Potremmo stilare una lista di neologismi inutili. I più brutti: processare > elaborare, schedulare > programmare, testare > sperimentare, scrollare > scorrere.
    Saluti!

    1. Chi usa in italiano scrollare per “scroll” ovviamente non ha mai allevato dei maschietti a cui ha insegnato di scrollarlo bene dopo aver fatto pipí… 😉 …nonostante il vecchio detto, da non insegnare invece, “puoi scrollare dagli Appennini alle Ande, ma l’ultima goccia rimane sempre nelle mutande”… LOL …

      1. Magari sperano che, col tempo, ai bambini spunti la rotellina come sul mouse per “scrollare” meglio… 🙂

  83. Caro Maurice sono lieto di trovare altre persone che capiscono il problema. Io propongo di favorire in tutti i modi la formazione di neologismi (all’inizio sembrano sempre sgradevoli) perché soltanto adeguandosi alle novità una lingua rimane viva. Ai dotti che disquisiscono sugli anglicismi faccio rilevare che l’americano (e non l’inglese) è divenuto legittimamente lingua internazionale non per superiorità intrinseche ma per lo strapotere militare ed economico degli Stati Uniti. E’ sempre avvenuto così. Historia docet
    Perché al posto di mouse non diciamo puntatore ? (Gli Spagnoli dicono el topo)

    1. Caro Renato, quando mi esprimo in italiano cerco sempre il termine italiano al posto di un facile sostituto inglese.

      E trovo triste che l’italiano, riflettendo la posizione politico-culturale precaria del paese, venga compromesso cosi’ facilmente dai parlanti, giornalisti, scienziati, ecc.

      A proposito, mi sembra (e’ difficile giudicare da qua) che almeno la parola ‘squadra’ sia accettata sempre di piu’ al posto di ‘team’ o ‘equipe’. ‘Puntatore’ mi piace… Gli spagnoli non si pongono tali problemi…

  84. Questa discussione mi è piaciuta tantissimo. Troppo spesso constato che troppi giornalisti ricorrono ad inutili inglesismi e, quando devono citare qualsiasi altra cosa in una lingua diversa da quella inglese, dimostrano grandissima ignoranza.
    Lo so che plus e minus sono parole latine ma, quando sento plus pronunciato plas, mi si contorcono le budella.

  85. Molto interessante. Diffonderò.

    Un commento collaterale. Guardate la lunghezza delle parole italiane, rispetto a quelle inglesi, e non solo: notate quanti monosillabi troviamo in inglese; mentre l’italiano, in fatto di sillabe, non tende per nulla al risparmio. Anzi.
    E pensate al dramma di tradurre Shakespeare in italiano. E di recitarlo, poi. Non solo per la lunghezza, la quantità di sillabe in più, ma anche per la scarsità di parole tronche a fine verso, per diversa disposizione degli accenti che rendono spesso un po’ più pomposo quel che in inglese è spesso assai asciutto e pungente, senza perdere in capacità evocativa.
    Per questo “the two hours’ traffic of our stage” del Romeo e Giulietta da noi potrebbero spesso rivelarsi una promessa menzognera…

    Un saluto

    Elio

    1. Ciao Elio.
      Che piacere incontrarti qui.

      Hai perfettamente ragione: poi, lo spettatore si lascia trasportare dalla magia della messa in scena, e non riesce neanche a immaginare il lavoro, la fatica e le mille tormentate scelte di stile, di linguaggio e di suono che stanno dietro a quel risultato.
      Ma devo aggiungere (tu non lo dici, ma io posso…) che il Teatro dell’Elfo ha saputo affrontare la sfida, a cominciare dalla indimenticabile prima edizione del Sogno di una notte di mezza estate (era il secolo scorso!).

      Credo che problemi peggiori di quelli a cui ti riferisci tocchino solo ai doppiatori, che oltretutto hanno il problema di restare in sincrono col labiale. Infatti ne esce il doppiaggese di cui parla la Treccani:
      http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/doppiaggio/Rossi.html

      Un caro saluto.

  86. E vogliamo parlare della pedagogia, settore questo totalmente dominato dalle teorie d’oltreoceano, con i meravigliosi risultati scolastici che abbiamo tutti sotto gli occhi? I brainstorming, cooperative learning, problem solving et similia? Quando la cialtronaggine linguistica è specchio fedele di quella scientifico-culturale…

  87. background= retroterra???? e chi mai nella vita ha usato la parola retroterra?? ed è uno dei mille esempi, la lista è di una banalità assoluta…

    1. Il suo retroterra culturale è diverso dal mio, probabilmente, ma le posso garantire che parola retroterra in realtà è molto usata, più di quanto lei creda. Si informi e lo scoprirà.
      Cordialmente.
      Elio

      1. Tifo per De Capitani. Sarà questione di età? Io ho 59 anni e mi è molto più naturale usare retroterra che background, nonostante il fatto che per il mio ambiente professionale mi sia capitato una quindicina di anni fa (!!!) di sentir dire da una collega “la mia cliente delivera il bambino la prossima settimana”. Ed era serissima.

        1. Ma la migliore è quella di Corrado Guzzanti, che invece di “flashback” scrive “retrolampo”… 🙂

  88. Retroterra:
    per esempio, Aldo Grasso Sul Corriere:
    “In Rai, con la lottizzazione, ogni iniziativa culturale ha quasi sempre un retroterra infelice”.
    Gian Antonio Stella Sul Corriere:
    “I numeri ricordati dal nostro Fabrizio Dragosei sul retroterra di Vladimir Putin dicono tutto.”
    Luigi Bolognini su Repubblica:
    “Coi Franz Ferdinand no, non si può: il quartetto scozzese da 10 anni esatti sforna sì canzoni pop, ma di quelle irresistibili, strutturate, e con un retroterra.”
    Domenico Rea su Repubblica:
    “La sera, dal gremito, promiscuo e spaventevole retroterra napoletano vengono a Mergellina (l’odorosa Mergoglino, cara al Sannazaro) in compagnia della ganza coscialunga, scarmigliata e ferina, a far la vita.”
    …ma anche il Corriere dello Sport:
    “Guida pulito più di tutti, tratta i pneumatici cauto come fossero dinamite, li consuma quasi niente, sbaglia poco, in corsa ascolta e dialoga tanto nei team-radio, poi abbuffandosi di punti. Con un retroterra agonistico-culturale così, è chiaro che durante la stagione le giornate buone arrivano e molte più d’una.”

  89. Brava! In quanto poliglota, e da moltissimi anni in Italia, ho sempre trovato ridicolo far invadere una bella lingua come l’italiano da questi termini. Credo da una parte sia un segno di insicurezza e dall’altra un fatto culturale, quello di fermarsi alla superficie.

    Nelle nostre aziende abbiammo addottato l’HR, il benchmarking e il resto, ma quando si tratta di lavorare in modo efficente, meritocratico e con parità tra i sessi ci spegniamo (scusate, andiamo in ‘black-out’).

    Di certo gli inglesi si fanno due risate quando se ne accorgono di quel che facciamo…se non rispettiamo noi stessi non ci dobbiamo sorprendere che non lo facciano altri!

  90. ormai i messaggi (preferito a post con un certo disagio interiore) sono talmente tanti che magari questa me la sono persa, ma l’utilizzo che facciamo in Italia della parola “feeling” (nel senso di intesa istintuale reciproca) non c’entra un tubo con il senso anglosassone del termine. Circa l’inizio cronologico dell’uso storpiato del termine non ho certezze, ma immagino di non sbagliare troppo se l’associo ai primi anni ottanta. La celebre canzone “questione di feeling”, cantata da Mina insieme a Cocciante è dell’85.

  91. un po’ in ritardo anche io posso assicurare a luca che in italiano si è sempre detto retroterra (culturale per es.),prima dell’invasione degli ultracorpi.
    Mi è capitato di sentire in un video di yoga la frase “prima facciamo un po’ di work out”.
    Ma se po’

  92. Annamaria Testa dovrebbe studiare glottologia prima di aprire la bocca. Ha, Ha, Ha!! Ha messo nella sua lista di traduzione delle parole inglese usate in italiano senza sapere che alcuni e molte sono usate male (colpo dei pubblicitari): facciamo il footing? L’inglese non ti capisce Se chiede un toast a Londra, se ti va bene ti guardano in un modo strano e ti portano un pezzo di pane tostato. Credo che si voleva fare pubblicità, in effetti é suo lavoro, ma cara, signora, fai come dice Oscar Wilde… a volte é meglio stare zitti. Domani corregerò la sua lista evidenziando le parole non di radice inglese: Boss, hotel ecc. Sia quelle tradotte male: se chiedi un parking ti guardano e non capiscono: si dice car park, Annamaria, i genitori di bambini e ragazzi italiani vogliono che loro figli parlano l’inglese allora usiamo i termini giusti and let’s spread (diffondere) English. L’inglese é la prima lingua costuita da “prestiti” perche non é una lingua pura é attraverso l’invasione e la cultura greco – romana ha creato parole come televisione OMNIBUS e non autobus, photo, e via cosi. Ha adottato forse molto più di trecento parole italiano e ha preso la radice da molte parole germaniche, latine e greche. Che vuoi? vuoi tornare alle espressioni di Mussolini? Andiamo tutti al Qui si beve, perche la sintesi e prendere in prestiti le parole stranieri non va bene? Succede in tutte le lingue e sopratutto in inglese. Poi, signora, la media delle persone italiani usano non più di 1,000 parole per esprimersi. Anyway, sono una traduttrice, interprete, insegnante e autrice di testi di lingua inglese per le scuole superiore di primo grado (YUK) e primaria. Però non le do un voto.

    1. jacqueline,
      please cool off!
      qui non si tratta di prendere in prestito parole, ma di sostituirne di già’ esistenti. E’ vero che tutte le lingue tendono a farlo ( e male), ma bambinos invece di children da un po’ sui nervi o no?

    2. Dear Jacqueline Madden:
      If your intention was to come off as an aggressive, bitter and pretentious pseudo-know-it-all, albeit one who can’t write in Italian without disseminating her lousy prose with errors and horrors, you certainly succeeded.
      In case your English is as bad as your Italian, I translate the whole thing into Italian for you, so that with the help of the little you seem to understand of both languages you might get it.

      Cara Jacqueline Madden,
      se la sua intenzione era quella di risultare aggressiva, amara e pretenziosa, ma anche una che non sa scrivere in Italiano senza disseminare nella propria pessima prosa errori e orrori, ci è senz’altro riuscita.
      Nel caso in cui il suo Inglese sia cattivo quanto il suo Italiano, le tradurrò il tutto in Italiano, in modo che col poco che capisce delle due lingua riesca a farcela.

    3. Carissima Jacqueline, in quanto esperta glottologa (!) saprai che non esiste una lingua pura al 100%. Ognuna ha, al suo interno, radici provenienti dalle culture più disparate. Quelle neolatine debbono molto al greco e, appunto, al latino, le quali, a loro volta, hanno spesso radici indoeuropee (sanscrito, indiano, ecc.). Quelle anglosassoni, come dice appunto il nome, hanno radici nordeuropee, germaniche, vichinghe e celtiche in primis. Ovviamente, poi, le evangelizzazioni cristiane e le invasioni normanne hanno introdotto molte radici latine nella lingua, accentuata dal fatto, che i termini scientifici, specie nel Medioevo, erano esclusivamente in latino, in quanto “lingua franca” per gli eruditi (più o meno quello che succede oggi con l’inglese). Qui, però, non si vuole (come peraltro ripetuto più volte) condannare gli inglesismi “tout court” (toh, un francesismo…), ma evitare una deriva che giustifichi gli eccessi e snaturi una lingua che i termini li ha di suo, senza alcuna polemica. Ma questo, ad una glottologa con la sua esperienza (!) non è di sicuro sfuggito. Quello che manca, in compenso, è un po’ di educazione e di moderazione nello scrivere. Insomma, per dirla nel suo inglese tanto caro, “first behave”.

      1. ho seguito per la prima volta questa interessante discussione :)..e aggiungo solo questo commento per concordare in toto con quanto scritto da Paolo, qui sopra, Annamaria e molte altre persone, come me, per fortuna:), un po sature, dell’abuso, non dell’utilizzo, di termini anglofoni, soprattutto quando non se ne sente proprio il bisogno, e’ diventata una moda ossessiva, soprattutto in certi contesti e per un certo tipo di utenti, non so, forse necessitano di riempire con vacua importanza qualcosa di poco definito o poco “altisonante”.. non mi e’ parso, ma forse sbaglio, manca briefing e il pessimo “briffare”..quanto lo detesto… non e’ sbagliato cio’ che fanno i francesi, tranne alcuni casi estremi, si chiama difendere una identita’ ed un patrimonio culturale.. ovvio che sia ben accetto un termine nuovo, inesistente prima, magari legato a nuove tecnologie, senza chiamarle new technology…:) comunque un saluto e buon lavoro a tutti. Ps. forse, anche se considerata non una vera lingua, avrei adottato l’esperanto come seconda lingua per tutti i paesi del mondo..almeno piu democratica. e parrebbe anche il50 percento piu semplice da apprendere ed usare. ciao

  93. Gentile Jacqueline Madden,
    temo che lei abbia completamente frainteso l’intento di questa pagina. Per dirla in termini più semplici: non ha capito quello che leggeva. O forse si è solo limitata a scorrere la lista agitando la matita rossa e blu, e ha trascurato l’introduzione.
    Se smette per un attimo di sghignazzare, provo a rispiegarle tutto quanto.

    1) questa lista NON vuole insegnare l’inglese. Non vuole correggere errori che gli italiani fanno parlando in inglese. Ci vuol altro. Magari, possono servire perfino i libri per la scuola che scrive lei: “Pixie e l’invasione delle luride lumache” dev’essere imperdibile.

    2) questa lista vuole suggerire di togliere un eccesso modaiolo di parole “inglesi” o percepite e usate come tali, (spesso sgrammaticate e spesso inutile) dai discorsi italiani.

    3) le parole a cui lei fa cenno sono “falsi anglicismi”. Vengono a tutti gli effetti percepite come parole “inglesi”dalla stragrande maggioranza dei parlanti. Per questo stanno nella lista.

    5) come mai non ho fatto una distinzione tra termini autenticamente inglesi e falsi anglicismi? Perché questo non è un saggio accademico, rivolto a un ristretto gruppo di specialisti, ma una semplice lista di corrispondenze. E perché il mio focus è sui termini italiani, benedetta signora.

    6) questo non è un discorso né contro l’inglese né contro i termini inglesi che sono considerati prestiti di necessità, come “computer” o “mouse”, anche se in spagnolo e in francese i medesimi termini, invece, sono tradotti.

    7) in un’altra pagina di NeU trova una estesa spiegazione dei vantaggi del bilinguismo: https://nuovoeutile.it/bilinguismo/, che è cosa ben diversa dall’usare parole inglesi solo perché si ignorano i corrispondenti italiani. Mussolini, mi creda, c’entra come i cavoli a merenda.

    È chiaro?
    … non ancora?

    Se l’intenzione non le fosse ancora chiara, la prego di voler cortesemente leggere quanto scrive, su questa lista (e in inglese), Michael Day dell’Independent, il quale, invece, ha capito perfettamente:
    http://www.independent.co.uk/news/world/europe/academic-speaks-out-against-italianglo–the-use-of-english-words-in-italian-language-9268397.html

    Se vuol darmi un voto, gentile signora, si accomodi pure, ma me lo dia sull’uso della lingua italiana, perché di quello stiamo parlando.
    Infine: la sua scrittura nella nostra lingua, mi creda, è migliorabile, ma ce ne facciamo una ragione. Il suo uso della punteggiatura è stravagante, ma immagino che derivi dalla frenesia didattica, e magari da qualche risata di troppo. Risultano invece piuttosto sgradevoli la sicumera e il tono di voce. Ma su quelli, temo, c’è poco da fare.

