Un recente articolo sul Guardian sostiene che negli ultimi anni un’insidiosa e diffusa epidemia di insensate credenze neuroscientifiche si è insinuata nel sistema britannico dell’istruzione (e, temo, non solo là).
Tra queste, le più diffuse sono tre. Riguardano gli stili di apprendimento, la presunta distinzione tra emisfero destro (creativo) ed emisfero sinistro (razionale) del cervello, e perfino l’idea che usiamo solo il 10% del nostro cervello. Il problema è che le credenze neuroscientifiche, una volta tradotte in pratiche didattiche, rischiano di trasformarsi in un fai da te pseudoneuroscientifico che, nella migliore delle ipotesi, lascia il tempo che trova. Della bufala sulle diverse vocazioni degli emisferi, e di quella riguardante l’uso del 10% delle nostre capacità cerebrali abbiamo già parlato su NeU: potreste dare un’occhiata all’articolo.
STILI DI APPRENDIMENTO: 170 TEORIE. Il tema degli stili di apprendimento è, mi sembra, più complicato. Ne parla John Geake, autore di The brain at school e docente di Educazione presso l’Università del New England.
Esistono, scrive Geake, oltre 170 teorie eterogenee sugli stili di apprendimento, tutte variamente costruite attorno all’idea che le diverse capacità di apprendere degli studenti derivino anche da propensioni individuali a imparare meglio o peggio secondo il modo in cui un argomento viene insegnato (parole oppure immagini, lavoro individuale oppure di gruppo, sperimentazione oppure teorizzazione …).
INTEGRARE LE PERCEZIONI. Una ricerca di Geake sulle credenze neuroscientifiche a scuola, intitolata Neuromythologies in education, è ampiamente citata e, proprio sugli stili di apprendimento, fa bene il punto. È vero, dimostrato e confortato da molte esperienze sul campo (e perfino dal noto detto se ascolto dimentico, se vedo ricordo, se faccio capisco, attribuito a Confucio) il fatto che, per esempio, vedere e sentire un’informazione funziona meglio che vederla e basta, o sentirla e basta: il nostro cervello tende a interconnettere le informazioni provenienti da diversi canali sensoriali e ognuna rafforza l’altra.
Aggiungo che, sempre per esempio, usare una linea del tempo (un’informazione visiva) durante una lezione di storia può aiutare tutti, e specie (ma non solo) chi ha un approccio visivo, a organizzare meglio le informazioni. Del resto, il recente successo delle infografiche dimostra quanto una rappresentazione visiva, se ben progettata, possa servire a districarsi tra concetti complessi.
È anche vero che ciascuno può trovarsi più a suo agio con certe attività o discipline e meno con altre, che alcuni lavorano tendenzialmente meglio in gruppo e altri da soli e così via, e che avere un’idea di qual è il proprio stile cognitivo può aiutare a organizzarsi più efficacemente (per esempio: so bene che, se ascolto e basta, faccio fatica a concentrarmi e a ricordare. Per questo, se sono a una conferenza, mi obbligo a prendere appunti).
Ma tutto questo non vuol certo dire che, a scuola, bisogna pretendere di far storia dell’arte solo a parole per gli studenti etichettati come “uditivi”, o di insegnare la musica solo attraverso immagini a studenti che sono stati etichettati come “visivi” (nulla vieta, però, di mostrare anche, a tutti, le bellissime animazioni di The music Animation Machine).
E non vuol neanche dire isolare tristemente dal resto della classe i più introversi e obbligare gli estroversi a lavorare esclusivamente in gruppo, o insegnare solo per dettagli agli analitici e solo per grandi sintesi a chi è più a suo agio osservando l’insieme.
Prova a limitare le derive derivanti da credenze neuroscientifiche un’iniziativa che mette in contatto scienziati e scuola. Si chiama I’m a Scientist – Get me out of here. Ho visto siti più facili da navigare, ma non si può avere tutto e, insomma, l’idea è interessante.
QUALCHE SUGGERIMENTO DI BUON SENSO. Vanno nella direzione di una sensata integrazione tra attività diverse anche alcuni dei suggerimenti contenuti in un articolo pubblicato da New Scientist e intitolato 10 secrets for successful learning, purtroppo disponibile in rete solo su abbonamento, ma tradotto da Internazionale (numero 1099, pag 60). Qui di seguito i suggerimenti che mi sembrano più convincenti: sono rivolti agli studenti, ma anche gli insegnanti possono trarne profitto per orientare la didattica, lasciando perdere le credenze neuroscientifiche.
– Scegliete le ore in cui siete più ricettivi.
– Interrogatevi su quanto avete appreso (insomma, ripassatelo a mente): anche andare a vedere le risposte che non ricordate può aiutarvi a memorizzarle meglio.
– Alternate studio individuale (utile per impossessarvi dei concetti) e studio di gruppo (utile per approfondire, verificare, risolvere problemi).
– Prendetevi delle pause e, dopo aver studiato, dormiteci sopra.
– Ma il suggerimento che mi sembra più efficace è “fingete di dover insegnare”: questo obbliga a organizzare i concetti in una struttura trasmissibile, a tradurli in parole proprie, a recuperare in modo attivo i ricordi.
Stessa lunghezza d’onda! Grazie!!!
Ciao Emanuela. Grazie e te. 🙂