nominare

Nominare, cioè riconoscere e possedere. Forse – Idee 111

È una bufala che la lingua inuit abbia centinaia di nomi per definire differenti tipi di neve.
Invece è vero che nelle diverse lingue (e anche nei dialetti) troviamo nomi che identificano fenomeni o concetti che possono apparirci esotici o sfuggenti e che però, appena nominati, si chiariscono: per esempio, c’è l’arguto termine tedesco Schadenfreude (il piacere provocato dalla sfortuna altrui. Qui altre parole tedesche che non esistono in italiano). O c’è il freschin veneto e lombardo: l’odore di stantio che resta su mani e piatti dopo che sono stati a contatto con pesce o uova.
Un libretto uscito alcuni anni fa, Il senso del Tingo, scova centinaia di nomi bizzarri in giro per il mondo. Ma sono andata a riguardarmelo e, ahimé, alle pagine 162/163 c’è un sacco di nomi inuit per la neve (però non sono esattamente “centinaia”). E allora, come la mettiamo?
Se comunque volete scoprire (ne vale la pena) che cosa significa tingo, e per conoscere molti altri termini curiosi, guardate le belle illustrazioni della neozelandese Anjana Iyer.

Dal freschin alla Schadenfreude al tingo, tutto quello che non siamo in grado di nominare per noi non esiste, o resta sfuocato e indifferenziato ai bordi della coscienza: a voler essere davvero schematici, imparare non è altro che nominare, cioè appropriarsi di nuovi nomi per identificare nuovi concetti, collocandoli nel contesto di altri nomi che già conosciamo e stabilendo, tra tutti, relazioni gerarchiche, logiche, situazionali, causali e altre ancora, via via più complesse, e confrontando tutto ciò con le tracce impresse dall’esperienza, e coi loro nomi (e no: memorizzare nomi a casaccio non è la stessa cosa).
E ancora: uno dei modi per affinare la competenza emotiva dei bambini consiste proprio nell’aiutarli a nominare quel che sentono, cioè a possedere e saper usare un vocabolario degli stati interni emotivi. E, ancora: è la grande Wislawa Szymborska a rivelare in una breve, incantevole poesia, che il possesso dei fenomeni attraverso i nomi ha una componente illusoria.

Di fatto, nel nostro cervello non ci sono oggetti e fenomeni ma, come hanno rilevato ancora nel secolo scorso Alfred Korzybski e poi Gregory Bateson, i nomi degli oggetti e dei fenomeni: quando pensiamo alle noci di cocco o ai porci, nel cervello non ci sono né noci di cocco né porci.
Ricordavo questa affermazione qualche tempo fa, a proposito del diffondersi del termine storytelling, che fa sembrare inedita e moderna quell’attitudine a raccontare che ci appartiene da sempre. Eppure, nominare nuovamente rinnova la percezione del fenomeno.

nominare

Quando aggiungiamo nome a nome, secondo ordini che ancora non siamo riusciti ad afferrare pienamente, insieme crescono in noi connessioni neurali e consapevolezza: uno spettacolo che sarebbe bello poter vedere da vicino e che, forse tra non molti anni, saremo davvero in grado di capire e, chissà, di osservare mentre accade.
Qui Howstuffworks vi dà un’idea generale e divulgativa di quel che vuol dire mappare il cervello. Qui il NY Times identifica alcune pietre miliari del processo, e qui vi dà conto dello stato dell’arte oggi. E qui Nature segnala che, finalmente, europei e americani stanno cercando di coordinarsi per un’impresa così straordinaria da essere impensabile fino a poco tempo fa: del resto, conquistare il cervello umano è per molti versi infinitamente più complesso che conquistare lo spazio.

Ma torniamo alla questione dei nomi.
Quando una parola o una sequenza di parole indicano non un concetto, ma un individuo, un ente concreto e unico, devono cominciare con la maiuscola. Il problema è allora decidere se ci troviamo in presenza di una entificazione e, nel caso di sequenza, qual è il punto di passaggio dal concetto all’ente, scrive l’Accademia della Crusca, parlando di sentimento della lingua.
È la maiuscola ad aiutarci a distinguere a colpo d’occhio nomi comuni e nomi propri e a trattare i nomi propri con tutto il riguardo che si meritano: ci sono molte cittadelle ma c’è una Cittadella, quella lì in provincia di Padova. Ci sono infinite scale ma c’è una Scala, a Milano.
Naturalmente, ci sono innumerevoli rose, ma ciascuna Rosa è un individuo, insomma, un singolo, eccezionale, ineguagliabile ente. Se avete delle curiosità sui nomi propri, potete divertirvi con nomix.it (vi dice anche tendenze e diffusione regionale dei nomi propri) o con questa curiosa pagina di Wikipedia. O potete farvi un giro nell’anagrafe più strana d’Italia.
Infine: non solo quando impariamo il nome proprio di una persona ci sembra in qualche modo di conoscerla, ma quando ci perdiamo nel nominare più e più volte (chi non l’ha mai fatto?)  una persona amata, ci illudiamo, attraverso il nome, di possederla. Forse.
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21 risposte

