Fino a pochi anni fa, qui in Italia, creatività e creativo erano parole impronunciabili. Tali da evocare, nella migliore delle ipotesi, persone e attività vanitose e modaiole, e nella peggiore un’ampia gamma di comportamenti non solo irritanti ma disdicevoli (la finanza creativa, per dire truffaldina. Le soluzioni creative, per dire abborracciate, improbabili e inefficaci).
Storicamente del tutto differenti l’attenzione e l’atteggiamento di altri paesi, e specie del mondo anglosassone, in primis gli Stati Uniti ma non solo, verso l’idea stessa di creatività intesa come motore del progresso umano: la preziosa e peculiare attitudine degli individui a scovare soluzioni nuove, a scoprire elementi e connessioni sconosciute, a sperimentare e a inventare.
Le idee sul produrre idee
È un parroco scozzese, William Duff, a pubblicare nel 1767 An Essay on Original Genius, il primo trattato che prova a indagare le dinamiche della creatività. È l’inglese Francis Galton, scienziato eclettico, antropologo, cugino di Darwin e pioniere della biometria a formalizzare per primo la distinzione tra nature e nurture, cioè tra eredità e ambiente, e a segnalare, in Hereditary Genius, quanto l’educazione può nel bene e nel male influenzare l’esprimersi del talento.
Risale agli inizi del secolo scorso una delle prime, e forse ancor oggi la più convincente fra le moltissime definizioni di “creatività”: fa capo al grande matematico francese Henri Poincaré, che nel 1906, in Scienza e metodo, parla di trovare connessioni nuove, e utili, tra elementi distanti tra loro.
Pochi anni dopo è il tedesco Wolfgang Köhler, uno dei fondatori della Psicologia della Gestalt, a coniare il termine insight per definire l’illuminazione creativa e a intuirne la natura istantanea e inattesa. Val la pena di ricordare che lo fa descrivendo la performace creativa di Sultano, il più sveglio fra gli scimpanzé ospitati nella stazione zoologica di Tenerife, e mentre in buona parte d’Europa infuria – siamo nel 1917 – la prima guerra mondiale. Così, grazie a Sultano e all’ingegnosità degli esperimenti di Köhler, l’idea di creatività si estende, anche se con tutte le necessarie distinzioni, ad alcune specie animali superiori. Quali? Ce lo dice Alberto Oliverio: sviluppano comportamenti creativi le specie che sono predatrici e non predate, i cui piccoli giocano e, quando dormono, sognano.
A partire dal comportamento dei topi nei labirinti è invece l’americano Edward Tolman a intuire, verso la fine degli anni Quaranta, quanto flessibilità e finalizzazione siano importanti per raggiungere un obiettivo, e a formulare il concetto di mappa cognitiva. Un paio di decenni prima, il tedesco Karl Jaspers si è interrogato (1922) sui legami tra genio e follia, mentre nel 1926 l’inglese Graham Wallas ha concepito un efficace modello – in quattro fasi: preparazione, incubazione, insight e verifiche – del processo creativo.
E ancora: è l’americano Joy Paul Guilford a formulare, negli anni Cinquanta, il concetto di pensiero divergente, che l’angloungherese Arthur Koestler riprenderà chiamandolo bisociazione. Negli anni Sessanta è l’americano Mel Rhodes a definire, mettendo a sistema la mole di studi prodotti fino ad allora, i quattro fattori che concorrono al verificarsi di un fenomeno creativo: le qualità individuali, il processo mentale attivato, la messa a punto di un prodotto originale e valido socialmente, il contesto socioculturale. Person, Process, Product e Place sono le quatto P della creatività.
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Ciao Annamaria,
dopo alcune recenti idee, in questi giorni sono stato colpito da un “insight” (o almeno credo).
Non so se l’idea è all’altezza di Sultano però, avendo alcuni dubbi su come proporla e su come muovermi, vorrei chiedere un tuo parere (sempre che tu sia interessata, non voglio rubarti tempo prezioso).
Dove posso contattari con la certezza che sia tu a leggere e rispondere?
Scusa la diffidenza ma non vorrei “bruciare” l’idea prima di capire se è buona oppure pessima.
Grazie cmq in anticipo 🙂
Negletta sì, ma presente ovunque.
Nelle opere dei maestri che, nelle botteghe d’arte, insegnavano i mestieri e i segreti ai futuri artisti.
Nella città eterna, eternamente invasa da turisti stupefatti di tanta magnificenza nonostante l’incuria di chi governa.
