Stare chiusi in casa e continuare a farlo è indispensabile. Stare chiusi in casa può essere difficile.
Ma tutti noi dobbiamo capire che oggi stare chiusi a casa è obbligatorio e cruciale, perfino se è così difficile e snervante.
Può esserlo perché le case sono piccole. O perché in casa non c’è nessun altro e il senso di solitudine diventa soverchiante. Oppure, al contrario, perché si sta in troppi in uno spazio limitato. Perché i bambini sono irrequieti. Oppure perché le relazioni interpersonali non sempre sono serene come vorremmo e qualche volta, purtroppo, sono tossiche. Perché siamo tutti spaventati e preoccupati. O perché, là fuori, la primavera appare languida e seducente come non mai.
Ma non si tratta unicamente di questo. C’è anche il fatto che, chiusi in casa, succede spesso di mettersi a pensare. E c’è la mente che vaga e va dove vuole lei.
UNA COSA SOLA. Tutta l’infelicità umana deriva da una cosa sola: non riuscire a starsene tranquilli in una stanza, scrive Blaise Pascal.
Una ricerca molto citata, svolta nel 2014 dal Dipartimento di psicologia dell’Università della Virginia, prova a dar conto di questa intuizione. Si intitola Just think: the challenges of the disengaged mind.
IDEA DETESTABILE. La tesi sostenuta dalla ricerca avrebbe senza dubbio suscitato l’interesse di Pascal, ed è sintetizzata nelle poche righe dell’abstract: le persone detestano l’idea di starsene anche soltanto per sei o quindici minuti tutte sole in una stanza, senza nient’altro da fare che pensare. E molte preferiscono infliggersi una scossa elettrica piuttosto che restare con l’unica compagnia dei propri pensieri.
INTROSPEZIONE. Per quanto ne sappiamo, solamente la specie umana è capace di mettersi a pensare in modo introspettivo: lo fa quando distoglie l’attenzione dalle sollecitazioni esterne e si rivolge a se stessa ricordando il passato, progettando il futuro o immaginando.
È uno stato mentale contraddistinto dall’attivazione di un’ampia rete di aree cerebrali: il default mode network. Questa rete si attiva ogni volta che l’attenzione non è catturata da un qualsiasi compito esterno, anche semplice come guardare un film alla tv. E si attiva non solo quando la mente sta andandosene in cerca di un’idea o di una soluzione, ma anche quando vaga senza un obiettivo. E la mente che vaga senza meta si annoia.
CHIUSI IN UNA STANZA. La domanda che i ricercatori si pongono è questa: le persone scelgono intenzionalmente di mettersi a pensare? E si tratta di una condizione piacevole?
Così, arruolano sei diversi gruppi di studenti, ritirano tutti i loro effetti personali, compresi materiali per scrivere e telefoni cellulari, e gli chiedono di stare chiusi in una stanza con la sola compagnia dei propri pensieri: l’unica regola è rimanere seduti senza addormentarsi. Quando l’esperimento è finito, partono le domande.
LA MENTE CHE VAGA. La maggioranza riferisce di aver trovato difficile concentrarsi. Quasi tutti dicono che la mente si è messa a vagare per conto suo. Metà circa trova sgradevole l’intera esperienza. L’esperimento si svolge in laboratorio, ma viene poi ripetuto dagli studenti a casa. Dove concentrarsi risulta ancor più difficile, la percezione di sgradevolezza aumenta ulteriormente e molti “barano” sbirciando il cellulare.
METTERSI A PENSARE, E BASTA. In un esperimento successivo, ad alcuni soggetti scelti a caso vengono assegnati dei compiti da svolgere da soli: leggere, ascoltare musica, navigare in rete. Ad altri tocca limitarsi a “pensare”. Risulta che i primi apprezzano molto di più il fatto di aver qualcosa da fare, e trovano molto più facile concentrarsi.
A questo punto, i ricercatori si fanno la domanda cruciale: se la maggior parte delle persone non ama “pensare e basta”, sarebbe addirittura disposta a fare qualcosa di sgradevole piuttosto che ritrovarsi in quella condizione?
SCOSSE ELETTRICHE. Quindi, mettono gli studenti di fronte a due opzioni: restare per 15 minuti da soli a pensare, oppure ricevere una scossa elettrica. Molti optano per la seconda alternativa.
Ma l’evidenza più clamorosa è contenuta nell’ultimo esperimento della serie: ora a tutti i partecipanti si chiede di stare 15 minuti a pensare. Chi vuole, ha l’opzione di infliggersi anche una scossa elettrica premendo un bottone. Bene: il 67 per cento degli uomini e il 25 per cento delle donne sceglie questa opzione.
Si noti che, in precedenza, tutti i partecipanti avevano ricevuto un esempio della scossa elettrica, e si erano dichiarati disposti a pagare pur di non ricevere una nuova scossa.
La tendenza ad andare in cerca di un qualsiasi stimolo per contrastare la noia, scosse elettriche comprese, è confermata da ulteriori ricerche (per esempio, questa. Oppure, quest’altra)
PARADOSSALE. Tutto ciò sembra paradossale: com’è possibile che qualcuno scelga volontariamente di infliggersi una scossa elettrica? Ed è la prospettiva di mettersi a pensare, a sembrare così terribile, oppure si tratta del fatto che la mente, quando non sa a che cosa pensare, facilmente diventa una mente che vaga per conto suo?