  1. “Romeo, Romeo… perché sei tu Romeo? […] Solo il tuo nome è mio nemico, ma tu sei tu, non un Montecchi. Oh, sii tu qualche altro nome! E che è un nome? Non è né una mano, né un piede, né una faccia, né un braccio: nessuna parte di un uomo. Quella che noi chiamiamo rosa, anche con un altro nome avrebbe il suo soave profumo. Così Romeo, che se non si chiamasse Romeo conserverebbe il fascino di perfezione che possiede anche senza quel nome. Gentile Romeo, poiché non ti è nulla il tuo nome, gettalo via, e prenditi in cambio tutta me stessa”.
    A 14 anni ho tentato di imparare Romeo e Giulietta a memoria (mio padre aveva i volumi dell’Einaudi con tutta l’opera di Shakespeare, li ho ancora): questo è l’unico brano che è rimasto archiviato – con accettabile approssimazione – tra neuroni e sinapsi invecchiati nel frattempo di più di trent’anni… la faccenda del nome m’aveva intrigata parecchio.
    Ma soprattutto, da veneta, sono lieta che questo post mi abbia liberata dall’ansia di trovare la parola italiana esatta per “freschin”. Grazie grazie grazie!

  2. Post ricchissimo, di cui ringrazio. Ma ho una domanda: perchè nella lista dei nomi di persone celebri di Wikipedia manca Anna Maria Testa? Correggere la mancanza, arricchire la danza, completare,saturare: Lei non può mancare! 🙂

    1. Giacomo, credo che non la troverai in quell’elenco … essere celebri significa poco e non identifica la qualità delle persone.

      Prova a guardare nell’elenco delle persone “cum grano salis”, forse non troverari il suo nome, ma sicuramente troverai le sue idee

      😉

      1. Accidenti a me !!! Che figuraccia !!!

        Chiedo scusa ad Annamaria perchè, rileggendo, il concetto che volevo esprimere è uscito un po’ distorto…
        Ancora una volta ha colpito il PPPP, scusa davvero !

        Giacomo, forse non trovi e non torverai il nome di Annamaria perchè, come sappiamo, viviamo in una società dove la meritocrazia è cosa rara …

        In ogni caso credo che Annamaria non abbia bisogno di essere inserita in elenchi o classifche, quello che ha fatto e quello che fa (anche con questo straordinario angolo di mondo che ci mette a disposizione) non hanno bisogno di ulteriori commenti, i fatti parlano da soli.

        Grazie Annamaria !

  3. Interessantissimi sono gli elenchi organizzati dei termini della lingua di Malo (Vicenza), presenti in Pomo Pero di Luigi Meneghello. Forse c’è anche “freschin”.
    Ehm, urca. Grazie a te, Annamaria. :-))

  4. Annamaria, a proposito di nomi, vorrei approfondire il tema del “naming” in termini marketing perchè per lavoro mi occupo anche di “inventare” nomi nuovi. Mi affido molto alla mia creatività ma cerco da tempo, invano, un buon manuale/corso per imparare ad essere più creativo nella ricerca di nuovi nomi. Mi daresti una mano?

  5. A proposito di odore di freschìn, tempo avevo provato a chiedere a colleghi di una ventina di paesi europei e asiatici se avessero una parola per descriverlo, e il dettaglio curioso è che solo le persone che parlavano una lingua in cui c’era una parola equivalente, nel mio campione una cinese e una libanese, avevano capito immediatamente cosa intendessi, mentre le altre sembrava ignorassero del tutto che uova e pesce possono lasciare un odore sgradevole.