    1. ineccepibile, specie il punto 2, ps, mi autocorreggo, anglicismi, piuttosto che anglofonie…ho scritto male nel primo commento..pazienza..saluti

  94. E’ semplicemente patetica la spocchia degli Inglesi nell’attribuire al fascino della loro cacofonica lingua il successo internazionale. Ribadisco che la lingua internazionale è l’americano , sostituitosi al francese in conseguenza dell’affermazione come super potenza degli Stati Uniti. In Italia il fenomeno linguistico è solo una conseguenza della servile ossessione imitativa rivolta a tutti i modi di vita americani.

  95. Secondo me Jacqueline Madden si è semplicemente svegliata male e se l’è presa con il primo che le è capitato a tiro…. portiamo pazienza…

  96. Mi scuso se ci sono già stati commenti su questo tema, purtroppo il limite di queste discussioni è la difficoltà di leggere tutti i commenti. In ogni caso. Dirigo una delle prime e più note scuole di counselling italiane, l’Istituto CHANGE di Torino, e la questione della traduzione italiana del termine counseling ( o counselling) la abbiamo affrontata più volte: i termini proposti non sono adeguati, a meno di usarli tutti contemporaneamente. Ci sono poi la italianissime questioni di confini professionali, se usassimo il termine “terapia” avremmo l’Ordine degli Psicologi sul piede di guerra ancor più di quanto già accada. E il counselling NON E’ una terapia. Neanche assistenza. Nel significato che ha assunto in Italia indica un intervento di carattere non psicologico, di affiancamento, facilitazione nella soluzione di problemi (notare, non ho detto problem solving… 😉 ), supporto in situazioni difficili di ogni tipo: abbiamo counsellor che affiancano i genitori di bambini in Terapia Intensiva, le
    persone nel fine vita, i malati che devono decidere sul loro percorso terapeutico; le persone che hanno perso il lavoro, i ragazzini bullizzati. Lavorano insieme a medici e infermieri, insegnanti e educatori, svolgono un intervento basato sulla parola forse più vicino a un intervento pedagogico, di valorizzazione delle risorse naturali delle persone che non è nè terapia nè assistenza. Dobbiamo tenerci “counselling”… Per il resto, grazie del bellissimo lavoro, che condividerò con amici e colleghi.

    1. Gentile Silvana,
      non capisco come “assistenza o supporto psicologico” non possano andar bene… si capisce quel che vogliono dire, mentre se , puta caso, mi rivolgo a mio padre ultraottantenne con gli inizi di demenza senile per dirgli che potrebbe trarre beneficio da del counselling mi aspetto una bocca aperta!
      Non c’e’ dubbio, credo, che se la categoria vuole apparire importante un richiamo alla professionalita’ anglosassone non guasta (mica colpa vostra beninteso, e’ il mondo in cui viviamo.)
      Spero di non apparire scortese..

      1. Forse per la stessa ragione per cui in Vaticano hanno smesso di usare “vehiculus birota ignifero lactice motus” per dire “motocicletta” e in Italiano usiamo “moto”?
        Se uno deve usare una frase per dire una parola, che senso ha nell’economia di una lingua e nel risparmio di fiato? 😉

        1. Però, dire alla moglie “Cara, vado a fare un giro in vehiculus birota ignifero lactice motus”… meraviglioso… 🙂

    2. Ciao Silvana. Grazie per l’apprezzamento! Mi rendo conto dei problemi, anche normativi, e conosco l’Istituto Change.

      In effetti la parola “counseling/counselling” (una grafia è inglese, l’altra è americana) sembra ormai radicata, anche se una breve ricerca online mi fa intendere che spagnoli e francesi usino anche dei termini alternativi nelle lingue nazionali: “conseil, orientation, aide” i francesi, “asesoramiento e consejo” gli spagnoli.

  97. vorrei aggiungere “in” e il suo contraro “out”, per significare qualcosa che si confà o non si confà ad una certa situazione: traducibili con “adeguato” e “inadeguato”?
    Poi c’é “cool”, traducibile con “figo”? mi piace poco però…

    1. E c’è pure da stare attenti: se a Milano dici a qualcuno che è “cool” (pronunciato cul), rischi un cazzotto sui denti… 🙂

  98. IN E OUT
    Dalla rubrica “Si dice o non si dice?” del Corriere della Sera:

    “In vuol dire in: nella lingua inglese come nell’italiano. E come in latino. Nessuno s’era mai sognato di dire in per significare di moda, in voga, finché un giorno non ci si accorse che gli inglesi lo usano anche con questo significato: per loro in è preposizione (in), avverbio (dentro), aggettivo (di moda) e persino sostantivo (persona famosa). Ed ecco che ora anche noi usiamo l’espressione “essere in” per dire essere di moda, essere d’attualità o anche essere aggiornati, essere alla moda. È l’irresistibile forza del meticciato linguistico… E sarebbe? Avete ragione, a volte ci si mettono anche i linguisti ad inventare parole difficili. Per parlare chiaramente, sarebbe l’incrocio, la contaminazione, la mescolanza fra le lingue.

    Il contrario di in è out, che pure gli inglesi usano come preposizione (fuori da), avverbio (fuori, lontano), aggettivo (antiquato, superato, tagliato fuori), sostantivo (scappatoia, omissione), e persino verbo: to out (estromettere). E naturalmente noi non ci lasciamo scappare l’occasione di dire “la cravatta è out”, “i viaggi in Kenia sono out”, “le feste in maschera sono out”. È un modo per sentirci in.”

  99. Complimenti per l’iniziativa: davvero lodevole. Mi pare di non aver trovato nella lista l’antipatico “stage” (spesso proninciato alla francese) utilizzato al posto del nostro “tirocinio”. Evviva l’italiano!!!

  100. Concordo in pieno sulla necessità di evitare tanti forestierismi inutili usati solo per pigrizia o per snobismo. A proposito, snob non è un forestierismo (o barbarismo) ma un latinismo, essendo l’acronimo dell’espressione sine nobilitate. Dai trecento lemmi indicati io tuttavia ne escluderei alcuni, in quanto storicamente acquisiti in maniera radicata nell’uso corrente. Eccoli: band, budget, clown, comfort, fan, gang, hotel, o.k., poster, record, sandwich, scoop, sexy, shock, sprint, test, week end. Per tutti i restanti pienamente d’accordo, anzi se ne potrebbero trovare ancora altri.

    1. Gentile Guido,
      questo è quanto, di “snob”, dice il Vocabolario Treccani:
      snob ‹snòb› s. ingl. [parola che significava in origine «cittadino di basso ceto» e nell’ingl. dialettale «ciabattino», assunta nel gergo studentesco inglese per indicare una persona estranea all’ambiente, passata quindi a significare «persona non fine, non adeguata a un ambiente colto e raffinato», e diffusa in Europa dal romanzo The book of snobs (1848) di W. Thackeray; è priva di fondamento l’opinione, molto diffusa, che sia un’abbreviazione della locuz. lat. s(ine) nob(ilitate) «senza nobiltà»] (pl. snobs ‹snòb∫›), usata in ital. come s. m. e f. e agg.

      1. Resta però il fatto che l’etimologia è incerta e tanto meno quella indicata da Treccani è suffragata da elementi di certezza. Peraltro le convinzioni popolari, anche se errate, racchiudono un fascino coinvolgente.

          1. Chiedo scusa, non mi ero accorto di avere riaperto una discussione già fatta, perché non avevo letto tutti i commenti precedenti.

      2. A me sembra che in italiano si sia prodotta una traslazione di senso del termine “snob”: da persona estranea all’ambiente e poi non fine e non adeguata ad un ambiente raffinato siamo passati a indicare con questo termine chi giudica altri in tal guisa sulla base di valutazioni un po’ classiste. Il significato di “scimmiottamento” di modi creduti caratteristici di classi “più elevate” (Treccani: Chi ammira e imita ciò che è o crede sia caratteristico o distintivo di ambienti più elevati; chi ostenta modi aristocratici, raffinati, eccentrici, e talora di altezza, superiorità) a mio modo di vedere è andato perduto, tanto che sovente in italiano utilizziamo il termine proprio in riferimento ad ambienti aristocratici o a classi presuntamente elevate in termini sociali ed economici.

  101. Per Massimo D’Accorti: l’uso del termine counselling non nasce dal tentativo di darsi importanza con una parola anglosassone, ma dalla normativa italiana sulle professioni: non si può definire psicologico un intervento fatto da persone che non sono iscritte all’albo degli psicologi, e il counselling è un intervento svolto da infermieri, medici, educatori, oltre che da professionisti specificamente formati, con corsi triennali riconosciuti dalla normativa europea, alla professione di counsellor, denominata così in tutta Europa.

  102. Dear Blog,
    non so bene come ci si possa inserire in un dialogo così complesso e articolato senza disporre di una whiteboard o di una connessione wifi, come è il mio caso quando mi reco sul posto di lavoro in una delle oltre trecentomila classi della scuola italiana.
    Sono un insegnante – I’m a teacher – che, come la stragrande maggioranza dei suoi analoghi, non ha la L.I.M. in classe (Lavagna Interattiva Multimediale – raro esempio di acronimo nella nostra lingua scolastica) e che quindi potrebbe essere considerato “out” dai media che discettano di sistemi formativi e di “didattica digitale” e/o di “digital native”. Possiedo un telefonino che non è “smart” e il mio pc sembrerebbe funzionare a carbone se confrontato con quelli che vedo nelle pubblicità (si chiamano ancora così i consigli per gli acquisti?). Sarà perché mi pagano poco e nella scuola e per la scuola si scomodano solo parole e zero fatti? Ai posters… l’ardua sentenza… direbbe qualcuno.
    Mi domando quale sia la mia “mission”: educare o istruire? Compulsando la lista delle definitive trecento parole non riscontro tra le medesime, purtroppo, il termine education – il cui traducente nell’idioma nazionale è istruzione e non educazione. Mi rimane quindi il dubbio che il nostro ministero si chiami impropriamente Ministero della (Pubblica) Istruzione, anziché Ministero dell’Educazione.
    La differenza non è banale e tocca il presente e il futuro di decine di milioni di famiglie e oltre sette milioni di studenti, nonché quasi un milione di dipendenti del sistema di istruzione sia docenti, sia personale ATA.
    Caro Blog, é noto che la nostra lingua è quella che ha maggiori prestiti dall’idioma anglosassone (in tutte le sue varianti) e, quindi, perché education ti è rimasto nella penna?
    Tu gust is better ten uan? E’ questo che vogliamo?

    1. Caro Michele,
      “education” è rimasto – come dici tu, nella penna, ma forse sarebbe meglio dire tra dita e tastiera – perché non fa parte dell’itanglese corrente.
      E perché questo post riguarda appunto l’itanglese: tema che già di suo, come vedi dalla quantità di commenti, è ampio e controverso.
      Immagino e voglio augurarmi che né a te ne ai tuoi colleghi capiti di dire “la mia mission è l’education degli studenti”.

      Inoltre. Un paio di clic mi dicono che:
      – la denominazione “Ministero della Pubblica Istruzione” risale ai tempi del governo Cavour. Insomma, siamo nell’Italia postunitaria che parlava più dialetto che italiano, l’itanglese non era certo un problema, dubito che ai tempi si sia guardato al nome della corrispondente pubblica istituzione inglese (peraltro, non ho idea di come si chiamasse) e invece ho la sensazione che, sempre ai tempi, l’idea fosse che la scuola deve “istruire”.

      – la denominazione viene cambiata nel 1929, sotto il fascismo, in “Ministero dell’Educazione Nazionale” e torna a essere quella originaria nel 1944. Scelta intesa, immagino, anche a rimarcare una differenza.
      L’art 33 e l’art. 34 della Costituzione impiegano il termine “istruzione”.

      Insomma: l’itanglese non c’entra per nulla.

      Su scuola ed educazione, invece, se vuoi, trovi su NeU diversi articol. Per esempio:
      https://nuovoeutile.it/quanto-deve-cambiare-la-scuola-del-duemila/

      https://nuovoeutile.it/novantacinque-tesi-sulla-scuola/

      Ma, ripeto, su questa pagina il tema è un altro.

  103. Oggi un cliente americano, italianissimo ma residente a New York da oltre 40 anni, mi ha chiesto la “scanalizzazione” di un documento. Neologismo a parte, non è fantastico ? Altro aneddoto: conferenza alla mia università, facoltà di Economia a metà anni 80, dove l’angloitaliano se non è nato lì, si è riprodotto abbondantemente, tra yuppies e computers. Arrivò un relatore se non ricordo male di Stanford, che parlava un bellissimo italiano, e mentre i suoi colleghi italiani si riempivano la bocca con le “slides”, disse ” … e adesso vi faccio vedere un llllucido …” (si, c’era ancora la lavagna luminosa, nell’era pre-computer / Powerpoint).

  104. Io non mi meraviglierei dell’uso di vocaboli inglesi. La lingua inglese, a differenza di quella italiana, è povera di vocaboli, ma per questo più sintetica e razionale. Da noi talvolta per tradurre una parola è necessaria una circonlocuzione ( es. Imput ) che allunga inutilmente il… succo, specie ove ci si voglia fare intendere in fretta. Inoltre questa abitudine che si estende sempre più è frutto di quel globalismo, al quale non possiamo sottrarci, che sta invadendo tutti i settori, e quindi anche la nostra lingua. Lasciamo l’italiano puro agli scrittori. Queste critiche mi riportano a periodi ormai tramontati ( fascismo).

    1. Io lascio volentieri a Lei il piacere di usare parole sublimi, sintetiche e razianoli come «food», «mission», «biker», «austerity» e compagnia bella.

      E poi non potremmo smetterla di tirare in ballo il fascismo ogni volta che qualcuno fa luce sull’uso spropositato (e ingiustificato) di forestierismi?

      1. No, in effetti non è ancora stato tirato
        in ballo tutto: mancano i riferimenti a
        PIAZZALE LORETO, ossia il posto dove sono
        stato “invitato” da alcuni utenti di un altro
        sito soltanto perché avevo osato tentare una
        timidissima difesa della nostra lingua.

      2. Il fascismo, come in tante altre cose, ha esagerato non poco in questa “ripulitura etnica” della lingua, arrivando a voler italianizzare persino i cognomi. Ma gli estremismi sono sempre sbagliati, sia in un senso che nell’altro.

    2. concordo con tutte le repliche, al commento, una cosa insopportabile che constato sempre di piu e’ l’omologazione sotto forma di anatema per chiunque difenda una posizione oppure un concetto. Allora si e’ fascista, o ista in qualche maniera… che cosa insopportabile gli ismi, servono a dileggiare, ghettizzare e schernire chiunque, spesso con meno amplificatori mediatici di chi ne fa uso strumentale, provi a dire qualcosa di non allineato. Lasciamo l’italiano puro a tutti, invece, visto che si e’ ormai dimenticato, quando mi accorgo come scrivono i giovani oggi tra ashtag e quant’altro viene un senso di nausea, eppure non appartengo ad una generazione tanto distante…
      O forse si…

  105. Gentile Giuseppe,
    – la lingua inglese è più ricca di vocaboli di quella italiana:
    615.000 parole (Oxford English Dictionary) contro 270.000 circa. Ma le nostre parole prendono più forme (e arriviamo a circa 2 milioni di termini. Se vuole approfondire, guardi qui:
    http://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/domande_e_risposte/varie/varie_026.html

    L’inglese è più veloce? Se lei fa una prova col cronometro, si accorgerà che l’itanglese le fa risparmiare pochi decimi di secondo per ogni frase. In compenso, le fa perdere precisione, e accresce il rischio di fraintendimenti (e, per via dei falsi anglicismi, perfino di fraintendimenti con chi è di madrelingua inglese: provi a dire a un inglese di mettere la macchina nel box…).

    Credo che in un mondo globalizzato sia importante parlare discretamente, e possibilmente bene, almeno un’altra lingua oltre alla propria lingua materna.

    Credo che molte parole inglesi siano ormai irrinunciabili.

    Tuttavia, mescolare maldestramente e inutilmente (troppi) termini inglesi coi termini italiani nello stesso discorso significa parlare (male) in entrambe le lingue.

