Economia remo lucchi

ECONOMIA – Remo Lucchi: manifesto per un nuovo rinascimento

Remo Lucchi è tra i fondatori della società di ricerche Eurisko, ed oggi è presidente onorario di GFK Eurisko. In questo articolo dice perché qualità, eccellenza e innovazione sono la vera sfida (e l’unica speranza) per le imprese italiane, che devono mettersi in grado di immaginare e progettare un Nuovo Rinascimento

La deriva attuale (verso un nuovo Medioevo?)

Tutto il sistema Italia è coinvolto: la componente pubblica, di governo del Paese in senso ampio; la gestione delle imprese più o meno private. Sulla componente pubblica si rinvia alle denunce di Stella e Rizzo in “La casta” e nel più recente “La deriva” (“… dalle infrastrutture bloccate da lacci e lacciuoli di ogni genere all’attività legislativa farraginosa, dai ritardi nell’informatica che ci fanno arrancare … dal declino delle Università-fai-da-te… alle ottusità sindacali …; è il sintomo di un Paese che non sa più progettare e prendere decisioni forti. E il confronto con gli altri paesi, senza una svolta netta, coraggiosa, urgente, si fa di giorno in giorno così impietoso da togliere il fiato”).

Occupiamoci della gestione delle imprese. La deriva attuale ha le sue radici nella scelta che il Sistema Italia ha fatto di navigare nell’“oceano rosso” della competizione, individuando come “strategia di attuazione” quella del puro contenimento dei costi – ben al di là del più che giusto contenimento degli sprechi -, e del primo prezzo. Dimenticando che in competizione l’unico sistema di vita è invece la differenziazione. “Differentiate or die” diceva 40 anni fa’ Jack Trout, il padre del positioning. Tutto il Sistema ne è coinvolto, per motivi – scelti o obbligati che siano – diversi.

Parliamo prima delle Grandi Imprese, poi delle piccole. Le Grandi Imprese quotate in borsa tendono sempre più alla gestione finanziaria: le trimestrali impongono “il breve”; e l’evitamento degli investimenti che non abbiano rientri immediati. Queste scelte portano le aziende a non innovare e a non differenziarsi, e a porsi sempre più in concorrenza, spostando la competizione sul prezzo, con il rischio di azzerare i margini. Non avendo molte altre alternative per i margini, la tendenza che si va affermando è del puro contenimento dei costi: i fornitori – in genere piccole aziende con “coda di paglia” – vengono vessati; si va verso il primo prezzo, con gare spesso on-line, gestite direttamente dagli Uffici Acquisti (le componenti di qualità, di competenza e di esperienza devono completamente lasciare il passo al primo prezzo); i fornitori, pur di vivere, si adeguano, facendo prezzi che in situazioni normali sono più bassi dei costi; questi fornitori, quindi, a loro volta non hanno più margini, e devono contenere tutti i costi, sia della materia prima – riducendo ai minimi termini la qualità, o barando sulla qualità -, sia comprimendo il costo del lavoro, piuttosto che trovando soluzioni che spesso vanno oltre la legalità.

La situazione descritta favorisce una spirale che non può che sfociare nel collasso del sistema: tutti i costi vengono compressi; i dipendenti guadagnano meno, i giovani non riescono ad inserirsi con prospettive di reddito decente; oltretutto il costo della vita aumenta; quindi si riducono i consumi; quindi le aziende vendono di meno; quindi i margini si riducono sempre di più; quindi si devono contrarre ancora di più i costi; la qualità che i fornitori possono garantire tende all’azzeramento, o “all’imbroglio” (si va verso un “comportamento illegale obbligato”, verso l’imbroglio per poter sopravvivere); ulteriore riduzione del costo del lavoro; collasso. Tutto questo è determinato dalla gestione finanziaria – di brevissimo periodo – delle Grandi Aziende. Le eccezioni sono poche.

Le prospettive non mutano se portiamo l’attenzione sulle Piccole Imprese, che peraltro rappresentano il 98%, e più del 60% del prodotto interno lordo dell’Italia. Possiamo anche non pensare a quelle Piccole Imprese che di fatto appartengono al sistema/indotto delle Grandi Imprese essendone fornitrici di beni o servizi, perché coinvolte nello stesso dramma delle Grandi Aziende. Pensiamo alle altre Piccole Aziende. Anche queste stanno soffrendo, perché essendo piccole e senza risorse finanziarie per sviluppare vera innovazione, si trovano in competizione – nel mercato globalizzato – con aziende del “terzo mondo” o del “nuovo mondo” che sono capaci di fornire prodotti analoghi – perché la tecnologia è modesta e di facile imitazione – ma a prezzi molto più bassi, in quanto il loro costo del lavoro è una frazione del nostro.

