intelligenza sociale conosci te stesso

Intelligenza sociale: conoscere se stessi per capire meglio gli altri

Intelligenza sociale vuol dire, in parole povere, essere capaci di mettersi in relazione con gli altri in maniera efficace e positiva. Alcuni sostengono che è l’intelligenza sociale, più ancora che altre forme di intelligenza, a dirci chi siamo come esseri umani.

AMBITI CRUCIALI. Sembra una cosa importante, no? Indispensabile in molti ambiti cruciali: amicizie, studio, lavoro, famiglia, la cittadinanza reale e quella virtuale. È stato lo psicologo americano Edward Thorndike a darne per primo una definizione negli anni 20 del secolo scorso: come “capacità di gestire saggiamente le relazioni umane”. Howard Gardner l’ha chiamata intelligenza interpersonale.
È stata con ogni probabilità la conquista dell’intelligenza sociale indispensabile per convivere e per lavorare in gruppo (e della flessibilità comportamentale che ne deriva) a dotare gli esseri umani, 60.000 anni fa, di un cervello più grande. A sostenerlo è l’archeologo Steven Mithen.
Ma la stessa cosa avviene anche tra gli altri mammiferi, siano scimmie, cetacei o pipistrelli: più ampi sono i gruppi di appartenenza degli individui, più grande è la neocorteccia (la parte “evoluta” del cervello, e la sede della funzioni cognitive superiori).

I MOLTI ASPETTI DELL’INTELLIGENZA SOCIALE. Per noi esseri umani, intelligenza sociale vuol dire tante cose. Per esempio: capacità di capire le situazioni e le persone, capacità di capire di discorsi, di spiegarsi e di cooperare, empatia. E ancora: capacità di intercettare i ruoli sociali, di esprimersi in modo appropriato nelle diverse situazioni, di ascoltare, di intuire quello che gli altri pensano e sentono.
Vorreste accrescere la vostra intelligenza sociale? Diventate più consapevoli di voi stessi. E fatelo onestamente, senza considerare solo gli aspetti positivi.

NON SOLO LATI POSITIVI. Una ricerca tedesca pubblicato di recente ci dice proprio questo: il maggior incremento di intelligenza sociale è correlato con la maggiore capacità non solo di conoscere e capire se stessi, ma anche di identificare le proprie parti più negative. È qualcosa di non facile da fare, perché è difficile vincere la resistenza a confrontarsi con ricordi, percezioni o emozioni spiacevoli.
In sostanza, i ricercatori hanno lavorato un totale di oltre 330 partecipanti, divisi in tre gruppi: il primo si è dedicato alla meditazione contemplativa. Il secondo, ha praticato tecniche per identificare le diverse forme o aspetti, o parti intime (inner parts) della propria personalità: la parte che cerca le cose piacevoli. Quella che si prende cura. Quella che sa essere tollerante. Quella positiva. Ma anche la parte ipercritica. Quella vulnerabile. Quella impaurita…
Il terzo gruppo ha funzionato come gruppo di controllo. Cioè non ha fatto nulla di particolare. L’esperimento è durato nove mesi. In media, i partecipanti del secondo gruppo hanno identificato 11 parti diverse in se stessi, con una lieve prevalenza di parti positive.

ACCRESCERE L’INTELLIGENZA SOCIALE. Risultato dell’esperimento: la capacità sociale del gruppo di controllo è rimasta stabile. Quella del gruppo che ha fatto meditazione è leggermente cresciuta. Del gruppo che ha lavorato sugli aspetti della propria personalità, i partecipanti capaci di identificare un maggior numero di parti negative di sé ha dimostrato un importante aumento di intelligenza sociale. Cioè, ripetiamolo, della capacità di capire le convinzioni e le intenzioni degli altri, e di mettersi nei loro panni.
Attenzione: non vuol dire che le persone peggiori, cioè quelle che hanno un maggior numero di aspetti negativi della personalità, sono le più capaci di capire gli altri.
Vuol dire che sono più capaci di capire gli altri le persone che prestano più attenzione al quadro d’insieme, e non solo alla superficie gradevole, che sono più flessibili, che meglio riescono ad accettare la complessità e l’ambivalenza che c’è in tutti noi, e che sanno affrontare la fatica di riconoscere (anche) i propri lati meno piacevoli.

OCCHIO A CHI BADA SOLO A SE STESSO. Anne Böckler, che ha condotto lo studio, spiega che identificare e accettare pensieri e comportamenti negativi in se stessi è una grande sfida e richiede sforzo, flessibilità cognitiva e stabilità emozionale. Insomma, sono le persone più toste e più equilibrate a riuscirci meglio.
Ora, ci basta ricordare che le persone di potere tendono a badare solo a se stesse (e a pensare di essere perfette) per capire come mai i loro comportamenti e i loro discorsi ci sembrano così alieni. Tutta questione di incapacità di sviluppare intelligenza sociale.