    1. Bravissima Annamaria!
      Quest’idiozia della povertà di vocaboli, non di forme degli stessi, dell’Inglese rispetto all’Italiano, continuamente ripetuta in Italia, mi fa andare in bestia. È frutto dello sciovinismo provinciale italo-centrico piú totale e dell’ignoranza spesso di ogni altra cultura, ma specialmente quella anglo-sassone, che porta troppi Italiani a dare pretenziosamente degli ignoranti agli Americani.

  106. Gent.ma Dott.ssa Testa i miei più sentiti complimenti per il suo lavoro,ma temo che sia del tutto inutile e sprecato.
    Gli italiani a dispetto di qualsiasi regola grammaticale e di buon senso continueranno imperterriti a usare e parlare l’itanglese,sempre di più, con nuovi termini e soprattutto con nuovi strafalcioni.
    Non è una questione linguistica o di regole, l’Italia è probabilmente l’unico paese al mondo che potrebbe far parte del Commonwealth britannico pur non essendo mai stata una colonia inglese,gli italiani infatti per dialogare tra di loro usano termini inglesi,
    anche se esiste il corrispondente in italiano,
    forse si sentono più intelligenti o
    acculturati, non so, ma è cultura innanzitutto la lingua del proprio paese,concordo dunque con Dacia Maraini che definisce l’inflazione di intanglese ” uno stupido e sciocco servilismo” , non ho alcun dubbio quindi che la lista da lei predisposta non servirà a nulla,si continuerà comunque a preferire il termine inglese rispetto al corrispondente italiano sempre di più.
    C’è stato un periodo che quasi ero arrabbiato
    per questo, adesso invece mi diverto , l’altro giorno ad esempio ho chiesto a un titolare di una ditta di ingrosso alimentari se per caso hanno sedi e/o uffici all’estero, mi ha risposto di no, e io allora ho chiesto ” scusi ma allora visto che commercia solo in Italia perchè sui furgoni della sua ditta non fa scrivere alimenti & bevande anzichè food & beverage?” , mi ha guardato con un certo stupore e se ne è andato senza degnarmi di una risposta,probabilmente avrà pensato che lo stupido ero io… 😀
    Del resto non bisogna stupirsi,il pesce come si dice puzza dalla testa, se politici e ministri ad esempio parlano di Job Act e non di riforma del lavoro, o giornalisti e conduttori televisivi che dissertano di
    trasmissioni di gardening e cooking anziché
    giardinaggio e cucina , non ci si può meravigliare se l’italiano medio segue il loro esempio.
    Per non parlare poi dei giornalisti sportivi i quali anziché dei fuoriclasse , si ostinano a proporre per la mia squadra del cuore dei “top player” , che poi alla prova dei fatti si rivelano dei ” bottom player” e così via..
    L’ultima trovata dei giornalisti sportivi Rai è quella delle scritte in sovraimpressione in
    inglese nelle principali manifestazioni ciclistiche e non solo, così al giro d’Italia anzichè testa della corsa vedi scritto head of the race (Sic!), chissà perchè invece nelle altre grandi manifestazioni ciclistiche in Europa,tipo la Vuelta in Spagna , oppure il tour de France le scritte sono nella lingua madre tipo “tête de la course”.
    In conclusione mi permetta di farle osservare che ad esempio la parola “computer” non è un forastierismo insostituibile, in Francia per esempio computer non esiste , si chiama “ordinateur”,anzi in Francia per esempio è vietato per legge inserire termini stranieri in atti e documenti, ma stiamo parlando di una nazione che a differenza dell’Italia, ha l’orgoglio e la coscienza della propria cultura e grandezza.
    La ringrazio per lo spazio e l’ospitalità.

    1. Gentile Biagio,
      l’interesse stesso suscitato da questo articolo mi fa capire quanto l’argomento sia sentito.
      Le lingue sono mutevoli, vive, e un cambiamento della sensibilità linguistica nazionale può, secondo me, verificarsi anche a partire da una somma di tanti, ma tanti, piccoli cambiamenti nella sensibilità linguistica individuale.
      A questa pagina trova un primo bilancio di questa esperienza:
      https://nuovoeutile.it/parole-italiane-e-inglesi/

      Come ho già scritto, non credo nel protezionismo linguistico, e non mi scandalizza l’importazione di parole inglesi. Però l’itanglese è davvero un po’ troppo.

      Ma se ciascuno di noi comincia, parlando o scrivendo, a prestare un po’ più di attenzione a quel che dice, la somma delle attenzioni può fare poi, ne sono certa, una grande differenza.

  107. Da copywriter, trovo interessante questa riflessione sulle parole che usiamo e condivido l’approccio non talebano, l’unico capace di evitare il rischio di cadere nel provincialismo.
    Di fronte all’uso smodato di termini inglesi, a me viene spontaneo prima di tutto chiedermi il perché. E la risposta che mi do è che fa figo, non c’è niente da fare. La pubblicità non è l’unico mestiere in cui, quando si parla, si sta costantemente su una linea: da una parte c’è la sostanza vera delle cose, dall’altra c’è la necessità di fare un po’ di scena. Se uno dice “break even”, la sua immagine come dirigente risplende di cose meravigliose: esperienza all’estero, lettura dei quotidiani economici che contano etc. Se invece uno dice “pareggio di bilancio”, ecco sorgere dietro di lui lo spettro di un grigio funzionario statale, o quello del contabile di una piccola azienda (o magari di un servizio del tg su vere o presunte sudditanze all’Europa…). Quindi, se fa figo e magari fa anche l’effetto “latinorum”, che, Manzoni insegna, non guasta mai, e se l’unico effetto negativo è irritare gli amanti della lingua italiana, perché mai non si dovrebbe dire “break even”? E subito dopo infilare altri due o tre termini di quelli “giusti”? Perché no? Insomma, è così che gira, in quest’epoca, il vento della moda. L’importante è saperlo.

  108. Chiarissima Professoressa,
    A mio parere quando qualcuno utilizza in qualsiasi lingua una parole straniera, preferendola a una parola già esistente, un motivo comunque ci sarà. Questo vuole dire che la parola straniera contiene in sé qualcosa che manca (o è percepito di mancare) nell’eventuale equivalente, anche se in molti casi questo ‘qualcosa’ può essere tutt’altro che ovvio. Detto questo, a me sembra che le parole nel suo elenco possano essere divise in diverse categorie.
    1. Parole dove il ‘valore aggiunto’ non è evidente; in questi casi sembra facile trovare un’equivalente italiana, ma sarebbe comunque interessante sapere perché la parole inglese viene preferita.
    2. Parole dove le eventuali equivalenti suscitano qualche dubbio. Per esempio, ‘spread’ è forse una bruttissima parola, ma è utile perché riferisce non a qualsiasi scarto, ma a uno scarto molto particolare. Le eventuali equivalenti per ‘gangster’ sono o troppo generali (un certo imprenditore e raccontatore di barzellette è un criminale, ma mica un gangster) o troppo specifiche (tutti i mafiosi sono dei gangster, ma no tutti i gangster sono dei mafiosi). ‘Low cost’ riferisce non solo a prezzi bassi (un volo su una aerolinea low cost può essere più costoso di un volo su una aerolinea ‘normale’), ma anche a un certo livello di (non-)servizio; perciò il termine inglese è no-frills.
    3. La categoria la più interessante per me è quella di ‘badge’, ‘evergreen’, ‘happy end(ing)’ ‘outlet’,’parking’, ‘showman’ e ‘speaker’ (=annunciatore) e altri. Questi sono termini internazionali che fanno parte di un codice globale (o pan-europeo); come hanno già indicato altri commentatori, nello stesso inglese queste parole spesso hanno un significato diverso. In molti casi forse si può trovare un’equivalente italiana, ma no so se ne vale la pena: forse è meglio rimanere nel comune spazio linguistico europeo.
    Finalmente ci sono quelle parole che hanno niente o ben poco da fare con l’inglese: ‘escort’, ‘feeling’, ticket’, ‘wellness’. Sono contento di regolarvi queste parole (se le volete)! Forse in cambio dell’orribile ‘anglosassone’.

    1. Gentile John Dunn,
      grazie per il commento, e anche per la categorizzazione accurata.

      In realtà, il linguaggio è una macchina complessa, e qualsiasi parola acquista o perde significati secondo l’uso e la consuetudine, e acquista (o perde) senso secondo il contesto in cui viene adoperata e perfino, parlando, in relazione al tono di voce con cui viene pronunciata.

      Quella che ho proposto non è certo una lista di prescrizioni. Piuttosto, un elenco (tutt’altro che esaustivo) di possibilità espressive un più, spesso trascurate per pigrizia o conformismo, a volte dimenticate per distrazione. La possibilità, insomma, di stare attenti anche alle sfumature che esistono, per esempio, tra gangster, criminale, malvivente, bandito, farabutto, delinquente, fuorilegge, malfattore, scellerato, brigante, canaglia, furfante, mascalzone, filibustiere, malandrino, manigoldo, lestofante (…per questioni di spazio non le ho elencate tutte).

      Mi premeva, soprattutto, accendere un po’ d’attenzione sul tema e suscitare una discussione. Poi, ciascuno farà, ovviamente, le sue scelte di stile.

      Una curiosità: quali alternative propone per “anglosassone”?

      1. Gentile Professoressa,

        Grazie per la sua risposta. Magari è inevitabile che il punto di vista di qualcuno che sta ‘dentro la lingua’ e quello di un osservatore esterno non saranno uguali Per me i processi della globalizzazione linguistica sono molto interessanti, ma anche molto complicati. Direi solo che là dove lei vede la pigrizia, io invece vedo una creatività linguistica, che spesso viene sottovalutata dai madrelingua. Ma alcuni casi possono suscitare perplessità: abito a Bologna, dove nel dialetto locale un vigile urbano è un puliṡmàn; pigrizia o creatività??

        Anglosassone: non mi sento in grado di proporre nuovi termini per la lingua italiana, però posso spiegarle perché la parola non mi piace.
        1. È inesatto: io conosco uno solo paese anglosassone, la cui esistenza fu terminata nel anno 1066, e mi sfugge il senso in cui paesi moderni come il Regno Unito o gli Stati Uniti con le loro popolazioni di origini diversissimi sarebbero ‘anglosassoni’.
        2. Serve per unificare le cose che vanno differenziate. Si parla spesso di ‘un sistema universitario del paesi anglosassoni’. Ma quale sistema, quando nel solo Regno Unito ce ne sono ben quattro(!), tutti diversi tra loro e tutti diversi dai vari sistemi che esistono nei paesi nordamericani?

        Che fare? Non lo so, ma per certi casi generali esiste la parole ‘anglofono’; in altre situazioni forse sarebbe meglio concretizzare i paesi di cui si tratta. E facendo così forse si scoprirà che in molti casi ‘anglosassone’ non è che un sinonimo per ‘statunitense’.

        1. In primo luogo, vorrei far notare la differenza di tono e contenuti di questo intervento e di quello, più sopra, di Jacqueline Madden: a quanto pare, classe ed educazione esistono ancora.
          Quanto al termine “anglosassone”, vorrei dire un paio di cose:
          – Il “paese” anglosassone di cui parla, presumo, sia quello precedente alle invasioni normanne, ma già a quel punto era mezzo “contaminato” dal latino degli evangelizzatori cristiani.
          – Angli e sassoni erano due nazioni germaniche le quali, unitamente ai vichinghi e ai celti, hanno creato lo scheletro di base della grammatica della lingua. E’ la struttura grammaticale a dare a definizione, non tanto i vocaboli.
          – Detto ciò, è facile passare al concetto seguente: una cultura e una civiltà che si è diffusa in mezzo mondo (il termine Commonwealth dice niente ?) si è portata dietro un corpus legislativo e organizzativo specifico di quella cultura, come ad esempio la Common Law in contrapposizione al Diritto Romano.
          Quando si parla di “anglofono” si parla della lingua, quando si parla di “anglosassone” si parla NON SOLO della lingua, ma anche di molto altro.
          Per dirla in inglese, “my two cents…”

  109. Articolo molto interessante.

    Jobs act: per qualche ragione pochi sembrano sapere che Jobs sta per :

    Jumpstart Our Business Startup

      1. “Jobs Act: le misure per riformare il mercato del lavoro e il sistema delle tutele”
        http://www.lavoro.gov.it/Priorita/Pages/2014_03_12-Jobs-act.aspx

        L’articolo di Linkinesta risale a gennaio e non tiene conto delle informazioni pubblicate dal ministero del lavoro il mese scorso da cui si evince che non c’è alcun collegamento al JOBS Act americano che riguarda invece il finanziamento delle piccole imprese (“JOBS Act is a law intended to encourage funding of United States small businesses”. http://en.wikipedia.org/wiki/Jumpstart_Our_Business_Startups_Act ).

    1. Potrebbe fornire una fonte?
      Secondo, se così fosse, dovrebbe essere scritto in maiuscolo (o maiuscoletto), dato che oltretutto ha a che fare col mondo del lavoro («job»). Forse è per questo che «per qualche ragione pochi sembrano [non] saper[lo]».
      Terzo, se così fosse, la situazione sarebbe ancora più grave e sconcertante.

  110. Complimenti per questo articolo molto interessante che ha dato vita a questa spendida discussione.
    Noto che se da una parte ci sono coloro che si indignano (a mio avviso giustamente) per l’uso eccessivo di parole inglesi, ci sono altri che pensano che faccia parte del fisiologico evolversi di una lingua.
    A mio parere, il problema e’ esattamente l’opposto. Ovvero il problema e’ l’incapacita’ della lingua italiana di evolversi, di creare neologismi, di rispecchiare i cambiamenti, in particolar modo tecnologici, che avvengono nel mondo.
    Per pigrizia, per esterofilia e per scarso orgoglio nazionale si adottano parole straniere invece che crearne di nuove.
    Poi, certamente, si adottano parole straniere anche quando si potrebbero benissimo usare equivalenti parole italiane. Credo che questo sia dovuto al fatto che l’equivalente inglese viene recepito come piu’ “moderno”, “fico”, ecc.
    Credo che sia una questione culturale, che ha radici risalenti almeno al dopoguerra (Tu vo’ fa’ l’Americano).
    Come altri commentatori hanno fatto notare, altre lingue simili alla nostra (tipo francese o spagnolo) o anche diverse dalla nostra (scandinave) reagisono a questa colonizzazione culturale in modo assai diverso. Cio’ dara’ loro modo di evolversi e non di scomparire, come purtroppo credo sia destinata la nostra lingua.

    Grazie dell’attenzione.
    (PS: chiedo scusa per l’apostrofo al posto degli accenti ma scrivo dall’estero con una tastiera senza lettere accentate)

    1. Mi chiedo perche’ titoli di questo genere per esempio (‘Backstage Trap, portoghese flop e confonde il bimbo dello spot’) rifiniscono sui piu’ prestigiosi quotidiani italiani. Quelli che sostengono di lasciare la lingua all’uso corrente dei parlanti e non cercare di interferire inutilmente non capiscono che gli italofoni molti termini inglesi non li conoscerebbero nemmeno, tanto mai userebbero (anche se mi rendo conto che ‘flop’ e ‘spot’ hanno acquistato un alto grado di diffusione ormai) se non fosse per quei giornalisti indolenti e incompetenti che nella furia delle scadenze di pubblicazione trovano molto piu’ facile attingere direttamente dagli articoli forniti dalle fonti mediatiche anglosassoni per le notizie che ‘scrivono’ senza curarsi di tradurre o cercare il termine italiano idoneo. Cosi’ poi, in modo artificiale, questi termini a dilagare, in modo storpiato, nei vocabolari di parlanti che magari conoscono la loro lingua a malapena e pensano che le parole inglesi conferiscano loro una disinvoltura nell’esprimersi che altrimenti non avrebbero. E che infatti non hanno. Grazie giornalisti!

