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L’Italia appesa nel vuoto delle competenze di base

L’8 ottobre 2013 l’OCSE diffonde i risultati di uno studio che mette a confronto le competenze di base (leggere e far di conto. O, come dice OCSE, literacy e numeracy) degli adulti di 24 paesi.
Dagli anni ’80 è cambiato tutto dice l’introduzione a pagina 3. I governi devono capire se i cittadini dei loro paesi sono attrezzati per vivere nel ventunesimo secolo. Persone con scarse capacità affrontano rischi molto superiori: svantaggio economico, disoccupazione, scarsa salute, bassa partecipazione politica… quel che le persone sanno impatta sulle loro vite.
Seguono duecento e rotte pagine di analisi: l’Italia è messa proprio male. Una prima sintesi si trova nel tempestivo comunicato di Reuters Italia, che cita i preoccupati commenti dei ministri Giovannini (Lavoro) e Carrozza (Istruzione). Giovannini affermerà anche, salvo poi smentire, che gli italiani sono “inoccupabili”.

Ansa esce un po’ dopo, con un titolo tanto assertivo nei contenuti quanto sbrigativo nella forma, Istruzione: ‘Leggere e far di conto’ ultimi in Ocse.  Però segnala con chiarezza che meno di un italiano su tre (avete letto bene) ha competenze di base, alfabetiche e matematiche, sufficienti, cioè superiori al terzo dei sei livelli di competenza considerati dallo studio.
Per avere in poche righe un esauriente sguardo d’insieme sui risultati dei diversi paesi conviene leggere le sintesi del Guardian, che pubblica anche le classifiche e titola Italia e Spagna toccano il fondo.

La nota positiva è che ora se ne parla, diversamente da ciò che – per quanto mi ricordo – è sempre accaduto con ricerche di questo tenore e con gli sconfortati e ripetuti appelli degli addetti ai lavori (leggetevi, per esempio, questi interventi di Tullio De Mauro e di Benedetto Vertecchi. Entrambi risalgono al 2005 e non possiamo certo far finta che i dati OCSE siano un’inattesa novità).
Ma stavolta la notizia rimbalza sul serio in rete (qui, per esempio, Alessandro Gilioli. Qui Tito Boeri. Qui il commento di Internazionale.it), viene ampiamente condivisa e discussa sui social network e il 9 ottobre appare – notate bene – non nelle pagine interne ma in prima pagina, anche se in taglio basso, su Corriere della Sera e su Repubblica, esce sui maggiori quotidiani e riesce perfino a insinuarsi, tra il tormentone delle tasse e le polemiche governative, anche in un telegiornale della sera.

Certo: avere consapevolezza dell’esistenza e della gravità di un problema è il primo passo necessario per affrontarlo, e questo fuoco d’attenzione sull’evidenza delle scarsissime competenze nazionali farebbe ben sperare. C’è però da augurarsi che il fuoco non si spenga subito.
Da una parte, infatti, intervenire su scuola e formazione chiede pragmatismo, pensiero strutturato e tempi lunghi, e produce risultati nell’arco di un decennio almeno: le prospettive della politica sono invece di norma miopi e di breve o brevissimo termine, opportunistiche o distorte dall’emergenza.
Dall’altra, è utopistico pensare che un paese nel suo complesso così ignorante da non sapersene neanche render conto riesca a mantenere alta e focalizzata l’attenzione collettiva sul tema dell’istruzione e della formazione (eppure basterebbe un decimo della passione investita sulla faccenda dell’IMU, per esempio).
Ci vorrebbe una leadership politica coraggiosa e illuminata. Piccolo problema: la leadership politica è l’espressione del medesimo paese che è ultimo eccetera. Ed ecco perché, oltre ad essere coraggiosa e illuminata, la leadership politica dovrebbe essere anche in grado di spiegarsi e farsi capire bene, da tutti.

L’immagine che illustra questo post è stata scattata nel 1959. Mostra dei bambini che, per andare a scuola, attraversano il fiume Panaro in teleferica. Sta di fatto che, se le cose non cambiano (questo vuol dire: soldi + volontà politica + attenzione collettiva + capacità progettuale + capacità di suscitare consenso sul progetto) tutto il paese continuerà a starsene così, in bilico, appeso nel vuoto delle competenze. E senza la prospettiva di una scuola accogliente da raggiungere e di un’istruzione da conquistare, là dall’altra parte del fiume.

8 risposte

  1. Ci troviamo in una situazione – non solo in Italia – nella quale l’eccesso di informazioni, rischia di fare danno. Disponiamo di tante informazioni, ma perdiamo spesso il contatto con le diverse realtà che ci circondano e con ciò che sentiamo di più profondo, dentro di noi.
    Allora approfittiamo del fatto di essere perdenti – con riferimento alle nostre capacità nella gestione delle informazioni – per fare passi aventi sul piano delle conoscenze, più libere da “schemi mentali”.
    Un piano decennale per cambiare la scuola.
    Nei primi 5 anni – in tutte le scuole in Italia – si giunge gradualmente a destinare il 50% del tempo a lavori di tipo pratico.
    Nei 5 anni successivi – a partire da 16 anni in su – si giunge gradualmente a destinare 2 giorni alla settimana a lavori utili non retribuiti. I lavori – preziosi per la gestione dei “beni comuni” – devono essere realizzati ad elevati livelli qualitativi, per essere promossi.
    Con queste tipologie di decisioni sulla scuola, le nostre accertate debolezze potrebbero diventare un importante punto di forza.

  2. Affascinante la statistica. Potrei passare ore ed ore ad analizzare i dati di un’indagine, ma passerei giorni e giorni a prepararla. E sarebbe molto interessante sapere come queste classifiche sono state stilate. Per esempio, l’articolo del Guardian dice che “tra il 7 e il 27% della popolazione dei paesi partecipanti si dimostrava incapace di padroneggiare persino semplici computer skills come usare il mouse”. E cosa c’entrerebbe l’uso del mouse con il livello di alfabetismo e l’abilita’ nel far di conto.
    Non vorrei che il testo da leggere e capire fossero delle pagine web con necessita’ di navigazione annessa. Allora mi sembrerebbe gia’ piu’ normale che l’Italia fosse agli ultimi posti.
    Con cio’ non voglio dire che in italia non abbiamo niente da fare per migliorare il sistema scolastico, anzi al contrario. Ma vivendo in vari stati esteri da 20 anni, e lavorando con persone da tutto il mondo, in media, mi posso ritenere soddisfatta del livello degli italiani. Sara’ che tutti i migliori se ne sono andati e all’indagine dell’OCSE hanno partecipato solo i poveri rimasti.

  3. Il fulcro di tutto è nell’utopia di fondo: “pensare che un paese nel suo complesso così ignorante da non sapersene neanche render conto riesca a mantenere alta e focalizzata l’attenzione collettiva sul tema dell’istruzione e della formazione”. Non ci sono troppe soluzioni se prima non si raggiunge una consapevolezza sincera ed individuale senza ricorrere ad inutili giustificazioni o peggio ancora inutili soluzioni. Abbiamo bisogno di conquiste che partono dall’anima per colmare il vuoto delle competenze.

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