Nelle opere di Luigi Ghirri che lascia una traccia perenne del paesaggio urbano italiano.
http://www.google.it/search?q=luigi+ghirri+viaggio+in+italia&hl=it&sa=X&tbo=u&tbm=isch&source=univ&ei=25T1UJWYHqKH4gSrwYGwDg&ved=0CD0QsAQ&biw=1251&bih=827
Nella linea di Osvaldo Cavandoli, bellissima.
http://www.youtube.com/watch?v=7XVOnoCpMR0
Nella Olivetti, lettera 22.
Mi fermo, qui. (*_))
Ciao Alesatore.
Preferisco di no. Due i motivi.
Tendo in generale a non dare pareri sulle idee altrui (dar pareri sbrigativi è scorretto. E dar pareri circostanziati e fondati diventerebbe un ulteriore lavoro, e chiede un tempo che non posso mettere a disposizione).
Inoltre: l’ultima cosa che voglio fare è conoscere un’idea che già ora temi possa essere bruciata. Se questo per caso succedesse, sarebbe per te naturale sospettare di tutte le persone a cui l’hai raccontata.
Sul CORRIERE DELLA SERA di domenica scorsa 13 Gennaio, pagina cultura, trovo e leggo l’ articolo Riscoprire la calligrafia.
Bene, mi dico d’acchito prima ancora di buttare l’occhio sull’autore, Guido Ceronetti classe 1927.
Buono, mi scappa in un lampo senza leggere il sottotitolo, che ad intervalli quasi regolari si tiri fuori il tema e se ne discuta.
Non è possibile! E mi altero infine appena scorro: “Il computer sta uccidendo una pratica millenaria. Bandire i mezzi elettronici nelle scuole… per rieducare i bambini in età scolare, stravolti, stuprati prematuramente da computer – da lui volutamente virgolettato e scritto con la i – e telefonino e che gli sia vietato l’accesso alle morbosità digitali degli adulti”.
Su certi aspetti esasperati e semipatologici nell’uso dell’elettronica non posso che essere d’accordo e deploro la mancanza di considerazione segnico manuale nelle scuole, trovo sia una risorsa importante negata come il fare artistico in generale. Triste che le soluzioni proposte siano sempre per sottrazione: no a questo e no a quello. Mai per un cambiamento in termini inclusivi guardando al potenziale effettivo e grandioso dei mezzi.
Ceronetti ha una cultura (e un’età) che gli permette affermazioni apocalittiche. Il dramma è che da nessuna parte vedo muoversi quel fare più visionario e creativo in grado di contrastare e confutare posizioni (oso) reazionarie come queste, a favore almeno di un lungimirante e cosciente contraddittorio.
I mezzi elettronici non vietano da soli la calligrafia. I dispositivi non impediscono lo scrivere o il disegnare a mano. Siamo noi che non sappiamo utilizzarli come tali, non li vogliamo adoperare, non ci interessa che qualcuno ci insegni né imparare ad usarli. Non formiamo persone adatte a diffondere le tecniche e non intendiamo avvalerci di professionisti in grado di farlo mettendoli nelle condizioni di esercitare. Ce ne sono parecchi, eccome! mi propongo anch’io.
Eppoi, un conto è la scrittura a mano e un altro la bella grafia. E chi ha stabilito che carta e monitor o touch screen non possono convivere? Vogliamo parlare di Steve Jobs?
Per distrarmi guardo i dati di “Tuttoscuola” (CORRIERE istruzione di oggi) sulla disparità del sistema valutativo personale degli insegnanti – frutto anch’esso di preconcetti e di abitudini sedimentate senza un effettivo perché – con punte e concentrazioni soprattutto nel nord-est. Ho un moto di sconforto.
Non contro i mezzi elettronici o la morbosità digitale farei allora una crociata ma addosso alla chiusura mentale, alla mancanza di coraggio e curiosità e sperimentazione. Pazienza se non si svilupperà una perfetta calligrafia tradizionale. Tra l’altro si può disegnare benissimo e “corsivare” male a matita, non lo sa nessuno? L’importante è non discriminare nulla e cominciare a insegnare per davvero a immaginare e a raccontare. Senza lasciare fuori qualcosa. NO NEGLETTI.
Ciao Annamaria,
capisco … e ti ringrazio per la cortese risposta.
Quando avrò chiarito alcuni aspetti, se vuoi, scriverò a NEU per “svelare il segreto che cambierà il mondo” 🙂 .
Scherzo (ovviamente) ! Non è mancanza di fiducia ma, quando molti “sanno”, basta un “passaparola” fatto in buona fede per cancellare anche un piccolissimo sogno. Ad oggi ho sempre regalato le mie idee, però prima le ho sempre analizzate. Scusami se ho deviato la discussione dall’argomento principale.
GRAZIE ancora ! Davide
Qualcosa di nuovo e di utile: iniziare (o forse tornare) ad amare nel profondo la nostra nazione.