  111. Alla lista manca il “Mister”, che fa ridere i polli inglesi quando usato dagli italiani per indicare l’allenatore di calcio. E non mi si racconti la favola di William Garbutt… E manca “spider” usato per le decapottabili… che gli anglofoni chiamano “convertible”… E che dire delle parole francesi pronunciate all’inglese ma che, allora significano altro? Per esempio “stage”, in francese significa quello che i più pensano, in inglese diventa il palcoscenico… (Per non parlare in genere degli accenti sistematicamente sbagliati, ad esempio su “management” (messo sulla seconda a, invece che sulla prima) o su “performance” (gli italiani lo pongono sulla prima e, gli inglesi sulla o e i francesi sulla a, ha, ha).

  112. I commenti alla encomiabile iniziativa della prof.ssa Testa fanno emergere un quadro, a mio avviso, desolante:
    1) Non c’è (fatta salva qualche eccezione) la percezione della gravità del problema costituito dall’ingresso di svariate centinaia di termini anglofoni , essenzialmente per l’imposizione dei media nazionali, dei messaggi pubblicitarie e addirittura dello Stato nella promulgazione delle leggi. Non desta preoccupazione neppure la tendenza, cioè la evidente accelerazione di un fenomeno che appare inarrestabile. 2) I commenti sensati, che mostrano almeno fastidio e imbarazzo, sono in minoranza. 3) Prevalgono le sterili disquisizioni di chi vuole soltanto fare sfoggio della propria erudizione linguistica. 4) C’è addirittura chi teme di perdere il potere di mettere in soggezione gli altri ” sparando” qualche espressione americana e non accetta inviti alla moderazione. 5) Come far comprendere ai più che fare paragoni tra le lingue per creare gerarchie che inducano a rinunciare alla propria è ridicolo? Ogni popolo degno di questo nome si esprime in modi adeguati alla propria cultura, sensibilità e tradizione. 6) La lingua è una cosa viva, se non si evolve creando continuamente nel proprio seno appropriati neologismi, muore. Sono tanti gli idiomi che non rinnovandosi sono diventati lingue morte e si son perduti. Questo non a seguito di paragoni di efficienza con altre lingue, ma a causa di colonizzazioni più o meno brutali (Etruschi, Galli, Daci, Nativi d’America, etc, etc). Evidentemente noi portiamo il peso delle passate dominazioni e abbiamo ancora la voluttà di sentirci colonia.

  113. L’italiano rischia di diventare una lingua morta non solo per il dissennato uso di forestierismi o barbarismi, ma altresì per lo scorretto uso della grammatica. Due casi su tutti, nati al nord e poi diffusi per contagio in tutta la penisola, mi provocano la proverbiale orticaria. L’uso della congiunzione “piuttosto che” con funzione alternativa o disgiuntiva anziché comparativa e l’omissione dell’articolo davanti alla locuzione “settimana prossima”. L’effetto contagio è deleterio e irreversibile, considerato che questo modo scorrettissimo di parlare viene sistematicamente omologato dai media (da pronunciare MEDIA e non midia) per bocca di giornalisti e persone di cultura superiore. Temo che questa sia un’altra battaglia persa.

    1. Purtroppo è così, caro amico. L’uso nella lingua tende a prevalere sulla regola, il parlato sullo scritto, il sermo cotidianus sulla lingua colta, specie quando viene meno un’intermediazione culturale degna di questo nome. Fu così per il latino, è così per le lingue vive: un processo inarrestabile. Il che non sarebbe un problema, se fosse limitato all’ambito puramente ‘acustico’, ma lo è nel momento in cui genera fenomeni di analfabetismo di ritorno e, in stretta correlazione, di atrofia mentale e intellettuale. Sì perché parola e ragionamento (logos) sono strettamente interconnessi: povertà, aridità, sciatteria linguistica hanno immmediate equivalenze a livello cerebrale, cognitivo, riflessivo.
      Un popolo pessimo nell’esprimersi e ancor più nel ragionare, a partire dalle sue classi cosiddette intellettuali e dirigenti…

  114. Aggiungerei anche l’orribile “crafter” che usano certi creativi per darsi un’aria internazionale. E dire che in Italiano esiste la parola Artigiano che a mio parere è meravigliosa!

  115. Buongiorno,
    vivo in Spagna. Qui noto che si salvaguarda molto di più la lingua castellana dall’influenza dell’inglese o di altre lingue.
    Anzi spesso succede qualcosa di divertente e sconcertante al tempo stesso: Football diventa Futbol; Maison diventa Meson (dal francese); Cocktail diventa Coctel;e così via… forse potrebbe essere considerato l’estremo opposto, ed influenzare in modo deficitario la conoscenza delle lingue straniere.
    Però mi piace molto il fatto che sia di uso comune sostituire parole straniere con appropriate parole in spagnolo; un esempio comune è che il Mouse informatico è Ratón, cioè letteralemente Topo.
    Si potrebbe provare anche in italiano. Lancio la sfida…
    Saluti.

  116. Dimenticavo un altro esempio fra molti, sempre informatico:
    Hard Disk in Spagna è Disco duro.
    Perchè non si può dire anche in italiano, esistendo le parole a disposizione?

  117. Annamaria, grazie per aver portato il fenomeno sulle pagine del Corriere (giornale del cuore ma non tra i più virtuosi…).

    Vorrei segnalare due casi. Il primo riguarda l’uso della parola “hostess”. Qualche tempo fa ho letto in un articolo “due hostess, un uomo e una donna”. Probabilmente il giornalista voleva fare lo spiritoso, o almeno si spera; in ogni caso hostess nei Paesi anglofoni – almeno negli Stati Uniti, dove vivo – non si usa più da anni per indicare l’assistente di volo. Lo stesso vale per steward. E’ il rischio che corriamo con i prestiti: usare le parole come etichette senza dar peso al loro significato o ai tempi che cambiano.

    Il secondo caso riguarda la scelta dell’inglese governance. L’Accademia della Crusca aveva suggerito il neologismo “governanza”, mentre i giuristi revisori del servizio di traduzione dell’Unione Europea avevano proposto di recuperare una parola della nostra tradizione, governamento (circa 1200) e risemantizzarla. Ha vinto l’inglese perché si era temuto che le proposte italiane potessero sembrare “ridicole”. Sull’argomento vi segnalo l’interessante articolo di Daniele Vitali (Interalia, n. 16, 2001). Penso che questo episodio sia significativo perché dimostra che abbiamo perso fiducia nella nostra lingua ma anche nelle nostre istituzioni (come se il concetto di “governance” non ci appartenesse). Come altri hanno fatto notare, ci manca il coraggio di crescere con neologismi e risemantizzando le parole che abbiamo già (come è giusto fare con “visione” e “missione”). Io comunque sono ottimista: l’importante è cominciare a parlarne.

    1. “Governanza” non sarebbe niente male.
      E… gli spagnoli sono molto, molto più bravi di noi a far proprie le parole straniere: vedi il commento di Abel, poco più sopra. Potremmo imparare da loro, invece di pavoneggiarci pronunciando a capocchia, e con pessimo accento, parole e definizioni inglesi, e spesso insensati brandelli delle medesime.

  118. Grazie per ‘governanza’, che appunto sembra la traduzione piu’ logica, anche se non mi piace usare il termine traduzione in questo caso perche’ il concetto non appartiene alla lingua inglese. Pero’ personalmente apprezzo molto il termine ‘governamento’.

    Chiedo piu’ sopra come si puo’ esprimere in italiano il concetto che in inglese si rende con ‘accountability’.

    Quale preciso ruolo svolge l’Accademia della Crusca e che successo ha avuto nel passato nel disseminare/coniare nuove parole nella lingua?

    1. Si potrebbe usare la parola ‘ rendicontabilita’ ‘ per ‘accountability’ ?

      Perche’ non estendere l’uso di questo termine per esprimere questo concetto (che non vuol dire ne’ responsibilita’ ne’ ‘responsabilizzazione’)?

      Poi sento/ leggo la bruttissima parola (a mio parere) ‘bypassare’ per ‘scavalcare’, ‘circonvallare’… Ma forse anche quest due termini italiani non corrispondono completamente a ‘to bypass’?

  119. Caro Maurice
    a mio avviso l’Accademia della Crusca é bloccata come tutti dall’ombra malefica del ventennio fascista , che impedisce di prendere senza complessi iniziative di difesa della lingua ispirate al semplice buon senso. La Crusca avrebbe dovuto ottenere un ricorso meno ossessivo ai termini anglofoni almeno dallo Stato (che promulga leggi sull’ handicap e non svantaggio , part-time e non tempo parziale, privacy e non riservatezza, e poi ancora Stalking, Spending review, Jobs actc e così via) , dalle Poste italiane (ad es. carta Postepay e non Pagoposta) dalla Radiotelevisione italiana che produce trasmissioni dai seguenti titoli : The voice of Italy, Easy driver, Voyager, Carosello reloaded, Rai news morning, Rai educational, etc. ). Se almeno qualche volta i telegiornali Rai usassero al posto di killer parole come assassino, uccisore,criminale,sicario, sarei già felice.
    Renato

    1. Grazie del tuo commento, Renato.

      Difatti la mia impressione e’ che qualsiasi atteggiamento che possa apparire in contropposizione alla cultura del ventennio sia per antonomasia virtuoso.

      A parte l’esempio ben documentato qui dei termini inglesi accettati acriticamente, a me viene in mente ad esempio il ripudio del Futurismo dagli storici dell’arte. Mi immagino ve ne siano altri (anche se spero non troppi).

      A mio parere, questa mentalita’ e’ spiacevole proprio perche’ continua ad attribuire un peso spropositato al
      Fascismo. E anche perche’ incoraggia comportamenti maldestri e poco saggi.

      1. E’ proprio per evitare questi “effetti rimbalzo” che questi tipi di discussione sono i benvenuti…

  120. Ciao Renato e ciao Maurice.
    Credo che la Crusca faccia quel che può, con le scarse risorse che ha.
    Per esempio, di recente ha messo in atto una serie di iniziative perché la lingua italiana venga riconosciuta come lingua nazionale nella nostra Costituzione (che non la menziona):
    http://www.libreriamo.it/a/6547/accademia-della-crusca-giu-le-mani-dallitaliano.aspx

    Qualche mese prima, la Crusca ha protestato energicamente contro la proposta del Politecnico di eliminare la lingua italiana, in favore dell’inglese, da tutti i corsi di laurea magistrale. La cosa è finita in tribunale: al primo livello di giudizio il Tribunale di Milano ha già emesso una sentenza in difesa della lingua italiana. C’è stato però ricorso in appello. Su NeU ne abbiamo parlato qui:
    https://nuovoeutile.it/inglese-alluniversita-tra-sogno-e-nightmare/
    … e molti degli interventi degli amici di NeU sono finiti in un libro pubblicato da Laterza:
    https://nuovoeutile.it/le-voci-di-luca-fiamma-marco-walter-sandra-da-neu-alla-carta-stampata/

    Ma, con ogni evidenza, tutto questo non basta. E comunque non incide sul tema dell’itanglese che – lo dimostra l’attenzione ottenuta da questa pagina – è molto, molto più sentito di quanto io stessa immaginassi.

    Mi prendo qualche settimana per pensarci. E cercherò di proporvi qualcosa, a voi e a tutti gli amici di NeU, prima dell’estate.

    1. Volendo, non ci sarebbe bisogno di cambiare la Costituzione. Cito da Wikipedia:
      “La Costituzione della repubblica italiana non indica l’italiano come lingua ufficiale. Tuttavia, in Italia l’italiano è considerato lingua ufficiale in quanto lo Statuto di Autonomia della Regione Autonoma Trentino-Alto Adige (DPR n. 670 del 31 agosto 1972), che ha valore di legge costituzionale, dichiara all’art. 99 che «[…] quella italiana […] è la lingua ufficiale dello Stato».”

  121. Gentile Annamaria,
    vari anni fa, spinto da una visione pessimistica che purtroppo ha trovato conferma, ho provato a creare su Fb il gruppo “Difesa della lingua italiana” che non ha conseguito risultati concreti. Scrissi anche alla Presidenza della Repubblica, ricevendo un cortese e sollecito riscontro in cui si riconosceva la gravità del fenomeno, ma dal quale traspariva la ritrosia -che io giustifico- a impegnarsi in un intervento (e credo proprio per i motivi accennati con Maurice) . Mi preoccupava la mancata creazione di neologismi in risposta alle novità incalzanti della tecnologia e del costume, che magari si poteva ottenere italianizzando i termini stranieri come sempre è stato fatto (che io sappia la parola guerra non viene dal latino). Accetterei volentieri termini come ciattare, scannerizzare ,etc. Tutto sta a farci l’abitudine, io sono molto soddisfatto del verbo stressare che si può coniugare regolarmente ed è ormai una parola italiana a tutti gli effetti . Da qualche tempo una semplice constatazione mi ha demoralizzato : i pubblicitari , che si caratterizzano per l’intuito, la intelligenza e la straordinaria capacità di comprendere e orientare i gusti, ricorrono quasi esclusivamente a parole anglofone per le frasi di lancio e addirittura per i nomi stessi dei prodotti. E’ un vero bombardamento, temo proprio che la deriva sia inarrestabile. Questo non significa che ci si debba arrendere, l’iniziativa di una persona preparata e autorevole come lei (o te) è di grande conforto e merita attenzione e sostegno incondizionato.

  122. … a proposito dei pubblicitari, non generalizzerei né per quanto riguarda le doti positive (intuito, intelligenza eccetera…) né per quanto riguarda i comportamenti negativi (ricorso alle parole anglofone).

    Alcuni sono così, altri no. Alcuni fanno così, altri no. A questa pagina ho raccontato le difficoltà incontrate nel lavoro di riconversione dall’inglese all’italiano di un sistema di nomi:
    https://nuovoeutile.it/parole-italiane-e-inglesi/

    Sono convinta che, qualche volta, il ricorso a termini inglesi resti necessario: tanto vale farsene una ragione.
    Che molte volte si tratti di una comoda scorciatoia.
    Che alcune volte abbia, addirittura, una – mi auguro involontaria – componente di mistificazione: in inglese, definizioni e affermazioni poco dotate di senso “suonano” più plausibili.

    Insomma: ci tocca distinguere, sempre. Anche se costa fatica.

    1. Gentile Professoressa,
      complimenti vivissimi per la Sua eccellente iniziativa, che ho scoperto solo ora, con enorme ritardo ma con il vantaggio di aver letto tutta insieme anche l’interessante e stimolante conversazione che ne è seguita.
      Avevo anch’io cercato di sollevare il problema della difesa delle nostra lingua dagli eccessivi scimmiottamenti linguistici esterofili, nella seguente pagina scritta sei anni fa:
      http://romaoggi.blogspot.it/2008/11/per-la-lingua-italiana.html
      Sono quindi particolarmente lieto che questo importante argomento sia stato ora sollevato in modo efficace e stia finalmente iniziando a suscitare un incoraggiante interesse.

  123. Non trovo nulla di negativo nei pubblicitari, intendevo dire che sanno capire da quale parte soffia il vento, cioè che sanno interpretare prima e meglio degli altri le tendenze e che, se fanno certe scelte, è perché la gente è attratta irresistibilmente dai termini anglofoni che da noi rendono affascinanti le cose. Da decenni i giovani indossano t-shirt con scritte del tipo Yale, Stanford, Princeton, etc. non ho mai visto magliette(non è la stessa cosa) con le scritte La sapienza, Politecnico di Torino, Normale di Pisa.

  124. Mi sembra manchi anche il termine “multitasking” che giusto oggi ho trovato sulla pagina del Corriere.

  125. Ottimo articolo. Al quale si aggiungeranno molti e molti termini. Necessario, però, è riflettere su quanto questi termini sono radicati e quando sono utilizzati perchè utili. “cameraman” non lo sostituirei mai con “operatore” o “operatore alla telecamera” perchè il primo è impreciso e il secondo troppo lungo. Insomma, quello che voglio dire (da linguista e traduttrice e da parlante attentissima all’abuso che si fa dei forestierismi) è che alcuni foresterismi vengono usati semplicemente perchè più comodi. E che il fatto che la lingua vada cambiando è del tutto normale. L’intrusione dei primi forestierismi risale già all’epoca del latino, per cui… Combatto la tendenza ad utilizzare termini perchè “di moda” (o “trendy”, ecco!), ma non l’inclusione di forestierismi in sè. Buona giornata a voi!

