lavoro di gruppo e lavoro di squadra

Lavoro di gruppo: se il tutto è più della somma delle parti – Metodo 112

Uno dice lavoro di gruppo. O lavoro di squadra. Cerca una definizione, prova a capire le differenze, e si apre un mondo.
Lavorare insieme può essere bellissimo. O può essere un incubo. Il fatto che si verifichi l’una o l’altra situazione (o che l’una si trasformi nell’altra) dipende da una quantità di fattori.
Chiamiamo lavoro di gruppo un processo nel corso del quale più persone collaborano per raggiungere un obiettivo. Va detto che non tutti i lavori si fanno meglio insieme. Anche se costituire gruppi di lavoro va di moda, non ha alcun senso raggruppare persone per sommare il lavoro che i singoli partecipanti svolgerebbero ugualmente, e più comodamente, da soli.

MAGGIORE DELLE PARTI. L’idea di base del lavoro di gruppo è che il tutto sia maggiore delle parti. Cioè che il risultato finale prodotto dal gruppo sia più rilevante (per ampiezza, qualità, complessità, innovazione, valore) della somma dei singoli contributi che ciascun partecipante potrebbe produrre da solo.
Tra l’altro: nemmeno tutte le fasi di un lavoro di gruppo vanno necessariamente svolte in gruppo. Per esempio, è opportuno che ciascun membro si prepari o si documenti autonomamente, prima. La preparazione individuale è già parte del lavoro di gruppo, e il motivo è semplice: la presenza di un singolo partecipante non preparato, o non allineato sugli obiettivi, può danneggiare il lavoro di tutti e pregiudicare il risultato finale.

INDIVIDUALE/COLLETTIVO. E ancora: alcune persone, di norma le più estroverse, lavorano meglio in gruppo. Altre, più introverse (e spesso più capaci di offrire contributi originali) lavorano meglio da sole, e in gruppo rischiano di dare contributi limitati. Un bell’articolo di Fast Company suggerisce di massimizzare i vantaggi di entrambe le modalità, alternando momenti collegiali e momenti individuali.
Eppure, anche chi lavora meglio da solo difficilmente può ottenere risultati importanti nel più totale isolamento, e rifiutando permanentemente ogni confronto con la comunità professionale, il contesto sociale, il mercato, il pubblico, la critica… e senza mentori e maestri, senza allievi, senza criteri di qualità condivisi. Quindi, in realtà, anche chi lavora sempre da solo ha attorno a sé un sacco di presenze con cui deve dialogare.

LAVORO DI SQUADRA. Ci sono lavori che strutturalmente possono essere fatti solo da più individui. In questi casi parliamo, più che di un gruppo, di una squadra: un insieme di persone ciascuna delle quali ha un ruolo preciso, fondato su competenze specifiche e integrato con tutti gli altri (pensate a una troupe cinematografica, a un’équipe chirurgica, agli astronauti di una stazione spaziale, a un team di ricercatori. Ma anche a una squadra di calcio. All’equipaggio di una barca. O a un’orchestra).
Se le squadre lavorano permanentemente insieme, i gruppi non lo fanno: alcuni si riuniscono in modo ricorrente, altri no. Possono essere chiamati a svolgere compiti molto diversi tra loro: prendere decisioni, risolvere un problema, sviluppare un progetto, produrre idee, ottimizzare un processo, svolgere funzioni di orientamento, consulenza, controllo e verifica.

LAVORO DI GRUPPO. In questi casi, proprio perché i ruoli dei singoli non sono sempre rigorosamente definiti a partire da competenze specifiche ed esclusive, alcuni altri elementi propri del lavorare in gruppo diventano cruciali: è fondamentale che l’obiettivo sia ben definito, concreto, chiaro e condiviso, e sempre ben presente nella mente di tutti. Una squadra di norma sa bene qual è il suo compito, ed è allenata a compierlo. Un gruppo che non conosce o che perde si vista il suo obiettivo non arriverà da nessuna parte.
E poi. È necessario che ci sia un buon bilanciamento tra integrazione di tutti i partecipanti (fondata sulla parità, sul riconoscimento, sul rispetto e sulla condivisione di regole e criteri) e valorizzazione delle differenze (sensibilità, punti di vista, esperienze, formazione, etnia, età, provenienza, genere…). I gruppi formati da persone con un alto grado di diversità sono più difficili da formare e possono avere un più alto grado di conflittualità, ma sono, lo dimostrano molte ricerche, anche più produttivi e creativi.

UNA QUESTIONE DI EQUILIBRI. Infine, ogni partecipante dev’essere disposto a lavorare contemporaneamente su due piani: offrire contributi che abbiano un valore, sviluppare una relazione positiva con gli altri. In un gruppo i conflitti sono fisiologici e possono essere fertili, ma vanno gestiti.
Del buon governo dei gruppi (e in particolare dei gruppi creativi) si occupa da oltre vent’anni Teresa Amabile, della Harvard Business School, che sul tema ha prodotto una quantità di ricerche interessanti e citatissime.

