patrimonio culturale

Gollum, Paperone e il patrimonio culturale

Oggi vorrei parlarvi del nostro paese e del suo patrimonio culturale, ma la prendo un po’ alla lontana, almeno per qualche riga. E, tranquilli: se solo a leggere “patrimonio culturale” vi siete figurati un articolo togato e sussiegoso, beh, è proprio di questo sentimento che vorrei parlarvi.

METAFORE FUORVIANTI. Le metafore sono potenti, ma non sempre risultano, anche, illuminanti: una metafora può (metaforicamente) essere un canocchiale per guardare più lontano. Un faro che illumina una realtà oscura. Un grimaldello che apre porte serrate. La lama che squarcia il velo di un pregiudizio.
Ma una metafora riduttiva o fuorviante può portare verso una strada senza uscita. È il masso che precipita su un’idea e splash!, la spiaccica. Questa lunga premessa ha un obiettivo. Sto per sottoporvi una questione che riguarda una metafora che coinvolge tutti noi, il nostro passato e il nostro futuro. Mi auguro che non la liquiderete come un’oziosa pinzillacchera linguistica senza pensarci su almeno un paio di secondi.

CONCETTO ASTRATTO. Ecco. Ho il sospetto che per maneggiare meglio, e anche per rendere tangibile e attraente il concetto astratto di Beni culturali evocando valore e desiderabilità si sia, fino a oggi, fatto ricorso a una serie di metafore che  sono per certi versi  riduttive e fuorvianti. Pensateci: si parla di giacimenti culturali. Si dice che i beni culturali sono il nostro petrolio. Un tesoro da valorizzare. Un patrimonio. Già: il nostro patrimonio culturale.

PREZIOSA MA SENZ’ANIMA. È tutta roba preziosa sì, ma inanimata (fin troppo ovvio ricordare che ciò che è inanimato non ha, appunto, anima). È roba che se ne sta lì, in attesa che qualcuno ne faccia qualcosa, e che restandosene lì tende a fatalmente ad appannarsi, a impolverarsi e a puzzare di cantina. Tra l’altro, la metafora del giacimento, o del tesoro, o del patrimonio (e perfino se specifichiamo che trattasi di patrimonio culturale)evoca un immaginario avventuroso, ma anche avido ed egoista: c’è dentro Gollum, Paperone, Aladino, il petroliere cinematografico Daniel Painview, il pirata Barbanera…

UNA VISIONE ORGANICA. Credo che potrebbe valer la pena di abbandonare la visione inorganica per una organica, molto più ampia, complessa, generosa e, propriamente, fertile.
Provate a immaginare la cultura, in tutte le sue espressioni immateriali e materiali (vie e piazze, e paesaggio) come un grande, vitale ecosistema abitato e condiviso da mille specie diverse di idee e di attività. Provate a pensare ai nostri borghi e alle nostre città come a luoghi in cui cui da sempre architetti e artisti e artigiani e scienziati e pensatori  e mercanti e poeti interagiscono animati dall’energia millenaria e inesauribile della creatività umana, e producono guidati dallo spirito del tempo.

TUTTO È CONNESSO. Immaginate un ecosistema in cui ogni espressione culturale è connessa con le altre e coevolve, come in effetti è sempre successo e succede: cinema e letteratura, pittura e design, moda e fotografia, musica e matematica… quanti fili legano una disciplina all’altra? Quante traiettorie, nel nostro multiforme territorio nazionale, uniscono passato, presente e futuro? E quante idee o invenzioni affondano le radici in altre idee o invenzioni, o si esprimono grazie ad altre idee o invenzioni? Se volete un riferimento cinematografico pop: scordatevi Gollum e i pirati per entrare dritti dritti nella tecnomagia di Avatar.

UN ECOSISTEMA A CUI APPARTENERE. Come tutte le metafore, anche quella dell’ecosistema culturale si porta dietro una serie di conseguenze e implicazioni: la necessità, per esempio, di tenere sotto severo controllo parassiti e predatori. Di evitare frane (metaforiche e reali). Di seminare per poter poi raccogliere. Di rispettare tutte le specie – le attività culturali e creative – che costituiscono l’ecosistema senza far gerarchie, e valorizzando la diversità.
Ma l’implicazione più interessante è, forse, un’altra: un “bene” ci appartiene, ma ad un ecosistema siamo noi ad appartenere. È un cambio di prospettiva sostanziale: siamo noi ad appartenere alla nostra cultura, e anche ai nostri musei, alle biblioteche, ai siti archeologici, ai monumenti e alle opere d’arte, così come apparteniamo al nostro linguaggio e alla nostra storia, e così come una specie appartiene al suo territorio. E, se quello va in rovina, si disorienta, stenta, e alla fin fine si estingue.