  126. Ciao Anna,
    aggiungo alla lista:

    entrepreneur = imprenditore
    start-up = nuova impresa
    highlight = in evidenza

    Un saluto,
    Fabio

    PS. Nulla dies sine linea, workshop Internazionale 2013 🙂

  127. Un tempo sarei stato pienamente d’accordo con te. Anzi, avrei aggiunto termini e cpommentato sarcasticamente. Oggi, più vecchio e (forse) saggio, accetto quello che arriva dall’estero senza alcuna difficoltà. E’ la gente a fare la lingua, non il contrario. Questo vale anche se la lingua d’origine ha vocaboli equivalenti a quelli che arrivano, forse migliori. Quando si studia l’etimologia delle parole, non si comprende che quasi tutte derivano da termini stranieri distorti? Accettiamo il passato e ripudiamo il presente?

  128. Qualunque lingua è fatta di termini di varia provenienza “distorti”, cioè adattati, in modo da costituire un arricchimento . Questo non si sta verificando, l’ossessione per gli anglicismi nasce essenzialmente da una patologica esigenza di esteriorità (per dare tono a concetti mediocri) e non avviene per motivi linguistici. Una accozzaglia disomogenea di vecchi resti dell’italiano e di parole senza plurale, storpiate nella pronuncia non ha futuro . Nessuna lingua si è mai evoluta così e non capirlo è segno di cecità e non di saggezza.

  129. Gentile Domenico Carro,
    Concordo pienamente con quanto riportato nella pagina che lei ha indicato aggiungendo che l’orribile ” standing ovation” svilisce la parola “ovazione” che indicava la forma meno importante di trionfo (sacrificio di un ovino e non di un toro). Posso inoltre testimoniare che all’ inizio della rivoluzione informatica fu coniato in Italia il termine “elaboratore” (andato in disuso sul nascere a causa degli imbecilli che volevano darsi arie americaneggianti). Il problema linguistico è solo una conseguenza della ossessione servile.

  130. Per fortuna, nonostante il deleterio esempio dei molti mediocri che entrano nelle nostre case attraverso la TV e la Rete, c’è ancora qualche irriducibile che dice “calcolatore” (termine meno appropriato di “elaboratore”, ma comunque equivalente a “computer”), ed è ancora considerato più facile dire “telefonino” anziché “smartphone”, e “portatile” anziché “notebook”. Non possiamo quindi escludere che l’imbastardimento della nostra lingua possa essere parzialmente contenuto.

  131. Egr. dottoressa rispetto al mio intervento di qualche settimana fa sono felice di segnalare un vero MIRACOLO!!! ieri infatti ha preso il via dall’Irlanda il Giro D’Italia , e rispetto alle ultime edizioni è successo qualcosa che ha dell’incredibile , nelle trasmissioni della Rai dell’evento, le sovrascritture video sono ritornate in Italiano, ovvero testa della corsa, gruppo di coda ecc. ecc. , non so precisamente a cosa sia dovuto questo improvviso rinsavimento 😀 ma sono comunque contento, forse non tutto è perduto.
    Visto che ci sono mi permetto segnalare 2/3 cose che, ultimamente , per dirla con la buonanima di Totò,mi fanno scompisciare dalle risate:
    – Un Agenzia di lavoro , italiana , sotto la propria denominazione aggiunge ” better work better life” chissà forse si vergognano di scrivere “miglior lavoro vita migliore” ( che oltretutto secondo me suona anche meglio ) ;
    – In un video di pubblicità, una famosa casa automobilistica, dopo aver magnificato i pregi dell’automobile oggetto di promozione in perfetto italiano, sul mercato italiano, alla fine del video ecco che arriva la frase in inglese “ DRIVE THE CHANGE “ , ah questi pubblicitari.. 😀
    – Un servizio in un telegiornale della Rai è stato semplicemente titolato “Moda & Food” , praticamente una frase ibrida , per questi geni probabilmente è troppo semplice dire “ Food & Fashion “ oppure “ Cibo & Moda” o ancora “ Moda & Alimenti” ecc. , poi si lamentano se gli italiani evadono il canone , e pensare che appena qualche decennio fa la Rai-TV ha avuto un ruolo determinante contro l’analfabetismo e per la diffusione della lingua e cultura del bel paese.
    Mi fermo qui per carità di patria, grazie ancora una volta per l’ospitalità .

  132. Vorrei fare i miei più entusiastici complimenti ad Annamaria Testa per la sua iniziativa delle 300 parole e, per testimoniare quanto siamo in sintonia su questo argomento, “incollo” di seguito quanto da me scritto poco tempo fa alla Società Dante Alighieri:

    “La colonizzazione della lingua italiana da parte dell’inglese.
    Già nel 2005 mi ero occupato di questo preoccupante fenomeno e avevo scritto un articolo per il giornalino di un’associazione con sede a Bruxelles, che si proponeva (chissà se ha abbandonato la speranza!) di diffondere la lingua italiana.
    Da allora sono passati otto anni e la situazione è quella evidenziata dalla ricerca di AgostiniAssociati.it, società italiana attiva nel settore della traduzione scritta, che traduce dall’italiano in varie lingue oltre 90 milioni di parole all’anno. La ricerca evidenzia che:
    “Dal 2000 ad oggi, l’uso di termini inglesi nella lingua italiana scritta è aumentato del 773% in base ad una rilevazione condotta su un campione di 58 milioni di parole prodotte da aziende italiane. Nella classifica delle parole inglesi trapiantate nell’uso comune, i primi 3 posti per frequenza sono occupati dai termini look, business e fashion”.
    A quanto pare però la cosa sembra preoccupare solo me e pochi altri attenti osservatori delle abitudini di casa nostra perché, cercando in rete, non ho trovato un gran ché sull’argomento anzi, quasi nulla. Neppure l’Accademia della Crusca che dovrebbe essere l’associazione che più di qualunque altra dovrebbe sposare la causa della difesa della nostra lingua, sembra interessarsi a questo argomento. Non parliamo poi delle istituzioni che, anzi, contribuiscono solo a peggiorare la situazione “immettendo nel mercato” termini quali bipartisan, privacy, governance, default, spread, deregulation, premier, autority o peggio ancora utilizzando espressioni come election day, spending review o il più recente job act tirato fuori dal cappello a cilindro dal neo Primo Ministro (e non premier!) Renzi (incomincia bene il ragazzo). Il massimo è stato togliere ai cittadini il diritto di chiamare una istituzione pubblica con il suo nome italiano, come era capitato alcuni governi fa quando il Ministero del Lavoro fu rinominato Ministero del Welfare! Non entriamo poi nel mondo della televisione dove i giornalisti e gli annunciatori/annunciatrici ci mettono il carico da novanta abbracciando totalmente questa tendenza, con frequenti figuracce dal momento che in pochi riescono ad avere una pronuncia corretta. Vogliamo parlare dell’abuso dell’inglese nelle pubblicità? Meglio di no!…
    Quello che mi meraviglia di più è che la Società Dante Alighieri, con la sua peraltro apprezzabile iniziativa “Beatrice”, non si accorga di contribuire al diffondersi di questa abitudine! Lo stadio della colonizzazione è talmente avanzato da aver ormai anestetizzato non solo la maggior parte degli italiani, ma anche le istituzioni preposte alla salvaguardia della nostra lingua, che accettano di buon grado che ogni tanto, nell’italiano scritto e in quello parlato, si intrufoli una parola straniera che riesce tranquillamente a passare inosservata. Proprio come se fosse italiana. Voglio dire che anche la Dante Alighieri è caduta nella trappola dell’inglesismo in modo completamente indolore: nella pagina iniziale di Beatrice si viene infatti immediatamente colpiti da un assoluto controsenso e cioè dalla frase: “Beatrice, il social network della lingua italiana”. E’ come se in Inghilterra, un’associazione in difesa dell’inglese (che si difende bene da solo!) mettesse sulla propria pagina iniziale la frase: “Jennifer, rete sociale for the protection of english language”. Per fortuna poi, iniziando a navigare, ci si imbatte nel marchio della Dante Alighieri dove campeggia il motto: promuoviamo insieme la lingua italiana – Società Dante Alighieri, il mondo in italiano!!!! Una svista? Non credo, perché continuando a giracchiare nel sito troviamo altre belle paroline come home page, Myworlds, help web e, una volta entrati nella propria area, si viene invitati a pubblicare un post. So che posso essere tacciato da fondamentalista ma se vi fermate un momento a pensare e riflettete in italiano, scoprirete che se il gestore del sito (e non web manager!) avesse usato l’italiano, l’utente di lingua italiana avrebbe capito meglio ciò che gli veniva indicato e cioè che sta entrando in una rete sociale e che gli viene suggerito di pubblicare un messaggio. Quanto a Myworlds e help web, non si capisce proprio perché l’assistenza in rete debba camuffarsi sotto le vesti di termini che sembrano, per la loro incomprensibilità, voler spingere l’utente ad andare a vedere cosa c’è dietro…
    Certo, si può obiettare che in una comunicazione sempre più globalizzata non si può fare a meno di uniformarsi, che usare l’italiano in rete potrebbe far sorridere (o addirittura ridere) gli utilizzatori più assidui, che le parole che hanno a che fare con internet sono di recente creazione e quindi bla bla bla…… vi assicuro però che non è così in Francia e non è così in Spagna per citare due paesi di lingua neolatina certamente non di secondo piano in Europa. Un francese o uno spagnolo non diranno mai benchmarking bensì étalonnage e análisis comparativo rispettivamente. Addirittura in questi paesi hanno coniato la propria terminologia informatica: da computer, che in Francia si chiama ordinateur e in Spagna ordenadora, a display, rispettivamente écran e pantalla. I francesi hanno persino coniato termini propri per le unità di misura alle quali noi non abbiamo neanche minimamente tentato di dare un nome italiano assimilandole tranquillamente con l’inglese bit e byte; in Francia si chiamano octet, così come si chiama logiciel il software e fichier il file. Uno spagnolo poi non dirà data base bensì base de datos, non avrà un account bensì una cuenta, quando dovrà inserire il suo id lo inserirà nel campo dove troverà scritto usuario ed infine digiterà la propria password chiamata contraseña.
    Ho lavorato in Belgio, Francia, Principato di Monaco, Croazia e Uruguay. Parlo e scrivo da madrelingua in spagnolo, francese e inglese e vi assicuro che neppure i croati, che pure hanno avuto più degli altri necessità di capire e farsi capire per uscire dall’isolamento impostogli dal regime quando facevano ancora parte dell’allora Jugoslavia, neppure loro usano i termini username e password che sono forse ormai fra i più “digeriti” da noi italiani.
    Ma nell’informatica sarei anche disposto a chiudere mezzo occhio, anche se….. Quello che però mi fa veramente ribollire il sangue è l’uso assolutamente gratuito (nel senso di ingiustificato) di termini inglesi nella vita di tutti i giorni. Soprattutto chi ha a che fare con le aziende si troverà di fronte persone che gli “spareranno” addosso parole come marketing, management, meeting, mission, vision, network, output, newsletter, knowledge, policy, report, skill, slide, stakeholder, start up, assessment, ma non voglio star qui ad allungare l’elenco.
    Quello che devo constatare è che, nonostante il perdurare di tale scempio della nostra lingua (che sottende secondo me una certa ignoranza di fondo dell’italiano medio) ma soprattutto, nonostante il fatto che il fenomeno si stia estendendo a macchia d’olio nella popolazione, nessuno, ma proprio nessuno, mostra di voler porre un freno a questo “brutto vizio” che sembrerebbe aver colpito in modo virale (per usare un’espressione moderna ma almeno non mutuata dall’inglese) solamente il nostro paese. Inoltre, dai pochi articoli che ho potuto trovare in rete sull’argomento, si continua a dare la colpa ai nuovi media (n.b. “media” è una parola latina!), alla globalizzazione e anche a metodi d’insegnamento sempre meno efficaci.
    Ora, è innegabile che la possibilità di comunicare con il mondo intero solamente pigiando un tasto (avrei potuto dire con un click!) o di accedere in pochi secondi a notizie che provengono da ogni dove semplicemente collegandosi a internet abbia contribuito a far entrare termini provenienti da altre culture nel nostro vocabolario, ma è altrettanto innegabile che nessuno ha fatto nulla per impedirlo. Inoltre, questa contaminazione è a senso unico, nel senso che la nostra bella lingua non riesce a penetrare nel lessico di nessun altro popolo se non con due o tre termini come “ciao”, “spaghetti” e forse “sole mio”! Fatto sta che il risultato di questo imbastardimento passivo è quello messo in luce dall’indagine condotta da AgostiniAssociati.it che mostra purtroppo che in 13 anni l’uso dei termini inglesi nella nostra lingua è aumentato del 773%!!!
    Ovviamente i “colonizzati” (gli italiani), non avendo per loro natura grande dimestichezza con le lingue straniere, le usano spesso a sproposito. Inoltre, gran parte di questi crede che basti riempirsi la bocca con parole di un’altra lingua per dimostrare di essere colto o competente; anzi, più si è incompetenti, più si tende a “distrarre” la platea (e non l’audience!) con inglesismi gratuiti, pronunciati oltretutto in modo da risultare completamente incomprensibili ad un madrelingua inglese! Molto spesso poi, gli amanti di questa pratica sono gli stessi che nei vari forum (o blog) scrivono: “Avvolte preferisco guardare la tivvù ke andare allo stadio, mia moglie invece a sempre le stesse voje….”
    Che dite, vogliamo iniziare a preoccuparci un pochino?…
    Personalmente non posso più stare a guardare passivamente e quindi, approfitto di questo spazio messo a disposizione dalla Società Dante Alighieri per lanciare un appello. In poche parole vorrei passare dalla constatazione e dalla lamentela alla proposizione di una o più iniziative da far pervenire alle autorità preposte per iniziare un’azione di sensibilizzazione al problema. Ovviamente non posso farlo come singolo cittadino dato che non mi ascolterebbe nessuno ma penso che se lo facesse un’istituzione del calibro della Dante Alighieri, magari in associazione con altre società, enti, circoli culturali ecc… potrebbe iniziare ad avere attenzione. Per quanto mi riguarda sarei ovviamente disponibile a dare il mio contributo e inizio subito ad illustrare la mia idea.
    Per prima cosa occorrerebbe riuscire ad ottenere un incontro dall’attuale Ministro dell’Istruzione per iniziare a sensibilizzarlo sull’argomento. Nella stessa sede si potrebbe già essere propositivi consegnando una serie di proposte la cui realizzazione potrebbe essere fatta in tempi rapidi con un esborso minimo di risorse economiche.
    Fra queste ci potrebbe essere l’istituzione della “giornata della lingua italiana” da celebrarsi ogni anno con iniziative varie che, con il patrocinio del Ministero (e magari di qualche Fondo Europeo) coinvolgessero gli istituti scolastici, la stampa, la televisione ecc… Alcuni esempi:
     nelle scuole in quel giorno si potrebbe lanciare una competizione (quindi con una classifica e dei vincitori) chiedendo agli studenti di svolgere un tema sull’argomento. I primi tre ad esempio potrebbero vincere un corso di lingua straniera nel paese scelto (oppure altro)…
    Inoltre, si potrebbe estendere agli studenti l’iniziativa “Adotta una parola” in modo da sensibilizzare i ragazzi fin dalla giovane età, rendendoli più coscienti della loro lingua madre.
     noleggio di una pagina dei maggiori quotidiani per pubblicare un motto (e non slogan!) che valorizzi la lingua italiana e che sia di facile memorizzazione (es.: ……………… )
     la televisione potrebbe mandare in onda un programma o un film con qualche attinenza al problema (es.: mandare in prima serata sulla RAI uno speciale sui giovani italiani, francesi e spagnoli, mostrando i loro stili di vita e il modo in cui usano esprimersi nella loro lingua).
    Oltre a queste iniziative basiche si potrebbero fare tantissime cose ma senza l’attenzione degli organi ufficiali dello Stato è certamente un’impresa ardua. Se si riuscisse a fare almeno una delle cose proposte sopra sarebbe già una bella vittoria e forse un giorno si potrebbe arrivare anche in Italia all’emanazione di una legge che tuteli la nostra lingua sulla scia di quanto fatto in Francia con la Loi Toubon già nel 1994!!! Restituire all’italiano l’importanza ed il rispetto che merita non solo all’interno dei confini nazionali ma anche nel contesto internazionale sarebbe davvero una grande vittoria ed un grande passo avanti per tutti noi.
    Mi auguro che questa mia non resti lettera morta e, nell’attesa di un cenno da parte della Dante Alighieri auguro un proficuo lavoro a tutti coloro che sono impegnati nella salvaguardia della cultura italiana.”