LA RESPONSABILITÀ DI CHI GUIDA. In estrema sintesi, è tutta una questione di governare il gruppo in modo chiaro ed equilibrato: chiaro sugli obiettivi. Equilibrato nel bilanciare idee individuali e creazione collettiva e collaborativa. Libertà e vincoli. Disordine e ordine. Originalità e fattibilità. Realismo e utopia.
Ottenere questo bilanciamento e preservarlo è il compito, per niente facile di chi (come capo riconosciuto, come coordinatore o come facilitatore) ha la responsabilità del gruppo. È una posizione delicata e scomoda: se le cose andranno male, la colpa sarà in primo luogo di chi sta a capo del gruppo. Se andranno bene, il merito sarà di tutti.

READ AND SHARE THE ENGLISH VERSION OF THIS ARTICLE

5 risposte

  1. Sono d’accordo. Soprattutto sul fatto che è importante saper gestire un gruppo. Nella mia limitata esperienza di lavoro (circa 3 anni), non mi è capitato spesso di trovare una guida che sapesse guidare sul serio, e la spiegazione che mi sono dato (dopo aver osservato tanto), è questa: chi doveva supervisionare e gestire non aveva avuto esperienze in ciò che, appunto, doveva gestire, e quindi non capiva la complessità di un dato lavoro. Come faccio a gestire una redazione, o il reparto comunicazione di un’azienda o un’intera agenzia, a giudicare/coordinare il lavoro di altre persone se io per primo non ho mai fatto quello che fanno loro? Scritto un articolo, imparato a usare una macchina fotografica, montato un video? O se non ho nemmeno una conoscenza teorica più o meno solida di quello che andrebbe fatto?

  2. “Condurre” un gruppo, è fondamentalmente diverso dal gestire un’equipe.
    Chi conduce un gruppo deve avere competenza, ed esperienza, dei meccanismi(formativi, evolutivi, leadership circolante, comunicazione, ecc.), del gruppo, non dello “scopo” del gruppo.
    Il concetto di gruppo si fonda proprio sulla messa a disposizione delle competenze del singolo e nell’apprendere e creare, insieme, nuove competenze gruppali.

  3. Grandi fratelli, talent-show e master chef (e non vedo l’ora che certi cuochi tornino presto a far parte della loro categoria: la servitù) ci hanno convinti che concorrere significhi lottare uno contro l’altro armati, a dimostrare la propria superiorità con tutti i mezzi.
    Può esserci un’altra accezione per il verbo concorrere ed è concorrere a, correre insieme.
    Se lavorare vuol dire essenzialmente risolvere problemi (procedurali, gestionali, sociali, economici, antropologici…), la concorrenza dovrebbe essere la contribuzione dei diversi attori verso l’eccellenza. Solo la partecipazione motivata a svolgere un ruolo concorrente può dare soluzioni davvero innovative, e molto dipende dallo spirito col quale si partecipa. Ho incontrato sin troppi imbecilli smaniosi di dimostrare la loro presunta superiorità e ben pochi che sono emersi grazie alla loro autorevolezza derivante dalla maggiore capacità di affrontare e risolvere problemi utilizzando e migliorando il contributo di ognuno.

  4. In alcuni casi potrebbero tornare utili i “Sei cappelli per pensare” di Edward De Bono http://wp.me/pYL2M-8v.

    Con il metodo di De Bono le capacità gestionali e le responsabilità di chi guida sono ovviamente fondamentali ma, allo stesso modo, ogni singolo partecipante ha un ruolo determinante e deve essere istruito in modo adeguato prima di iniziare la discussione di gruppo.

    Questa metodologia offre diversi vantaggi tra cui probabilmente anche questo: riduzione della conflittualità personale tra i partecipanti alla discussione, ogni commento (specialmente se negativo) è motivato e riconducibile al “ruolo” definito dal cappello indossato in quel momento e non più al parere del singolo individuo.

    In ogni caso, oltre le capacità e le individualità degli attori in gioco, è indispensabile che tutti siano disposti a mettersi in gioco condividendo il medesimo obiettivo finale: dare valore aggiunto.

Lascia un commento

MENU
I post di NeU Risorse sulla creatività
Clicca per leggere le prime pagine 
TUTTO NEU
Creative Commons LicenseI materiali di NeU sono sotto licenza Creative Commons: puoi condividerli a scopi non commerciali, senza modificarli e riconoscendo la paternità dell'autore.
RICONOSCIMENTI
Donna è web 2012
Primo premio nella categoria "Buone prassi"
Primo premio nella categoria "Web"
Articoli di NeU sono stati scelti per le prove del 2009 e del 2019

Che succede con l’intelligenza artificiale?

“Non perfetta ma straordinariamente impressionante”.Così McKinsey, società internazionale di consulenza strategica, descrive in un recente articolo la prestazione di ChatGPT, il modello di intelligenza artificiale

Ops. Hai esaurito l'archivio di NEU.