10 risposte

  1. giustissimo discorso, ma, con un pizzico di rassegnazione, credo che ‘giacimento’ sia una specie di lapsus freudiano molto più rispondente alla realtà della situazione italiana.
    Ho la sensazione che in Italia la cultura e l’innovazione non siano ecosistemi vivi. Il cinema è fermo a fasti di 15, o anche 30 anni fa, la musica è ripetitiva e senza guizzi interessanti, il fumetto è negletto, la letteratura non la seguo abbastanza, ma ho l’impressione che non ci siano genuini geni da nobel, nessuno che guardi oltre alla siepe…

    abbiamo un sacco di storia, e di architettura e scultura e pittura delle epoche passate, un Rinascimento che ormai, dopo secoli, è morto: proprio un giacimento…

    Andrea

  2. …da informatica umanistica io, ora comunicatrice ambientale, e da ricercatore in agroecologia il mio compagno, non solo condividiamo, ma sottoscriviamo pienamente. Aggiungo che la comunicazione dei beni culturali ha risentito enormemente della terminologia finora usata per descriverli, e posso dire – avendo studiato il Codice per un concorso – che quella terminologia influenza la stessa legislazione in materia. Su quest’ultima poi ci sarebbe da aprire una discussione a parte… Mi limito solo a dire che è del tutto fuorviante e anacronistica la distinzione tra beni culturali e paesaggio, mentre avrebbe molto più senso aggregante quella di @Francesco “ecosistema culturale”

  3. “Quasi sempre gli ecosistemi sono sistemi aperti, che hanno scambi più o meno intensi di materiali e di energia con altri ecosistemi.” (definizione treccani)

    Mi auguro che la salvezza del nostro ecosistema culturale arrivi da lì.

  4. Brava Testa ! apprezzo sempre quanto scrivi e come lo scrivi…ti propongo una mia riflessione sul tema della cultura….La cultura?

    Saggi e pensatori di ogni tempo hanno scritto parole ricche di significato, di inventiva e di cultura…. piene di sensibilità, poesia e quant’altro. Artisti di ogni epoca si sono espressi e il loro spirito vive nel presente grazie al lavoro e alle opere che hanno realizzato. ….la cultura?….
    Già….ne siamo ricchissimi! E’ davvero una cosa magnifica, ma non è ancora abbastanza. Tanto è, per un fatto evidente, che pur essendoci riempiti le tasche di conoscenza, al punto di sfondarle, avvertiamo il bisogno di intripparci ancora di più. Il sapere è stupefacente; come una droga benefica! E ce n’è per tutti, è una materia prima depositata in giganteschi giacimenti inesauribili in perenne crescita….. siamo produttori, consumatori, portatori, custodi di scienza.
    La cultura permette di viaggiare su binari sicuri, ma non ti assicura una buona lena artistica. Artisti si nasce e si è! La cultura ti può aiutare, ma non ti devi far portare dove vuole lei. L’artista deve andare libero dove si sente di andare, portando lui la sua cultura. I pittori rupestri, che non frequantavano accademie di arte, quando dipingevano erano liberi di colorare sui muri come pareva loro. Niente li fermava!….
    [….] Quando si vuole fare dell’arte, bisogna essere superiori agli elogi e alle critiche. Quando si ha un ideale chiaro e preciso vi si deve salire in linea retta, senza badare a ciò che si incontra sulla strada. [….] (G. Flaubert)

  5. Pinzillacchera” è divertentissima ricorrenza del lessico “testiano” da diffondere citando doverosamente la fonte…. Ma nell’articolo non ci sono pinzillacchere linguistiche, almeno se si crede che le parole contano per la banalissima ragione che dal loro utilizzo consapevole nascono le idee concrete. Tanto che la stessa arrugginita retorica del “fatti e non parole” potrebbe lasciare il posto a una più efficace formulazione, tipo “parole chiare al servizio dei fatti”. Dire “le parole e le cose” non è solo menar vanto di saperla lunga su Foucault e dintorni, e neppure guasterebbe un appello contro la ricorrente riduzione di troppe parole e locuzioni a flatus vocis, e pazienza se è latino. L’orribile “giacimento culturale”, fossile inerte come tutto ciò che, appunto, giace, meritava di essere trasformato in una realtà viva e in un terreno “coltivabile”, se si accetta il dato palese che “coltura” e “cultura” derivano entrambe (come alche “culto”) dalla stessa radice. Ben venga allora l’evoluzione fisiologica della cultura come ecosistema, attendendo il giorno in cui diremo che la cultura è ben di più che il nostro petrolio, perché la cultura è ecologica…

  6. D’accordo, noi apparteniamo all’ecosistema e lo stesso non ci appartiene, quando lo saprà la maggioranza faremo una bella festa. Ma intanto lo Stato (che siamo noi) non ha un becco di quattrino ed è il proprietario di una quantità incredibile di opere d’arte di ogni tipo che hanno bisogno, per tornare a vivere, di spese enormi. (è un costo anche non guardarle, fare finta di niente) Ci ha provato, ma forse per scherzo addirittura con il Colosseo quel tipo delle toods. Meglio gli Americani, Russi o Arabi. Se tutto va bene diventeremo il paese dei balocchi.

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