  133. Una splendida lettera, che meriterebbe di essere ulteriormente pubbliczzata. La metterei molto volentieri in una nuova pagina del mio sito personale, collegandola alla seguente mia pagina:
    http://www.carro.it/tablinum/testi/italicum/lingua.html
    Naturalmente procederò solo se Lei vorrà darmi il Suo consenso, contattandomi direttamente all’indirizzo indicato in fondo alla predetta pagina.
    In ogni caso, complimenti vivissimi. Condivido interamente la necessità di compiere ogni possibile sforzo per evitare la pigra ripetizione di vocaboli stranieri, sostituendoli con gli appropriati equivalenti della nostra lingua. Ricordo ancora con nostalgia un vecchio professore che considerava un errore l’uso della parola “film” in un tema d’italiano, perché la parola “pellicola” era più che sufficiente.

  134. Quando esiste la parola italiana corrispondente, si può sempre sperare nell’attenuarsi di una moda e nella inversione di una tendenza. Quando, in corrispondenza a una novità, il neologismo italiano non viene proprio coniato il danno è irreparabile. Nessuno rileva la sorprendente prontezza con la quale, fin dall’inizio del fenomeno e cioè da molti anni, i vocabolari della lingua italiana si sono precipitati a inserire ( e quindi a legittimare) i termini anglofoni. La vocazione al servilismo non si smentisce.

    1. Credo ci sia un fraintendimento: i vocabolari moderni non sono prescrittivi ma descrittivi: registrano l’uso del lessico nella lingua, non hanno la funzione di “legittimare” le parole.

      1. Ringrazio per la dotta precisazione che colma una mia grave lacuna culturale. Credo però che la massa delle persone poco erudite si rivolga
        al vocabolario (impropriamente per carità!) per legittimare la propria ortografia. Lasciando da parte uno degli innumerevoli esempi di invasione anglofona, mi sembra di gridare al fuoco in una casa che brucia ricevendo in risposta solo indifferenza o dotte disquisizioni da parte di chi sente di appartenere a una casta protetta (grazie alla conoscenza di qualche parola di inglese) e assiste con velato compiacimento all’incendio.

        1. Concordo pienamente e aggiungo che il ricorso al vocabolario avviene anche da parte delle persone abbastanza erudite. La registrazione di un vocabolo, segnatamente di un neologismo, nei dizionari viene considerata come una sorta di imprimatur al suo uso.

  135. Ciao Dorota.
    Se hai un Mac, basta che tu punti il mouse sulla lista, clicchi e trascini l’immagine sulla scrivania.
    Con un pc dovrebbe funzionare tasto destro + salva immagine col nome.
    Un saluto dall’Italia!

  136. Wonderful beat ! I wish to apprentice even as you amend your web site, how can i subscribe
    for a blog site? The account aided me a applicable deal. I were tiny bit acquainted of this your broadcast offered brilliant transparent concept

  137. Aggiungo qualche esempio dal documento La buona Scuola, pubblicato due giorni fa dal governo nel sito passodopopasso.italia.it e quindi destinato al grande pubblico e non solo agli addetti ai lavori: comfort zone, Bring Your Own Device, policy, early leavers, hackaton, good law, nudging, problem solving, decision making, matching, blended, mentor, gamification, co-design, service design, jams, barcamp, world cafès, Content and Language Integrated Learning, Social Impact Bonds, Design Challenge, School Bonus, School Guarantee, Data School.
    Quanti di questi sono anglicismi insostituibili e utili e quanti invece sono superflui?

  138. D’accordo su quanto riportato e su quanto condividete voi tutti gli ..interventisti. Parliamo in italiano, usiamo ormai da tempo termini inglesi o inglesismi, o parliamo l’itanglese ( a me fa ridere questo termine)ma, dico: Perché il GOVERNO italiano non deve parlare in ITALIANO? Perché usare, imporre: Jobs Act, Spending review, ecc. ecc. costringendo milioni di persone, come mio nonno o mio zio a NON capire di cosa parla e chiedere ad altri.
    Io trovo che sia ingiusto e, se volete, o se analizziamo, anche poco corretto. Grazie

  139. Sembra che dal 21 al 23 prossimi, a Firenze, ci saranno “Gli Stati Generali della lingua italiana nel mondo”, promosso dalla Farnesina, per la diffusione della nostra lingua. Ma quale ? La lingua italiana o la spregevole miscela imposta sempre più dallo Stato, dalla RAI, dalle Poste italiane, e dai media ?
    Forse qualcuno pensa stoltamente che, invece di imporre uno studio SERIO della lingua internazionale (l’inglese) nelle scuole, si possa ottenere lo stesso risultato (senza il necessario impegno) infarcendo l’italiano di termini anglofoni. Naturalmente non è così stiamo distruggendo la nostra lingua e siamo indietro rispetto a molti altri popoli nella conoscenza dell’inglese.

  140. La lingua italiana al posto dell’inglese come lingua di comunicazione
    di Giuseppe Tizza

    Il governo italiano dovrebbe puntare sulla diffusione della lingua italiana come lingua di comunicazione internazionale.

    Ci sono parecchi metodi per arrivarci:

  141. http://www.atuttascuola.it/contributi/italiano/la_lingua_italiana_al_posto_dell.htm

    La lingua italiana al posto dell’inglese come lingua di comunicazione
    di Giuseppe Tizza

    Il governo italiano dovrebbe puntare sulla diffusione della lingua italiana come lingua di comunicazione internazionale.

    Ci sono parecchi metodi per arrivarci:

    – sviluppare un software che decida autonomamente su quale sia la lingua più adatta per l’umanità

    – fare scegliere a delle tribù che vivono allo stato primitivo

    – indire un referendum mondiale, nel quale igni nazione può scegliere fra le lingue esclusa la propria

    – incaricare degli studiosi per la scelta

    – valutare gli effetti che crea nella psiche di uno straniero il suo apprendimento e confrontarlo con gli effetti di altre lingue

    Ci sono parecchi argomenti per promuovere la lingua italiana adatta all’umanità

    – ė la lingua che nel corso della sua storia è cambiata di meno

    – gli stranieri immigrati riescono ad integrarsi linguisticamente in pochi mesi, mentre in altri paesi non bastano anni

    – come livello di base è molto più facile delle altre lingue

    – la dislessia è molto più bassa che in altre lingue

    – è quella più studiata per diletto

    – ė la lingua esclusiva del’opera e quella preferita dai suoi operatori e l’opera è il massimo dell’espressione artistica “opera” per antonomasia

    – anche chi non la parla l’ascolta volentieri perché ė molto musicale

    – molti abitanti dei paesi confinanti la parlano senza esserci mai stati, cosa che non si può dire per le altre lingue

    – più in alto si sale nei livelli linguistici, più le altre lingue risentono dell’influenza del latino, di cui l’italiano è la figlia più rappresentativa

    – le altre lingue neolatine non sono dello stesso livello. Basta pensare che non esiste un’opera lirica in spagnolo, rumeno. In francese ne esistono pochissime

    Questa impresa la dobbiamo a tutti i nostri antenati che ci hanno creato un patrimonio artistico così prezioso che vale molto di più di tante opere d’arte meno astratte, conservate nei musei e nelle loro anguste cantine, di cui non ci si può appropriare.

    Il più bel ricordo che ogni turista e non può portare con se della “Grande Bellezza”!

    Non credi a quello che abbiamo scritto qui sopra?

    ​Stampa l’ allegato per ogni lingua che vuoi confrontare

    Con un evidenziatore metti in risalto le combinazioni di lettere che si riscontrano in quella lingua

    Metti a confronto le strutture evidenziate​.

  142. Dopo aver letto tutti gli interventi, mi trovo a concordare in tutto e per tutto con il signor Sollima, il quale, a mio parere, è quello che, più di tutti, ha compreso non solo quale sia il problema, ma anche quale sia la soluzione. Perchè mai, difatti, dovrebbe essere impossibile o non opportuno coniare neologismi italiani? Che ci vorrà mai? Non dovremmo essere un popolo cui difetta la fantasia. Secondo me, e me lo confermano diversi dei commenti qui pubblicati, c’è una resistenza psicologica nei confronti di quest’idea.
    Uno dei principali motivi della deriva della nostra meravigliosa lingua è, come alcuni hanno già evidenziato, uno scadimento culturale generale, soprattutto di coloro che dovrebbero essere gli “intellettuali” (giornalisti e via dicendo) e che spesso si rivelano pigri e mediocri. La gente comune, poi, l’italiano non lo conosce, e nemmeno se ne interessa; altrimenti di termini sostitutivi se ne troverebbero a bizzeffe. Rifiuto l’idea che un vocabolo inglese sia per forza più preciso. Nell’adottarlo, si compie comunque una scelta ideologica (fermo restando che non auspico il ritorno dell’era “qui si beve”). Il fatto che, importato nella nostra lingua, risulti più circoscritto a uno specifico ambito, e dunque suoni meno generico, non significa che, in realtà, in italiano non si possa trovare un termine esistente altrettanto calzante: basterebbe appunto iniziare a usarlo in rapporto anche a quel contesto. O, appunto, inventare una nuova parola o ricalcarla. La mia umile impressione (poichè non sono una studiosa) è che si conoscano poco le infinite possibilità di espressione della nostra lingua e si sopravvaluti grandemente la lingua inglese.

    Saluti da una poetessa.

    1. Gentile Deborah mi sento in dovere di esprimere gratitudine a persone come lei, Maurice Riverso, Guido, etc. che attenuano la sensazione di non riuscire a farmi comprendere quando segnalo il pericolo rappresentato dalla ossessione anglofona. Io spero di farlo senza fanatismi accettando l’uso di qualche termine straniero per indicare delle tipicità (ad es. non mi disturba il termine “Hot Dog”, mentre gli Spagnoli chiamano quel panino tipico “Perro caliente” e “El raton” il mouse”) vorrei solo che si riflettesse sulla imponenza del fenomeno e soprattutto su una tendenza di crescita che appare inesorabile. In tutto il mondo globalizzato aumenta il numero di persone in grado di sostenere una semplice conversazione in inglese, ma altrove (per quanto mi risulta) non viene praticata con la stessa intensità la distruzione sistematica della propria lingua. Solo se le fa piacere mi invii qualche sua poesia s_renato@alice.it

      1. La ringrazio, Sig. Sollima. Proprio oggi leggo ne La Repubblica un articolo (“…All’interno di una storia il cui insight era ‘per uscire dalla crisi alleggeriamoci del superfluo e impariamo a riscoprire i valori che contano.’…”) dove viene usato un vocabolo inglese “insight” in modo, secondo me, completamente sbagliato. La parole giuste sarebbero piuttosto “basis, substance, keystone, moral”. E mi rendo conto che alla pigrizia e alla mediocrita’ dei giornalisti italiani, indicate dalla Sig.ra Deborah, si potrebbe aggiungere addirittura una mancanza di conoscenza di concetti molto piu’ basilari e che quindi l’inglese in questo caso viene usato come pura copertura di un’ignoranza di fondo. C’e’ da chiedersi perche’ giornali come La Repubblica continuino ad affidare la lingua a questi imbrattafogli.

  143. Ciao Sir / sir
    Un piccolo messaggio che indica che la maggior parte degli istituti di credito sono truffatori. Aver vissuto e sofferto io so di che cosa parlo. Mi hanno ingannato più volte. Ho davvero pensato più parlare finanziatori prima ho incrociato con la signora Rocha Dassilva lei mi ha dato un prestito di 20.000 euro in meno di una somma semaine.Une devo rimborsare entro 2 anni con un tasso del 2,5%. Grazie ad esso sono stato in grado di espandere la mia piccola impresa e sarei per sempre grato per questo. Quindi, se anche voi siete alla ricerca di un prestito e non una truffa, si prega di scrivere al seguente indirizzo. Posso testimoniare che ci sono ancora qui in Italia finanziatori veri che vogliono aiutare. Non esitate a contattarla. IT è molto completo e fornisce prestito di 2.000 euro a 500.000 euro con un tempo ragionevole per l’remboursement.voici il suo indirizzo e-mail:
    rochadassilva01@gmail.com

      NB: vi consiglio di diffidare di offerte sulla rete così come notizie. Per leggere il 90% di questi annunci sono fraudeuses.

  144. La lingua italiana al posto dell’inglese come lingua di comunicazione
    di Giuseppe Tizza

    Il governo italiano dovrebbe puntare sulla diffusione della lingua italiana come lingua di comunicazione internazionale.

    Ci sono parecchi metodi per arrivarci:

    – sviluppare un software che decida autonomamente su quale sia la lingua più adatta per l’umanità

    – fare scegliere a delle tribù che vivono allo stato primitivo e non conoscono lingue moderne

    – indire un referendum mondiale, nel quale igni nazione può scegliere fra le lingue esclusa la propria, come avviene per il festival della canzone

    – incaricare degli studiosi per la scelta

    – valutare gli effetti che crea nella psiche di uno straniero il suo apprendimento e confrontarlo con gli effetti di altre lingue

    Ci sono parecchi argomenti per promuovere la lingua italiana come quella adatta per l’manità

    – è la lingua che nel corso della sua storia è cambiata di meno

    – gli stranieri immigrati riescono ad integrarsi linguisticamente in pochi mesi, mentre in altri paesi non bastano anni

    – come livello di base è molto più facile delle altre lingue

    – la percentuale dei dislessici è molto più bassa che in altre lingue

    – è quella più studiata per diletto

    – è la lingua esclusiva dell’opera e quella preferita dai suoi operatori e l’opera è il massimo dell’espressione artistica, “opera” per antonomasia

    – anche chi non la parla l’ascolta volentieri perché è molto musicale

    – molti abitanti dei paesi confinanti la parlano senza esserci mai stati, cosa che non si può dire per le altre lingue

    – più in alto si sale nei livelli linguistici, più le altre lingue risentono dell’influenza del latino, di cui l’italiano è erede

    – le altre lingue neolatine non sono dello stesso livello. Basta pensare che non esiste un’opera lirica in spagnolo, rumeno. In francese ne esistono pochissime

    Questa impresa la dobbiamo a tutti i nostri antenati che hanno creato un patrimonio artistico così prezioso che vale molto di più di tante opere d’arte meno astratte, conservate nei musei e nelle loro anguste cantine, di cui non ci si può appropriare

    Ognuno di noi parlando al turista in italiano regala il più bel ricordo che può portare con se della “Grande Bellezza” e la nostra grande lingua lo fa diventare erede del patrimonio che tutti ci invidiano
    lo accompagna per tutta la vita e in ogni luogo
    gli regala un carta di identità che non c’è bisogno di mostrare e rinnovare
    impregna nel suo volto una somiglianza italica
    rende il suo animo più gentile
    lo fa guarire da molti disturbi mentali non presenti in chi la parla.

    Basta colorare in questo diagramma le combinazioni di lettere della lingua italiana con un evidenziatore per mettere in risalto la semplicità della lingua italiana.