Il nuovo Rinascimento

C’è una soluzione? Forse sì. La direzione da intraprendere non può che essere di navigazione negli “oceani blu”. La qual cosa significa intraprendere una strada – sia breve che lunga – che porti l’Italia ad uscire dalla competizione così come ora viene affrontata, per un posizionamento unico e proprio. Tutte le direzioni possibili passano in ogni caso per la qualità e l’innovazione. L’innovazione e la rigenerazione, che devono essere continue. Sono varie le direzioni di intervento in questo senso, ma tutte devono essere favorite da interventi dello Stato, pubblici. Innanzitutto va favorita la ricerca come rigenerazione e innovazione: è l’unica possibilità per uscire dalla competizione, e per poter produrre margini, e quindi invertire la spirale. Per questo sono necessari interventi che favoriscano l’ingrossamento /accorpamento / fusione delle Piccole Imprese: la grande dimensione aziendale è importante non solo perché implica il cambio di mentalità, ma soprattutto perché crea risorse finanziarie adeguate per l’investimento in ricerca ed innovazione. Senza risorse finanziarie non si procede: in assenza l’innovazione sarebbe frutto di pura creatività/genialità, per definizione facilmente imitabile; e non ci porterebbe quindi in “oceani blu”.

Una delle condizioni perché questo avvenga, cioè che ci siano grandi investimenti in ricerca/innovazione, è che lo Stato favorisca con interventi/leggi – e con grande senso dell’urgenza – questa direzione. Con la necessità di un cambio di mentalità nella gestione delle aziende: favorire soprattutto la gestione imprenditoriale e non meramente finanziaria. Si deve poter investire aspettandosi dei ritorni anche nel medio-lungo termine, e non solo nel brevissimo.

Certo, per le Grandi Aziende quotate in borsa la soluzione non è facile. Si dovrebbero studiare soluzioni che prevedano l’evitamento dei riflessi in Borsa. Ma l’intervento dello Stato, oltre a favorire la direzione di cui sopra, deve essere più ampio: ridefinire i cosiddetti “fondamentali immediati”, senza i quali non si affronta nessuna “competizione“; definendo per l’Italia un progetto di lungo periodo (la “visione“).

I “fondamentali immediati”, nella prospettiva di uscire dalla competizione, significano: creazione di leggi e la predisposizione di incentivi che favoriscano la direzione di rigenerazione / innovazione cui si è fatto cenno sopra: unico sistema per uscire dalla competizione di prezzo; rifondazione della scuola e della formazione, che devono diventare di altissima qualità; corpo insegnante eccellente, selezionatissimo, iper-pagato: molto del futuro è nelle loro mani; efficientamento dello Stato, nelle procedure burocratiche, nella giustizia, e nella eliminazione degli sprechi e delle inefficienze; evitare che 1/3 del Paese sia di fatto in mano alla criminalità organizzata.

In una “visione condivisa di lungo periodo“, il progetto deve venire concordato con le varie parti sociali e politiche, e deve attraversare indenne i vari Governi. Sono necessari non meno di due/tre lustri senza interruzione per costruirlo. L’esistenza di progetti chiari e condivisi – e comunicati – è fondamentale per la popolazione, non solo perché indicano la direzione (e migliorano la percezione di sicurezza), ma perché conferiscono senso e orgoglio di appartenenza, con la “difesa” degli stessi progetti, e con conseguente aumento della probabilità della loro realizzazione.

I progetti possibili possono essere numerosi, anche se quello forse più facile per l’Italia è la naturale prosecuzione della sua vocazione storico-culturale-geografica, che rende l’Italia unica al mondo, e che ci porterebbe a navigare in un “oceano blu”, anzi “blu intenso”, senza competizioni: è l’Italia della qualità di vita e di cultura, in tutte le possibili manifestazioni, con tutte le possibili filiere ed indotti.

In sostanza: l’Italia che investe sul territorio, su ciò che di bello la natura ci ha dato (possibilmente eliminando le brutture degli ultimi 50 anni); l’Italia che punta sulle opere classiche (80% di quelle mondiali) e che le organizza, togliendole dalle cantine che in questo momento ne ospitano più dei due terzi; l’Italia che investe sul turismo, certa di poter offrire unicità; l’Italia che investe nelle manifestazioni della cultura, nella prospettiva di diventarne il baricentro mondiale.

Le aree sono davvero numerose, alcune già ben sedimentate, altre da creare e/o sviluppare, tutte rispondenti al concetto di eccellenza di qualità e di unicità: la musica, il cinema, il teatro, la letteratura, la pittura, le arti figurative, il design, l’arredo, la moda, lo stile e i prodotti alimentari, la salute, la qualità di vita. E le risorse? Potrebbero non essere un problema. L’Italia – baricentro mondiale della bellezza in tutte le sue manifestazioni – è di fatto un bene del mondo intero. Se il progetto fosse ben strutturato e ben comunicato, tutto il mondo potrebbe diventarne azionista.

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