AlphaGo

AlphaGo e Lee Sedol: due nomi scolpiti nel nostro futuro

Le immagini che illustrano questa pagina sono tratte da film che mostrano giocatori di Go. Ma il giocatore più bravo del mondo è impossibile da fotografare: si chiama AlphaGo. È un’intelligenza artificiale più che “intelligente”: intuitiva, imprevedibile e capace di pensiero strategico.
Possiamo anche decidere di non occuparci del  futuro, ma di certo il futuro si occuperà di noi: dunque, andiamo a vedere di che si tratta

In estrema sintesi: il programma AlphaGo, sviluppato da Google DeepMind (un’azienda inglese che si occupa di intelligenza artificiale ed è stata acquisita da Google nel 2014) riesce a battere in quattro partite su cinque il sudcoreano Lee Sedol, 18 volte campione mondiale di Go.
Dire “un fatto epocale” è un luogo comune, ma si tratta proprio di questo: un fatto epocale, e senza virgolette. L’intelligenza artificiale sbalordisce i fan e dimostra che i computer hanno vinto una grande sfida, commenta il Guardian, aggiungendo che questa è una pietra miliare. Oggi possiamo dire che l’intelligenza artificiale pensa in modo strategico e intuitivo, che sbaglia ma sa anche correggere i propri errori, e che lo fa in modi che a noi esseri umani possono apparire mindblowing: pazzeschi.

IL GO: ANTICHISSIMO E “INFINITO”. Il Go è un gioco cinese di strategia, vecchio di circa tremila anni: il più antico gioco ancora giocato. Si tratta di una griglia quadrata (goban) di 19×19 linee che si incrociano ortogonalmente. Pedine rotonde (dette “pietre) vengono alternativamente poste sulle intersezioni da due giocatori, che si affrontano allo scopo di controllare la maggior parte possibile della griglia.
Le pedine non vengono mosse ma “catturate”, quando l’avversario le circonda con le proprie.
Le regole di base sono poche, ma le possibili configurazioni di gioco sono infinite: “un numero superiore al numero stimato degli atomi dell’universo” (ammetto di non avere la più pallida idea di come si possa fare questo calcolo) che impedisce perfino a un computer molto potente di elaborare la migliore tra tutte le mosse possibili.

AlphaGo_intelligenza artificiale_1

SCACCHI E POTENZA DI CALCOLO. È invece fondata sulla pura potenza la vittoria ottenuta nel 1997 da Deep Blue, il computer Ibm che batte a scacchi il campione mondiale Garry Kimovic Kasparov calcolando oltre 200 milioni di mosse al secondo, e a partire da un enorme database di partite già giocate.
Anche questa storia, però, ha un risvolto curioso: lo racconta nel 2012 Nate Silver in un libro intitolato Il segnale e il rumore, arte e scienza della previsione. In sostanza, a destabilizzare davvero Kasparov fino a portarlo alla sconfitta sembra essere il fatto che il computer a un certo punto compia una mossa del tutto irrazionale e “troppo umana”.
Il motivo è un baco informatico che, in una situazione di estrema incertezza, lo porta a fare una scelta casuale. Dunque, contro Kasparov, Deep Blue avrebbe vinto non a causa delle mosse giuste, ma per via di un errore. Suggestivo, no?

GO E PENSIERO INTUITIVO. “Il Go sta agli scacchi occidentali come la filosofia sta alla contabilità a partita doppia”, (Go is to Western chess what philosophy is to double-entry accounting) scrive negli anni ’80 Trevanian nell’affascinante Il ritorno delle gru: proprio su quelle pagine, in quegli anni, ho scoperto l’esistenza del Go. Del resto, il gioco ricorre in molti romanzi e in molti film.
Gli scacchi sono un gioco gerarchico, il cui oggetto è catturare il re. Il Go è un gioco imperiale, volto alla conquista del territorio, scrive la British Go Association. Nel gioco degli scacchi si tratta di vincere una battaglia, mentre nel gioco del Go molti scontri interconnessi avvengono simultaneamente in diverse parti del goban, scrive Richard Bozulich.
E ancora: nel gioco del Go, i dati disponibili per il calcolo sono pochi, mentre l’intuizione ha un ruolo preponderante, scrive The Verge.