    Giuseppe Tizza
    Interprete e traduttore riconosciuto dallo stato tedesco
    Am Gallberg 4
    D 40629 Düsseldorf
    Tel. 0049 211 289444. fax 0049 211 288 05 25
    Mobil 0049 176 47542

    Il diagramma è disponibile anche in pdf: Stampa l’ allegato in pdf

  145. Fantastico. Semplicemente fantastico. Come ogni capitolo di NeU, per me, é tutto nuovo e utile. Ho provato la stessa sensazione recentemente vedendo e ascoltando Roberto Benigni con la “sua” Bibbia che é diventata la “mia” , non conoscendola in quei termini.
    Sinceri ringraziamenti

  146. Alle tante ragioni elencate per promuovere l’italiano come lingua di comunicazione, aggiungerei: così non saremo più costretti a vergognarci di Renzi, Rutelli e i loro compagni di banco quando si avventurano nelle lingue straniere. 🙂

  147. Aggiungerei di diritto alla lista PROACTIVE tradotto superficialmente, specialmente nelle offerte di lavoro, come PROATTIVO, parola praticamente sconosciuta ai vocabolari italiani…!

  148. Vorrei portare il mio piccolo contributo a questo dibattito. La parola sponsor inserita nelle trecento inglesi con la relativa traduzione in italiano , e’ latina . A me è successo di trovare ,cercando negli archivi delle chiese, la parola SPONSORUM (plurale di sponsor) nel senso di testimoni al battesimo di un neonato. Sul vocabolario latino ho trovato la traduzione garante.

  149. Vorrei segnalare il bando di Regione Lombardia per Expo (BURL 08/08/2014). Ora, è un bando pubblico, rivolto a interlocutori italofoni! Si supportano progetti su green, fashion, design, shopping, business, food experience (orrore!)

  150. escalation sta per rinvio della questione al soggetto competente…

    ho paura che chi ha scritto questo articolo non ne sappia moltissimo di business

    1. Gentile Paolo Meola,
      l’Oxford Dictionary dice che “escalation” ha un significato diverso. Ma forse anche lui, il povero dizionario, sa poco di business. 🙂
      Escalation = A rapid increase; a rise;
      cost escalations

      SYNONYMS
      rapid increase, rise, hike, advance, growth, leap, upsurge, upturn, upswing, climb, jump, spiralling
      intensification, aggravation, exacerbation, compounding, increase, enlargement, magnification, mushrooming, amplification, augmentation;
      expansion, stepping-up, build-up, buildout, heightening, widening, worsening; deterioration

      http://www.oxforddictionaries.com/definition/english/escalation?searchDictCode=all

  151. Interessante, ma mi sembra un po’ esagerato.
    Molti termini inglesi hanno sfaccettature differenti da quelle individuate in italiano e fanno parte di linguaggi tecnici tipici di alcune professioni.
    Io sono un designer, cosa devo dire: sono un progettista? progettista rimanda troppo all’architettura. L’italiano sarà bello, ma un po di apertura all’inglese non fa male

    1. Ciao Marco. Non sto certo proponendo di tradurre qualsiasi parola inglese (e, infatti, “designer” nella lista non c’è) ma solo di usare di preferenza termini italiani corrispondenti, se esistono e sono di ampio uso, per evitare collassi linguistici come “downloadami asap il file col meeting report della conference call e forwardalo ai dealers”.

    2. Marco, se posso aggiungere il mio parere (di italiana all’estero: sono traduttrice e vivo negli Stati Uniti), le parole prendono il significato che noi diamo loro. Ad esempio, designer in inglese può significare di tutto: stilista, architetto, progettista industriale, parrucchiere… La differenza tra gli anglofoni e gli italiani è che loro hanno questa capacità di prendere parole “antiche” e aggiornarle o usarle per creare neologismi. In passato lo facevamo anche noi: basta pensare al codice della strada, ai marciapiedi, ai semafori, a espressioni come “suonare il campanello”. Invece adesso si tende a considerare statiche le parole italiane e a preferire i prestiti dall’inglese, anche se a volte li carichiamo di significati che in inglese non hanno. Insomma, penso che ci arrendiamo un po’ troppo presto e per i motivi sbagliati.
      Credo che la responsabilità nei confronti dell’italiano spetti un po’ a tutti noi, ma soprattutto ai tecnici e a chi importa nuovi concetti, prodotti o anche nuove professioni: quello è il momento di trovare una parola condivisa (e pronunciabile!), attuale ma che si ricolleghi alla nostra tradizione.

      Prometto che continuerò a usare tranquillamente “designer”, ma volevo per curiosità segnalarti questo sito: http://www.ilprogettistaindustriale.it/
      Mi piacerebbe sapere se è questo il tipo di lavoro che fai o se ci sono differenze.

      1. In Italia esiste l’ADI, Associazione per il Disegno Industriale, che riunisce da oltre mezzo secolo gran parte di quanti praticano il design.
        A seconda del contenuto del discorso in atto e del senso, io utilizzo “designer” o “progettista”.
        La mia preferenza va a “progettista” perché il termine indica bene l’intento proiettivo (come proiezione o proiettile) del lanciare in avanti mirando a un bersaglio. Anche “disegno”, nel senso di perseguire un intento, ha un significato analogo, ma nel parlare comune si intende con maggiore frequenza il disegno come raffigurazione. Per questo motivo, quando “progettista” è inteso solo come solutore tecnico industriale, come elaboratore del processo che definisce la fattibilità e la costruibilità, il termine ormai internazionale “designer” può meglio descrivere il fatto che il progettista si occupa contemporaneamente sia degli aspetti tecnici sia estetici e formali degli artefatti.
        È vero che quando i miei giovani allievi rispondono alla domanda: “Ma tu cosa studi?” e loro dicono “Design”, i loro amici commentano “Che figo!”, cosa che non direbbero se la risposta fosse “Progettista”. 🙂

        1. Il senso delle parole (italiane o inglesi che siano) cambia secondo la storia che quella parola vive (spesso per conto suo) in un certo luogo: “design” ha sostituito “disegno industriale”(che risale agli anni Cinquanta, periodo di fondazione dell’Associazione per il Disegno industriale: adì-design.org). Lo usava Giulio Carlo Argan, insieme con “progetto”, ma Gillo Dorfles usa preferibilmente “design”.
          Un senso, questo prestito ambiguo dall’inglese, ce l’ha: l’associazione dei progettisti industriali è un’associazione di stimabilissimi ingegneri, attività centrata sulla funzionalità degli oggetti, non sul coordinamento di funzionalità, estetica, portata sociale degli oggetti come quella dei designer.
          E’ anche per questo a un certo punto “disegno industriale” è parso fuorviante (troppo tecnico) ed è stato sostituito da “design”, parola onnicomprensiva come l’attività di chi la pratica.
          Insomma: secondo me “design” ha la sua ragion d’essere, al di là del “fare fico”.

  152. Manca “reading” che fa molto “cool” da dire per parlare di letture…e manca anche “cool” nella lista 🙂
    Grazie

  153. Sono 70 anni che tento di imparare con fatica un po’ d’italiano (sono triestino e dal nome si capisce che non sono toscano)Sono anni che sui giornali sento una brutta frase:”stato dell’arte” Questa frase e’ un inglesismo ? Grazie per vostra risposta. PS: in inglese “state of art” suona meglio

  154. Premesso che “selfie” non mi piace né come definizione né come pratica (ma è un problema mio in quanto fotografo professionale di vecchio stampo) vorrei segnalare che la traduzione “autoscatto” sarebbe impropria, in quanto con questo termine si identificava il dispositivo di cui erano dotate le macchine fotografiche analogiche per ritardare il momento dello scatto. Un temporizzatore, quindi, originariamente meccanico e poi diventato elettronico. In una forma più estesa si poteva definire “scatto automatico”, utilizzabile anche, ma non solo per fotografare se stessi. Il “selfie”, eseguito a braccio teso o con prolunga, è la “foto fatta a sé”: potremmo forse chiamarla “autofoto” ma, visto che esiste un neologismo inequivocabile, possiamo tranquillamente accettarlo.
    Vorrei comunque aggiungere che, se sono tollerabili gli anglicismi nelle nuove tecnologie che provengono da paesi anglofoni, ritengo invece che siano assolutamente da bocciare nel linguaggio politico, nei servizi pubblici, nella modulistica amministrativa.

    Grazie Annamaria di aver promosso questa iniziativa.
    P.S. Suggerirei di includere nella lista anche “new entry”.

  155. Ottima iniziativa!
    Mi permetto di evidenziare alcune parole che, secondo me, potrebbero avere una diversa traduzione:

    – benchmark: la traduzione è senz’altro corretta ma nel contesto in cui viene utilizzata solitamente la parola trovo difficile utilizzare le traduzioni proposte.
    – best practices: le migliori prassi
    – brand: forse è più assimilabile a marchio che a marca. Anche se la traduzione indica la marca il contesto in cui viene utilizzato è spesso più collegato al marchio e al suo valore
    – break even: non è necessariamente “di bilancio”
    – cameraman: indica proprio l’operatore di cinepresa non l’operatore generico. Forse è una delle poche parole che potrebbe restare in inglese
    – downgrading: viene utilizzato più che altro per indicare un abbassamento di livello piuttosto che una retrocessione

    Alcune parole come dress code tradotte in italiano “suonano” male. Immagini un invito con indicato al posto di dress code, regole di abbigliamento; meriterebbe l’invenzione di una nuova parola italiana, più adatta. Anche exit poll e molte altre.

    Grazie per l’iniziativa!

  156. Dei miei 5 più odiosi (confesso, di getto ho scritto “i miei top five”!!) inglesismi ne mancano 4; volete prenderli in considerazione?
    1- Location (c’è)
    2- Personal Trainer
    3- Fashion
    4- Skyline
    5- Personal Shopper (ma qui mi rendo conto che Shopping, e di conseguenza Shopper non hanno la traduzione letterale che esiste per gli altri )
    Grazie

    1. Skyline è veramente superfluo, non c’è niente di più bello che evocare il “profilo” di una città. Se lo usassimo più spesso ce lo ruberebbero anche gli anglosassoni. Ottima iniziativa!

  157. Managers, top businessmen e leader policiti dovrebbero adottare queste best practices…. altroché!

  158. Ho appena ascoltato l’intervista radiofonica con SBS in Australia. E sono andato subito a firmare la petizione ‘Dillo in italiano”. Bellissima iniziativa! Grazie Annamaria

  159. D’accordo con la riflessione generale lanciata da Testa, utilissima sotto molti aspetti.
    D’accordo con chi ha sottolineato che l’uso degli anglicismi superflui (e sottolineo superflui, non tutti lo sono) impoverisce la lingua limitando il coniare nuovi termini . Per fortuna esiste l’immenso serbatoio dei dialetti, come insegna Camilleri, a rendere lussureggiante la nostra lingua.
    Assolutamente poco d’accordo con chi scrive “Perché non dovrei usare quel dato termine, è più preciso e rapido”.
    Sulla rapidità ha già detto Testa.
    Sulla precisione hanno detto ampiamente altri: usiamo termini inglesi in maniera così approssimativa da far sorridere di compatimento gli anglofoni madrelingua.

    Vorrei introdurre anche una questione di stile e correttezza.

    Stile: fare la figura di Renzo quando biascica di “latinorum” a proposito di Azzeccagarbugli non è il massimo.

    Correttezza: è altrettanto spiacevole fare, per converso, la figura di un Azzeccagarbugli qualsiasi con lo sproloquiare in pseudo-inglese allo scopo di imbrogliare le carte con il collocutore e far supporre una preparazione tecnica o culturale, magari inesistente.

    Che l’uso del linguaggio settoriale sia esercizio di squallido potere lo sappiamo tutti. Cerchiamo di essere democratici e facciamoci capire anche da chi non sa che un fundraising è una banalissima ricerca di fondi.

    Vorrei aggiungere che l’uso di una lingua straniera è equivalente all’uso del dialetto: auspicabile SOLO se si padroneggia perfettamente l’italiano.

    Diversamente rimane un patetico “latinorum”.

    Adesso penseremo tutti: “Va bè, ma io l’italiano lo padroneggio perfettamente”.

    Bene, a tal proposito sottolineo che il “correttore” on line non accetta la parola “collocutore”, per cui cerca di impormi l’impreciso “interlocutore”.
    E mi ha bocciato “D’accordissimo”.
    Magari aveva ragione.
    Però accettava “daccordissimo”…

  160. Per caso ho letto oggi la vostra discussione in merito all’uso dell’itanglese nella lingua italiana e non essendo un addetto ai lavori è stato molto piacevole seguire il dibattito (anche se risaliva a circa un anno fa)…Vorrei solo ricordare,come già fatto per “media” che in pubblicità è stato inglesizzato il latinissimo “plus” con un’orrenda pronuncia “plas”. Grazie per l’attenzione

  161. Gli americani creano senza farsi problemi neologismi a getto continuo. Per favore qualcuno inventi una espressione italiana per startup prima che sia troppo tardi. Neoimpresa ? (mi sembra un po’ paludato).

  162. Su “start up” vorrei sentire un madrelingua.
    Da noi (recentissima discussione) è considerata con ostinazione “start up” SOLO una nuova impresa ad alto contenuto tecnologico.
    Se apri una impresa dedita al concepimento di software, sei in una start up.
    Se apri una impresa di mangimi per l’allevamento (magari con laboratorio chimico di ricerca) è solo una nuova impresa.
    Questo mi dicono.
    A me, per il poco inglese che conosco, me par’ ‘na strunzat’ (come dicevano i Tre Tre).

  163. Gentile Annamaria, sarebbe possibile avere la lista in formato testo, anziché immagine? Grazie anticipate.

    1. Ciao Matteo.
      Questo articolo risale a un anno fa, e non ho più la lista originale in formato testo. Mi dispiace.

  164. Salvo errori, non mi sembra di avere visto commenti a “scanning” deformato in “scannerizzare”, termine inquietante che riserverei ai mattatoi. Molto più naturali “scansione” e “scansionare” che tra l’altro hanno la loro radice dal verbo latino “scandere”, e al sostantivo correlato “scansio”, così come anche il verbo inglese “to scan”.
    Questi passaggi latino>inglese>italiano sono, oltre che orribili, anche assurdi sul piano logico.

    1. Veramente, l’avevo già suggerito io il 25/02; va bene “scansione”, ma “scansionare” non mi risulta. Io propongo “scandire”.

  165. Bè, no,
    Scandire in italiano esiste, ma significa tutt’altro.
    Scansionare, come verbo derivato da sostantivo (telefono-telefonare) è sicuramente preferibile.
    E’ tutto più semplice, se rispettiamo il principio di evitare le ambiguità di interpretazione del codice linguistico.

  166. Concordo ampiamente sul fatto che bisogna sforzarsi di utilizzare meno parole straniere perché la nostra lingua è una delle migliori che ci siano. Un’esemplare qualità si evince palesemente da articolo e lista a seguire, per la maggior parte dei vocaboli abbiamo la possibilità di scegliere tra molteplici sinonimi e ognuno di essi al tempo stesso si contraddistingue per una piccola sfaccettatura, che può essere più sottile o più marcata a seconda del messaggio che vogliamo trasmettere, dandoci quindi la possibilità di avere più incisività di comunicazione rispetto ad altri linguaggi che risultano a mio parere maggiormente essenziali. Un arcobaleno compiuto e splendente anziché scarno e sbiadito.

    1. E se mi fossi sforzato di usare il nome Dani anziché Dany il mio precedente commento sarebbe ora meno risibile. Ma farò meglio la prossima volta.

  167. LA Crusca?
    L’avevo già letto, e mi si era accapponata la pelle…
    “…il Grande Dizionario Italiano dell’uso curato da Tullio De Mauro in cui si trovano, con la stessa accezione di ‘acquisire le immagini attraverso lo scanner’, scandire, scannare, scannerare, scannerizzare, e anche eseguire una scansione (e scansionare, termine non contenuto nel De Mauro ma molto usato) e il forestierismo puro scanning. ..Quindi massima libertà di scelta.”
    Scannare?
    Scannerizzare?
    Scannerare?
    Scandire?
    MASSIMA LIBERTA’ DI SCELTA?
    Non è il caso di cambiare pusher?
    No, non si siamo proprio.
    Se anche i cruscanti si adeguano all’uso scorretto poiché “comune”, è finita.
    Che facciamo, scriviamo “qual è” con l’apostrofo o ci rassegniamo a dire ” il pneumatico” invece che “lo pneumatico” perché TUTTI scrivono così?