In esergo alla ricerca c’è una citazione del poeta John Milton: La nostra mente può fare di un inferno un paradiso e di un paradiso un inferno.
E forse proprio nella citazione di Milton c’è una chiave.
L’AUTOMATISMO DELLA NOIA. Quando la mente vaga senza riuscire a trovare un oggetto adeguato, l’automatismo della noia, con il suo pesante corredo di ansia, irrequietezza e depressione, scatta implacabile. La percezione rallentata del passare del tempo e il sentirsi impossibilitati a evadere rendono l’esperienza soggettiva della noia più negativa e aumentano il desiderio di cercare obiettivi ed esperienze alternative (perfino se sono rischiose o dolorose) scrivono Shane W. Bench e Heather C. Lench a pagina 13 di un articolo intitolato On the function of Boredom.
STIMOLI DIVERSI. Il lato luminoso della noia, l’ho raccontato in un precedente articolo, consiste nel fatto che l’essere annoiati ci spinge a cercare stimoli diversi, e quindi a esplorare, scoprire e inventare. Guidandoci a perseguire nuovi obiettivi quando la nostra condizione ci appare inadeguata o insoddisfacente la noia ha, dunque, una funzione adattativa.
Tuttavia adesso, per rendere più soddisfacente la nostra condizione attuale, dobbiamo fare qualcosa di controintuitivo e del tutto innaturale: starcene fermi e chiusi tra quattro mura. Per questo la mente che fatica a trovare nuovi stimoli su cui concentrarsi comincia a vagare.
INFELICE. Una mente che vaga è una mente infelice titola un articolo scritto da Killingsworth e Gilbert, dell’università di Harvard, a partire da un’indagine svolta su un enorme campione di persone di molti paesi e di ogni età. Vagare con la mente ha un costo emozionale. E, perfino se la mente vaga attorno a idee piacevoli, le persone si sentono mediamente più infelici che non quando sono assorte in un compito.
TENERE OCCUPATA LA MENTE. In sintesi: per riuscire a sopportare il fatto di restarcene in casa, dobbiamo industriarci per tenere la nostra mente occupata. Ma non “occupata e basta”: occupata sì, ma nel modo più adatto a noi e più efficace. A raccontarci tutto questo, e molto altro, è un brillante articolo di Erin Westgate, che ci offre alcuni suggerimenti tutto sommato semplici.
CALIBRARE LA COMPLESSITÀ. Il primo è calibrare la semplicità o la complessità del compito sulle risorse cognitive di cui disponiamo nel singolo momento. Dovremmo, cioè, impegnare la mente in un’attività che è sufficientemente sfidante, e che però siamo in grado di svolgere in modo soddisfacente. In altre parole: dobbiamo evitare sia la noia dei compiti troppo facili, sia la frustrazione di quelli troppo difficili. Essere così autoindulgenti da dedicare un’intera giornata a Candy Crush può non rivelarsi una soluzione efficace. Ma anche essere così esigenti con se stessi da proporsi di dimostrare la congettura di Riemann non è una buona strategia.
CALIBRARE LA DIFFICOLTÀ. Il secondo suggerimento è affrontare compiti di difficoltà crescente man mano che diventiamo più bravi a svolgerli, e che con la nostra bravura crescono sia la nostra motivazione, sia la nostra gratificazione. È il meccanismo su cui sono costruiti tutti i videogame, ma possiamo applicarlo a un’infinità di altri compiti, o aumentandone la complessità, o diminuendo i tempi per l’esecuzione.
DARE UN SENSO. Il terzo suggerimento è dare consapevolmente un senso valoriale a quello che stiamo facendo, e ricordarlo a noi stessi mentre stiamo svolgendo il compito. A che cosa serve? In che cosa migliora la situazione per noi o per gli altri?
QUALCOSA DI NUOVO DA FARE. Il quarto suggerimento è bilanciare, nella ricerca di nuovi compiti, piacere e interesse. Delle attività solo piacevoli ci si stanca in fretta, mentre quelle interessanti, anche se ci chiedono un di più di sforzo, catturano la nostra attenzione più a lungo e ci gratificano di più.
DARSI UNA SCOSSA. In sostanza, Westgate ci invita a praticare l’appassionante esercizio della metacognizione. Si tratta di accorgerci di come pensiamo. Di ragionare sul modo in cui pensiamo. E di scegliere attività che corrispondano ai bisogni della nostra mente, che è inquieta e curiosa.
Pensare a come pensiamo è una sfida impegnativa, ma in questo periodo abbiamo un sacco di tempo a disposizione. Oltretutto è un interessante, e assai più piacevole, modo alternativo per darsi una scossa.
nulla da dire, sono d’accrodo e vorrei che venisse letto… posso condviderlo sui sociale media come fb e similari?
grazie
Ciao Lorenzo… sì, certamente.
E grazie per la condivisione 🙂
Ciao, Annamaria. Sono Fiorella Palomba. Faccio un tentativo con il mio pseudonimo “Chimera” è un account differente, vediamo se funziona.
Ho da poco ricevuto una telefonata dal gruppo cui appartengo “imparare a imparare” e ritrovo le tue riflessioni sulla metacognizione. Affascinante!
A me piace pensare in molti modi e quindi non è per questo che fatico a stare in casa, ma…mi mancano le passeggiate nell’Appia Antica. So di averlo già scritto, ma è così