  6. Credo ci sia anche un altro aspetto, rilevante nel passaggio da una cultura all’altra, soprattutto quando la comunicazione è visiva. Se (ri)conosciamo il concetto ma non siamo in grado di nominarlo perché nella nostra lingua il nome non è altrettanto comune, nell’interpretazione del messaggio possono interferire connotazioni e associazioni assenti nella lingua di partenza. Proprio oggi mi è stato fatto l’esempio dello spot della Nissan Qashqai, dove “appare “l’immagine di un uomo appeso a un filo (d’acciaio, ma vabbè). Oltretutto il nome dell’auto si pronuncia cascai e aumenta l’effetto”. Lo spot è stato ideato in inglese, e in inglese vengono facilmente in mente i nomi zip line o zip wire per descrivere quello che fa il protagonista dello spot (lo ziplining, un’attività divertente ed emozionante), quindi è poco probabile che  venga richiamata la metafora, negativa, di essere appesi a un filo (hang by a thread), che invece può intervenire per lo spettatore italiano.

    1. Ciao Licia. Considerazione molto interessante: tra l’altro, quando si lavora per il mercato internazionale si cerca di andare a controllare possibili implicazioni negative dei termini impiegati (molti anni fa ho dovuto sostituire un “nei prossimi mille anni” dalla traduzione tedesca di un titolo, perché lì questa formula ha connotazioni – mi si diceva – negative).

      Ma è praticamente impossibile andare oltre, controllando tutte le possibili associazioni e le metafore. E non resta che incrociare le dita. In un prossimo post linkerò una serie di incidenti verbali occorsi sui mercati internazionali.

  7. Il problema dei termini piu’ appropriati e corretti e’ molto sentito anche in ambito documentazione tecnica, in particolar modo nei manuali di istruzione d’uso.

    Infatti le istruzioni d’uso dovrebbero essere fonte ulteriore di sicurezza per l’utente finale e, sbagliare un termine o una traduzione potrebbe rivelarsi molto rischioso.

    Ma non solo i termini sono un problema, a volte lo sono anche i colori, precipiti in modo differente nelle varie aree del pianeta. Ma questa e’ tutta un’altra storia.

  8. Grazie.
    Serviva proprio. Utile davvero perché l’articolo mette in correlazione cose conosciute anche inconsapevolmente con altre nuove nuove. Dal vecchio al nuovo e utile.
    Il bello è che l’articolo riporta immediatamente nel nostro orizzonte di conoscenze cose che sembravano distanti e invece sono proprio lì. E l’orizzonte si amplia subito.
    Un esempio da golosone. Tutti sentono il profumo di amarena nei vini fatti col pinot nero. Ma solo se uno sa dare un nome a quella sensazione, sa selezionarla e riconoscerla immediatamente al primo fiuto. Altrimenti l’amarena resta una sensazione piacevole tra tante altre e indistinguibile.

  9. Sono abituata a pensare alle sinapsi del cervello come a una serie di lucine che si acendono in sequenza, magari apparentemente casuale, a volte se ne accendono molte tutte insieme e si osserva quello che si chiama Lampo di Genio (con la maiuscola); questo post, come tantissimi altri di Annamaria Testa, mi risulta meravigliosamente illuminante, uno splendido modo di cominciare questa giornata, Grazie!

  10. Il ‘freschin’ veneto e lombardo è in genovese: ‘refrescumme’.
    Sul concetto parola-esistenza alle nostre radici:
    Giovanni 1,1-18

    1. Giovanni 1,1-18

      La Parola fatta carne
      1 Nel principio era la Parola e la Parola era presso Dio, e la Parola era Dio. 2 Egli (la Parola) era nel principio con Dio. 3 Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui (la Parola), e senza di lui nessuna delle cose fatte è stata fatta.

  11. L’importanza del nome, non solo per le cose, ma anche per le persone. Una particolare attenzione la meritano i bambini abbandonati e poi adottati. Il loro nome è spesso scelto dal caso (chi lo ha fatti nascere, chi li ha trovati, chi li ha registrati). Il loro cognome è scelto dall’ufficiale anagrafe da una particolare lista di cognomi che non si ripetono. Successivamente, una volta adottati, prendono il cognome della famiglia adottiva. Per sottolineare questo passaggio: “Se poter chiamare per nome (qualcosa, qualcuno) significa conoscere e per certi versi possedere, dare un nuovo nome vuol dire (quasi) creare un’entità nuova, estraendola dal caos di ciò che è indefinito o sconosciuto o inesistente o potenziale tanto da non poter essere nominato. E identificandola in quanto entità diversa, separata, unica. ” posso dire che molti adottati una volta scoperta la loro orgine, affiancano tutti i nomi, proprio per il recupero e la definizione di quella identità e autonomia. Bello e interessante articolo.

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