Le immagini che illustrano questo articolo sono della giovane e bravissima fotografa libanese Lara Zankoul. Qui il suo sito.
Questo articolo esce anche su internazionale.it

6 risposte

  1. sì, me ne sono accorto anche io, ma la mia esperienza personale potrebbe aggiungere ulteriore complessità ai risultati dell’esperimento.

    Per questioni imponderabili ho ‘lavorato’ molto su me stesso, raggiungendo effettivamente un discreto grado di accettazione delle molte contraddizioni e dei miei difetti.
    Questo però purtroppo (per fortuna) è avvenuto molti anni fa, ed è da un p’ di tempo che non mi dedico allo studio in profondità di me stesso.
    Il risultato è stato una diminuzione delle abilità sociali.
    Questo potrebbe indicare che i benefici dell’autoanalisi restano validi solo finché si praticalo studio.

    Un altro elemento che potrebbe interessarvi è quello che ho osservato durante la scrittura dei dialoghi di un racconto di narrativa.
    Il risultato è stato lo stesso dell’autoanalisi e una accresciuta intelligenza sociale: per qualche settimana sono sembrato persino una persona normale agli occhi delle frequentazioni occasionali.

    Ultima osservazione sulle persone di potere: è vero che narcisismo e sociopatia sono fin troppo comuni, ma resta un mistero la ragione per cui queste qualità li rendano così affascinanti e li conducano effettivamente al successo.
    Forse dovremmo prendere in considerazione l’idea che il loro modo (“idiota”, per usare una terminologia etimologica) di affrontare la società sia il modo giusto, da un punto di vista pragmatico e di risultati ottenuti.

    1. Ciao Magari.
      Grazie! Dici cose molto interessanti, e mi trovo d’accordo con te.
      Un unico dubbio, sulla giustezza pragmatica del modo “idiota” di affrontare la società. Giusto, probabilmente, per quanto riguarda i risultati individuali a breve termine. Devastante, temo, per la collettività e nel lungo periodo. Ammesso che un “lungo periodo”, effettivamente, ci sia.

  2. Buongiorno Annamaria,
    grazie per la risposta!

    Sì dal punto di vista etico ho dovuto lavarmi la lingua con il sapone dopo avere scritto quella giustificazione a un sistema che non mi piace e non mi rappresenta.
    Però… è un sistema che funziona ed è così da sempre: dai faraoni egiziani ai capitani di industria.
    Il potere rende sociopatici. I sociopatici sfruttano tutti gli altri, esseri umani empatici incantati dalla sociopatia inumana, e tutti insieme fanno grandi cose al prezzo delle vite individuali (degli empatici in maggioranza, non dei sociopatici al vertice).

    Sarebbe interessante immaginare un altro sistema, diverso e migliore, ma organizzato dalle fondamenta tenendo conto del tranello teso dall’esca dei sociopatici: forse sarebbe la giusta sfida per il mondo paritario portato da internet, non appena avremo superato questo lieve impasse delle fake news e echo chamber e della perdita di valore dell’argomento di autorità.

    Stavo poi ripensando a tutta quell’empatia dei miei bei tempi: è un tema che punta all’essenza di molte cose, ma non se ne parla quasi mai, al punto che a volte ho la sensazione che mi manchi ancora oggi un vocabolario adatto, e allora devo ricorrere all’allegoria, o alle religioni, e comunque sembra di non capirsi mai completamente.

  3. Ho riletto più volte questo post e quello successivo, sulla partecipazione al voto, ma non sono certo di aver compreso bene.
    A me pare che più che essere parte della società, come un tutt’uno, si è parte di gruppi sociali, spesso avversi.
    Persone che hanno competenza di linguaggio tale da strutturare correttamente il sintagma di una frase e di un discorso, si perdono totalmente nella logica pardigmatica. Si parte da premesse erronee, (Di notte tutti i gatti sono neri. Questo gatto è nero. Deduzione: adesso –anche se è mezzogiorno– è notte.) per sostenere, sempre in prima persona plurale, idee insostenibili. (Noi siamo contrari alle vaccinazioni…).
    Credo dipenda in larga misura dall’evoluzione della nostra specie. Rispondiamo, come i polli, all’ordine gerarchico di beccata, descritto da NiKo Timbergen, e a quello di branco, come i lupi di Boitani.
    Per questo è possibile che un Cicciobomba Cannoniere, che, imbalsamato, farebbe bella mostra in una teca del museo Lombroso, riesce ad avere un milione di marionette vestite in rosso magenta, schierate ad ogni parata in un quadrato perfetto. Forse perché queste persone sono disposte a sottomettersi all’ordine gerarchico per vivere nel Mondo Perfetto della Korea del nord, contro il Grande Nemico esterno.
    Anche da noi, se si condivide l’appartenenza ad una comunità, c’è chi è disponibile ad accettare, ad esempio, che un giovane Casaleggio, oltre ad ereditare immobili e attività lavorative, erediti anche il diritto di comandare, e che questo diritto sia riconosciuto dai sottoposti di unovaleuno.
    Un milione di euro a chi riesce a convincere, non a costringere, quarantaquattro gatti a marciare in fila per sei col resto di due.

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