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APPRENDIMENTO PROFONDO E RETI NEURALI. Il talento di AlphaGo è fondato sull’apprendimento profondo (deep learning) e le reti neurali. In sostanza, AlphaGo impara mettendo assieme frammenti sempre maggiori di esperienza (e anche giocando contro un’altra versione di se stesso). Ma, imparando, fa qualcos’altro.
Cerca, sembrerebbe, la bellezza. O più semplicemente la trova. Dice proprio “bellezza” (e anche “potenza e mistero”) Wired, commentando la seconda delle cinque partite programmate tra Lee Sedol e AlphaGo, il quale fa mosse innovative e imperscrutabili “che nessun umano farebbe”. AlphaGo può aiutarci a pensare fuori dagli schemi, scrive l’American Go E-Journal: un’affermazione piuttosto paradossale.
Il computer si è aggiudicato le prime tre delle cinque partite in programma e il campione sudcoreano ha vinto la quarta: “finalmente l’intuizione batte l’ingegno”, commenta The Verge. Ma è proprio così? Leggendo i resoconti, sembra che il campione abbia imparato osservando il gioco del computer, e che il computer abbia commesso un errore. Anche questo è interessante.

UNA SFIDA EPICA. L’ultima partita, giocata il 15 marzo 2016 alle 13 ora di Seoul, è stata vinta da AlphaGo. In realtà AlphaGo aveva tecnicamente già vinto aggiudicandosi i primi tre incontri sui cinque previsti, (il premio da un milione di dollari andrà in beneficenza), ma la sconfitta nel quarto incontro e la vittoria nel quinto (segnato nuovamente da un errore all’esordio, corretto in seguito grazie a un’incredibile strategia di gioco)  hanno aggiunto all’intera sfida una dimensione epica.
Nei prossimi anni le conseguenza di questa sfida toccheranno la vita di tutti noi, sotto forma di auto che si guidano da sole e mille altre applicazioni (dalla salute alla robotica) capaci di essere “intuitive” in situazioni incerte, complesse e imprevedibili, le più difficili da affrontare per l’intelligenza artificiale. Dovremo ricordarci che il punto di svolta è adesso, che noi ne siamo spettatori, e che coincide con la vittoria a un gioco di tremila anni fa.

Questo articolo, in una versione più breve, esce anche su internazionale.it . A proposito di futuri possibili, e del prevederli, potrebbe interessarvi dare un’occhiata a quest’altro articolo:
Prevedere il futuro: come fanno quelli che ci riescono?

5 risposte

  1. Il numero delle possibili configurazioni, visto che te lo chiedi, si calcola così:
    2^(19×19).
    ovvero 2 possibili pedine (o bianca o nera) per ogni singola casella della scacchiera.
    Il numero totale di atomi nell’universo è 10^80 (stima).

  2. Il fatto che la mia testolina sia troppo asinesca per comprendere il Go, o anche solo gli scacchi, non mi impedisce di provare a cogliere la portata della vittoria del compagno AlphaGo (voglio umanizzarlo, per portarmi avanti, con un appellativo antico) e di apprezzare la efficace sintesi offerta dall’articolo. Certo che di futuro dobbiamo seriamente occuparci, dando alla futurologia lo statuto di scienza, e di scienza completa, libera da ogni retaggio della equivoca dicotomia fra “umanistico” e “scientifico”, come da ogni tentazione di deriva ideologica fra utopici esaltatori delle magnifiche sorti e progressive ed emaciati cantori delle più catastrofiche distopie delle macchine cattive. In fondo gli intelligenti scacchi e l’intelligentissimo Go sono per l’appunto figli di una cultura gerarchica, imperiale o regale che sia, di una strategia del dominio e della guerra, che però finisce con il sublimarsi in stimolante valorizzazione del più puro potenziale intellettivo capace di concludere il gioco con una stretta di mano o un abbraccio. A volte anche i futurologi (spero che nessuno in italiano li chiami all’inglese “futuristi”) sembrano non brillare per rigore argomentativo. Prendo come esempio la previsione che Jerry Kaplan cerca di presentare come scenario stimolante, ma senza riuscirci molto, mi pare. Sapere che i ricchi investiranno in robot destinati ad eliminare posti di lavoro è già di per sé il più stereotipato degli incubi del futuro prossimo, e la soluzione prospettata, cioè un massiccio ricorso a “mutui lavoro”, richiesti (ma realmente concessi da chi e a chi?) per apprendere le “nuove professioni” non è a prima vista una situazione fra le più incoraggianti. Ma staremo a vedere, previsione dopo previsione e prova dopo prova, nella speranza che forse fra utopia e distopia una via alternativa esiste, senza lasciarci tentare da qualche sterile slancio neoluddista.

    http://www.theguardian.com/…/robots-taking-jobs-future…

  3. Articolo interessantissimo, come al solito, ma questa volta perché suggerisce il prossimo tema da trattare: ovvero, quanto ci fideremo delle macchine? E ‘come’, ci potremo fidare?
    Viene alla mente Minority Report e tutto il filone sulle predizioni statistiche, ma anche il fatto che una centrale di polizia cittadina si è già affidata a degli algoritmi predittivi, riducendo sensibilmente il tasso di crimini in città.
    Quante e quali scelte della nostra vita sarà saggio delegare alle macchine?

    Magari

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