    Preferisco ragionare con la mia testa.
    Coniare il neologismo “scansionare” è molto meglio.
    Più elegante e comprensibile.
    Con tanti saluti al De Mauro.

  168. Salve Anna Maria Testa . Seguo con attenzione e piacere il Blog.Nella lista manca home. Dillo in italiano Home.Grazie!

  169. Giusto per strapparvi un sorriso… Nei giorni scorsi ho seguito un seminario su una legge che disciplina la gestione della comunicazione e delle pubbliche relazioni negli enti pubblici. Durante la proiezione delle… -indovinate cosa? – ma delle “slide” naturalmente, mi sono appuntato i termini in inglese usati dal relatore: talkactive society, demanding, citizen satisfaction, governance, strategie di voice, capacità di accountability, back office, front office, front line, social networking, web based, early adopters. Preciso che il seminario era in italiano.
    Per contro devo dare atto che per tutto il seminario hanno usato “media sociali” invece di “social media”.

  170. Una piccola osservazione : per quel che credo di sapere, “default” non è bancarotta, ma fallimento. Anche “going bankrupt” è, come “being insolvent”, fallire.

    Bankruptcy e bancarotta sono “falsi amici”, perché il primo si applica anche alle situazioni di semplice insolvenza, mentre nell’uso italiano è questo termine è riservato alle situazioni aventi un rilievo penale : un bancarottiere non è un semplice onesto fallito, ma un ammirato imbroglione.

    Ciò detto, bravissima !

  171. Ho seguito con soddisfazione l’intervento della nostra “condottiera” Annamaria Testa nel corso della trasmissione della domenica mattina che si occupa -tra l’altro- dei problemi della nostra lingua. Osservo invece nei cruscanti ancora molta esitazione nel chiedere allo Stato e alla RAI di evitare l’eccesso maniacale di espressioni anglofone, nel terrore di passare per nostalgici.

  172. concordo perfettamente sull’utilizzo di moltissimi termini che non hanno ragione di essere pronunciati nella versione inglese, o straniera, quale che sia. In molti casi può accadere che una cosa nuova, nata all’estero, si diffonda nella lingua d’origine ma troppo spesso l’uso sconsiderato di troppi termini anglofoni, accarezza soltanto una sorta di vanità pseudointellettuale. Osservo che termini come bar, taxi, camion non sono presenti nell’elenco e questo dimostra che la scelta dei termini in discussione è stata più che ragionata, escludendo quelli che ormai sono stati stabilmente acquisiti alla nostra lingua. Ho letto molti commenti sulla complessità della nostra lingua, beh! un conto è parlare in italiano o in inglese con le diverse complessità, altra storia è l’uso di termini inglesi, senza ragione, che non corrisponde affatto a parlare quella lingua.

  173. Qualcuno ne conosce altre o conosce un sito simile?
    Ho bisogno di una parola breve in inglese, comprensibile in italiano,
    che dia un’ispirazione positiva :))))))))
    Grazie a tutti coloro che risponderanno.

  174. come traduttrice e italiana sono molto felice che qualcuno cerchi di eliminare le parole straniere dalla nostra bella lingua. Per caso avete una traduzione per SOCIALITE?
    Grazie e complimenti
    Rita

    1. Ciao Rita, e grazie!
      Si sta da diversi mesi ragionando su un progetto strutturato, non tanto per “eliminare” le parole straniere, quanto per proporre, a chi vuole usarle, valide alternative, se e quando è possibile. Dacci un po’ di tempo ancora!

    2. Ciao Rita,

      si sicuro una riposta l’hai trovata visto che sono passati più di 6 mesi, comunque, recentemente ho dovuto tradurre anch’io la parola “socialite” e in italiano ho usato “esponente dell’alta società”.

  175. Non sono d’accordo su “SELFIE”. Non lo traduco con “autoscatto”, perché il selfie è fortemente legato a un tipo di tecnologia di oggi, alla possibilità di vedersi prima di scattare (nell’autoscatto classico questo non avveniva), al desiderio di condividere l’immagine sulle reti sociali e a una forma di narcisismo molto marcata (nell’autoscatto si privilegiavano gruppi di persone). Quindi selfie rimanda a una pratica diversa e globale, e quindi non mi scandalizza l’uso di un termine diverso.

  176. ASSET … BENE, RISORSA
    BANNARE … BANDIRE (prestito inutile)
    CORNER … CALCIO D’ANGOLO (nel calcio)
    CROSS … TRAVERSONE (calcio)
    FOREIGN FIGHTER … COMBATTENTE STRANIERO
    GOAL … RETE (calcio)
    LINK … COLLEGAMENTO
    LOG IN … ACCESSO o ACCEDI
    OFFSIDE … FUORIGIOCO (calcio)
    RESTYLING … AMMODERNAMENTO
    SIGN IN … ACCEDI o AUTENTICATI
    STEPCHILD ADOPTION … ADOZIONE DEL FIGLIO DEL CONIUGE
    TRAINER … ALLENATORE, ISTRUTTORE
    TRAINING … ALLENAMENTO, ADDESTRAMENTO
    TUTORIAL … PROPEDEUTICO

  177. Buongiorno a tutti! Mi chiamo Auste, sono di Lituania. All’universita’ scrivo la tesina L‘USO DELL‘INGLESE NELLA STAMPA ONLINE: IL CASO DI REPUBBLICA.IT. Forse qualcuno sapete i libri su questa tema che posso guardare? Perche qui in Lituania non ci sono quasi niente informacione su prestiti inglese nella lingua italiana…. Aiutatemi! Prego!

  178. Mah. Trovo che una iniziativa di questo genere sia quasi sempre inane.
    L’italiano è bello e non nego di usare con una certa frequenza termini desueti per non dire dimenticati, ma questa è una lotta contro i mulini a vento di donchisciottesca memoria.

    Tra l’altro in vari casi la traduzione non è del tutto corretta (per esempio per workstation si intende abitualmente una postazione di lavoro del tipo scrivania dotata di computer ed eventualmente altre periferiche.

  179. Grazie per questo utile elenco. Mi permetto di far notare, se non sbaglio, che manca slide (diapositiva) molto in uso nei congressi. Mi fa rabbrividire.

  180. Grazie per l’articolo e l’elenco.
    Segnalo ancora:

    fotocamera – macchina fotografica
    videocamera – telecamera

    ancora grazie. 🙂

  181. Bellissima questa raccolta!! Mi sono segnata questo sito.

    La parola “premier” era elencata come titolo, ma è usata anche come aggettivo per intendere:

    migliore, numero uno, di prim’ordine, eccellente, eccezionale

  182. Concordo con la necessità culturale di comunicare il lingua italiana, corretta e non inquinata, limitando l’abuso di terminologia in lingua estera.

    Inoltre, dovrebbero essere vietate le mozioni, i decreti e le leggi con denominazione straniera e frenata la deriva esterofila della comunicazione politica, già gravata dal “politichese”.

    Senza nulla togliere alla necessaria diffusione delle altre lingue, ed all’utilità del loro uso in contesti appropriati.

    Ringrazio per l’opportunità e saluto.

  183. In verità alcune parole nella lista sono salvabili, perché essenzialmente c’è differenza fra il “finanziese” / “politichese” (brand, mission, customer care, welfare) che fa schifo e una parlata se volete anche da strada in cui parole come boss, gang, random danno sfumature di significato che gli equivalenti italiani non riescono a dare. [Bisogna dire che da ragazzo di 16 anni a cui piace il tamarro è normale avere questa visione]

    E poi scusate
    Ma retroterra per background suona malissimo

  184. Che bella conversazione! L’idea della lista è interessante, l’iniziativa sicuramente apprezzabile.
    Io scrivo soltanto per sottolineare come gli italiani (la mia ignoranza mi impedisce di estendere il discorso ad altri popoli) non usino vocaboli stranieri soltanto per pigrizia mentale, ovviamente, ma anche perchè nutrono una passione sviscerata per le parole. Questa medaglia al nostro petto ha anche un rovescio: ci entusiasmiamo per le parole nuove come se portassero con sé una nuova realtà, come se forgiassero fenomeni. Quindi qualsiasi vecchiume ammuffito ci sembra degno di credito se qualcuno lo ribatezza con un nuovo nome, possibilmente inglese.

  185. MANCANO tutte le parole inerenti al Matrimonio, tipo Wdding planner, Wedding Place, Wedding Designer ecc.

  186. Secondo voi c’è una parola che può tradurre coworking (Modello lavorativo adottato per lo più da liberi professionisti che usufruiscono di spazi condivisi in cui disporre di postazioni autonome e al tempo stesso interagire con altre persone).

  187. occorre anche aggiungere parole che sono entrate da più tempo nella lingua italiana come:
    lucky strike = colpo fortunato, nome di una notissima marca di sigarette
    sciùscià = lustrascarpe, in inglese corretto shoe-shine
    pin-up = bella e nota ragazza negli anni 50
    miss = signorina, usato come “miss Italia” nell’omonimo concorso di bellezza
    ranking = classifica, usato da tempo in qualche sport
    tie-break = usato nel tennis
    net = rete, usato nel tennis
    corner = angolo, usato nel calcio
    penalty = rigore, punizione, usato nel calcio
    off-side = fuori gioco, usato nel calcio ecc.
    Se si prende un qualche sport, si vede che vengono fuori tanti vocaboli inglesi…

  188. Ottimo lavoro! Solo un’osservazione: SNOB non è inglese ma l’acronimo di Sine NOBilitate (ovviamente Latino)

    1. L’angolo del sorriso.
      Articolo godibile data la mia inclinazione linguistica di apprezzamento per l’italiano.
      Interessanti e numerosi i commenti che leggerò in più momenti.

      Spesso si cade nel ridicolo, come detto da altri, quando ci si ostina ad usare termini o espressioni straniere a tutti i costi oppure usando espressioni contorte e inesistenti o neologismi “d’assalto” denunciando in tal modo il proprio disagio mentale e culturale frutto di un apprendimento orecchiato e raffazzonato.
      Potrei fare moltissimi esempi, tra l’altro noti a tutti.
      Molte volte, con argomento date o appuntamenti, si sente dire “IL PRIMA POSSIBILE” invece di “prima possibile”.
      Immediatamente penso a due persone che si devono incontrare o telefonare e che, per fissare la data chiedono: “IL QUANDO CI VEDIAMO-SENTIAMO?”
      Poi, per indicare un servizio o una durata continua e ininterrotta, si sente “H 24” invece di “24 ore al Giorno”.
      Sui reati
      esiste l’espressione “OMICIDIO STRADALE”.
      Mi viene desiderio di arricchire la terminologia in questione. Tipo “omicidio marciapiedale” oppure “supermercatale” oppure “paliero” (se si viene uccisi vicino un palo); e così via.
      “Femminicidio”.
      E’ contrapposto a maschicidio: naturalmente diverso da ragazzicidio, bambinicidio (esiste infanticidio, ma non ditelo a questi disadattati linguisti) e perfino gaycidio. E altro ancora. Per brevità omettiamo “decennicidio”, “diciottennicidio” a sua volta diviso in maschile e femminile.

      Sul meteo
      BOMBA D’ACQUA (fa più figo di un vetusto NUBIFRAGIO. Vuoi mettere?): per grandinata si potrebbe dire mitragliata di grandine? E per una serie di fulmini si potrebbe dire luparata saettiera?

      Linguistica pura
      Come ROBOANTE, invece di reboante; SUCCUBE invece di succubo (declinabile).
      NEL SENSO CHE
      Simpaticissima espressione di chi è smanioso di apparire colto.
      Il soggetto dice una frase e subito aggiunge “nel senso che” facendola seguire da brevissima pausa come di chi vuol far arrivare agli interlocutori il peso del suo acume e della sua erudizione.
      Per esempio ad una ipotetica affermazione “erano le quindici”….. nel senso che ….” verrebbe facile ridicolizzarlo aggiungendo “che non erano né le 14 né le 16”.
      Un saluto a tutti

  189. All’elenco aggiungerei che il lavoro che fa lo scanner (parola utile) non è SCANNARE o SCANNERIZZARE o, peggio ancora, SCANSIRE. Lo scanner SCANDISCE il documento o l’immagine per digitalizzarli. Visto che l’italiano ha un verbo che descrive esattamente il lavoro di questo utilissimo apparecchio, perché inventarsi parole nuove e, a mio parere, brutte?

  190. Grazie per questa sintesi di un soggetto che mi sta molto a cuore e scoperto prorio nella Giornata Mondiale delle Lingue Madri il 21/2/2019.

    Un’altra considerazione da tener conto, quando si usano anglicismi, molte parole inglesi non hanno un solo significato ma molteplici. Per esempio la prima parola a capo della “lista definitiva” e` “abstract” tradotta come “riassunto, sintesi” ma significa anche “astratto” ma anche “estrarre” come illustrato qui: https://www.dictionary.com/browse/abstract?s=t

    Non credo che storpiare due lingue sia necessario per dare “una spinta in piu`” al notro linguaggio, anzi…

    Per capire veramente come funziona la lingua inglese vi propongo di leggere “Mother Tongue” scritto da Bill Bryson edito dalla casa editrice Penguin…

    “The complexities of the English language are such that even native speakers cannot always communicate effectively, as almost every American learns on his first day in Britain.”

    (Le complessita` della lingua inglese sono tali che persino coloro che sono nati anglofoni non sempre riescono a comunicare con efficacia, cosa che, quasi tutti, gli “Americani” scoprono quando visitano l’Inghilterra per la prima volta.)

    ― Bill Bryson, The Mother Tongue: English and How it Got that Way

    Buona lettura.

  191. Se mi posso permettere, suggerisco l’uso del termine “scansionare” al posto di “scannerizzare” che trovo molto brutto. Ho trovato interessante l’elenco e gli obiettivi che l’autrice di esso si propone, così come trovo interessanti molti dei commenti. Un saluto. Giuseppe

  192. Molto bello questo articolo. Da madrelingue inglese (americano) che si esprime però principalmente in italiano, confermo la generale insofferenza che c’è per il forestierismo che ha invaso la lingua di Dante, una lingua particolarmente ricca che non ha certo bisogno di ‘aiuto’.
    Diversi hanno commentato sul termine ‘computer’ che, a quanto mi risulta, è forse un dei pochi lemmi che trova radice proprio nell’italiano, nella fattispecie in ‘computare’. Quindi, non reputerei questo termine un vero e proprio forestierismo.
    Aggiungo anche ‘spelling’, che in italiano si traduce tranquillamente con ‘sillabare’ oppure, per i più curiosi, con ‘compitare’ – quindi è assolutamente inutile usare il termine inglese.

Lascia un commento

MENU
I post di NeU Risorse sulla creatività
Clicca per leggere le prime pagine 
TUTTO NEU
Creative Commons LicenseI materiali di NeU sono sotto licenza Creative Commons: puoi condividerli a scopi non commerciali, senza modificarli e riconoscendo la paternità dell'autore.
RICONOSCIMENTI
Donna è web 2012
Primo premio nella categoria "Buone prassi"
Primo premio nella categoria "Web"
Articoli di NeU sono stati scelti per le prove del 2009 e del 2019
creatività delle donne_CHIMICA

Creatività delle donne e patriarcato

Non possiamo smettere di parlarne. Dunque provo a raccontarvi come pregiudizi e stereotipi, sostenuti da oltre tre millenni di patriarcato, hanno impedito e tuttora ostacolano

Che succede con l’intelligenza artificiale?

“Non perfetta ma straordinariamente impressionante”.Così McKinsey, società internazionale di consulenza strategica, descrive in un recente articolo la prestazione di ChatGPT, il modello di intelligenza artificiale

Ops. Hai esaurito l'archivio di NEU.